Punti critici della definizione agevolata in Cassazione ex art. 5 L. n. 130/2022

Di Andrea Bodrito -

Abstract

La cura nell’attività della produzione legislativa tributaria, a trazione governativa e sulla quale il parlamento svolge un ruolo interstiziale (Cassese S., L’attività e l’efficacia del nostro Parlamento, in www.fondazioneluigieinaudi.it, e in Corriere della Sera, 2 settembre 2020), lascia insoddisfatti anche con riguardo al testo dell’art. 5 L. n. 130/2022. Nella nota si individuano così alcuni punti problematici e, tenendo conto delle critiche già avanzate da dottrina e commentatori, si evidenziano luoghi in cui era sufficiente una maggiore cura e luoghi in cui era forse opportuna una maggiore riflessione.

The care in the activity of tax legislative production, with government traction and on which the parliament plays an interstitial role, leaves unsatisfied also with regard to the text of the art. 5 Law 130/2022. The note thus identifies some problematic points and, taking into account the critics already advanced by doctrine and commentators, highlights places where greater care was sufficient and places where greater thought was perhaps appropriate.

 

 

Sommario: 1. Il testo dell’art. 5 L. n. 130/2022 è modellato sull’art. 6 D.L. n. 119/2018 invece che sul più accurato art. 16 L. n. 289/2002. – 2. La contraddittorietà dell’originaria disposizione sulla nozione di controversia pendente (commi 1 e 4). – 3. L’esclusione dalla definibilità agevolata delle liti in cui l’Amministrazione vinse totalmente nei precedenti gradi (commi 1 e 2). – 4. L’irrazionale preclusione alla restituzione delle somme già versate eccedenti il dovuto per la definizione (comma 9). – 5. L’estensione al coobbligato degli effetti della definizione (comma 13). – 6. Le incertezze sull’istanza di trattazione (comma 12). – 6.1. Il decreto di estinzione del processo. – 7. Il deposito della domanda di definizione perfezionata in Cassazione. – 8. La definizione agevolata degli enti territoriali e loro enti strumentali (comma 15). Facoltà o obbligo di adozione? – 9. Un’osservazione sul procedimento di formazione della legge tributaria.

1. L’art. 5 L. n. 130/2022 disciplina la definizione agevolata delle controversie tributarie pendenti in Cassazione ricalcando il modello legislativo costituito dalla precedente definizione agevolata delle liti pendenti recata dall’art. 6 D.L. n. 119/2018.

La dottrina (Contrino A. – Farri F., La nuova “definizione agevolata delle liti tributarie in cassazione: vizi, virtù e possibile [in]efficacia nel contesto dell’attuale assetto della Suprema Corte, in https://www.centrostudilivatino.it, 4 novembre 2022) ha evidenziato che la formulazione legislativa di altre precedenti definizioni agevolate, recate dall’art. 16 L. n. 289/2002 e del conforme art. 39, comma 12, D.L. n. 98/2011 era più curata, e avrebbe potuto costituire un modello più conveniente per la disciplina dell’attuale definizione agevolata, come si dirà oltre.

2. Come noto, il campo di applicazione della definizione agevolata è limitata alle controversie pendenti in Cassazione. Tuttavia, né il codice di procedura civile, né la disciplina del processo tributario forniscono una definizione di “lite pendente”, pertanto è il legislatore del condono che ha dovuto fornirla per le proprie esigenze.

La prima criticità è costituita proprio dall’errore contenuto nel testo originario dell’art. 5 L. n. 130/2022 con riguardo alla definizione di “controversia pendente in Cassazione”. Il testo originario, infatti, palesava un contrasto tra il comma 1, per il quale erano definibili «le liti pendenti alla data del 15 luglio 2022 innanzi alla Corte di cassazione» e il comma 4 per il quale «per controversie tributarie pendenti si intendono quelle per le quali il ricorso per cassazione è stato notificato alla controparte entro la data» del 16 settembre 2022, data di entrata in vigore della legge. E’ evidente che un ricorso notificato tra il 16 luglio 2022 e il 16 settembre 2022 non rientrava nella previsione del comma 1 ma rientrava nella previsione del comma 4.

