“Inerzia consapevole” e “inerzia dimenticanza”: la legittimazione del fallito ad impugnare gli atti impositivi al vaglio (forse) delle Sezioni Unite

Di Giulia Rugolo -

Abstract

L’articolo analizza l’ordinanza n. 25373/2022 con la quale la Corte di Cassazione, dopo aver rilevato che sussiste un contrasto giurisprudenziale sulla questione della legittimazione, straordinaria e succedanea, del contribuente assoggettato a procedura concorsuale liquidatoria ad impugnare atti impositivi, attinenti a pretese concorsuali, in costanza di procedura fallimentare e in caso di inerzia del curatore, ha rimesso la causa al Primo Presidente affinché valuti la trasmissione degli atti alle Sezioni Unite della Cassazione. In particolare, la Corte ritiene di massima importanza stabilire: (i) se il presupposto della legittimazione straordinaria del contribuente insolvente è “l’inerzia consapevole” del curatore, intesa come omesso ricorso alla tutela giurisdizionale da parte degli organi della procedura, previa valutazione ponderata di convenienza) o “l’inerzia dimenticanza” (intesa come totale disinteresse all’azione e non anche come assenza del ricorso alla tutela giurisdizionale); (ii) quali sono gli effetti dell’adesione all’una o all’altra linea interpretativa sulla natura (relativa o assoluta) dell’eccezione di difetto di legittimazione e sulle difese del contribuente.

“Conscious inertia” and “forgetfulness inertia”: the legitimacy of the insolvent taxpayer to challenge the tax deeds under examination (perhaps) by the Supreme Court. – The article deals with the ordinance no. 25373/2022 of the Cassation Court. The Court previously assessed a jurisprudential conflict regarding the extraordinary and substitute legitimacy of the taxpayer, subjected to bankruptcy proceedings, to challenge tax deeds which are related to bankruptcy credits, in case of bankruptcy proceedings and trustee inertia; thus, the Court has referred the case to the First President to evaluate the possibility to submit the documents to the Cassation United Sections. The Court retains of great importance to establish: (i) if the prerequisite for the extraordinary legitimacy of the insolvent taxpayer is the “conscious inertia” of the trustee, (intended as the omitted recourse to judicial protection by the procedural bodies, after a weighted assessment convenience) or the “forgetfulness inertia” (intended as the total disinterest in action and not also as the absence of recourse to judicial protection); (ii) what are the effects of adhering to one or the other interpretation on the nature (relative or absolute) of the legitimacy lack exception and on the taxpayer defenses.

Sommario: 1. Il caso e la rimessione alle Sezioni Unite. – 2. In generale: la legittimazione processuale del fallito. – 3. (Segue). e, in particolare, ad impugnare gli atti impositivi. – 4. La portata dell’inerzia degli organi della procedura quale presupposto legittimante il fallito ad impugnare gli atti impositivi: le tesi giurisprudenziali e le conseguenze applicative. – 5. Considerazioni sull’ordinanza di rimessione alle Sezioni Unite.

 

 

1. Dopo aver ricevuto due avvisi di accertamento relativi ai periodi di imposta 2002 e 2004, con i quali venivano disconosciuti costi non documentati e recuperata IVA, un imprenditore adiva la Commissione tributaria provinciale, contestando la legittimità di detti avvisi. Il ricorrente, legale rappresentante di una società dichiarata fallita, faceva valere la sua legittimazione straordinaria ad impugnare, incardinando una lite tributaria innanzi al giudice speciale, stante il disinteresse dimostrato dal curatore fallimentare.

La Commissione tributaria provinciale dichiarava inammissibile il ricorso, ritenendo il ricorrente privo di legittimazione. La decisione veniva confermata in appello dalla Commissione tributaria regionale, la quale precisava, da un lato, che la curatela non si era disinteressata di impugnare l’atto impositivo, ma aveva espressamente rinunciato all’azione; dall’altro, che, all’atto della proposizione del ricorso, il ricorrente – tornato in bonis nelle more del giudizio tributario di primo grado – era privo di legittimazione ad agire.

