IL PUNTO SU… – Trust, imposte indirette e circolare n. 34/E/2022: osservazioni su agevolazioni fiscali, attribuzioni informali e territorialità
Di Valentina Buzzi e Giulia Sorci
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A. Con il presente intervento si intende proseguire l’analisi della circolare n. 34/E/2022 in relazione al trust nel comparto delle imposte indirette (v., prima, Buzzi V. – Sorci G., I trust nelle imposte indirette alla luce della recente Circolare n. 34/E/2022 [tra restyiling e novità]), in questa Rivista, 11 novembre 2022), soffermandosi in modo particolare sull’esenzione di cui all’art. 3, comma 4-ter, D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 346 (di seguito anche solo “TUS”), sulle attribuzioni informali e, infine, sui principi di territorialità previsti dal TUS.
B. Quanto al primo tema, ossia l’esenzione di cui all’art. 3, comma 4-ter, avente ad oggetto i trasferimenti di azienda e di partecipazioni per successione o donazione, l’Amministrazione finanziaria ne ha da tempo confermato l’applicazione anche nei casi di trasferimenti effettuati in trust istituiti a favore dei discendenti e/o del coniuge del disponente (cfr. circ. 6 agosto 2007, n. 48/E), chiosando, in seconda battuta, che la norma agevolativa si applicherebbe, più in generale, ai negozi «(…) attuati in favore dei discendenti e del coniuge mediante disposizioni mortis causa, donazioni, atti a titolo gratuito o costituzione di vincoli di destinazione, nonché mediante patti di famiglia di cui agli articoli 768-bis e seguenti del Codice Civile» (cfr. circ. 22 gennaio 2008, n. 3/E).
Nonostante tali chiarimenti, non sono mancati dubbi in dottrina in merito a siffatta possibilità (cfr. Poli A. – Lupi R. – Stevanato D., Come si inserisce il trust nelle agevolazioni per le successioni d’azienda?, in Dialoghi trib., 2009, 5, 568 ss.), sollecitando un ulteriore intervento di prassi (cfr. ris. 23 aprile 2009, n. 110/E) con cui l’Amministrazione finanziaria ha tentato di raccordare il peculiare istituto del trust a una disposizione ideata per favorire i passaggi diretti di azioni o di aziende in un periodo storico in cui essa riteneva – in modo invero isolato e monoliticamente contestato dalla giurisprudenza di merito e dalla dottrina tributaria – di poter esercitare il prelievo nei trust liberali (e addirittura in quelli non liberali) già al momento della costituzione del vincolo.
B.1. In particolare, in tale sede, l’Agenzia aveva ritenuto che la strumentalità del trust alla finalità liberale del passaggio generazionale ai discendenti e/o al coniuge del disponente legittimasse il godimento dell’esenzione, fermo restando il rispetto delle condizioni prescritte dall’art. 3, comma 4-ter, TUS, da adattarsi alle peculiarità del trust, ritenendole soddisfatte quando: (i) la durata residua del trust fosse superiore a cinque anni a decorrere dalla data di stipula dell’atto di segregazione della partecipazione di controllo o dell’azienda; (ii) i beneficiari fossero esclusivamente i discendenti e/o il coniuge del disponente; (iii) il trust non fosse discrezionale o revocabile (ovvero fosse preclusa qualsiasi modifica dei beneficiari ad opera del disponente o del trustee successiva alla segregazione dell’azienda o delle partecipazioni); (iv) il trustee proseguisse l’esercizio dell’attività di impresa o detenesse il controllo per un periodo non inferiore a cinque anni dalla data dell’atto segregativo in attuazione alla dichiarazione in tal senso rilasciata proprio in sede di stipula dell’atto della segregazione.
Nella citata risoluzione, l’Agenzia non aveva concesso il beneficio dell’esenzione poiché riteneva «disattesa la ratio della disposizione agevolativa» in quanto (i) il trustee poteva decidere discrezionalmente se trasferire ai beneficiari al termine della durata del trust le partecipazioni di controllo (e/o altri beni segregati nel trust) e pertanto (ii) mancava in capo ai beneficiari un diritto incondizionato al trasferimento delle partecipazioni di controllo della società.
