EDITORIALE – Acta est fabula: la CGUE giudica manifestamente irricevibile la questione pregiudiziale dell’art. 20 T.U. dell’imposta di registro, così come prospettata
Di Valeria Mastroiacovo
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I. La CGUE, con l’ordinanza della IX sezione del 21 dicembre 2022, ha dichiarato «manifestamente irricevibile»[1] la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla Corte Suprema di Cassazione (C-250/2022, introdotta con ordinanza 31 marzo 2022, n. 10283), sull’interpretazione dell’art. 5, par. 8[2], della Sesta direttiva 77/388/CEE del Consiglio, del 17 maggio 1977 (in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari) e dell’art. 19[3] della Direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006 (relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto), in riferimento all’art. 20[4] D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 (TUR).Pur essendo già trascorso un mese dal deposito, la decisione è apparsa sul sito della CGUE solo questo fine settimana – a quanto risulta, nel silenzio della stampa specializzata – cosicché non vi è stato modo di darne conto in una recente pubblicazione[5]; da qui l’esigenza delle sintetiche considerazioni che seguono.
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II. Come si ricorderà (si rinvia all’editoriale in questa Rivista del 5 aprile 2022), avuto riguardo ad una fattispecie riconducibile alla cosiddetta cessione spezzatino dell’azienda[6], la Cassazione (a seguito, nel merito, di una doppia conforme a favore dell’Agenzia dell’Entrate, preso atto dell’intervenuta riformulazione del citato art. 20 TUR) aveva posto la seguente domanda pregiudiziale: «[s]e gli articoli 5, numero 8, della [sesta direttiva] e 19 della direttiva [IVA] ostino ad una disposizione nazionale come l’articolo 20 del decreto del presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131, modificato dall’articolo 1, comma 87, lettera a), numeri 1) e 2), della legge 27 dicembre 2017, n. 205 e dall’articolo 1, comma 1084, della legge 30 dicembre 2018, n. 145, che impone all’Amministrazione finanziaria di qualificare l’operazione intercorsa tra le parti esclusivamente sulla base degli elementi testuali contenuti nelcontratto con divieto del ricorso ad elementi extratestuali (ancorché essi siano oggettivamente esistenti e provati), derivandone la preclusione assoluta per l’Amministrazione finanziaria di provare che la prestazione economica, integrante una cessione d’azienda, in sé indissociabile, è stata in realtà artificialmente scomposta in una pluralità di prestazioni – le plurime cessioni dei beni –, con il conseguente riconoscimento della detrazione IVA in assenza dei requisiti previsti dal diritto dell’Unione (…)».
Una domanda pregiudiziale che, a fronte del percorso motivazionale illustrato dal giudice del rinvio, la CGUE sintetizza: «in sostanza, se l’articolo 5, paragrafo 8, della sesta direttiva e l’articolo 19 della direttiva IVA ostino a una normativa nazionale, come l’articolo 20 del TUR, che esclude la possibilità di prendere in considerazione elementi di contesto esterni al contratto per qualificare un’operazione ai fini del suo assoggettamento all’imposta di registro».
Così intesa la questione, è evidente che la Corte non poteva che limitarsi a una risposta in rito, come del resto la dottrina unanime aveva presagito[7]. Qualsiasi valutazione di profili di merito, infatti, avrebbe necessariamente comportato una palese invasione del campo di applicazione dei tributi non armonizzati.
La Corte coglie il punto: «il giudice del rinvio si interroga sulla compatibilità con tali disposizioni [di diritto dell’Unione], come interpretate dalla Corte, della normativa nazionale in materia di imposta di registro, la quale non costituisce un tributo armonizzato all’interno dell’Unione europea».
Pertanto l’ordinanza supera nettamente ed elegantemente la vicenda ricordando che «[s]econdo una giurisprudenza costante della Corte, il procedimento ex articolo 267 TFUE è uno strumento di cooperazione tra la Corte e i giudici nazionali, per mezzo del quale la prima fornisce ai secondi gli elementi d’interpretazione del diritto dell’Unione loro necessari per risolvere la controversia che essi sono chiamati a dirimere (sentenza del 26 marzo 2020, Miasto Łowicz e Prokurator Generalny, C-558/18 e C-563/18, EU:C:2020:234, punto 44 e giurisprudenza ivi citata)». Nella specie, pertanto, la Cassazione non avrebbe reso sufficientemente palesi le ragioni della necessità tali elementi e in particolare il collegamento che il diritto dell’Unione stabilirebbe tra le disposizioni di cui si invoca l’interpretazione e la normativa nazionale applicabile alla controversia oggetto del giudizio principale.