Questa incongruenza è stata corretta con la L. 21 settembre 2022, n. 142, di conversione del D.L. 9 agosto 2022, n. 115 (estraneo alla materia tributaria), che ha inserito in esso l’art. 41-bis), comma 2, lett. b) la quale ha soppresso le parole «alla data del 15 luglio 2022» dal detto comma 1, art. 5 L. n. 130/2022. Sono state così superate le argomentazioni che subito erano state avanzate per cercare di dare un senso ordinato ai dati normativi contraddittori (per esempio, che il comma 4, avente natura definitoria è norma speciale che prevale sul comma 1 norma generale).

Possiamo aggiungere che per l’urgenza della correzione il legislatore ha utilizzato il primo mezzo utile, e precisamente la conversione del D.L. n. 142/2022 riguardante «Misure urgenti in materia di energia, emergenza idrica, politiche sociali e industriali» e dunque misure estranee alla definizione agevolata. L’urgenza non ha consentito di rispettare il principio sancito dallo Statuto in materia di produzione di norme tributarie: l’art. 3, comma 2 dello Statuto (L. n. 212/00) richiede che «le leggi e gli atti aventi forza di legge che non hanno un oggetto tributario non possono contenere disposizioni tributarie, fatte salve quelle strettamente inerenti all’oggetto della legge medesima», caso fatto salvo che non ricorre nella specie.

3. Una criticità riguarda il campo di applicazione della definizione agevolata, dal quale sono escluse le controversie in cui l’Amministrazione risulti completamente vincitrice nei precedenti gradi di giudizio. Si è infatti osservato autorevolmente (Leo M., Sarà efficientata nell’immediato la giustizia tributaria?, in il fisco, 2022, 39, 3707 ss.) che non è giusto escludere i contribuenti che hanno totalmente perso nei precedenti gradi di giudizio.

Il problema è individuare il parametro giuridico di riferimento.

La parità di trattamento pare problematica, perché se l’Ufficio fu completamente vittorioso la posizione delle parti è diversa rispetto a quella in cui l’Ufficio fu totalmente o parzialmente soccombente. E’ vero che la legge fa una valutazione predeterminata astratta circa l’esito del processo, astratta perché prescinde dalla valutazione dei motivi di ricorso per cassazione, però in effetti la probabilità di esito finale di fondatezza della pretesa è superiore se l’Ufficio vinse totalmente, rispetto al caso in cui l’Ufficio perdette, anche solo parzialmente, uno dei gradi di merito.

Tuttavia sembra che si possano manifestare dubbi rispetto ai canoni di ragionevolezza e proporzionalità.

Se la ratio di questa definizione è la deflazione delle liti pendenti, allora anche le liti in cui l’Amministrazione ha vinto totalmente nei precedenti gradi meritano la deflazione. E’ irragionevole, rispetto alla finalità, escludere dalla deflazione le liti in cui l’Amministrazione è stata totalmente vincitrice nei gradi precedenti.

E’ anche un trattamento sproporzionato tra contribuenti in lite con l’ufficio. Chi ha perso anche solo parzialmente uno dei gradi di merito beneficia dello stralcio di sanzioni, interessi e dell’80% dei tributi, se ha vinto totalmente nei precedenti gradi lo stralcio dei tributi sarà del 95%, ma chi ha perso totalmente, a parità di valore della lite, non ha neppure la possibilità di uscire dal contenzioso restando potenzialmente gravato del 100% di sanzioni, tributi, interessi. V’è una manifesta sproporzione tra i due contribuenti rispetto alla possibilità di definire la lite per deflazionare il contenzioso. Forse porrà rimedio il legislatore in un prossimo provvedimento.

