Profili di responsabilità e modalità di controllo inerenti alla detrazione del 110% (c.d.“Superbonus”)

Di Stefania Boffano e Lucrezia Piccinini -

Abstract

Il presente contributo si occupa di alcuni dei principali temi legati ai profili di responsabilità e alle modalità di controllo dei soggetti beneficiari della detrazione del 110%, legata a peculiari interventi di efficientamento energetico (c.d. “Superbonus”). Di recente sia il legislatore che l’Agenzia delle Entrate sono intervenuti con limitazioni e chiarimenti, lasciando però ancora aperte alcune questioni interpretative importanti.

Responsibility profiles and control methods relating to the 110% deduction (so-called “Superbonus”). – This paper deals with some of the main issues related to the tax assessment and responsibilities of taxpayers that benefit from the 110% deduction related to peculiar energy efficiency measures (so-called “Superbonus”). Recently, both the legislature and the Internal Revenue Service have intervened with limitations and clarifications, but still left open some interpretative issues.

Sommario: 1. Introduzione. – 2. La responsabilità del committente. – 3. La responsabilità del fornitore o del soggetto cessionario. – 4. La compensazione di crediti “inesistenti”. – 5. Possibilità di ravvedimento. – 6. Conclusione.

1. Il D.L. n. 34/2020 recante «Misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all’economia, nonché di politiche sociali connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19» ha potenziato e innovato la detrazione, riconosciuta a peculiari e specifici interventi di efficientamento energetico effettuati da persone fisiche, condomìni ed altri specificati soggetti, sulle unità immobiliari o sulle parti comuni di edifici, elevando l’ammontare della stessa al 110% e consentendo al beneficiario l’opzione di scontare tale importo in fattura all’impresa che effettua i lavori, oppure di cederlo a terzi (per il dettaglio si veda l’art. 119).

Si tratta di una non modesta rivoluzione nell’ambito delle detrazioni fiscali, cioè di quelle particolari spese sostenute dai contribuenti che, a determinate condizioni ed entro certi limiti, possono essere sottratte dall’imposta lorda sul reddito: per la prima volta infatti l’onere detraibile è maggiore della spesa sostenuta dal contribuente ed inoltre il beneficiario può monetizzarla subito cedendola ai fornitori – per ottenere uno sconto direttamente in fattura – oppure a terzi.

Tale potente incentivo fiscale, non a caso inserito in un decreto contenente misure urgenti volte a sostenere il lavoro e l’economia in piena emergenza Covid, ha come base motivazionale l’esigenza di rivitalizzare il settore edile ed i diversi settori produttivi ad esso connessi e ottenere nel contempo un risultato apprezzabile in termini di risparmio energetico (in tal senso depone la relazione tecnica all’art. 119 D.L. n. 34/2020).

La possibilità di scontare in fattura o di cedere a terzi la detrazione costituisce a ben vedere la maggiore novità, perché accorda un grande vantaggio sia ai beneficiari che ai cessionari.

I primi infatti potranno effettuare i lavori anche in mancanza della liquidità necessaria per farli, oppure potranno fruirne anche se incapienti o assoggettati a regimi sostitutivi dell’IRPEF. Come è stato chiarito nella circolare dell’Agenzia delle Entrate, 8 agosto 2020, n. 24/E infatti, «non rileva la circostanza che il reddito non concorra alla formazione della base imponibile oppure che l’imposta lorda sia assorbita dalle altre detrazioni o non è dovuta, essendo tale istituto finalizzato ad incentivare l’effettuazione degli interventi, prevedendo meccanismi alternativi alla fruizione della detrazione».

I secondi (imprese esecutrici e terzi, soprattutto intermediari finanziari) potranno utilizzare il credito acquistato in compensazione, ex art. 17 D.Lgs. n. 241/1997, con i “propri” tributi, ottenendo un consistente abbattimento delle imposte da pagare.

Ad oggi, se da un lato è indubbia l’appetibilità di questa generosa detrazione, non parimenti cristalline e per certi aspetti ancora in corso di compiuta regolamentazione sono i profili di responsabilità, le modalità di controllo e le conseguenze sanzionatorie in caso di fruizione indebita del beneficio.

