La causa tipica del contratto di assicurazione esclude l’accessorietà tra prestazione assicurativa e operazione commerciale correlata: un approdo interpretativo ragionevole?

Di Giovanna Petrillo -

(commento a/notes to Cass., 29 novembre 2022, n. 35135)

 

Abstract

Con la sentenza 29 novembre 2022, n. 35135, la Suprema Corte ha statuito che la peculiarità della prestazione assicurativa derivante dall’oggetto del contratto e dallo specifico interesse delle parti a tale operazione, ancorché sia operazione correlata ad altre operazioni commerciali, induce una accessorietà di mero fatto rispetto a tali operazioni e rende l’operazione autonoma ai fini dell’esenzione IVA.

L’autonoma qualificazione dell’operazione di assicurazione benché correlata ad un’operazione commerciale non comporta, pertanto, un’artificiosa scomposizione delle singole prestazioni finalizzata ad alterare la funzionalità del sistema dell’IVA, bensì un riconoscimento della peculiarità della stessa operazione al fine dell’applicazione dell’esenzione. La pronuncia merita condivisione in quanto volta a considerare la finalità oggettiva e soggettiva delle operazioni e non criteri empirici suscettibili di controverse applicazioni.

The typical cause of the insurance contract excludes the accessory nature between the insurance benefit and the related commercial operation: a reasonable interpretation? – With the decision no. 35135 of 26 November 2022, the Supreme Court ruled that the peculiarity of the insurance provision deriving from the object of the contract and from the specific interest of the parties in this transaction, even if it is a transaction related to other commercial transactions, induces a mere de facto accessory nature with respect to these transactions and makes the transaction independent for the purposes of VAT exemption. The independent classification of the insurance transaction, although correlated to a commercial transaction, does not therefore involve an artificial breakdown of the individual services aimed at altering the functionality of the VAT system, but rather an acknowledgment of the peculiarity of the same transaction for the purpose of applying of the exemption. The judgment deserves sharing as it considers the objective and subjective purpose of the operations and not empirical criteria susceptible to controversial applications.

 

 

 

Sommario: 1. I fatti oggetto del giudizio e la conclusione raggiunta dal Supremo Collegio. – 2. L’interpretazione della norma di esenzione ed il ruolo centrale della nozione di operazione di assicurazione: un percorso ricostruttivo non semplice. – 3. Il convincente approdo interpretativo cui perviene la Suprema Corte incentrato sulla valorizzazione della causa tipica connessa ad una prestazione assicurativa ovvero la manlevazione dal rischio.

 

1. La soluzione adottata dalla Suprema Corte, certamente condivisibile, appare di interesse sotto molteplici aspetti offrendo l’occasione per alcune sintetiche riflessioni sulle finalità delle esenzioni ai fini IVA, sulla nozione di prestazioni accessorie e sul connesso regime impositivo.

La vicenda trae origine dal disconoscimento, ad opera dell’Ufficio, del regime di esenzione applicato dalla società contribuente ai premi assicurativi relativi alle polizze stipulate ritenendole connesse alla prestazione principale di consulenza, qualificata come appalto di servizi, con conseguente applicazione del principio di accessorietà della prestazione sulla base del disposto dell’art. 12, comma 2, D.P.R. n. 633/1972. La società invocava, invece, l’applicazione del regime di esenzione IVA; a fronte di ciò, la CTP di Torino accoglieva il ricorso ed anche la CTR del Piemonte rigettava l’appello dell’Ufficio.

Proponendo ricorso per Cassazione con unico motivo, incentrato sulla violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 10 e 12 D.P.R. n. 633/1972, l’Ufficio lamentava l’esclusione, ad opera della sentenza impugnata, dell’esistenza del vincolo di accessorietà tra le prestazioni assicurative offerte dalla contribuente e le altre prestazioni in virtù della natura meramente facoltativa della sottoscrizione della polizza e della assenza di corrispettivo percepito dalla società contribuente. Conclusivamente, l’Ufficio deduceva l’erroneità della sentenza per avere artificiosamente scorporato la prestazione assicurativa dalle altre prestazioni offerte dalla società contribuente, trattandosi di prestazioni reciprocamente non indipendenti e afferenti il medesimo pacchetto di servizi offerto ai clienti.