Tale conclusione prestava già ai tempi il fianco a qualche critica per una potenziale incoerenza tra i requisiti richiesti per usufruire dell’agevolazione e il criterio generale in base al quale l’Agenzia imponeva il prelievo del tributo successorio-donativo già al momento del conferimento dei beni.
Ed invero, se in passato l’imposta sulle successioni e donazioni era ritenuta dovuta dalla stessa Agenzia già all’atto della segregazione dei beni in trust, pari trattamento si sarebbe dovuto riconoscere per l’applicazione dell’agevolazione in commento, senza alcuna subordinazione alla permanenza del diritto incondizionato e immutato dei beneficiari a ricevere le partecipazioni o l’azienda. Infatti, anche il diritto incondizionato – come autorevolmente sostenuto – doveva piegarsi ai fatti della vita o, più precisamente, alla morte: si pensi, ad esempio, agli eredi impossibilitati a mantenere la titolarità dell’azienda in quanto deceduti anteriormente allo scadere del termine quinquennale imposto dalla norma (cfr. Lupi R. – Stevanato D., “Trasparenza” del trust ai fini dell’imposta sulle successioni e donazioni: due pesi e due misure?, in Dialoghi trib., 2009, 5, 570 ss.).
La soluzione propugnata dall’Agenzia comportava un ingiustificato aggravio di oneri in capo al contribuente che decideva di gestire il passaggio generazionale attraverso un trust in luogo di una semplice donazione diretta ai discendenti. Ad esempio, in caso di donazione diretta, dopo cinque anni dalla donazione gli eredi potevano considerarsi liberi di alienare a terzi, ma analoga condotta non era praticabile in caso di trasferimento “interinale” al trust: pur essendo decorso il termine quinquennale, qualora il trustee avesse deciso di cedere gli assets e poi trasmettere ai beneficiari il relativo introito, l’agevolazione di cui all’art. 3, comma 4-ter, TUS non sarebbe stata fruibile.
La difficoltà con cui l’Amministrazione coordinava l’applicazione di una norma agevolativa all’istituto del trust è inoltre confermata dall’ulteriore lettura di taluni paragrafi della su richiamata risoluzione.
E invero, dopo aver evidenziato che il trust era un istituto pienamente idoneo ad adattarsi alle molteplici esigenze del disponente, si raccomandava ai fini dell’applicazione delle disposizioni agevolative di predisporre una valutazione «caso per caso» avulsa da qualsiasi riferimento a definizioni generali ma che tenesse in debita considerazione le clausole e le caratteristiche del singolo trust. Affermazione, questa, da cui traspare la evidente volontà dell’Amministrazione finanziaria di voler in qualche modo conservare un ampio margine di discrezionalità nelle proprie valutazioni arrestando sul nascere eventuali interpretazioni “estensive” della norma (cfr. De Renzis Sonnino N., L’imposizione indiretta del trust: gli ultimi orientamenti di giurisprudenza e prassi, in Trust e attività fiduciarie, 2009, 5, 507 ss.).
B.2. Questa impostazione, seppur con talune differenze, è stata adottata anche nella circ. n. 34/E/2022 in materia di trust a cui, come vedremo nel prosieguo, si sono aggiunti i chiarimenti recentemente forniti nell’incontro con la stampa specializzata “Telefisco 2023”.
Andiamo per ordine.