2. La disciplina dei controlli è contenuta nell’art. 121, commi 5 e 6, D.L. n. 34/2020 e nell’art. 1, commi 31 ss., L. n. 234/2021 (Legge di Bilancio 2022). Come si avrà modo di vedere essa è piuttosto scarna e disarticolata ed è stata oggetto di commento in alcune circolari dell’Agenzia delle Entrate, la n. 24/E/2020 (punto 9), la n. 23/E del 23 giugno 2022 (punto 5.3) e la n. 33/E del 6 ottobre 2022 (punti 2 e 3).

L’art. 121 D.L. n. 34/2020, ai commi 5 e 6, stabilisce che qualora sia accertata la mancata sussistenza, anche parziale, dei requisiti che danno diritto alla detrazione d’imposta, il recupero dell’importo corrispondente alla detrazione non spettante, maggiorato degli interessi e delle sanzioni di cui all’art. 13 D.Lgs. n. 471/1997 (pari al 30% della detrazione medesima), è effettuato nei confronti dei soggetti di cui al comma 1 (cioè coloro che sostengono le spese per gli interventi di efficientamento energetico, come tali beneficiari della detrazione d’imposta), ferma restando, in presenza di concorso nella violazione con dolo o colpa grave, anche la responsabilità in solido del fornitore che ha applicato lo sconto e dei cessionari per il pagamento dell’importo di cui sopra e dei relativi interessi, oltre alla sanzione prevista in caso di concorso.

Le modalità di recupero della detrazione non spettante sono specificate solo nel caso in cui il committente ceda o sconti in fattura il credito. In tal caso l’art. 1, comma 32, L. n. 234/2021 dispone che, in assenza di una specifica disciplina, lo strumento utilizzabile sia l’“atto di recupero” emanato in base alle disposizioni di cui all’art. 1, commi 421 e 422, L. 30 dicembre 2004, n. 311. Il successivo comma 33, in deroga ai termini di decadenza ordinariamente previsti per gli atti di recupero (8 anni) stabilisce che l’atto di recupero vada notificato (n.d.r. al committente e agli eventuali responsabili in solido in caso di concorso con dolo o colpa grave) a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui è avvenuta la violazione. Infine il comma 34 stabilisce che, fatte salve ulteriori specifiche disposizioni, con il medesimo atto di recupero siano irrogate le sanzioni previste dalle singole norme vigenti per le violazioni commesse e siano applicati gli interessi; pertanto sulla base del disposto dell’art. 121 sopra riportato, la sanzione applicabile sarà pari al 30% dell’importo non versato.

Resta invece priva di una specifica disciplina la modalità di controllo da seguire nel caso in cui il credito d’imposta non venga ceduto, ma usufruito direttamente dal committente.

In tal caso soccorrono le norme generali in tema di accertamento. Ad avviso di chi scrive, l’Agenzia delle Entrate potrà procedere, a seconda dei casi, con le diverse modalità di controllo ad essa attribuite in base agli artt. 31 ss. D.P.R. n. 600/1973. Potrà quindi utilizzare sia lo strumento del controllo formale ex art 36-ter, escludendo in tutto o in parte le detrazioni d’imposta non spettanti in base ai documenti richiesti ai contribuenti, laddove i dati esposti in dichiarazione non trovino corrispondenza nella documentazione presentata dal contribuente, sia lo strumento del controllo sostanziale ex art. 37, recuperando gli importi corrispondenti alle detrazioni non spettanti sulla scorta dei dati e delle notizie acquisiti esercitando i relativi poteri di indagine e accesso, di quelli raccolti e comunicati dall’Anagrafe tributaria e delle informazioni di cui sia comunque in possesso. Tale più incisivo controllo sarà utilizzato nei casi in cui occorra procedere ad indagini più approfondite che non si limitano a controllare la corrispondenza tra quanto dichiarato e i documenti a supporto, ma che mirino ad indagare l’attendibilità dei documenti, la congruità delle spese sostenute, l’assenza di operazioni simulate o fraudolente ecc.

Nel primo caso sarà pertanto tenuta ad inoltrare un avviso bonario, invitando il contribuente a presentare difese e/o a usufruire della riduzione al 20% della sanzione qualora effettui il versamento entro 30 giorni. Successivamente potrà iscrivere a ruolo gli importi dovuti, notificando la cartella di pagamento, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quarto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione (art. 25, comma 1, D.P.R. n. 602/1973).

Nel secondo caso dovrà notificare, previa auspicabile attivazione del contraddittorio, un avviso di accertamento entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione (art. 43 D.P.R. n. 600/1973), con applicazioni di sanzioni pari al 30% dell’importo non versato (data l’espressa disposizione di legge in tal senso).