Il Giudice di legittimità muove dalla qualificazione della nozione di prestazione assicurativa al fine di usufruire del regime di esenzione di cui all’art. 135, par. 1, lett. a), della Direttiva 2006/112 e giunge ad escludere l’esistenza del vincolo di accessorietà fra le prestazioni assicurative e le prestazioni commerciali correlate, ritenendo, fondatamente, che la peculiarità della causa del contratto di assicurazione (spostamento della allocazione del rischio di un’operazione economica in relazione a determinati eventi) risulti incompatibile con la nozione di accessorietà delineata dalla Corte di Giustizia, che invece presuppone l’assenza di scopo autonomo della prestazione accessoria con conseguente tendenziale indipendenza ai fini IVA delle prestazioni assicurative, ancorché legate ad altre operazioni.

La conclusione raggiunta dal Supremo giudice si apprezza per linearità e ragionevolezza dell’iter ermeneutico seguito, soprattutto se si considera che essa si innesta su un quadro di riferimento eccessivamente parcellizzato. Come si esporrà in seguito, infatti, i percorsi interpretativi delineati nella prassi interna non offrono soddisfacenti e sicuri approdi di riferimento sia in ragione delle variegate pronunce della giurisprudenza della Corte di Giustizia che in considerazione della non perfetta simmetria del dato normativo interno rispetto alle indicazioni europee.

Diversamente dall’art. 78 della Direttiva n. 2006/112/CE, l’art. 12 D.P.R. n. 633/1972 nel disciplinare l’applicazione dell’IVA alle prestazioni accessorie che non sono soggette «autonomamente all’imposta nei rapporti tra le parti dell’operazione principale», afferma, infatti, chiaramente che è necessario che le medesime prestazioni siano svolte «direttamente dal cedente o prestatore ovvero per suo conto e a sue spese». Nel comma 1 dell’art. 12, risultano elencate le prestazioni da considerarsi comunque accessorie ossia quelle di trasporto, posa in  opera, imballaggio, confezionamento e fornitura di recipienti o contenitori, sicché il legislatore ha indicato analiticamente ed espressamente le attività da considerarsi univocamente riconducibili al regime di accessorietà, individuando in tal modo “prestazioni accessorie tipiche” contrapposte alle “altre cessioni o prestazioni di servizi” che rappresentano una categoria generica eterogenea e residuale. Il secondo comma precisa, poi, che «se la cessione o prestazione principale è soggetta all’imposta i corrispettivi delle cessioni o prestazioni accessorie imponibili concorrono a formare la base imponibile»; parimenti, se la cessione o prestazione principale è non imponibile ovvero esente lo è anche quella accessoria.

In particolare, nella relazione illustrativa all’art. 12 D.P.R. n. 633/1972 viene esposta una regola fondamentale: accessorium sequitur principale. Da tanto discende che in tutte le operazioni deve individuarsi qual è il rapporto o il bene principale e quale quello o quelli subordinati. Questi, nei limiti della subordinazione, seguono le sorti del primo per quanto concerne le norme applicabili, il presupposto, le aliquote ed ogni altro elemento dell’obbligazione tributaria, pur restando per il resto vincolati alle norme che autonomamente li regolano ed alle vicende proprie che possono influire sul nesso di accessorietà. Nel prosieguo della trattazione si analizzeranno i criteri per stabilire quale sia il bene o rapporto principale e quale l’accessorio.

2. Per procedere alla disamina del portato del pronunciamento della Suprema Corte occorre partire dall’interpretazione della norma di esenzione e dal ruolo centrale della nozione di operazione di assicurazione.