Dopo aver “risolto” definitivamente l’annosa querelle riguardante il “momento impositivo” ai fini del tributo successorio, decretando l’applicazione dell’imposta sulle successioni e donazioni e sui vincoli di destinazione al momento del «reale trasferimento di beni o diritti (…)» e quindi del «reale arricchimento dei beneficiari» (per una compiuta disamina critica di tale questione in relazione ai diversi tipi di trust, v. Contrino A., Contributo al completamento della teoria giurisprudenziale di tassazione dei trust ai fini delle imposte indirette sui trasferimenti con uno sguardo indietro di tre lustri, in Dir. prat. trib., 2021, 3, 1217 ss., il quale è critico verso la soluzione unitaria sposata, prima, dalla giurisprudenza di legittimità e, adesso, dalla prassi amministrativa), l’Agenzia afferma che la spettanza (o meno) di esenzioni e/o agevolazioni in capo ai beneficiari del trust debba essere vagliata «(…) di volta in volta sulla base dei relativi presupposti», con ciò “rettificando” quanto affermato nella bozza di circolare dell’agosto 2021, ove si precisava che la spettanza di queste esenzioni e/o agevolazioni poteva essere «valutata al momento dell’atto di attribuzione dei beni sulla base della presenza dei relativi presupposti», menzionando peraltro a titolo di esempio proprio l’agevolazione in esame.
Nella versione definitiva della circolare scompare, quindi, un riferimento temporale “definito” in favore della c.d. case by case analysis che richiama in via di principio quanto già affermato nella risoluzione prima citata.
Ma v’è di più. Sempre nella versione finale, l’Amministrazione ritorna sull’argomento pochi paragrafi dopo ricordando che «(…) in relazione alle norme di esenzione o agevolazione fruite dal beneficiario in sede di attribuzione, che prevedono il mantenimento di determinati requisiti per un dato intervallo temporale, il termine iniziale decorre dall’attribuzione medesima».
Nelle risposte recentemente fornite durante Telefisco 2023, l’Agenzia coglie l’occasione di fornire dei chiarimenti sui predetti passaggi della circolare dell’ottobre scorso e afferma con riferimento alle partecipazioni apportate nel trust che «i presupposti per la spettanza dell’agevolazione (…) dovranno essere valutati all’atto di attribuzione delle predette partecipazioni ai beneficiari», utilizzando peraltro, un wording abbastanza simile a quello rintracciabile nella bozza di circolare.
Sempre in tal sede altresì conferma quanto espresso nella versione, questa volta definitiva del documento, secondo cui «(…) i cinque anni occorenti per il mantenimento del controllo decorrono dalla data della predetta attribuzione ai beneficiari e non dalla data di apporto in trust».
Ebbene, tralasciando per un attimo la volontà dell’Agenzia di dissolvere (forse) l’incertezza generata nella circ. n. 34/E/2022 circa l’individuazione del momento in cui si è chiamati a valutare la spettanza (o meno) dell’esenzione, la scelta compiuta dall’Agenzia di riferire la decorrenza di tale agevolazione dall’attribuzione ai beneficiari può, ad una lettura meramente preliminare, interpretarsi come manifestazione di un potenziale “superamento” dell’impostazione precedente che invece presupponeva la decorrenza del quinquennio a partire dalla data di segregazione dell’azienda o delle partecipazioni in trust (e che imponeva la conservazione per tutta la durata del trust in capo ai discendenti e/o del coniuge del diritto incondizionato a ricevere la partecipazione o l’azienda segregata in trust).
A ben vedere, questo cambio di rotta, invero poco chiaro, non potrà che avere effetti negativi sul piano tecnico-applicativo, in quanto impone di riconsiderare la spettanza dell’agevolazione anche per quei trust esistenti in capo ai quali, ad esempio, il periodo quinquennale è già maturato ma non hanno ancora provveduto al trasferimento dell’azienda o delle partecipazioni ai beneficiari, e ciò in aperto contrasto con le tutele garantite dal legittimo affidamento di cui all’art. 10, comma 2, L. 27 Luglio 2000, n. 212.
In concreto, questa nuova impostazione sembrerebbe imporre il ricalcolo del termine quinquennale dal momento dell’attribuzione ai beneficiari anche qualora la partecipazione o l’azienda sia stata segregata in trust per un periodo ben superiore (fermo restando l’identità dei beneficiari).