Il contribuente adiva così la Corte di Cassazione deducendo la nullità della sentenza impugnata sotto più profili. In particolare, il ricorrente osservava: (i) che l’atto impositivo riguardava pretese concorsuali insorte prima della dichiarazione di fallimento, per cui lo stesso avrebbe dovuto ritenersi (quale soggetto passivo del rapporto di imposta) legittimato ad agire in costanza di fallimento, considerato che tale rapporto non viene meno a seguito della dichiarazione di fallimento; (ii) che l’inerzia del curatore ad impugnare gli atti impositivi relativi a crediti concorsuali rileverebbe, ai fini della insorgenza della legittimazione straordinaria del soggetto dichiarato fallito, per il solo fatto che il curatore ometta tout court di adire la tutela giurisdizionale (anche perché il difetto di legittimazione passiva non può essere rilevato di ufficio, in assenza di eccezione del curatore).

Con l’ordinanza qui annotata, la Corte di Cassazione, dopo aver rilevato che sussiste un contrasto giurisprudenziale sulla questione della legittimazione, straordinaria e succedanea, del contribuente assoggettato a procedura concorsuale liquidatoria, ad impugnare atti impositivi – attinenti a pretese concorsuali – in costanza di procedura fallimentare e in caso di inerzia del curatore, ha trasmesso gli atti al Primo Presidente, affinché valuti l’eventuale rimessione della causa alle Sezioni Unite. Per la Corte di Cassazione, trattasi di una questione di massima importanza in quanto sul punto si sono formati due orientamenti contrastanti.

In particolare, in via di prima approssimazione, giova rammentare che per una tesi (v., infra, sub par. 4) il debitore, dichiarato fallito, sarebbe legittimato, in via straordinaria, a impugnare gli atti impositivi solo in caso di inerzia, ricorrente in assenza di una valutazione negativa – da parte degli organi giudiziali – circa l’opportunità della causa e, quindi, a seguito di un vero e proprio disinteresse. Invece, per un’altra tesi – sostenuta anche dalla sentenza qui annotata e, per le ragioni infra meglio illustrate, da preferire (v., infra, sub par. 4) – il contribuente, in caso di fallimento, sarebbe legittimato in via straordinaria a impugnare gli atti impositivi in caso di inerzia, intesa come mancata attivazione dell’azione giudiziaria, da parte del curatore.

2. Come detto, la vicenda da cui è scaturito il giudizio sul quale si è pronunciata l’ordinanza che si annota ha ad oggetto una fattispecie (piuttosto ricorrente) in cui, in pendenza di una procedura fallimentare, l’imprenditore impugna un atto impositivo.

Per tentare un inquadramento generale della questione, è opportuno ricordare brevemente che la dichiarazione di fallimento comporta, ai sensi dell’art. 43 l. fall. (e dell’art. 143 c.c.i.), la perdita della legittimazione processuale e sostanziale del suo titolare, che non può più compiere atti in tutti quei processi relativi a rapporti di diritto patrimoniale compresi nel fallimento. Nella posizione dell’imprenditore subentra il curatore, il quale sta in giudizio nelle controversie già incardinate dal fallito e/o può iniziare egli stesso una nuova controversia.

Tale norma fotografa sul piano processuale ciò che l’art. 42 l. fall. (e l’art. 142 c.c.i.) sancisce sul piano sostanziale: id est, la perdita da parte del fallito «dell’amministrazione e della disponibilità dei suoi beni esistenti alla data di dichiarazione del fallimento». E ciò analogamente a quanto dispone l’art. 721 c.p.c., il quale, riconoscendo in generale la capacità di stare in giudizio, rispecchia, sul piano processuale la disposizione (l’art. 2 c.c.), che attribuisce la capacità di agire al soggetto al ricorrere di determinati requisiti, assenti per contro nell’ipotesi di cui all’art. 42 l. fall. (e l’art. 142 c.c.i.). Al contempo, l’art. 42 l. fall., come anche l’art. 43 l. fall., non ha carattere sanzionatorio, ma, presupponendo l’inefficienza del fallito ad amministrare e disporre dei suoi beni, mira ad assicurare il concorso formale tra i creditori e la migliore soddisfazione delle loro ragioni.