Tale orientamento è solo in parte rinvenibile nelle prime due circolari dell’Agenzia delle Entrate sopra richiamate. In entrambe, dopo avere specificato che ai fini del controllo, si applicano – nei confronti dei soggetti che sostengono le spese per gli interventi di efficientamento energetico – le attribuzioni e i poteri previsti dagli artt. 31 ss. D.P.R. n. 600/1973, si stabilisce che i termini entro cui procedere alla verifica della sussistenza dei presupposti che danno diritto alla detrazione siano quelli individuati dall’art. 43 D.P.R. n. 600/1973 (5 anni). Nella circ. n. 23/E/2022 si specifica che sia l’assenza dei requisiti richiesti dalle discipline agevolative in commento, che la mancata effettuazione degli interventi, determinano il recupero della detrazione indebitamente fruita, maggiorato degli interessi e delle sanzioni di cui all’art. 13 D.Lgs. n. 471/1997, pari al 30% dell’importo non versato.

Le indicazioni fornite dall’Agenzia hanno il pregio di uniformare il termine di decadenza e la sanzione comminabile sia in caso di fruizione diretta del beneficio che in caso di sconto in fattura o cessione del credito.

Esse, tuttavia, sembrano indicare la sola via dell’avviso di accertamento, dato il richiamo all’art. 43.

Così facendo sembrano escludere la procedura di cui all’art. 36-ter, laddove applicabile, privando il contribuente della tutela accordatagli di chiudere la vertenza con la riduzione della sanzione a 2/3 qualora effettui il pagamento entro 30 giorni dalla ricezione dell’avviso bonario.

In relazione alla tutela del contribuente, vi è da aggiungere che la scelta normativa di utilizzare l’“atto di recupero” preclude al contribuente l’utilizzo di strumenti difensivi, quale ad esempio la possibilità di addivenire ad un accertamento con adesione o di usufruire di altri istituti deflattivi del contenzioso.

Infine un tema delicato, sempre sotto quest’ultimo profilo, è quello della buona fede del committente, che faccia genuino affidamento sui certificati rilasciati dai professionisti incaricati di verificare la conformità dei lavori e la congruità delle spese e che scopra a posteriori che sono stati commessi degli errori che minano la spettanza del credito. La disciplina tecnica sottesa al Superbonus è estremamente complessa e delicata e non è affatto improbabile che i tecnici incaricati possano commettere errori.

Le norme tralasciano di garantire la tutela del committente che versi in buona fede, implicitamente addossandogli una responsabilità in relazione al rispetto di norme tecniche che nella maggior parte dei casi, esulano dalla sua competenza.

Ad oggi l’unica tutela consiste nel ritenere inapplicabili le sanzioni, per mancanza dell’elemento soggettivo, data l’obbligatorietà dei documenti a supporto, fermo restando che si potrà comunque richiedere il risarcimento del danno tramite un’azione legale nei confronti dei professionisti responsabili.

3. I fornitori che applicano lo sconto in fattura e i vari cessionari che si susseguono nel tempo, purchè versino in buona fede, non sono direttamente responsabili, perché, come si è visto, la legge addossa solo al committente la responsabilità, anche quando il credito viene scontato in fattura o ceduto a terzi.

Essi tuttavia hanno una loro propria responsabilità in relazione alla compensazione del credito acquistato, e possono quindi essere raggiunti da un atto di recupero per l’eventuale utilizzo del credito d’imposta in modo irregolare (ad esempio diluendolo in un un numero di rate inferiore a quello previsto dalla legge) o in misura maggiore rispetto a quello ricevuto (si veda il Provvedimento di attuazione del Direttore dell’Agenzia delle Entrate, 8 agosto 2020, punto 7). In tal caso il termine per la notifica è quello individuato dall’art. 27, comma 16, D.L. n. 185/2008, cioè il 31 dicembre dell’ottavo anno successivo a quello di utilizzo in compensazione del credito.

Al di fuori di questa specifica (e propria) responsabilità, essi, come si è detto, possono rispondere in solido con il committente beneficiario della detrazione, in ipotesi di carenza dei relativi presupposti costitutivi, quando sia provato il loro “concorso con dolo o colpa grave” alla fruizione del credito non spettante.

In tal caso possono essere raggiunti da atti di recupero negli stessi termini e alle stesse condizioni previste per il committente, analizzate sopra.