Come è noto, le esenzioni dall’IVA integrando deroghe all’imponibilità generalizzata di operazioni rientranti nel campo di applicazione dell’imposta sono funzionali alla tutela di un interesse meritevole di particolare rilevanza economica e sociale (ampiamente in argomento, cfr. Comelli A., IVA comunitaria e IVA nazionale, Contributo alla teoria generale dell’imposta sul valore aggiunto, Padova, 2000; Montanari F., Le operazioni esenti nel sistema dell’IVA, Torino,2013).

La natura derogatoria di tali norme, nel rispetto dell’esigenza di uniformità nella relativa applicazione, impone che i termini in cui le stesse sono formulate debbano essere interpretati rigorosamente e in modo restrittivo in considerazione del significato letterale delle parole. Un’interpretazione eccessivamente restrittiva giungerebbe, tuttavia, come si è precisato, a privare le esenzioni di qualunque effetto (cfr. CGUE, C-584/13).

Con particolare riferimento alle operazioni di assicurazione, la Suprema Corte, nella pronuncia in commento, ribadisce che l’esenzione di cui all’art. 135, par. 1, lett. a), della Direttiva 2006/112 è essenzialmente giustificata dalla difficoltà di determinare la base imponibile dell’IVA dovuta per i premi assicurativi connessi alla copertura del rischio.

Seguendo questa impostazione, chiarisce il Giudice di legittimità, l’operazione di assicurazione – che si caratterizza oggettivamente per il fatto che l’assicuratore si impegna, previo versamento di un premio, a procurare all’assicurato, in caso di realizzazione del rischio coperto, la prestazione convenuta all’atto della stipula del contratto – comporta un disallineamento tra l’incasso anticipato dei premi dai clienti e il sostenimento successivo dei costi, a fronte degli impegni assunti nei confronti degli assicurati al verificarsi del rischio assicurato.

Si è ulteriormente evidenziato che l’espressione “operazioni di assicurazione” è sufficientemente ampia per comprendere la copertura assicurativa fornita da un soggetto passivo che non sia direttamente assicuratore, ma che, nell’ambito di un’assicurazione collettiva, procuri ai suoi clienti siffatta copertura avvalendosi delle prestazioni di un assicuratore che si assume l’onere del rischio assicurato.

Definita la nozione di prestazione assicurativa al fine di usufruire della richiamata esenzione, il Supremo giudice, coerentemente, si sofferma sul particolare aspetto della sottrazione di tali prestazioni al loro regime di esenzione in ragione del vincolo di accessorietà. Le operazioni di assicurazione presentano, infatti, la spiccata peculiarità integrata dal fatto di essere spesso legate o correlate a un’altra operazione commerciale in quanto finalizzate a regolare lo spostamento del rischio in relazione al verificarsi di alcuni eventi che possono colpire le parti contrattuali.

Orbene, una particolare riflessione merita la valutazione della strumentalità, e della conseguente accessorietà, della prestazione assicurativa rispetto alla prestazione principale.

Di regola, ai fini IVA ciascuna prestazione deve essere considerata distinta e indipendente (cfr. ex multis CGUE sentenza 8 ottobre 2020 causa c-235/19; 2 luglio 2020 C-231/19). Tanto rilevato, solamente in alcune ipotesi più prestazioni formalmente distinte devono essere considerate come un’unica operazione; ciò si verifica, al fine di non alterare il corretto funzionamento del sistema dell’IVA e non falsare la concorrenza, nel caso in cui le due prestazioni siano strettamente connesse tanto da formare oggettivamente una sola prestazione economica indissociabile la cui scomposizione avrebbe carattere artificioso.