La perdita della legittimazione processuale del fallito – che, però, non si traduce in una sopravvenuta incapacità (Mauro M., Controversie tributarie e posizione processuale del fallito nell’ordinamento italiano, in Revista de Estudios Jurídicos, 2012, 12, 3) – comporta altresì, ai sensi dell’art. 43, comma 3, l. fall., l’automatica interruzione del processo pendente, riassumibile dal curatore nel termine di tre mesi (per contro, in mancanza di una tale disposizione, il curatore non avrebbe la possibilità di costituirsi in giudizio). Il termine dei tre mesi decorre – al fine di consentire il diritto di difesa delle parti – dal giorno in cui la parte interessata alla riassunzione (o alla prosecuzione) del processo sia venuta a conoscenza dell’evento interruttivo per il tramite di una dichiarazione, notificazione o certificazione rappresentativa dell’evento che determina l’interruzione del processo (alias, del fallimento dell’imprenditore), assistita da fede privilegiata (e non già, da quello in cui si è verificato l’evento e, quindi, la dichiarazione di fallimento; cfr. in argomento, Cipolla G.M., Efficacia vincolante del giudicato tributario nella procedura fallimentare, in Giur. comm., 2019, 1, 62 ss.; Farina P., Procedimento monitorio, fallimento del creditore ed interruzione del processo [nota a Trib. Pordenone, 5 giugno 2017], in Fallimento, 2018, 1, 90 ss.).

Al riguardo, l’art. 143 c.c.i. statuisce che «il termine per la riassunzione del processo interrotto decorre da quando l’interruzione viene dichiarata dal giudice». La ratio della norma – come precisa la Relazione di accompagnamento al codice della crisi di impresa – nel tutelare il diritto di difesa della curatela e della parte non colpita dall’evento interruttivo, senza provocare rallentamenti nella procedura concorsuale, né incertezze dovute all’individuazione del momento da cui decorre il termine per la riassunzione.

3. Come anticipato, in costanza di una procedura concorsuale liquidatoria – stante il trasferimento al curatore della legittimazione processuale dell’imprenditore dichiarato fallito (art. 43 l. fall.; e art. 143 c.c.i.) –, il debitore è privo, in linea generale, della capacità di stare in giudizio nelle controversie concernenti i rapporti patrimoniali compresi nel fallimento.

La perdita della legittimazione processuale del fallito però è relativa e non assoluta (così, fra gli altri, Giorgetti R., Natura relativa della perdita della capacità processuale del fallito [nota a Cass., 5 marzo 2003, n. 3245], in Fallimento, 2003, 10, 1083 ss.; Mauro M., Controversie tributarie, cit., 5; e, di recente, Id., La legittimazione attiva a stare in giudizio nelle liti di rimborso Iva in pendenza della liquidazione giudiziale [già fallimento], in questa Rivista, 2020, 1, 229). Il contribuente dichiarato fallito mantiene, infatti, la legittimazione processuale allorquando: (i) la definizione delle questioni oggetto del giudizio può influire sull’esito di un’impugnazione di carattere personale a suo carico o l’intervento è previsto dalla legge (art. 43, comma 2, l. fall.; art. 143 c.c.i.); (ii) egli agisce per la tutela di diritti di natura strettamente personale ex art. 46 l. fall. (es. giudizi di separazione tra coniugi; di scioglimento e di cessazione degli effetti civili del matrimonio; art. 146 c.c.i.); (iii) la controversia – seppur priva del carattere personale – ha ad oggetto diritti e beni non facenti parte dell’attivo fallimentare; (iv) si tratta del giudizio di opposizione alla sentenza dichiarativa di fallimento.