La locuzione “con dolo o colpa grave” è stata inserita tramite un emendamento con la legge di conversione del D.L. 9 agosto 2022, n. 115 (c.d. decreto Aiuti-bis) e viene applicata solo se il credito è accompagnato dai visti di conformità, asseverazioni e attestazioni previsti dall’art. 119 e dall’art. 121, comma 1-ter, D.L. n. 34/2020.

Il concorso si verifica quando sussistono i seguenti elementi: (i) una pluralità di soggetti agenti, (ii) la realizzazione di una fattispecie di reato, (iii) il contributo di ciascun concorrente alla realizzazione del reato, (iv) l’elemento soggettivo. Quest’ultimo, a seguito dell’intervento normativo avvenuto in sede di conversione del decreto Aiuti-bis e al rispetto delle condizioni in esso delineate, consiste nella piena consapevolezza con dolo o colpa grave, di contribuire con la propria partecipazione, alla realizzazione di un reato.

Le situazioni in cui si realizza la responsabilità solidale sono quindi circoscritte ad ipotesi gravi e presumibilmente abbastanza rare.

Resta tuttavia un alone di aleatorietà nel concetto di “colpa grave”, trattandosi di stabilire quale sia il livello di perizia e diligenza richiesto a coloro che acquistano i crediti, necessario per non integrare la fattispecie del concorso.

Ai sensi dell’art. 5, comma 3, D.Lgs. n. 472/1997, la colpa grave sussiste «quando l’imperizia e la negligenza sono indiscutibili e non è possibile dubitare ragionevolmente del significato e della portata della norma violata e, di conseguenza, risulta evidente la macroscopica inosservanza di elementari obblighi tributari».

Secondo il chiaro tenore letterale della norma, ad avviso di chi scrive, la colpa grave del fornitore o del cessionario si può generare solo nel caso questi non accertino la completezza e l’attendibilità della documentazione richiesta a corredo del credito (asseverazioni, attestazioni ecc.), dato che non è possibile richiedere agli stessi un accertamento di natura fattuale sui lavori effettuati e sulle specifiche tecniche che ad esse si accompagnano. Tali conoscenze infatti non si riferiscono agli obblighi tributari cui gli stessi sono tenuti, ma a requisiti tecnici in relazione ai quali sono le stesse asseverazioni, attestazioni ecc. che fungono da parametro di correttezza.

Sul punto si esprime condivisibilmente l’Agenzia delle Entrate nella circ. n. 33/E/2022 specificando che la “colpa grave” ricorre quando il cessionario abbia omesso “macroscopicamente” la diligenza richiesta, come ad esempio nel caso in cui l’acquisto dei crediti sia stato eseguito in assenza di documentazione richiesta a supporto degli stessi o in presenza di una palese contraddittorietà della documentazione prodotta dal cedente (quale potrebbe essere il caso di un’asseverazione che si riferisce ad un immobile diverso da quello oggetto degli interventi agevolati).

Fermo restando che, limitatamente ai soggetti onerati al rispetto della normativa antiriciclaggio, a seguito degli specifici obblighi introdotti dal comma 4 dell’art. 122-bis D.L. n. 34/2020, la fattispecie di concorso nella violazione si integra nei casi in cui ricorrano i presupposti per la segnalazione di operazioni sospette all’Unità di informazione finanziaria e ciononostante i soggetti obbligati alla disclosure procedano con l’acquisto del credito.

Nella circ. n. 33/E/2022 si specifica inoltre che gli indici elencati nella precedente circ. n. 23/E/2022, volti a valutare la sussistenza in capo agli acquirenti dei crediti della necessaria diligenza, sono finalizzati ad orientare l’attività dell’amministrazione finanziaria e rivestono carattere meramente esemplificativo. Trattandosi di indici che comportano in alcuni casi un’attività di indagine specifica sul campo da parte dei cessionari – come ad esempio valutare l’incoerenza patrimoniale e reddituale tra il valore dei lavori ed il profilo dei committenti beneficiari, la sproporzione tra il valore dell’unità immobiliare e quello dei crediti ceduti e la scarsa coerenza tra il profilo economico di chi propone la cessione ed il valore della cessione stessa – si chiarisce che assumeranno minore rilevanza in fase di verifica nel caso in cui i lavori siano stati effettivamente eseguiti per importi corrispondenti a quelli oggetto di comunicazione e cessione.