Sulla scorta della giurisprudenza europea, pertanto, il criterio generale per stabilire la presenza di più operazioni distinte o di un’unica operazione è quello per cui un’operazione deve essere considerata accessoria ad una principale quando essa non costituisce per la clientela un fine a sé stante, bensì il mezzo per fruire delle migliori condizioni della fornitura principale offerta dal soggetto passivo. L’esame di tale finalità va compiuto sia sotto il profilo oggettivo che soggettivo, valutando cioè se l’operazione di per sé ha la funzione di integrare la prestazione principale migliorando le condizioni per usufruire della stessa e se nell’intenzione delle parti l’operazione non persegua un fine autonomo, una causa tipica.

In particolare, la Corte di Giustizia osserva che la nozione di prestazione unica può configurarsi sia quando uno o più elementi devono essere considerati costitutivi della prestazione principale, mentre altri devono essere considerati come una o più prestazioni accessorie cui si applica la stessa disciplina tributaria della prestazione principale, che nell’ipotesi in cui gli elementi scindibili della prestazione unica possono anche essere posti sullo stesso piano con la conseguenza che non è possibile ritenere che l’uno debba essere considerato la prestazione principale e l’altro la prestazione accessoria (cfr. CGUE, sentenza 25 marzo 2021, causa C-907/19).

In sostanza, le prestazioni accessorie – che concorrono alla formazione della base imponibile dell’operazione principale e ne assumono lo stesso trattamento fiscale e se imponibili la medesima aliquota IVA- senza la connessione con la prestazione principale sarebbero prive di scopo per il soggetto che ne usufruisce. Pertanto, l’elemento fondamentale da valutare sarebbe la finalità, sia sotto il profilo oggettivo che soggettivo, per cui l’operazione è conclusa. Si dovrebbe, in pratica, verificare se l’operazione di per sé ha la funzione di integrare la prestazione principale, migliorando le condizioni per usufruire della stessa, e se nelle intenzioni delle parti l’operazione non persegua una causa tipica.

La finalità o l’utilità autonoma della prestazione integrerebbe, quindi, l’elemento dirimente per distinguere prestazioni accessorie e principali.

Invero, alla limpidezza di tale enunciato si sono aggiunti diversi criteri talvolta anche contraddittori. La Corte ha, infatti, evidenziato l’importanza di un secondo criterio, da intendersi quale indizio del primo, rappresentato dalla considerazione del valore rispettivo di ciascuna delle prestazioni che costituiscono l’operazione economica, nell’ipotesi in cui l’una risulti minima rispetto all’altra. Si sono, altresì, posti in rilievo elementi secondari, senza importanza decisiva, volti eventualmente a sostenere l’analisi dei primi elementi, come l’accesso separato o congiunto alle prestazioni in parola o l’esistenza di una fatturazione unica o distinta (sul punto, per puntuali richiami cfr. Salvati A., Autonoma rilevanza delle operazioni a fini IVA e prestazioni accessorie, in Riv. tel. dir. trib., 2022, 1, X, 367 ss.). In particolare, riguardo all’accessorietà delle prestazioni assicurative si è precisato che le modalità di fatturazione e di tariffazione possono considerarsi indici del carattere unico di una prestazione (cfr. sent. 18 gennaio 2018, causa C-463/16; 17 gennaio 2013, causa C-224/11).

Ciò posto, sul piano domestico gli orientamenti interpretativi emersi nella prassi e nelle pronunce di legittimità non risultano informati ad una netta linea di demarcazione fra le ipotesi in cui l’astratta possibilità di rendere autonomamente prestazioni complesse sia indicativa di autonomia delle stesse o di accessorietà.