In particolare, per quanto qui interessa, il contribuente dichiarato fallito mantiene la legittimazione straordinaria ad impugnare gli atti impositivi nel caso in cui gli organi della procedura concorsuale siano rimasti inerti dinanzi alla loro notifica (indirizzata direttamente sulla pec della procedura fallimentare). In concreto, ciò può avvenire in quanto, di regola, il curatore, ricevuta la notificazione di un atto impositivo e/o di riscossione, lo trasmette per conoscenza all’imprenditore fallito.

Questo principio – quello, cioè, secondo cui, in caso di inerzia degli organi della procedura concorsuale, il debitore è legittimato a impugnare provvedimenti che impingono nei rapporti patrimoniali che facevano capo al debitore stesso e che incrementano il passivo concorsuale – si spiega:

(i)   da un lato, in ragione del fatto che, nonostante l’intervenuta dichiarazione di fallimento, il contribuente conserva la natura di soggetto passivo d’imposta. Sicché egli subisce le conseguenze – anche sanzionatorie (quali, ad esempio, la possibile ammissione delle sanzioni su tributi e imposte al passivo, se del caso, anche al rango privilegiato) – della definitività di un eventuale provvedimento, per cui non può che essergli consentito di esercitare direttamente la tutela in caso di inerzia del curatore, a pena di vanificare il diritto di difesa sancito dall’art. 24 cost. (Mauro M., Controversie tributarie, cit., 5; Id., La legittimazione attiva, cit., 229);

(ii)  dall’altro, sul piano (della tutela) dell’interesse del fallito – differente rispetto a quello degli organi della procedura – ad impugnare tali atti impositivi (v. Cipolla G.M., Efficacia vincolante del giudicato tributario nella procedura fallimentare, cit., 62). Invero, mentre il curatore ha interesse ad opporsi in sede giurisdizionale a una pretesa solo ove l’instaurando giudizio possa astrattamente incidere sulla ripartizione dell’attivo tra i creditori concorsuali (al netto dei costi prededucibili da sostenersi sia per l’instaurazione sia quale effetto accessorio del contenzioso stesso); il contribuente fallito ha l’interesse che gli deriva dai riflessi, negativi e positivi, che potrebbero discendere dall’ammissione e/o dall’esclusione del credito tributario dal passivo fallimentare (v. Basilavecchia M., Ribadita la legittimazione attiva della società fallita, in Corr. trib., 2008, 1, 53 ss.). In specie, l’interesse del contribuente sta: (a) da un lato, nell’evitare che l’ammissione del credito tributario al passivo fallimentare – ove il maggior credito venisse valorizzato dal curatore nella relazione al giudice delegato (art. 33 l. fall.; art. 130 c.c.i.) – si tramuti in una imputazione penalmente rilevante; fermo restando che il giudice penale non è vincolato alle risultanze emerse in sede concorsuale, con la conseguenza che potrebbe non ravvisare, nella fattispecie concreta, gli elementi costitutivi del reato tributario; (b) dall’altro lato, nel beneficiare dell’esdebitazione (potendo, a determinate condizioni, essere liberato dei debiti residui non soddisfatti), anche ai fini IVA (così, Cass. civ., 6 giugno 2022, n. 18124), o degli effetti riflessi del giudicato formatosi tra il creditore erariale e il contribuente (Cass. civ., 23 maggio 2018, n. 12854), che si produrrebbero in favore della massa fallimentare in caso di esito vittorioso dell’impugnazione dell’atto impositivo. Invero, nel caso di esito favorevole dell’azione promossa dal fallito, il curatore può eccepire il relativo giudicato, limitando in tal modo la pretesa del concessionario, insinuatosi al passivo per il recupero dell’intero credito tributario contestato, che dovrà essere ammesso al passivo nei limiti della minor somma acclarata in via definitiva in sede contenziosa (così, ad esempio, Cass. civ, 23 maggio 2018, n. 12854, in Giur. comm., 2019, 56 ss., con nota di Cipolla G.M., cit., 60).