Queste ultime indicazioni da parte dell’Agenzia fanno propendere a ritenere che il ricorso ai predetti indici fattuali sarà utilizzato soltanto nei casi più gravi di vere e proprie frodi, e non in presenza di mere irregolarità, contribuendo a fugare i timori in capo ai cessionari ai quali è richiesta una «qualificata ed elevata diligenza professionale» (circ. n. 23/E/2022 cit.), quali  intermediari finanziari o altri soggetti sottoposti a normative regolamentari.

4. Vi è ancora da considerare la fattispecie di compensazione di crediti inesistenti, in relazione alla quale l’art. 27, comma 16, D.L. n. 185/2008 dispone la riscossione mediante atto di recupero che va notificato entro il 31 dicembre dell’ottavo anno successivo a quello del relativo utilizzo.

In presenza di siffatta violazione, l’art. 13, comma 5, D.Lgs. n. 471/1997 prevede la sanzione amministrativa dal 100% al 200% dell’importo indebitamente utilizzato, inibendo, al contempo, l’accesso al beneficio della definizione agevolata delle sanzioni. Inoltre, in ambito penale, la fattispecie di indebita compensazione, disciplinata dall’art. 10-quater D.Lgs. n. 74/2000, è punita in maniera più severa nel caso in cui si tratti di crediti inesistenti (da un anno e sei mesi a sei anni).

Ai sensi del citato art. 13, comma 5, per credito inesistente si intende il credito in relazione al quale manca, in tutto o in parte, il presupposto costitutivo e la cui inesistenza non sia riscontrabile mediante i controlli di cui agli artt. 36-bis e 36-ter D.P.R. n. 600/1973 e dell’art. 54-bis D.P.R. n. 633/1972.

La norma in esame circoscrive la fattispecie in esame ad una platea ristretta di casistiche, in quanto per poter contestare l’inesistenza di un credito non è sufficiente la mancanza di uno dei requisiti posti dalla norma per poterne beneficiare, ma occorre altresì che il vizio non sia anche solo astrattamente constatabile con taluna delle procedure di controllo automatizzate o formali.

Qualora invece ciò sia possibile, il credito sarà “non spettante”.

A livello giurisprudenziale fino a poco tempo fa tale distinzione non era riconosciuta (Cass. nn. 10112/2017, 19237/2017, 24093/2020, 354/2021).

Di recente però, nelle tre sentenze gemelle nn. 34443, 34444 e 34445 del 2021 la Cassazione ha rivisto il proprio precedente orientamento ed ha riconosciuto la differenza tra crediti non spettanti e crediti inesistenti, basandosi sul chiaro disposto normativo dell’art. 13, comma 5, D.Lgs. n. 471/1997. Ad avviso della Suprema Corte, qualora la non spettanza del credito d’imposta sia suscettibile di essere rilevata attraverso l’attività di controllo (ex artt. 36-bis o 36-ter, D.P.R. n. 600/1973), in conseguenza del confronto tra i dati esposti in dichiarazione e i documenti conservati ed esibiti dal contribuente, il credito è esistente ma “non spettante”; qualora viceversa il credito d’imposta sia effettivamente non reale, anche se indicato in dichiarazione, ma sorretto da documenti falsi o in caso di totale assenza di documenti che dimostrino l’esistenza, il credito si può considerare “inesistente”.

In relazione al Superbonus, nei casi in cui la violazione emerga da indagini sostanziali e non sia neanche solo astrattamente constatabile con taluna delle procedure di controllo automatizzate o formali (ad esempio, in caso di interventi mai realizzati o lavori sovrafatturati, generati da operazioni simulate o documenti falsi), vi potrebbe essere il rischio che tale disciplina venga presa in considerazione.

Un precedente a tale proposito è costituito dal credito d’imposta di ricerca e sviluppo, istituito dall’art. 3 D.L. n. 145/2013. Nella circ. n. 31/E/2020 viene chiarito che, qualora a seguito dei controlli finalizzati a verificare la sussistenza delle condizioni di accesso al beneficio e la conformità delle attività e dei costi di ricerca e sviluppo effettuati, sia accertato che le attività/spese sostenute non siano ammissibili al credito d’imposta ricerca e sviluppo, si configura un’ipotesi di utilizzo di un credito “inesistente” per carenza totale o parziale del presupposto costitutivo.