In particolare la Corte di Cassazione ricostruisce la nozione di accessorietà sulla base della elaborazione operata dalla Corte europea, sottolineando l’opportunità di una lettura congiunta dell’art. 12 D.P.R. n. 633/1972 e dell’art. 2, n. 1 della Sesta Direttiva come interpretata dalla Corte di Giustizia. Pertanto, la prestazione accessoria deve essere strumentale a quella principale e avere il fine di permettere l’effettuazione o la migliore fruizione della prestazione principale integrando un mezzo per il completamento o la realizzazione dell’operazione principale avendo riguardo anche all’aspetto soggettivo relativo all’intenzione delle parti (cfr. Cass., 16 novembre 2011, n. 24049). In quest’ottica, il Supremo giudice tenta di conciliare la disciplina europea, secondo cui un insieme di prestazioni possono essere qualificate come prestazione unica ai fini IVA anche nell’ipotesi in cui siano effettuate da soggetti diversi, con il disposto dell’art. 12 D.P.R. n. 633/1972 e la prassi interna. Si pensi all’ampliamento operato dalla Cassazione della possibilità di configurare una prestazione accessoria riferendola anche alle prestazioni effettuate da un terzo, purché rese per conto di chi ha realizzato l’operazione principale, avvalorando così la tesi per cui anche un controllo di fatto del prestatore principale sul terzo implicherebbe automaticamente che la prestazione sia effettuata per suo conto (cfr. Cass. 9 gennaio 2019, n. 351). Diversamente, tuttavia, in altra ipotesi il giudice di legittimità ha sostenuto che «la diversità di soggetto che ha provveduto alla cessione dei beni (il fornitore dei beni mobili e del servizio, da un lato; l’appaltatore, dall’altro) non consente di operare una valutazione di unitarietà dell’operazione e di attrarre al regime di imponibilità per la cessione del fabbricato da parte del mandatario anche la diversa operazione negoziale di acquisto di beni mobili e servizi da altro soggetto» (cfr. Cass. 28 gennaio 2020, n. 1852). Sempre in ordine ai criteri per l’individuazione della nozione di accessorietà la Suprema Corte dando risalto al fine perseguito dal cliente- committente ha, altresì, ritenuto che «quando si è in presenza di una pluralità di prestazioni occorre tener conto della complessiva attività economica svolta, ed in particolare, della specifica finalità perseguita, sicché proprio in relazione alla suddetta finalità, una prestazione è da considerarsi accessoria quando non costituisce il fine ultimo, ma il mezzo per il raggiungimento della effettiva finalità economia perseguita» (cfr. Cass. 14 gennaio 2020, n. 419). Così, anche la Corte di Cassazione indugia nella ricerca meticolosa di distinzioni particolari e di dettagli formali delle operazioni ritenendo, ad esempio, circostanza rilevante l’unicità del corrispettivo pattuito dalle parti o la prevalenza delle risorse umane dedicate alla resa dell’operazione principale rispetto a quelle utilizzate per l’operazione accessoria (diffusamente in argomento, si rinvia alle considerazioni di Salvati A., Autonoma rilevanza delle operazioni a fini IVA e prestazioni accessorie, cit.).

3. Dinanzi a tale quadro estremamente frammentario sarebbe opportuno sostenere che l’inesistenza di un fine proprio risulterebbe incompatibile con la causa tipica connessa ad una prestazione assicurativa caratterizzata, invece, da uno scopo preciso ed autonomo ovvero la manlevazione dal rischio che costituisce l’oggetto stesso del negozio (in questi termini, limpidamente, si esprime Salvati A., Prestazioni assicurative e accessorietà ai fini IVA, in Rass. trib., 2013, 5, 1163).

Ed è proprio a questa ricostruzione interpretativa che si informa la conclusione, in esame, raggiunta dalla Suprema Corte volta a valorizzare apprezzabilmente e compiutamente il requisito primario indicato dalla giurisprudenza europea attinente la finalità oggettiva e soggettiva delle operazioni.

Argomentando in tal senso, infatti, si sgombra il campo da orientamenti di prassi e di legittimità che, ancorati all’esigenza di integrare criteri di massima con una serie minuziosa di distinguo, scontano un evidente deficit in termini di prevedibilità delle decisioni dell’organo giudicante confermando la sussistenza, anche nella giurisprudenza di legittimità, di incertezze interpretative riguardo al perimetro della nozione di accessorietà.