4. Nel contesto sopra delineato, come in parte già illustrato, la giurisprudenza discute circa la portata dell’inerzia degli organi della procedura fallimentare, quale presupposto che legittima – in via straordinaria o suppletiva (per la qualificazione della legittimazione processuale del fallito nei termini di legittimazione “di tipo suppletivo”, v. Cass. civ., 18 febbraio 1999, n. 1359; Cass. civ., 24 dicembre 2009, n. 27346; Cass. civ., 3 aprile 2003, n. 5202, in Fallimento, 2004, 6, 639 ss., con nota di Capocchi A., Capacità processuale del fallito e contenzioso tributario; Cass. civ., 17 giugno 2010, n. 14624; Cass. civ., 14 maggio 2012, n. 7448; Cass. civ., 11 ottobre 2012, n. 17367) – il fallito ad impugnare gli atti impositivi.

Questo dibattito giurisprudenziale muove dal presupposto che l’atto impositivo sia stato notificato al fallito e all’organo della procedura (per un quadro sui casi problematici in cui ad uno dei due soggetti è notificato un atto d’imposizione ed all’altro un atto della riscossione, cfr. Mauro M., Controversie tributarie, cit., 6 ss.) in quanto, in mancanza, il fallito non sarebbe posto in condizione, qualora l’organo fallimentare restasse inerte, di esercitare il proprio diritto alla tutela giurisdizionale (fra le altre, Cass., 9 febbraio 2010, n. 2803; in dottrina, Mauro M., Controversie tributarie, cit., 4). È proprio per l’efficacia della pretesa tributaria rivolta alla curatela a spiegare effetti anche nei confronti del contribuente fallito che la giurisprudenza sostiene pacificatamente la necessità di notificare anche al fallito, e non solo al curatore, l’atto impositivo. Tant’è che nella prassi il curatore, ricevute sulla pec del fallimento, gli atti impositivi procede a trasmetterli per PEC al fallito.

Ciò posto, sulla portata della “inerzia” del curatore, si sono sviluppati due diversi orientamenti giurisprudenziali.

(i) Secondo un primo – più risalente e consolidato – orientamento, la portata dell’inerzia legittimante l’impugnazione del fallito sta nella mancata impugnazione da parte del curatore degli atti impositivi. Da questa tesi – come ricorda l’ordinanza della Corte di Cassazione che si annota – discendono diversi corollari.

Il primo è che, essendo le limitazioni all’attività processuale del fallito funzionali a realizzare l’interesse dei creditori concorsuali (eterogeneo rispetto a quello del fallito), l’eventuale difetto di legittimazione del debitore non può essere rilevato d’ufficio dal giudice tributario (Cass. civ., 11 maggio 2017, n. 11618) né essere eccepito dall’Amministrazione finanziaria, ma può essere sollevato solo dal curatore. Questi, costituendosi in giudizio in rappresentanza del fallimento, potrà lamentare di non essere rimasto inerte e, dunque, di aver proposto l’impugnazione dinnanzi l’autorità giudiziaria (Cass. civ., 30 settembre 2021, n. 26506), oppure di essere intervenuto nel giudizio originariamente promosso dal contribuente (Cass. civ., 16 aprile 2007, n. 8990).

Ne deriva che non è configurabile un’ipotesi di litisconsorzio necessario tra il fallito e il curatore, non esistendo due (differenti) soggetti coinvolti inscindibilmente nella lite instaurata o instauranda: giacché, come detto, il fallimento non priva l’imprenditore della sua qualità di soggetto passivo del rapporto tributario, con la conseguenza di escludere la compresenza di un altro soggetto passivo, in tesi individuabile nel fallimento (sul punto, cfr., anche per tutti i riferimenti, pure alla tesi del fallimento come persona giuridica volta alla conservazione e liquidazione concorsuale del patrimonio del fallito ed alla ripartizione del ricavato tra i creditori, Mauro M., La legittimazione attiva, cit., 229).