In altri termini, il giudice del rinvio non avrebbe esposto in modo sufficiente sotto quale profilo l’interpretazione dell’art. 5, par. 8, della Sesta direttiva e dell’art. 19 della Direttiva IVA sia rilevante ai fini dell’applicazione dell’art. 20 TUR, cosicché non sarebbe possibile per la Corte valutare la rilevanza della questione pregiudiziale e stabilire in quale misura una eventuale risposta sia necessaria per consentire a tale giudice di decidere. Una pronuncia unicamente in rito, nella quale la CGUE si è limitata a constatare che «[n]el caso di specie, l’ordinanza di rinvio, manifestamente non soddisfa il requisito posto dall’articolo 94[8], lettera c), del regolamento di procedura» ovverosia il requisito dell’illustrazione dei motivi che hanno indotto il giudice del rinvio a interrogarsi sull’interpretazione o sulla validità di determinate disposizioni del diritto dell’Unione, nonché il collegamento che esso stabilisce tra dette disposizioni e la normativa nazionale applicabile alla causa principale.
Una tipologia di pronuncia che – come ricordato nella stessa ordinanza – certamente non consuma il diritto del giudice del rinvio di presentare una nuova domanda di pronuncia pregiudiziale fornendo tutti gli elementi che le consentano di pronunciarsi (v., in tal senso, sentenza dell’11 settembre 2019, Călin, C‑676/17, EU:C:2019:700, punto 41 e giurisprudenza ivi citata).
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III. E tuttavia, se dalla radicalità della motivazione dell’ordinanza può cogliersi un profilo indirettamente rilevante anche ai fini di un’eventuale considerazione nel merito, esso sembra risiedere proprio nella difficoltà manifestata dalla CGUE a comprendere il presupposto interpretativo da cui il giudice del rinvio ha prospettato la questione.
Se dal “non detto” non possiamo trarre conclusioni nel merito, certo è che l’ordinanza di rinvio era chiara e diffusa nell’esposizione della tesi di fondo e l’ordinanza della CGUE è altrettanto piana nell’affermare che non si rinvengono le ragioni per cui la disciplina dell’art. 20 TUR refluirebbe agli effetti dell’applicazione dell’IVA (i.e. l’individuazione della fattispecie della cessione di azienda resta regolata dalla disciplina dell’IVA).
Non si può attribuire alla CGUE più di quanto ha detto, ma sicuramente dalla motivazione, ancorché in rito, emerge la difficoltà ad immediatamente cogliere (condividere?) l’assunto da cui aveva mosso la Corte di cassazione, nel formulare la domanda pregiudiziale. La Cassazione aveva sostenuto che «[l]a lettura di tali disposizioni [i.e. artt. 19 e art. 2, terzo comma, lettera b, del d.P.R. n. 633 del 1972] porta a dover prendere in considerazione la disciplina dell’imposta di registro a cuiimplicitamente ma chiaramente la disposizione del decreto IVA rinvia: il mancato assoggettamento all’IVA, difatti, consegue all’applicazione, per queste operazioni, dell’imposta di registro» (così punto 15 dell’ordinanza di rinvio).
Al riguardo è bene precisare che, a quanto ci consta, la sentenza capofila di tale interpretazione “inversa” del principio di alternatività va rinvenuta nella Cassazione n. 19752/2013, punto 3, in cui si afferma che «per identificare la nozione di cessione d’azienda utile ai fini tributari, ossia al fine di verificare se l’operazione o le operazioni in questione debbano essere assoggettate all’imposta di registro oppure all’imposta sul valore aggiunto, occorre aver riguardo alle disposizioni che a quelle operazioni sono dedicate nell’ambito della disciplina dell’imposta di registro».
Sulla scorta di questa giurisprudenza, l’ordinanza di rinvio, interpretando il principio di alternatività IVA/registro, di cui all’art. 40 TUR, in termini di stretta complementarietà tra i due tributi (così da correlare l’applicazione dell’imposta di registro all’esclusione dell’IVA) individuava nell’art. 20 TUR l’elemento preclusivo per l’Amministrazione finanziaria alla valutazione delle «circostanze dell’operazione», facendone discendere l’esclusione della possibilità di contestare l’illegittima detrazione. Da qui l’asserita violazione del diritto dell’Unione.