Vi è, comunque, un precedente in cui la Corte costituzionale ha esteso il condono a soggetti che ne erano esclusi per disparità di trattamento. La Corte costituzionale, con sentenza 13 luglio 2007, n. 270, ha ritenuto contrastante con l’art. 3 Cost. le norme riguardanti non solo il c.d. condono tombale, ma anche gli altri tipi di condono ex artt. 7, 8 e 9 L. n. 289/2002. Queste disposizioni, nel punto rilevante, consentivano l’applicazione del condono solo ove fosse ancora in corso al 31 dicembre 2002 un periodo d’imposta per il quale la dichiarazione era stata presentata entro il 31 ottobre 2003 ed escludendo invece tale applicazione ove il periodo d’imposta, non coincidente con l’anno solare e per il quale la dichiarazione era stata presentata entro tale ultima data, risultasse già chiuso al 31 dicembre 2002. La Corte rileva un’ingiustificata disparità di trattamento, perché sottopone i contribuenti che hanno presentato entro il 31 ottobre 2003 dichiarazioni dei redditi tempestive ad un regime differenziato, in ragione della sola irrilevante circostanza che l’esercizio sociale coincida o no con l’anno solare e che, quindi, il periodo di imposta corrispondente all’esercizio sia già chiuso o no al 31 dicembre 2002. Si deve evidenziare come la Corte sottolinei che tale circostanza non costituisce una idonea giustificazione della menzionata diversità di disciplina, essendo del tutto neutra e, di fatto, contingente e casuale rispetto al perseguimento della finalità dell’estensione temporale del beneficio del condono.

Posta la finalità di deflazionare il contenzioso pendente in Cassazione, si ripete, l’esclusione incondizionata dalla definizione delle liti in cui l’Amministrazione vinse totalmente i precedenti gradi appare una misura non adeguata, perché sproporzionata, e quindi meritevole di correzione.

4. Il comma 9 dell’art. 5 L. n. 130/2022 prevede che «la definizione non dà comunque luogo alla restituzione delle somme già versate ancorché eccedenti rispetto a quanto dovuto per la definizione stessa».

Si tratta della differenza tra l’importo dovuto per la definizione e i versamenti eseguiti in pendenza di causa.

Qui ci sono due rilievi critici.

In primo luogo si è osservato (Leo M., Sarà efficientata nell’immediato la giustizia tributaria?, cit.) che v’è il rischio della disparità di trattamento tra chi condona avendo versato tutto il dovuto a titolo provvisorio (rilevano non solo i tributi ma anche interessi e sanzioni) e così si trova ad aver versato in eccesso rispetto al dovuto per la definizione, e chi non ha versato tutto il dovuto a titolo provvisorio, magari, aggiungiamo, essendo semplicemente riuscito a restare inerte, per cui si trova con un versato che sta dentro il tetto del dovuto: alla fine il costo della definizione è maggiore per il contribuente più diligente e collaborativo ed è minore per il contribuente meno diligente.

Si sottolineano i parametri della diligenza e della collaborazione, quali criteri giuridici di valutazione dei comportamenti dei contribuenti come sancito dall’art. 10 dello Statuto, ex lege n. 212/2000. Ne deriva che sarebbe diverso il caso del contribuente che non pagò quanto dovuto in via provvisoria perché privo di mezzi economici, perché non v’è lesione dei canoni di diligenza e collaborazione. Tuttavia ove fosse previsto la restituzione dell’eccedenza versata rispetto al dovuto, le due fattispecie sarebbero soggette, proporzionalmente, allo stesso costo di definizione agevolata.

In secondo luogo si è osservato (Contrino A. – Farri F., La nuova “definizione agevolata delle liti tributarie in cassazione: vizi, virtù e possibile [in]efficacia nel contesto dell’attuale assetto della Suprema Corte, cit.) che c’è una criticità ancora più rilevante, costituita dal caso in cui l’eccedenza del versato rispetto al dovuto per la definizione, e quindi il mancato rimborso dell’eccedenza, derivi dal fatto che l’Amministrazione non abbia restituito quanto doveva per esempio a seguito della sentenza di appello in tutto o in parte favorevole al contribuente. Qui l’ingiustizia è manifesta.

Sul punto quella stessa dottrina osserva che questo problema avrebbe potuto essere evitato qualora si fosse copiata la disposizione della L. n. 289/2002 che faceva salvi i «casi di soccombenza dell’amministrazione finanziaria dello Stato» (art. 16, comma 5, L. n. 289/2002 e l’art. 39, comma 12, D.L. n. 98/2011). Con l’art. 5 L. n. 130/2022, invece, risulta precluso il giudizio d’ottemperanza per il recupero di somme nel caso in cui il contribuente abbia diritto alla restituzione di quanto pagato a titolo provvisorio, e ciò si presta indubbiamente a limitare l’appetibilità della definizione stessa.

5. Un ulteriore criticità riguarda la disciplina degli effetti soggettivi della definizione agevolata nei confronti dei coobbligati di colui che definisca la lite.