Il secondo corollario sta nel fatto che il fallito – quando agisce in giudizio proseguendo una lite tributaria già da lui incardinata alla data della declaratoria di fallimento o iniziando una controversia mediante l’impugnazione dell’accertamento tributario formato in epoca successiva alla dichiarazione di fallimento ed i cui presupposti si siano verificati prima della dichiarazione stessa o, al più, nel periodo d’imposta in cui tale dichiarazione sia intervenuta – non ha l’onere di dimostrare in giudizio il proprio interesse ad agire, dato che – come detto – il relativo difetto di legittimazione non può essere eccepito da controparte né rilevato d’ufficio dal giudice. Tale onere, per contro, sussiste ove in giudizio intervenga il curatore, posto che l’inerzia rileva per il semplice fatto che il curatore non abbia fatto ricorso tout court alla tutela giurisdizionale.

Il terzo corollario – che rappresenta l’eccezione della tesi in esame – riguarda il caso in cui l’inerzia del curatore si manifesti dopo l’originaria proposizione, da parte del medesimo curatore, di un giudizio tributario, non più proseguito dagli organi della procedura. In questo caso – in quello, cioè, di mancata prosecuzione del giudizio o di omessa impugnazione della sentenza che lo conclude – il contribuente dichiarato fallito è privo (in assoluto) della legittimazione straordinaria a proseguire il giudizio (sicché il difetto di legittimazione può essere rilevato d’ufficio dal giudice: Cass. civ., 4 dicembre 2018, n. 31313): in questa ipotesi, manca, infatti, l’inerzia del curatore, giacché l’inazione giudiziaria consegue a una specifica valutazione degli organi della procedura, volta a rinunciare al proseguimento del giudizio, eventualmente prestando acquiescenza alla pronuncia che ha concluso (negativamente) il giudizio introdotto dalla curatela.

(ii) Il secondo – più recente – orientamento giurisprudenziale ravvisa l’inerzia legittimante l’azione del contribuente esclusivamente nell’ipotesi in cui il curatore abbia omesso di esprimere una esplicita valutazione negativa sull’inutilità dell’azione giudiziaria per la massa dei creditori e, dunque, si sia totalmente disinteressato dall’iniziare o proseguire l’azione; conseguentemente – prosegue questo orientamento – l’inerzia non sussiste quando essa si correli ad una valutazione di convenienza negativa per la massa dei creditori della controversia instaurata o instauranda (così, da ultimo, Cass. civ., 26 novembre 2021, n. 36894; Cass. civ., 16 novembre 2021, n. 34529; Cass. civ., 19 ottobre 2021, n. 28973; Cass. civ., 20 maggio 2021, n. 13800; Cass. civ., 15 aprile 2021, n. 9953; Cass. civ., 18 febbraio 2020, n. 4105).

In sostanza, secondo tale tesi, spetta in via esclusiva alla curatela fallimentare, valutare l’opportunità di un’azione giudiziaria rispetto alla possibilità per la stessa di conseguire effetti vantaggiosi per la massa dei creditori; sicché, ove vi sia stata una presa di posizione negativa rispetto a siffatta opportunità, il fallito non può invocare la propria eccezionale legittimazione processuale correlata all’inerzia della curatela, da identificarsi – come avviene ai fini della proposizione dell’azione surrogatoria – con il totale disinteresse della stessa (Giordano R., Disorientamenti della S.C. sulla legittimazione del fallito ad impugnare gli atti impositivi [nota a Cass. civ., 3 aprile 2018, n. 8132], in ilfallimentarista.it, 15 maggio 2018).