La CGUE appare in effetti in difficoltà nel seguire questo percorso interpretativo.
Seppur solo indirettamente, si può ritenere che la difficoltà evidenziata dalla CGUE a comprendere la prospettiva del giudice del rinvio avvalora quanto a più voci sostenuto dalla dottrina circa la sua erroneità, poiché è invece «l’assoggettamento ad IVA che esclude l’applicazione del tributo di registro e, conseguentemente, è la disciplina del registro che rinvia a quella dell’IVA, non viceversa»[9]. E ciò in quanto, proprio ai fini dell’operatività del principio di alternatività IVA/imposta di registro di cui all’art. 40 TUR, per identificare se si abbia riguardo a cessioni di beni e prestazioni di servizi soggetti ad IVA occorre procedere sulla base della disciplina di tale tributo, anche nelle ipotesi in cui, in forza di una normativa specifica (ispirata a una ratio tendenzialmente strutturale e di certo non agevolativa; cfr. CGUE, sez. V, 27 novembre 2003, n. 497/01, punti 38 e 39), il legislatore abbia espressamente disposto di escludere determinate operazioni (tra cui appunto la cessione dell’azienda) dall’ambito di operatività dell’IVA.
Appare infatti evidente che la questione giuridica posta alla base del rinvio pregiudiziale si fonda su un erroneo presupposto interpretativo di diritto interno poiché considera il principio di alternatività in senso esattamente inverso rispetto alla sua ratio istitutiva. La qualificazione della cessione di azienda deve avvenire secondo le regole dell’IVA e dunque in accordo con i principi della Direttiva che in nessun modo limita il riferimento ad elementi extratestuali ai fini dell’individuazione della fattispecie (come del resto ricordato dalla CGUE nell’ambito della motivazione della stessa ordinanza[10]). Non assume pertanto alcun rilievo, a tali fini, l’art. 20 TUR, che in nessun modo potrebbe essere di ostacolo al diritto dell’Unione[11].
Pertanto, la CGUE attraverso tale pronuncia in rito, si tiene saggiamente distante dal prendere posizione sulla asserita necessità – invocata dal giudice del rinvio – di affermare una «uniformità di interpretazione dei medesimi istituti giuridici nell’intero ordinamento tributario» che coinvolga cioè sia tributi armonizzati, che non armonizzati.
È dunque del tutto comprensibile che la Corte non si sia addentrata nell’esegesi dell’art. 20 TUR – suggerita dalla dottrina[12] – che già sola avrebbe consentito di cogliere, nella cosiddetta clausola di salvaguardia «salvo quanto disposto dagli articoli successivi» (inserita nel contesto della riformulazione del 2017), un ulteriore elemento a sostegno della valenza, nei termini sopra ricordati, del principio di alternatività, regolato dall’art. 40, ad esso appunto “successivo”.
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IV. Non si può tacere che diversi Commentatori avevano intravisto in questo rinvio pregiudiziale un ulteriore tentativo della Corte di cassazione di estrema resistenza alla scelta esplicitata dal legislatore con gli interventi normativi sull’art. 20 TUR susseguitisi tra il 2017 e il 2018 e alle conseguenze derivanti dalle motivazioni delle sentenze di rigetto della Corte costituzionale. Un tentativo, cioè, di riaffermare il cosiddetto principio della prevalenza della sostanza economica sulla forma giuridica quale inverazione – in mancanza di un immediato referente normativo – dell’effettività della capacità contributiva. Così rafforzando il cosiddetto sostanzialismo metagiuridico che, a parere di chi scrive, non solo non giova alla certezza del diritto, ma altera l’equilibrio tra i poteri dell’ordinamento[13].
Seppure di tale principio siano rinvenibili (in specifici contesti) matrici di ambito unionale, la CGUE si è debitamente (e necessariamente) tenuta a distanza da questo piano del discorso.