In merito a quest’ultimo profilo, a fronte della mancanza di una definizione tecnica di accessorietà, può comunque notarsi che si tratta di un concetto trasversale a diversi settori dell’ordinamento, dai diritti reali, ai contratti fino alle obbligazioni. Ciò però, come è stato efficacemente rilevato, non implica necessariamente l’impossibilità di elaborare un concetto il più generale possibile (per efficaci considerazioni metodologiche, sul punto., v. Santoro Passarelli F., Dottrine generali del diritto civile, Napoli, 2002, 83; Perlingieri P., Il diritto civile nella legalità costituzionale, Napoli, 2006, II, 697 ss.).

In primo luogo è, sicuramente, di immediata percezione che la nozione di accessorio è un concetto di relazione (in tema si veda Albano R., voce Pertinenza, in Enc. giur., vol. XXIII, Roma, 1991, 3) sicchè è più corretto riferirsi al rapporto fra accessorio e principale (e viceversa). Un’ulteriore caratteristica strutturale primaria dell’accessorietà è rappresentata, poi, dal rapporto gerarchico e di dipendenza che lega l’accessorio al principale nel senso che l’accessorio è a servizio del principale, di solito per il perseguimento di uno scopo unitario (cfr. Gambaro A., La proprietà, in Iudica G. – Zatti P., a cura di, Trattato di diritto privato, Milano, 1990, 30 ss.).

In sintesi, il termine accessorio evoca tre regole logiche prima che giuridiche: la prima è che l’accessorio segue le sorti di un altro elemento che individua il quid definibile come principale: accessorium sequitur principale; la seconda è che nell’accessorio sembra implicita una differenza di importanza quantitativa sicchè l’accessorio sarebbe meno importante del principale; la terza è che l’accessorio è subordinato al principale e funzionalizzato, più o meno strettamente, alla realizzazione dello scopo e delle ragioni proprie del principale. Detta caratteristica è certamente la più importante sia in quanto solo la finalità di realizzare uno scopo comune e perseguire interessi unitari spiega l’attrazione di disciplina esercitata dal principale e sia perché essa, rispetto alle altre caratteristiche, è l’unica indefettibile che consente di ricondurre a sistema il fenomeno (in questi termini e per più ampie considerazioni sul tema, si veda Ceolin M., Sul concetto di accessorietà nel diritto privato, Torino, 2017, 16).

Il termine accessorio, implica, dunque, che vi sia un elemento essenziale sul quale è improntata la disciplina di riferimento ed al quale si conforma il regime dell’operazione accessoria. É, pertanto, importante soffermarsi sulla funzione che l’accessorio svolge per trarne la nozione.

Nel solco di questa impostazione, la Suprema Corte, nella pronuncia in commento,  in maniera opportuna non si sofferma nella disamina, spesso foriera di incertezze qualificatorie, dei diversi criteri empirici di volta in volta individuati nella prassi ma si concentra sulla valorizzazione della funzionalità oggettiva e soggettiva delle operazioni valutando, sulla scorta dell’originaria linea ricostruttiva delineata dalla Corte di Giustizia, il nesso funzionale esistente tra le prestazioni e la causa delle operazioni realizzate. In questa prospettiva, andrebbe valorizzata l’accezione della causa come origine, motivo, ragione determinante, trattandosi dell’unico elemento assorbente per stabilire se una prestazione è accessoria ad un’altra.

Pur non entrando nel merito delle ben note difficoltà incontrate dall’interprete nella definizione del concetto di causa (Ferrara F. jr., Teoria dei contratti, Napoli, 1940, 127, definisce in maniera emblematica la causa come un «oggetto vago e misterioso») occorre, quindi, superare il concetto di causa in senso oggettivo, intesa quale funzione economico – sociale del negozio (si tratta della formulazione risalente ad Betti E., voce Causa del negozio giuridico, in Noviss. dig. it., III, Torino, 1957, 32 ss.) che conduce l’interprete dell’atto negoziale a pretermettere la valutazione della concreta situazione, delle circostanze pratiche e degli scopi pratici la cui tendenziale persecuzione ha indotto le parti a concludere il contratto (cfr. Bianca C.M., Diritto civile, vol. III, Il contratto, Milano, 2000, 363) per soffermarsi invece nell’analisi dell’interesse concretamente perseguito dalle parti nel caso di specie ossia della ragione pratica dell’affare (in tal senso Cass., Sez. Un., 6 marzo 2015, sent. . 4628).