L’orientamento amministrativo è implicitamente confermato dal recente intervento normativo che ha introdotto una sanatoria per l’indebito utilizzo in compensazione del credito d’imposta per investimenti in attività di ricerca e sviluppo (art. 5 D.L. n. 146/2021). La norma prevede che ci si possa avvalere della sanatoria effettuando il riversamento dell’importo del credito indebitamente utilizzato, senza applicazione di sanzioni e interessi e che i crediti d’imposta riversabili sono quelli maturati a decorrere dal 2015 e fino al periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2019, quindi periodi d’imposta per i quali, solo assumendo che si tratti di crediti “inesistenti” non è ancora intervenuta la decadenza dell’attività accertativa.

Ad avviso di chi scrive, tuttavia, la fattispecie di compensazione di “crediti inesistenti” non dovrebbe trovare applicazione nel caso del Superbonus, dato che l’indebito utilizzo in compensazione è previsto solo se il credito viene esposto in modo irregolare o in misura maggiore rispetto a quello ricevuto. Il cessionario in buona fede, che utilizza il credito in compensazione, non risponde delle violazioni sostanziali perpetrate dal committente e non perde per tale motivo il diritto a compensare il credito. Solo in caso di concorso con dolo o colpa grave vi potrebbe essere responsabilità, ma in via solidale con il committente, agli stessi termini e con le stesse procedure previste per il recupero in capo a quest’ultimo.

Inoltre le norme, per quanto scarne, specificano che la sanzione applicabile sia del 30%, implicitamente escludendo l’applicazione di tale regime (al pari di quanto prevede l’art. 13, comma 4, D.Lgs. n. 471/1997).

Tuttavia l’unico modo per evitare che possano essere mosse contestazioni in tal senso dovrebbe esser un intervento normativo che chiarisca che, nello specifico caso del Superbonus, non si configura l’ipotesi di “compensazione di credito inesistente”.

5. Un ulteriore tema su cui occorre soffermarsi è quello relativo alle possibilità di ravvedimento nel caso in cui il credito venga ceduto o si opti per lo sconto in fattura e, in un momento successivo, ci si accorga che il credito d’imposta, sebbene venuto formalmente ad esistenza, risulti a posteriore non spettante (ad esempio in uno stato di avanzamento lavori o al termine degli stessi). Un cenno alla possibilità di utilizzare il ravvedimento operoso disciplinato dall’art. 13 D.Lgs. n. 472/1997 è stato dato nella circ. n. 23/E/2022 cit., senza tuttavia chiarire se di tale istituto si possa avvalere solo il committente o anche il fornitore o il cessionario. Alcuni chiarimenti sono stati dati con la circ. n. 33/E/2022 cit. a proposito degli errori formali e sostanziali commessi nella comunicazione di opzione inviata all’Agenzia delle Entrate per la cessione del credito o lo sconto in fattura: la circolare elenca diverse fattispecie di errori che i contribuenti possono aver commesso, chiarendo il comportamento da seguire per poterli sanare. Tuttavia, rimangono incertezze in merito al comportamento da seguire qualora ci si accorga dell’errore commesso successivamente all’utilizzo del credito in compensazione. Secondo una tradizionale impostazione dell’Agenzia, l’unica casistica esclusa dal ravvedimento si ha per i crediti inesistenti derivanti da condotte fraudolente. Tuttavia, anche tale impostazione è stata rivista con la circ. 12 maggio 2022, n. 11/E che ha trattato proprio il tema dell’applicabilità dell’istituto del ravvedimento operoso in presenza di violazioni derivanti da condotte fraudolente, ampliando l’ambito di applicazione dell’istituto e rendendo meno pacifici i casi di inapplicabilità dello stesso. Sarebbe opportuno che anche su questo tema intervenissero maggiori chiarimenti, quantomeno da parte dell’Agenzia delle Entrate.

6. Da quanto precedentemente esposto, traspare che il tema dei controlli e dei profili di responsabilità dei soggetti che usufruiscono del credito d’imposta del 110% è irto di incertezze, dovute da un lato alla lacunosità della disciplina che richiede integrazioni con la disciplina generale, dall’altro alle difficoltà interpretative in relazione a concetti quali “colpa grave” , “ordinaria diligenza”, credito “non spettante” o “inesistente”.

Sarebbe preferibile che il legislatore intervenisse al fine di eliminare il maggior numero di incertezze, evitando che, quantomeno sotto il profilo procedimentale, si alimenti oltremodo l’inevitabile contenzioso tributario.

In assenza di interventi, spetta agli operatori e ai consulenti un attento monitoraggio, affinché l’individuazione dei soggetti responsabili e l’applicazione delle modalità procedimentali rispettino il dato normativo.

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