Se dunque, giuridicamente non si può escludere che la Corte di cassazione si cimenti, con ulteriori motivazioni, in una riproposizione della medesima domanda pregiudiziale, sembra ragionevole ritenere che, al momento, sarebbe più opportuno che fosse il legislatore a prendere atto della tensione “istituzionale” da ultimo generatasi in merito all’applicazione dell’art. 20 TUR. Le regole di interpretazione degli atti assoggettati a registrazione ormai da oltre centocinquantanni hanno visto dialogare dottrina e giurisprudenza su fronti contrapposti quanto ai confini tra individuazione di fattispecie, riqualificazione ed elusione di imposta, tuttavia tali fronti si sono progressivamente irrigiditi a tal punto da rendere necessario un intervento volto a riportare a sistema, da un lato, la disciplina dell’imposta di registro (in forza della sua natura) e, dall’altro lato, la disciplina dell’abuso del diritto per tutti i tributi (attraverso le regole di garanzia procedimentale dettate dall’art. 10-bis dello Statuto dei diritti del contribuente).
Del resto è stata la stessa Corte costituzionale, a conclusione di entrambe le citate pronunce di rigetto, ad aver posto l’accento sull’evoluzione tecnologica segnalando, in una sorta di monito finale, l’opportunità per il legislatore di ripensare rimeditare alcuni aspetti della operatività del tributo non solo per renderne più efficiente l’attuazione, ma anche in vista di un ripensamento della sua struttura e in particolare della rilevanza tipizzazione delle fattispecie imponibili.
Ciò chiarito in termini generali, quanto, poi, al giudizio principale, vista la pronuncia in rito, la Corte di cassazione – se ritenesse di aderire alla ricostruzione della dottrina – ancorché con un indirizzo innovativo rispetto alla sua precedente giurisprudenza, avrebbe strada agevole nel considerare confermata, pur nel vigore del riformulato art. 20 TUR, la decisione dei gradi di merito che avevano applicato alla cessione di azienda (individuata secondo le regole dell’IVA) l’imposta di registro in misura proporzionale e che non risultava spettante la detrazione sulle cessioni perché operazione non soggetta ad IVA.
Infine, come precisato nella stessa ordinanza di manifesta irricevibilità, spetterà al giudice del rinvio statuire sulle spese …
[1] L’ordinanza è motivata in applicazione dell’art. 53, par. 2, del Regolamento di procedura della CGUE, a norma del quale, quando una domanda di pronuncia pregiudiziale è manifestamente irricevibile, la Corte, sentito l’Avvocato generale, può statuire in qualsiasi momento con ordinanza motivata, senza proseguire il procedimento.
[2] Ai sensi del quale «[i]n caso di trasferimento a titolo oneroso o gratuito o sotto forma di conferimento a una società di una universalità totale o parziale di beni, gli Stati membri possono considerare l’operazione come non avvenuta e che il beneficiario continua la persona del cedente. Gli Stati membri adottano, se del caso, le disposizioni necessarie ad evitare distorsioni di concorrenza, qualora il beneficiario non sia un soggetto passivo totale».
[3] Ai sensi del quale «[i]n caso di trasferimento a titolo oneroso o gratuito o sotto forma di conferimento a una società di una universalità totale o parziale di beni, gli Stati membri possono considerare che non è avvenuta alcuna cessione di beni e che il beneficiario succede al cedente. Gli Stati membri possono adottare le disposizioni necessarie ad evitare distorsioni della concorrenza, qualora il beneficiario non sia un soggetto passivo totale. Possono inoltre adottare le misure utili a prevenire l’elusione o l’evasione fiscale mediante l’applicazione di questo articolo».
[4] La disposizione prevede: «[l]’imposta è applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici, dell’atto presentato alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente, sulla base degli elementi desumibili dall’atto medesimo, prescindendo da quelli extratestuali e dagli atti ad esso collegati, salvo quanto disposto dagli articoli successivi». È noto che la Corte costituzionale è stata chiamata già due volte a pronunciarsi su tale disciplina e i suoi effetti: la prima volta con una questione prospettata dalla Corte di cassazione nel presupposto interpretativo che l’art. 20 TUR comporti la «violazione degli artt. 53 e 3 Cost. perché la preclusione della valutazione degli elementi extratestuali e degli atti collegati sarebbe in contrasto con il principio di prevalenza della sostanza economica sulla forma giuridica, principio che afferma essere implicato da detti parametri nonché “imprescindibile e […] storicamente radicato” nell’ordinamento tributario in genere e nella disciplinadell’imposta di registro in particolare», risolta dalla Corte costituzionale con la sentenza di rigetto n. 158/2020; la seconda volta con una questione prospettata sostanzialmente in termini simili, ma avuto riguardo all’efficacia temporale della norma, definita anch’essa con sentenza di rigetto (n. 39/2021), ove riscontrando nella nuova formulazione del citato art. 20 la natura di «genuina norma di sistema», ha peraltro ritenuto di poter prescindere dalla circostanza che l’intervento normativo avesse o meno i caratteri della legge di interpretazione autentica. Il ristretto spazio di questo scritto non consente di riportare tutti gli Autori che hanno annotato tali pronunce; si ritiene di supplire a tale mancanza citando, per tutti, l’ultimo scritto del Prof. Marongiu G., Sulla legittimità costituzionale dell’art. 20 della legge di registro, in Giur. cost., 2020, 4, 1810 ss.