Senza individuare la funzione economico sociale delle operazioni, sarebbe allora necessario ricercare la “causa” intesa come «lo scopo pratico del negozio, la sintesi, cioè, degli interessi che lo stesso è concretamente diretto a realizzare» (in questi termini cfr. Cass. civ., sez. III, sent. 8 maggio 2006, n. 10490; per la ricostruzione del nucleo fondamentale della concezione della causa “in concreto” per tutti, v. Ferri G.B., Negozio giuridico, in Dig. disc. priv., sez. civ., XI, Torino, 1994, nonché dello stesso Autore, Equivoci e verità sul negozio giuridico e la sua causa, in Rivista internazionale di filosofia del diritto, 2008, 2, 171 ss.).

In questa più moderna ricostruzione, la causa integra l’espressione oggettivata delle finalità soggettive che le parti contraenti, attraverso il negozio medesimo, vogliono perseguire. Da tale assetto, dunque, si delinea la nozione di causa alla quale opportunamente la Suprema Corte si riferisce ossia quella di giustificazione razionale della convenzione e, quindi, di ultima e superiore sintesi degli interessi dei soggetti che ad essa hanno dato vita (in tema, si rimanda alle efficaci considerazioni di Sacco R., voce Causa, in Digesto disc. priv., sez. civ., 2014).

Conclusivamente, si osserva che la via della certezza e della semplificazione seguita dalla Suprema Corte con la pronuncia in commento ha il sicuro pregio di orientare l’interprete nell’individuazione delle diverse ipotesi applicative che, sovente, hanno generato aporie ricostruttive particolarmente evidenti.

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

Albano R., voce Pertinenza, in Enc. giur., vol.  XXIII, Roma, 1991, 3

Betti E., voce Causa del negozio giuridico, in Noviss. dig. it., III, Torino 1957, 32 ss.

Bianca C.M., Diritto civile, vol. III, Il contratto, Milano, 2000, 363

Comelli A., IVA comunitaria e IVA nazionale, Contributo alla teoria generale dell’imposta sul valore aggiunto, Padova, 2000

Ceolin M., Sul concetto di accessorietà nel diritto privato, Torino, 2017

Ferrara F. jr., Teoria dei contratti, Napoli 1940, 127

Ferri G.B., Negozio giuridico, in Dig. disc. priv., sez. civ., vol. XI, Torino, 1994

Ferri G.B., Equivoci e verità sul negozio giuridico e la sua causa, in Rivista internazionale di filosofia del diritto, 2008, 2, 171 ss.

Gambaro A., La proprietà, in Iudica G. – Zatti P. (a cura di), Trattato di diritto privato, Milano, 1990, 30 ss.

Logozzo M., Le prestazioni accessorie seguono il regime IVA dell’operazione principale: il caso delle “slot machine”, in Riv. giur. trib., 2010, 6, 526 ss.

Montanari F., Le operazioni esenti nel sistema dell’IVA, Torino, 2013

Perlingieri P., Il diritto civile nella legalità costituzionale, Napoli, 2006, II, 697 ss.

Sacco R., voce Causa, in Digesto disc. priv., sez., civ., 2014

Santoro Passarelli F., Dottrine generali del diritto civile, Napoli, 2002, 83 ss.

Salvati A., Prestazioni assicurative e accessorietà ai fini IVA, in Rass. trib., 2013, 5, 1161 ss.

Salvati A., Autonoma rilevanza delle operazioni a fini IVA e prestazioni accessorie, in Riv. tel. dir. trib., 2022, 1, X, 367 ss.

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