A tal riguardo riteniamo condivisibile l’impostazione adottata da parte di certa Dottrina secondo cui per i trust esistenti per i quali si è beneficiato dell’esenzione in entrata, in procinto di essere liquidati, e per i trust già liquidati, laddove non siano ancora decorsi i termini di accertamento ai fini dell’imposta sulle successioni e donazioni, il requisito temporale debba considerarsi realizzato e l’esenzione da imposta acquisita in modo definitivo almeno nella circostanza in cui ai beneficiari finali sia già stata trasferita la partecipazione di controllo e questi siano identificabili nei discendenti e/o nel coniuge del disponente (per una disamina ancor più approfondita, cfr. Tenore M. – D’Amelio F., Legittimo affidamento per l’esenzione da imposta di donazione all’entrata dei beni in trust, in Rivista Eutekne, 6 gennaio 2023).
Si è persa comunque ancora una volta l’occasione per far chiarezza circa l’applicazione di un’agevolazione che proprio in virtù della sua ratio dovrebbe esser finalizzata a favorire i passaggi generazionali.
C. Quanto al secondo tema, ossia le attribuzioni “senza formalità”, la recente circolare se, da un lato, afferma che il presupposto impositivo dell’imposta sulle successioni e donazioni si realizza solo alla data dell’attribuzione stabile dei beni ai beneficiari (con l’applicazione delle aliquote e franchigie ivi vigenti, come già precisato anche nella precedente circ. 11 agosto 2015, n. 30/E), dall’altro, parrebbe prevedere un’eccezione ove questa avvenga senza seguire particolari formalità (cfr. Ghinassi S., Liberalità informali e tributo successorio, in Rass. trib., 2012, 3, 764 ss., nonché Consiglio Nazionale del Notariato, Studio n. 135-2011/T, Rilevanza fiscale delle liberalità indirette nell’attività notarile).
Ciò sembra potersi ricavare dall’analisi di taluni passaggi conclusivi del paragrafo 4.6 della predetta circolare, laddove si tratta il profilo delle attribuzioni effettuate sotto forma di liberalità indirette.
In particolare, e procedendo per gradi, pare innanzitutto che il contribuente abbia la facoltà di registrare volontariamente la quota capitale delle attribuzioni ricevute sino a una determinata data sulla base delle informazioni fornite dal trustee.
E infatti, nel penultimo periodo del citato paragrafo l’Agenzia afferma che, qualora il beneficiario sia in grado di distinguere la quota riferibile al capitale (assoggettata al tributo successorio-donativo), «potrà provvedere alla registrazione volontaria della quota del fondo in trust» anche in relazione alle eventuali devoluzioni pregresse, in linea con i meccanismi propri di emersione delle liberalità indirette di cui all’art. 56-bis TUS e con i criteri di cui all’art. 45, comma 4-quater, TUIR, necessari all’individuazione degli importi distribuiti a titolo di capitale o di reddito, che, secondo un’interpretazione logico-sistematica, sarebbero – a detta dell’Amministrazione – valevoli per tutte le tipologie di trust residenti e non residenti.
Il riferimento al solo passato sembra messo in discussione dall’ultimo periodo del medesimo paragrafo, ove si specifica che «la registrazione volontaria anticipata esclude l’applicazione dell’imposta di donazione al momento della effettiva devoluzione del capitale al beneficiario». Se si coordina la nozione di “fondo in trust” con il concetto di “registrazione volontaria anticipata”, l’Agenzia parrebbe consentire il versamento dell’imposta sulle successioni e donazioni non solo con riferimento alle attribuzioni di capitali già ricevute (e per le quali, dunque, l’effettiva devoluzione è già avvenuta) ma anche – forse – in relazione a quelle future.
Per tale ipotesi, ci si domanda se – come si ritiene – ciò sia possibile solo nel caso in cui il beneficiario sia a conoscenza della spettanza di distribuzioni di capitale future in base ad elementi già predeterminati (ad esempio, subordinate al compimento degli anni): se fosse accolta questa interpretazione, in determinati casi il contribuente potrebbe “cristallizzare” la propria posizione e considerarsi esente da eventuali cambi normativi.