[5] Sia consentito il riferimento a Mastroiacovo V., Sostanza economica e forma giuridica nel diritto tributario, in Mastroiacovo V. – Melis G. (a cura di), Il diritto costituzionale tributario nella prospettiva del terzo millennio,Torino, 2022, 64-87.
[6] Come è noto la domanda pregiudiziale era stata presentata nell’ambito di una controversia tra la Fallimento Villa di Campo Srl e l’Agenzia delle Entrate (Italia) relativamente alla “riqualificazione” di un contratto di compravendita di un complesso alberghiero in cessione di azienda, rispetto alla quale la Corte di cassazione era stata chiamata a pronunciarsi all’esito della riformulazione dell’art. 20 D.P.R. n. 131/1986. In particolare, l’ordinanza della CGUE dà atto che:
a) a seguito di un controllo, l’Agenzia delle Entrate aveva ritenuto che l’avvenuto acquisto degli immobili di un complesso alberghiero (compresi i beni mobili collegati ed ancorati in modo permanente alla struttura immobiliare) non costituisse una cessione di beni soggetta a IVA, bensì una cessione di azienda, comportando, in pratica, l’assoggettamento di detta operazione all’imposta di registro e il recupero dell’IVA inizialmente detratta dalla Fallimento Villa di Campo;
b) per procedere a siffatta riqualificazione, l’Agenzia delle Entrate si era basata su una serie di elementi esterni a detto contratto (elementi che, come anche affermato dalla Corte di Giustizia, possono essere tenuti in considerazione ai fini della qualificazione dell’operazione imponibile ai fini della corretta applicazione dell’IVA);
c) la Fallimento Villa di Campo ha contestato dinanzi alla Commissione tributaria di primo grado di Trento l’assoggettamento dell’operazione all’imposta di registro facendo segnatamente valere che la presa in considerazione, da parte dell’Agenzia delle Entrate, di elementi esterni al contratto era contraria all’articolo 20 del TUR e, a seguito del rigetto del suo ricorso in primo grado e, successivamente, in appello, da parte della Commissione tributaria di II grado di Trento, essa ha proposto ricorso per Cassazione.
[7] Fedele A., L’art. 20 D.P.R. n. 131/1986 non interferisce con l’applicazione dell’IVA, in Riv. tel. dir. trib., 2022, 1, XIV, 496 ss. e pubblicato online il 5 aprile 2022 (ove peraltro ribadisce quanto già concluso in termini generali, in Appunti in tema di alternatività IVA/registro, in Riv. dir. trib., 2021, 6, I, 479 ss.); Manzitti A., Un’altra inutile pagina sulla vicenda dell’art. 20 dell’imposta di registro, Riv. tel. dir. trib., 2022, 1, XI, 408 ss., e pubblicato online il 26 aprile 2022; Fransoni G., Continua la saga dell’art. 20 dell’imposta di registro, consultabile in www.fransoni.it; Corasaniti G., La Cassazione non si arrende: rimessa alla Corte UE la questione sull’art. 20 del T.U.R., in Corr. trib., 2022, 6, 533 ss.; Mastroiacovo V., Sostanza economica, cit., 85.