Il problema nasce dalla lettera del comma 13 dell’art. 5 L. n. 130/2022, il quale sancisce che «la definizione perfezionata dal coobbligato giova in favore degli altri, inclusi quelli per i quali la controversia non sia più pendente, fatte salve le disposizioni del secondo periodo del comma 8». Il principio per il quale la definizione perfezionata da uno dei coobbligati giova anche agli altri risponde al principio generale per il quale le soluzioni sostanziali di un rapporto tributario plurisoggettivo si estendono a tutti i soggetti cui fa capo l’identico rapporto, salvo il caso del “rapporto chiuso”. Senonché la clausola di salvezza, richiamando il comma 8, è incongruente con questa esigenza. Infatti, il secondo periodo del comma 8 dell’art. 5 L. n. 130/2022, recita che «per controversia autonoma si intende quella relativa a ciascun atto impugnato». Pertanto, il combinato disposto del comma 13, con la salvezza del comma 8, risulta affermare che la definizione perfezionata da un coobbligato giova agli altri fatto salvo il caso in cui questi siano coinvolti in una controversia autonoma perché hanno impugnato autonomamente l’atto loro notificato.

Un esempio. Compratore e venditore di un immobile hanno autonomamente impugnato l’accertamento notificato ai fini dell’imposta di registro. In pratica, dunque, il rinvio al comma 8 esclude che la definizione agevolata di uno di due si estenda all’altro. Il caso del radicamento di controversie autonome da parte dei coobbligati non è neppure infrequente, raro (anche perché la giurisprudenza non ritiene, tranne eccezioni, configurabile tra i coobbligati il litisconsorzio necessario).

La dottrina su menzionata ricorda che tale rinvio poteva avere un senso nella definizione regolata dal comma 11 dell’art. 11 D.L. n. 50/2017, dove si escludevano gli effetti del condono per i coobbligati che avessero avuto sentenza personale negativa passata in giudicato, ma non in questa sede, dove il rinvio al comma 8 varrebbe a escludere gli effetti del condono per i coobbligati nel generale caso in cui gli atti siano diversi e siano stati impugnati autonomamente, ossia nella larga maggioranza dei casi di coobbligazione tributaria.

Quella stessa dottrina sottolinea come l’errore del comma 13 stia nel rinvio al comma 8 invece che al comma 9 dello stesso art. 5 L. n. 130/2022, per il quale, per quanto d’interesse, «gli effetti della definizione perfezionata prevalgono su quelli delle eventuali pronunce giurisdizionali non passate in giudicato anteriormente alla data di entrata in vigore della presente legge», il 16 settembre 2022.

In pratica gli effetti della definizione non si estendono al coobbligato che abbia avuto entro il 16 settembre 2022 una sentenza negativa passata in giudicato.

Dove nasce questo errore? Ora, questo passo del comma 13 dell’art. 5 L. n. 130/2022 risulta integralmente “copiato” dall’art. 6, comma 14, D.L. n. 119/2018 e anch’esso conteneva l’identico errore. Ma l’errore era stato già notato dalla stessa Agenzia delle Entrate che nella circolare illustrativa n. 6/E/2019, par. 7.1.1., riportando il testo della norma di legge aggiungeva, accanto al rinvio al comma 8, la dicitura: «rectius comma 9». In pratica la stessa Agenzia aveva corretto il riferimento al comma 8 come se valesse per il comma 9, a sua volta analogo al comma 9 dell’art. 5 L. n. 130/2022.

La riscrittura della norma non è stata l’occasione per la necessaria correzione.

6. Sempre copiando, e precisamente dal comma 14 dell’art. 6 D.L. n. 119/2018, l’attuale comma 12 dell’art. 5 in commento mantiene la formulazione secondo la quale «in mancanza di istanza di trattazione presentata dalla parte interessata, entro due mesi decorrenti dalla scadenza del termine di cui al comma 7 [che è sabato 14 gennaio 2023, n.d.r.], il processo è dichiarato estinto, con decreto del presidente. L’impugnazione del diniego vale anche come istanza di trattazione».

La dottrina evidenzia (Contrino A. – Farri F., La nuova “definizione agevolata delle liti tributarie in cassazione: vizi, virtù e possibile [in]efficacia nel contesto dell’attuale assetto della Suprema Corte, cit.) che la formulazione in termini generali solleva il seguente problema: l’istanza di trattazione va presentata per tutte le cause pendenti e astrattamente condonabili, al fine di evitarne l’estinzione?