Questa più recente posizione della giurisprudenza non sembra condivisa dalla Corte di Cassazione nell’ordinanza in esame, la quale, dopo aver precisato che la presenza di un più recente orientamento giurisprudenziale sulla portata dell’inerzia del curatore giustifica l’ordinanza di rimessione della questione alle Sezioni Unite, ha ritenuto opportuno soffermarsi sulle conseguenze applicative – ritenute foriere di criticità applicative – che da esso discendono.

La prima conseguenza è che si nega la legittimazione straordinaria del fallito ogni qual volta l’inerzia – ossia, l’omessa proposizione dell’azione di impugnazione dell’atto impositivo da parte del curatore – sia frutto di una valutazione ponderata degli organi della procedura concorsuale (e non di una mera dimenticanza). Ne deriva, per un verso, che la predetta valutazione va compiuta caso per caso; e, per altro verso, che il fallito ha l’onere di provare ex ante la propria legittimazione processuale (che quindi non si presume più), anche quando il curatore non è parte del giudizio e non ha tout court promosso alcun contenzioso.

Da un punto di vista processuale – e qui la seconda conseguenza – l’eccezione di difetto di legittimazione attiva del contribuente non è più formulabile dal solo curatore del fallimento, ma può essere rilevata di ufficio dal giudice: essa assume quindi una portata assoluta e non relativa.

La terza conseguenza – nota criticamente la Corte di Cassazione – è la negazione in fatto della legittimazione processuale straordinaria del contribuente debitore in caso di fallimento, in quanto alla base della scelta consapevole di non impugnare l’atto impositivo vi è pur sempre una valutazione ponderata del curatore. Invero, il curatore, che ritenga di non promuovere una iniziativa giudiziaria, non procede, di regola, a farsi autorizzare a “non agire” dagli organi della procedura, ma si limita a sottoporre al visto del giudice delegato il proprio operato: sicché, non rimane propriamente inerte, ma valuta (pur sempre) se proporre o meno l’azione giudiziaria.

In pratica – e qui la quarta conseguenza – l’operatività del principio della pura inerzia legittimante il debitore fallito ad agire in giudizio si invererebbe nel solo caso in cui il curatore non si fosse “accorto” della pendenza del termine per impugnare l’atto impositivo. Ciò però vorrebbe dire subordinare la tutela del contribuente al comportamento (più o meno virtuoso) del curatore (e dunque al caso): infatti, la legittimazione processuale straordinaria del fallito verrebbe in fatto negata e, viceversa, riconosciuta, in presenza, rispettivamente, di un curatore “attento” o “disattento” ai contenziosi pendenti e/o instaurandi. Senza considerare il fatto che l’interesse perseguito dal curatore, ossia la tutela della massa dei creditori, è diverso da quello che induce il fallito – che, nel corso della procedura, resta soggetto passivo d’imposta – a contestare gli atti tributari.

5. La posizione fatta propria – seppur quasi sotto forma di obiter dictum – dall’ordinanza in commento è condivisibile e preferibile rispetto a quella suffragata dall’orientamento giurisprudenziale contrario, che, come detto, ravvede l’inerzia legittimante il fallito ad agire nel totale disinteresse del curatore e finisce in fatto per negare la legittimazione processuale del contribuente – che però mantiene, in pendenza della procedura fallimentare, la natura di soggetto passivo d’imposta – in tutti i casi in cui il curatore fallimentare eserciti “a regola d’arte” il compito del suo ufficio. Infatti, la tesi dell’inerzia del curatore consistente nel mero omesso esercizio, da parte del medesimo, del diritto alla tutela giurisdizionale avverso l’atto impositivo, appare più garantista per il fallito e conforme al principio di rilevanza convenzionale e costituzionale del diritto di effettività di azione in giudizio ex art. 24 Cost. e art. 6 CEDU. Anche se – non va tralasciato – nella pratica sono davvero rari i casi – come quello oggetto del provvedimento annotato – in cui un imprenditore, dichiarato fallito, dopo aver impugnato l’atto impositivo in pendenza della procedura concorsuale – torni in bonis.