[8] L’art. 94 del Regolamento di procedura della Corte dispone quanto segue:«Oltre al testo delle questioni sottoposte alla Corte in via pregiudiziale, la domanda di pronuncia pregiudiziale contiene:
a) un’illustrazione sommaria dell’oggetto della controversia nonché dei fatti rilevanti, quali accertati dal giudice del rinvio o, quanto meno, un’illustrazione delle circostanze di fatto sulle quali si basano le questioni;
b) il contenuto delle norme nazionali applicabili alla fattispecie e, se del caso, la giurisprudenza nazionale in materia;
c) l’illustrazione dei motivi che hanno indotto il giudice del rinvio a interrogarsi sull’interpretazione o sulla validità di determinate disposizioni del diritto dell’Unione, nonché il collegamento che esso stabilisce tra dette disposizioni e la normativa nazionale applicabile alla causa principale».
[9] Si rinvia nuovamente agli Autori già citati infra alla nota 6.
[10] Anzi, proprio dando specifico rilievo alla circostanza che ai fini della configurazione dell’azienda la giurisprudenza della CGUE consente di considerare anche gli elementi complessi esterni, e che ciò non è posto in crisi dalla disciplina dell’imposta di registro, ancorché solo indirettamente, si è confermata l’interpretazione già sopra prospettata e avvalorata dalla citata dottrina per cui la cessione di azienda deve essere assoggettata a registro proprio nella medesima configurazione ad essa attribuita nella disciplina dell’IVA, laddove la esclude dalla sua operatività.
[11] In altri termini in base al principio di alternatività – frutto di una scelta del legislatore nazionale – l’imposta di registro non può essere applicata alle operazioni soggette ad IVA, ma ciò non incide sulla qualificazione dell’operazione agli effetti dell’IVA (essendone invece conseguenza), tanto che un’operazione non soggetta ad IVA resterà tale a prescindere dalla circostanza che ad essa si applichi o meno l’imposta di registro.
[12] Fedele A., L’art. 20 D.P.R. n. 131/1986 non interferisce con l’applicazione dell’IVA, cit.; Id., La Cassazione porta alla Corte costituzionale la questione della rilevanza dei collegamenti negoziali ai fini dell’applicazione dell’imposta di registro”, in Riv. dir. trib., 2020, 1, II, 14 ss.; Tabet G., Il collegamento negoziale tra riqualificazione ed abuso, in Rass. trib., 2018, 1, 227 ss.
[13] Sia consentito il rinvio a Mastroiacovo V., Sostanza economica, cit., 64 ss.; in termini generali sul tema, per giungere a diverse conclusioni sul tema dell’effettività della capacità contributiva si rinvia a Montanari F., La prevalenza della sostanza sulla forma nel diritto tributario, Padova, 2019, 41 ss. (e in particolare l’ultimo capitolo).
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Diritti degli interessati
Ai soggetti cui si riferiscono i dati spettano i diritti previsti dall’art. 7 del D.Lgs. 196/2003 che riportiamo di seguito:
1. L’interessato ha diritto di ottenere la conferma dell’esistenza o meno di dati personali che lo riguardano, anche se non ancora registrati, e la loro comunicazione in forma intelligibile.
2. L’interessato ha diritto di ottenere informazioni:
a) sull’origine dei dati personali;
b) sulle finalità e modalità del trattamento;
c) sulla logica applicata in caso di trattamento effettuato con l’ausilio di strumenti elettronici;
d) sugli estremi identificativi del titolare, dei responsabili e del rappresentante designato ai sensi dell’articolo 5, comma 2;
e) sui soggetti o delle categorie di soggetti ai quali i dati personali possono essere comunicati o che possono venirne a conoscenza in qualità di rappresentante designato nel territorio dello Stato, di responsabili o incaricati.
3. L’interessato ha diritto di ottenere:
a) l’aggiornamento, la rettificazione ovvero, quando vi ha interesse, l’integrazione dei dati;
b) la cancellazione, la trasformazione in forma anonima o il blocco dei dati trattati in violazione di legge, compresi quelli di cui non è necessaria la conservazione in relazione agli scopi per i quali i dati sono stati raccolti o successivamente trattati;
c) l’attestazione che le operazioni di cui alle lettere a) e b) sono state portate a conoscenza, anche per quanto riguarda il loro contenuto, di coloro ai quali i dati sono stati comunicati o diffusi, eccettuato il caso in cui tale adempimento si rivela impossibile o comporta un impiego di mezzi manifestamente sproporzionato rispetto al diritto tutelato.
4. L’interessato ha diritto di opporsi, in tutto o in parte:
a) per motivi legittimi al trattamento dei dati personali che lo riguardano, ancorché pertinenti allo scopo della raccolta;
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