La risposta, sulla scorta della citata dottrina, è negativa in ragione del coordinamento tra il comma 12 e il precedente comma 10 dello stesso art. 5 L. n. 130/2022, il quale dice che le «cause definibili non sono sospese», tranne quelle per cui il contribuente faccia apposita domanda di sospensione.

Ne segue che la necessità dell’istanza di trattazione per le liti non “condonate” si pone solo nel caso in cui il contribuente abbia presentato istanza di sospensione della causa per poter presentare domanda di definizione e poi non abbia presentato la domanda o la domanda non si sia perfezionata. In questo caso occorre presentare istanza di trattazione entro il termine suindicato, per evitare l’estinzione del procedimento.

Si ricorda che per l’Agenzia Entrate (circ. n. 6/2019, par. 8) la domanda di sospensione, che manifesta l’intenzione di condonare, non è vincolante. E fu la stessa Agenzia delle Entrate a chiarire che il meccanismo dell’estinzione in caso di mancata presentazione di istanza di trattazione valeva soltanto per i giudizi nei quali era stata presentata istanza di sospensione (cfr. circ. n. 6/E/2019). Tuttavia, come sottolineato dalla citata dottrina, la lettera del comma 12 dell’art. 5 L. n. 130/2022 non ha chiarito questo fondamentale aspetto.

Sul piano tecnico-processuale la dottrina (Glendi C., Sospensione ed estinzione del processo per le controversie definibili con la pace fiscale, in Corr. trib.,2019, 3, 221 ss.) evidenzia che la sospensione del processo in esame non rientra nel tipo della sospensione per pregiudizialità-dipendenza tra cause ex art. 295 c.p.c. Neppure rientra nella sospensione volontaria su istanza concorde delle parti ex art. 296 c.p.c. Si tratta di una figura autonoma di sospensione ipso iure che la legge fa dipendere dalla presentazione della domanda del contribuente, la quale integra la causa propria della figura di sospensione in esame, indipendentemente dall’intervento del giudice. Questi, ove emetta un provvedimento sulla sospensione, peraltro non previsto dalla legge, emetterà un provvedimento dichiarativo e non costitutivo dell’effetto della sospensione. Quest’ultima è definita come lo stato di quiescenza del processo durante il quale, di regola, nessun atto può essere compiuto e, particolare rilevante per quanto ci interessa, la lite non può essere decisa. La finalità della sospensione ex art. 5 L. n. 130/2022 è dunque quella di dare al contribuente un tempo libero dall’ordinario svolgersi del processo per poter compiere ogni valutazione sugli effetti della definizione agevolata come alternativa all’alea del risultato processuale.

6.1. Il comma 12 dell’art. 5 L. n. 130/2022, copiando dal precedente art. 6, comma 13, D.L. n. 119/2018, afferma che «in mancanza di istanza di trattazione…il processo è dichiarato estinto con decreto del presidente». La dottrina (Glendi C., Sospensione ed estinzione del processo per le controversie definibili con la pace fiscale, cit.) aveva segnalato come la norma fosse imperfetta perché, attribuendo al presidente la competenza a pronunciare la declaratoria di estinzione, non precisava se si trattasse del presidente “del Collegio giudicante o della Sezione o addirittura dell’Ufficio stesso”, cioè, nel nostro caso, della Cassazione, presso la quale pende il processo. Questo difetto di precisione non sembra risolto neppure dall’osservazione che i commi 1 e 2 dell’art. 5 L. n. 130/2022 precisano che il detto decreto è assunto ai sensi dell’art. 391 c.p.c., il quale disciplina la pronuncia della Cassazione «nei casi di estinzione del processo disposta per legge» (oltreché nel caso di rinuncia al ricorso) prevedendo, a certe condizioni, anche le forme dell’ordinanza e della sentenza. Dunque il decreto di estinzione ex art. 5 L. n. 130/2022 è espressamente ricondotto alla disciplina del detto art. 391 c.p.c. ma, nella fattispecie in esame la legge prescrive altresì che sia sempre la pronuncia monocratica del presidente con decreto l’atto che la Corte di cassazione debba adottare per chiudere il processo, e neppure l’art. 391 c.p.c. fornisce espresse indicazioni sulla competenza del presidente della Sezione piuttosto che del Collegio ad assumere il provvedimento.