La pronuncia in commento schiude tuttavia una serie di dubbi interpretativi in quanto tace su alcuni profili che viceversa avrebbero meritato un particolare indugio. In particolare, la Corte non chiarisce, in punto di fatto, se l’atto impositivo era stato notificato all’imprenditore dichiarato fallito o alla curatela fallimentare; né, in punto di diritto, come ed entro quando va accertata la sussistenza dell’inerzia che giustifica la legittimazione suppletiva del fallito. E ciò nel senso che – a prescindere dall’adesione alla tesi che ravvede l’inerzia nell’inazione del curatore in giudizio (ossia, nella mancata proposizione della domanda o impugnazione di sentenze che abbiano determinato la soccombenza del fallito) o nel totale disinteresse alla vicenda processuale – resta il problema della tutela da accordare al contribuente fallito in concreto. Infatti, considerando che il curatore potrebbe decidere di impugnare l’atto allo scadere del sessantesimo giorno, si determinerebbe una situazione in cui il contribuente sarebbe esposto sino all’ultimo giorno utile per proporre l’azione in una situazione di incertezza circa le intenzioni processuali del curatore, con la conseguenza che in fatto – ove dovesse attendere sino all’ultimo giorno per accertare la sussistenza dell’inerzia della curatela – non avrebbe in concreto più la possibilità di impugnare l’atto.

Sarebbe pertanto auspicabile che le Sezioni unite si pronunciassero – anche se non è un quesito espressamente oggetto dell’ordinanza in esame – sul punto. Anche perché neppure il codice della crisi di impresa risolve il problema, confermando l’assetto della legge fallimentare e, dunque, non riservando un ruolo più incisivo al debitore, destinato comunque a perdere l’amministrazione dei beni al momento della declaratoria d’insolvenza e, conseguentemente, la capacità processuale di stare in giudizio, che pertanto si trasferisce in capo al curatore (artt. 142 e 143 c.c.i.).

 

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

Basilavecchia M., Ribadita la legittimazione attiva della società fallita, in Corr. trib., 2008, 1, 53 ss.

Capocchi A., Capacità processuale del fallito e contenzioso tributario, nota a Cass. civ., 3 aprile 2003, n. 5202, in Fallimento, 2004, 6, 639 ss.

Cipolla G.M., Efficacia vincolante del giudicato tributario nella procedura fallimentare, in Giur. comm., 2019, 1, 62 ss.

Farina P., Procedimento monitorio, fallimento del creditore ed interruzione del processo (nota a Trib Pordenone, 5 giugno 2017), in Fallimento, 2018, 1, 90 ss.

Giordano R., Disorientamenti della S.C. sulla legittimazione del fallito ad impugnare gli atti impositivi (nota a Cass. civ., 3 aprile 2018, n. 8132), in ilfallimentarista.it, 15 maggio 2018

Giorgetti R., Natura relativa della perdita della capacità processuale del fallito (nota a Cass., 5 marzo 2003, n. 3245), in Fallimento, 2003, 10, 1083 ss.

Ferri C., Il fallito nella nuova disciplina della verifica dei crediti: esclusione di poteri processuali di proporre domanda ed eccezioni, difetto di legittimazione all’impugnazione del decreto di esecutività dello stato passivo (nota a Cass., 13 settembre 2006, n. 19653), in Fallimento, 2007, 287

Mauro M., Controversie tributarie e posizione processuale del fallito nell’ordinamento italiano, in Revista de Estudios Jurídicos, 2012, 12, 1 ss.

Mauro M., La legittimazione attiva a stare in giudizio nelle liti di rimborso Iva in pendenza della liquidazione giudiziale (già fallimento), in Riv. tel. dir. trib., 2020, 1, 227 ss.

Scarica il commento in formato pdf

Tag:, , , , , , , , , , ,