D. Quanto all’ultimo tema oggetto delle presenti note, ossia i principi di territorialità previsti dal TUS, nella circolare si afferma che i criteri generali dettati dall’art. 2 – secondo cui rilevano tutte le donazioni effettuate da donanti residenti, indipendentemente dalla localizzazione dei beni o quelle aventi ad oggetto i beni e diritti “esistenti” sul territorio nazionale se il donante non risulta residente in Italia al momento dell’attribuzione – vanno coordinati con le peculiarità del trust quale fattispecie di donazione a formazione “progressiva”, imponendone la verifica (avendo riguardo, nel caso specifico del trust, alla residenza del disponente e alla localizzazione dei beni apportati) all’atto di apporto dei beni in trust ovvero al momento in cui si verifica l’effettivo “spossessamento” dei beni da parte del disponente per effetto della segregazione.
Per saggiare gli effetti di tale affermazione è possibile considerare, ad esempio, il caso di (i) un disponente fiscalmente residente all’estero, che, all’atto della segregazione, conferisce somme di denaro depositate presso una banca estera in un trust estero e (ii) un’attribuzione successiva di dette disponibilità, da parte del trustee, a un beneficiario fiscalmente residente in Italia ma presso un conto corrente localizzato al di fuori del territorio dello Stato.
In tale caso, il tributo donativo non dovrebbe applicarsi per carenza del presupposto territoriale di cui all’art. 2 TUS (cfr. Risposta ad interpello n. 310/2019, nonché Ghinassi S., La tassazione delle donazioni estere”, in Riv. tel. dir. trib., 2019, 2, XII, 522 ss. e Massarotto S. – Sorci G., Brevi Riflessioni a margine di una risposta ad interpello in tema di intassabilità delle donazioni estere di somme di denaro, in Boll. trib., 2018, 23, 1677 ss.). Nel silenzio della circolare, ciò dovrebbe valere anche se, dopo l’atto di segregazione dei beni in trust, il disponente dovesse trasferire la propria residenza fiscale in Italia, per i trasferimenti successivi a tale momento.
Diversa sarebbe la conclusione nel caso in cui il disponente – prima fiscalmente residente all’estero e poi in Italia – continui anche dopo il cambio di residenza fiscale ad apportare beni in trust. Ipotizzando che i beni segregati siano esclusivamente non fungibili, individuare quelli segregati durante la permanenza all’estero dovrebbe essere un esercizio relativamente semplice; al contrario, se gli asset conferiti sono azioni della medesima categoria emessi dallo stesso emittente, non vi è alcun criterio utile alla loro individuazione. Si potrebbe tentare di risolvere il problema mutuando taluni criteri propri del comparto delle imposte dirette, come, ad esempio, la valorizzazione di detti beni mediante il criterio del LIFO; tuttavia, ciò potrebbe essere risolutivo per alcune categorie di asset (i.e. le azioni) ma non per altre (i.e. le quote di fondi invece per le quali è previsto il criterio del costo medio).
Un’ultima questione su cui occorre brevemente soffermarsi è l’eventualità che l’atto di costituzione di beni in trust formato all’estero debba, in presenza di specifiche condizioni, essere assoggettato a registrazione in termine fisso ed a imposta in misura fissa ai sensi dell’art. 55, comma 1-bis, TUS, così come sostenuto dall’Amministrazione finanziaria nella circolare.
Tale disposizione, avente finalità meramente antielusiva (i.e. attrarre a registrazione in Italia atti formati all’estero in presenza dei menzionati requisiti territoriali), non dovrebbe in realtà interferire con gli aspetti sostanziali del tributo, come sembra invece risultare dalla posizione assunta nella circolare.
Di conseguenza, in carenza dei presupposti territoriali di cui all’art. 2 TUS (i.e.trust estero istituito da disponente residente all’estero con beneficiario italiano e apporto di beni non presenti nel territorio italiano) non dovrebbe procedersi né alla registrazione in Italia né tanto meno al pagamento dell’imposta di registro in misura fissa (cfr. DRE Lombardia 904-3/2015; sul tema, Consiglio Nazionale del Notariato, Studio n. 194-2009/T, I criteri di collegamento territoriale nell’imposta sulle successioni e donazioni”; Stevanato D., Trasferimenti informali di ricchezza e imposta di donazione, in Dialoghi trib., 2012, 5, 542 ss.).
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