Peraltro lo strumento del decreto risulta adottato in ragione della sua efficienza rispetto all’ordinanza e alla sentenza, e sotto questo profilo la scelta è condivisibile.

Quanto alla motivazione, l’art. 135, comma 4 c.p.c. dispone che «il decreto non è motivato, salvo che la motivazione sia prescritta espressamente dalla legge». Nel nostro caso la legge, come riportato, non prevede la motivazione. Tuttavia l’art. 111, comma 6, Cost. sancisce che «tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati». In dottrina (Mandrioli C. – Carratta A., Diritto processuale civile, vol. I, XXVI ed., Torino, 2017, 513, nota 51) si osserva che la giurisprudenza della Cassazione richiede la motivazione nei decreti di natura decisoria, ma la ammette anche sommaria. Nel caso in esame dell’estinzione per definizione agevolata, la motivazione sommaria risulta soddisfacente. Sarà così sufficiente l’indicazione degli elementi basici (tali essendo quelli emergenti dallo stesso art. 5 L. n. 130/2022 come determinanti l’effetto estintivo) che consentano di comprendere perché il giudice sia giunto a dichiarare l’estinzione.

7. Una volta presentata la domanda di definizione, preceduta dall’eventuale pagamento, occorre che la parte privata depositi la domanda stessa con i correlati documenti (PEC di accettazione a consegna; eventuale F24 di pagamento) in Cassazione? Ciò occorre per fondare la domanda di estinzione del giudizio conseguente alla definizione agevolata, estinzione che può peraltro anche essere rilevata d’ufficio dal giudice di Cassazione sulla base, però, dei documenti a disposizione perché introdotti in causa.

Il punto che si affronta è il seguente: si tratta di documenti che rientrano nel campo di applicazione dell’art. 372 c.p.c. il quale, nel testo applicabile per i procedimenti pendenti al 30 giugno 2023, prescrive una notifica a controparte dell’elenco dei documenti depositati in Cassazione? Dalla lettera della norma sembrerebbe di no, perché l’art. 372 c.p.c. sancisce che «non è ammesso il deposito di altri atti e documenti non prodotti nei precedenti gradi di giudizio tranne di quelli che riguardano la nullità della sentenza impugnata e dell’ammissibilità del ricorso e controricorso», per cui i documenti della definizione agevolata sembrano non cadere nella salvezza prevista dallo stesso art. 372 c.p.c. Tuttavia la definizione agevolata della lite è un fatto sopravvenuto che incide sul procedere processuale e che è fondato su una norma di legge sopravvenuta alla pendenza del giudizio di cassazione, per cui il deposito dei documenti relativi si ritiene ammesso, e da tale ammissibilità segue l’applicazione dell’art. 372 c.p.c. (cfr. Marcheselli A., Commentario al contenzioso tributario, Milano, 2021, 1000). A questo punto si pone la domanda: è necessario, per i ricorsi pendenti alla data del 30 giugno 2023, notificare alla controparte l’elenco dei documenti depositati, posto che l’art. 372, comma 2 precisa che se sono depositati indipendentemente dal deposito del ricorso e del controricorso «il deposito… deve essere notificato mediante elenco alle controparti»?

Si osservi che Cass. n. 42048/2021, affronta il caso della domanda di definizione agevolata ex art. 6 D.L. n. 119/2018 depositata senza notifica dell’elenco all’Ufficio, e così afferma: «l’Agenzia non ha eccepito che non le siano stati notificati [i documenti della domanda di definizione, n.d.r.] ai sensi dell’art. 372, secondo comma c.p.c., sicché di detta documentazione non può non tenersi conto, reputandosi che l’Ufficio “concordi sulla verificazione di quanto da detta documentazione emerge” (Cass., Sez. VI, 3 ottobre 2018, n. 24083; Cass., Sez. Lav., 2 maggio 2019, n. 11540; Cass., Sez. V, 11 febbraio 2020, n. 3245; Cass., Sez. V, 26 novembre 2020, n. 26953; Cass., Sez. V, 1° giugno 2021, n. 15197)». Inoltre, Cass. n. 7272/2022 precisa, più espressamente, che «ai sensi dell’art. 6, comma 10, D.L. 119/2018 deve essere dichiarato estinto il giudizio quando il contribuente, aderendo alla definizione agevolata dell’avviso di accertamento, depositi, successivamente all’instaurazione del giudizio di legittimità, istanza di estinzione per cessata materia del contendere. E ciò anche se ricorre il difetto della notificazione richiesta per la produzione di altri documenti ex art. 372 c.p.c., laddove le controparti coinvolte nel giudizio non osservino nulla circa il presunto mancato rispetto della disciplina di cui al richiamato art. 372 c.p.c.».

Ne seguono, in sintesi, le seguenti indicazioni: la definizione agevolata è causa dell’estinzione del giudizio; l’estinzione del giudizio dev’essere dichiarata dal giudice; a tal fine è necessario depositare in causa la documentazione relativa, compresa quella riguardante eventuali versamenti integrativi ed è opportuno chiedere l’estinzione del giudizio; per il deposito di detti documenti la norma di riferimento è l’art. 372 c.p.c. che richiede la notificazione dell’elenco dei documenti depositati alla controparte; se il deposito è effettuato ma la detta notificazione non è eseguita, nel caso in cui l’Amministrazione nulla eccepisca circa il difetto di questa notificazione il giudice trarrà il convincimento che l’Ufficio nulla abbia da eccepire circa l’effetto definitorio della controversia che si evinca dai documenti depositati.

Si deve osservare che in base al nuovo testo dell’art. 372, comma 2 c.p.c. (introdotto dall’art. 3, comma 27, lett. h, D.Lgs. n. 149/2022, applicabile, ex art. 35 D.Lgs. n. 149/2022, dal 30 giugno 2023 ai procedimenti instaurati successivamente a tale data), è stato soppresso l’onere della notificazione dell’elenco dei documenti depositati, ma è stato introdotto il termine entro il quale il deposito è ammesso, ed è il termine di «quindici giorni prima dell’udienza o dell’adunanza in camera di consiglio».

8. La dottrina (Contrino A. – Farri F., La nuova “definizione agevolata delle liti tributarie in cassazione: vizi, virtù e possibile [in]efficacia nel contesto dell’attuale assetto della Suprema Corte, cit.) affronta il seguente tema: gli enti territoriali hanno facoltà di disporre la definizione agevolata o è un obbligo?

Il comma 15 statuisce che «ciascun ente territoriale stabilisce l’applicazione delle disposizioni» sulla definizione agevolata.

L’uso del verbo di azione “stabilire” al modo indicativo presente, terza persona singolare, è la forma tipica dell’obbligo. Nella Guida alla redazione dei testi normativi (circ. Presidenza del Consiglio dei Ministri, 2 maggio 2001, n. 1, 11), si legge che «il modo verbale proprio della norma giuridica è l’indicativo presente, modo idoneo a esprimere il comando».

Così la dottrina dianzi citata traduce il comma 15 nel senso che ciascun ente territoriale “deve stabilire” l’applicazione delle disposizioni sulla definizione agevolata.

Per confronto, si porta il testo dell’art. 6, comma 18, D.L. n. 119/208, la cui lettera dice che «ciascun ente territoriale può stabilire…».

Si pone dunque un problema di valutare la conformità del detto obbligo con gli artt. 117 e 119 Cost. sul federalismo fiscale.

Sul punto si ricorda che Corte cost. n. 381/2004, si è pronunciata sui dubbi di legittimità posti da alcune regioni, le quali lamentavano che lo Stato, disciplinando con le norme impugnate forme di condono fiscale ex lege n. 289/2002, determinava effetti sostanziali incidenti in modo negativo sulle entrate regionali, come l’estinzione delle sanzioni amministrative tributarie, comprese quelle accessorie, relative alle dichiarazioni condonate (si rammenta che per gli enti territoriali il condono delle liti pendenti era una facoltà ex art. 13, comma 3 L. n. 289/2002). La Corte ha rigettato i dubbi e ribadito l’orientamento «secondo il quale lo Stato può disporre in merito alla disciplina dei tributi da esso istituiti, anche se il correlativo gettito sia di spettanza regionale (sentenza n. 311 del 2003), purché non sia alterato il rapporto tra complessivi bisogni regionali e mezzi finanziari per farvi fronte, circostanza, quest’ultima, non emersa nel giudizio (sentenze n. 29 del 2004 e n. 337 del 2001)».

La Corte costituzionale, con sentenza n. 29/2018, depositata il 14 febbraio 2018, si è pronunciata sulla legittimità costituzionale della definizione agevolata dei ruoli (D.L. n. 193/2016, c.d. “rottamazione”), recanti pretese destinate alle regioni. La “rottamazione” prevista dalla legge statale, infatti, avendo ad oggetto anche tributi regionali, avrebbe eliminato entrate di questi enti senza prevedere meccanismi di rientro o di compensazione da parte dello Stato. Il giudice delle leggi ha osservato che quella “rottamazione” era stata introdotta per agevolare la riforma della riscossione prevista mediante lo scioglimento del gruppo Equitalia e il passaggio delle relative funzioni all’Agenzia delle Entrate-Riscossione. Ciò costituiva «una riforma di sistema, sia pure limitata nel tempo, avente ad oggetto specificamente la riscossione mediante ruoli; una procedura caratterizzata da esigenze unitarie che impongono una disciplina centralizzata ed omogenea per tutte le Regioni e gli enti interessati. In questa prospettiva – precisa la Corte – non può assumere rilievo il fatto che siano coinvolte anche le imposte “proprie” delle Regioni».

Ciò posto si deve osservare, in primo luogo, che se le misure condonistiche previste dallo Stato sono costituzionalmente legittime anche se i loro effetti determinano una riduzione del gettito degli enti locali, parimenti (in base a Corte cost. n. 381/2004) si dovrebbe ritenere legittimo il comma 15 dell’art. 5 L. n. 130/2022 anche interpretato come costitutivo di un obbligo di introduzione della definizione agevolata delle liti pendenti in materia di tributi degli enti territoriali. A supporto si può richiamare anche Corte cost. n. 29/2018, giacché l’attuale disciplina della definizione agevolata ha lo scopo di deflazionare il contenzioso pendente davanti alla Corte di cassazione, e ciò richiede quella stessa “disciplina centralizzata” che giustificò, sul piano costituzionale, la “rottamazione” dei ruoli recanti anche tributi regionali.

9. La dottrina, come dianzi esposto, ha lamentato un difetto di cura nella produzione della norma tributaria dell’art. 5 L. n. 130/2022. Ciò si inserisce in un ritenuto calo di qualità nella produzione legislativa di questi ultimi anni, anche attribuita (Cassese S., L’attività e l’efficacia del nostro Parlamento, in www.fondazioneluigieinaudi.it) al preponderante ruolo del Governo, e quindi dell’Amministrazione, nella produzione stessa. In effetti la cura nella produzione della norma tributaria sembra richiedere il concorso indefettibile di tutti i soggetti della cultura e prassi tributaria: l’Accademia, la Magistratura, l’Amministrazione e le Professioni, tutti operanti sotto la regia della politica. L’esame dei testi di legge in sede parlamentare, con l’esame nelle commissioni, le audizioni, il concorso della maggioranza e della minoranza nel più efficace rispetto della riserva relativa di legge (art. 23 Cost.) sembra il modo più efficace per consentire quegli affinamenti che si traducono in maggiore accettazione dei contenuti e minori problemi interpretativi e applicativi.

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

Cassese S., L’attività e l’efficacia del nostro Parlamento, in www.fondazioneluigieinaudi.it, e in Corriere della Sera, 2 settembre 2020

Contrino A. – Farri F., La nuova “definizione agevolata delle liti tributarie in cassazione: vizi, virtù e possibile (in)efficacia nel contesto dell’attuale assetto della Suprema Corte, in https://www.centrostudilivatino.it, 4 novembre 2022

Corrado L.R., Definizione delle liti pendenti in Cassazione: quale procedimento seguire?, in Quotidiano Ipsoa, 22 agosto 2022

Glendi C., Sospensione ed estinzione del processo per le controversie definibili con la pace fiscale, in Corr. trib.,2019, 3, 221 ss.

Leo M., Sarà efficientata nell’immediato la giustizia tributaria?, in il fisco, 2022, 39, 3707 ss.

Mandrioli C. – Carratta A., Diritto processuale civile, vol. I, XXVI ed., Torino, 2017, 513, nota 51

Marcheselli A., Commentario al contenzioso tributario, Milano, 2021

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