RECENTISSIME DALLA CASSAZIONE TRIBUTARIA  – Cass., 16 marzo 2023, n. 7682 – Ricognizione di debito e imposizione di registro: le SS.UU. sciolgono il nodo e colgono nel segno

Di Angelo Contrino -

La massima della Suprema Corte (*)

Il deposito di documento a fini probatori in un procedimento contenzioso non costituisce caso d’uso in relazione all’art. 6 D.P.R. n. 131/1986. La scrittura privata non autenticata di ricognizione di debito che abbia carattere meramente ricognitivo di situazione debitoria certa, non avendo per oggetto prestazione a contenuto patrimoniale, è soggetta a imposta di registro in misura fissa, ai sensi dell’art. 4 della Tariffa, Parte II solo in caso d’uso. Il giudice deve pervenire alla qualificazione della natura dell’atto all’esito della sua interpretazione ai sensi dell’art. 20 TUR e laddove, a prescindere dal nomen iuris di ricognizione di debito adoperato, si riconosca alla dichiarazione un effetto modificativo di una situazione giuridica obbligatoria preesistente, che assuma rilevanza patrimoniale, tornerà applicabile l’art. 3 della Tariffa, Parte I, con obbligo di registrazione in termine fisso, da assoggettare ad imposta proporzionale dell’1%, da applicare al valore del bene o del diritto oggetto dell’atto dichiarativo (art. 43, comma 1, lett. a, TUR), come espresso nello stesso atto dichiarativo.

 

Il (tentativo di) dialogo

Con la sentenza in commento – dopo aver chiarito che per la sussistenza del “caso d’uso” ex art. 6 TUR è necessario che il deposito dell’atto avvenga presso le cancellerie giudiziarie nell’esplicazione di attività amministrative, con conseguente irrilevanza del deposito in sede di procedimento giurisdizionale, e che non sia essere oggetto di un obbligo, ma il frutto di una valutazione discrezionale della parte che lo compie, essendo “il presupposto teleologico” a fondare l’obbligo di registrazione in “caso d’uso” e non il mero deposito a concretizzarlo – le SS.UU. risolvono, finalmente, il conflitto creatosi nella giurisprudenza di legittimità, e presente da alcuni lustri, sul regime applicabile ai fini dell’imposizione di registro agli atti di ricognizione di debito, che sono privi di una disciplina espressa.

Tre sono state le tesi interpretative in campo.

Per la prima, la ricognizione di debito rientrerebbe nell’ambito dell’art. 9 della Tariffa, Parte I, D.P.R. n. 131/1986, che, in via residuale, assoggetta all’imposizione proporzionale nella misura del 3 per cento gli «(a)tti diversi da quelli altrove indicati aventi per oggetto prestazioni a contenuto patrimoniale»: ciò, essenzialmente, in ragione del fatto che l’obbligazione certificata in una scrittura ricognitiva di debito presenterebbe il requisito della “patrimonialità”. Per la seconda, invece, la fattispecie in esame dovrebbe essere ricondotta in seno all’art. 3 della Tariffa, Parte I, che prevede l’assoggettamento all’imposta proporzionale nella misura dell’1 per cento degli «(a)tti di natura dichiarativa, relativi a beni o rapporti di qualsiasi natura», sempre soggetti all’obbligo di registrazione in termine fisso: ciò sul presupposto che – laddove non risulti l’esistenza dell’atto costitutivo di un rapporto patrimoniale sottostante e, dunque, non sia possibile verificare se per esso risulti già versata o meno l’imposta dovuta – la relativa dichiarazione sarebbe priva di contenuto patrimoniale, non comportando alcuna innovazione rispetto all’obbligazione contratta. Secondo il terzo orientamento, infine, la ricognizione di debito avrebbe natura di mera dichiarazione di scienza, rispetto alla quale sarebbe pertanto applicabile l’art. 4 della Tariffa, Parte II, secondo cui sono assoggettate in caso d’uso a imposta di registro in misura fissa le scritture private non autenticate non aventi per oggetto prestazioni a contenuto patrimoniale: ciò perché essa non apporta alcuna modificazione né rispetto alla sfera patrimoniale del debitore che la sottoscrive, né a quella del creditore che la riceve, limitandosi a confermare un’obbligazione già preesistente.

In risoluzione del contrasto della giurisprudenza sezionale della Cassazione, le Sezioni Unite hanno ritenuto preferibile il terzo orientamento, non mancando, correttamente, di precisare che, a prescindere dal nomen iuris di ricognizione di debito adoperato, risulterà applicabile l’art. 3, della Tariffa, Parte I che prevede l’assoggettamento a imposizione proporzionale di registro nella misura dell’1 per cento, laddove, in sede di qualificazione della natura dell’atto ai sensi dell’art. 20 TUR, si dovesse riconoscere alla dichiarazione un effetto modificativo di una situazione giuridica obbligatoria preesistente, che assume rilevanza patrimoniale.

La conclusione raggiunta dalle SS.UU. è pienamente condivisibile e coglie nel segno.

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Nel prevedere che la promessa di pagamento o la ricognizione di un debito dispensa colui a favore del quale è fatta dall’onere di provare il rapporto fondamentale, l’art. 1988 c.c. presuppone l’esistenza di una situazione incerta che il debitore intende eliminare, con effetto retroattivo, mediante un atto che non costituisce affatto fonte di obbligazione, poiché l’obbligazione sottostante alla dichiarazione del debitore è già esistente, né modifica o estingue tale obbligazione, limitandosi a dispensare il creditore dall’onere di provare il rapporto sottostante (c.d. astrazione processuale).

Alla luce di ciò, va immediatamente escluso che la ricognizione del debito rientri negli atti di cui all’art. 9 della Tariffa, Parte I, non foss’altro perché l’atto in questione non determina alcuna modificazione nella sfera patrimoniale delle parti suscettibile di valutazione economica.

Ai fini dell’inquadramento, l’alternativa è, dunque, fra gli atti di natura dichiarativa di cui all’art. 3 della Tariffa, Parte I, e quelli non aventi a oggetto prestazioni a contenuto patrimoniale, che sono disciplinati dall’art. 11 della Tariffa, Parte I, se recati in “atti pubblici e scritture private autenticate”, e nell’art. 4 della Tariffa, Parte II, se recati in “scritture private non autenticate”: nella sentenza in commento si fa riferimento a quest’ultima disposizione perché la ricognizione di debito era stata fatta mediante una scrittura privata non autenticata.

Nella sistematica del prelievo di registro, l’art. 11 della Tariffa, Parte I, e l’art. 4 della Tariffa, Parte II, fungono da complementari clausole residuali, con funzione di chiusura, deputate ad accogliere tutti gli atti non previsti specificamente in altre voci e “non aventi per oggetto prestazioni a contenuto patrimoniale”, a complemento dell’art. 9 della Tariffa, Parte I, che attrae, sempre con funzione di chiusura, gli atti parimenti estranei altre voci ma “aventi per oggetto prestazioni a contenuto patrimoniale”, così evitandosi una discriminazione che sarebbe stata del tutto ingiustificata sotto il profilo della ragionevolezza (artt. 3 e 53 Cost.).

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La soluzione della tassazione del riconoscimento di debito nel quadro dell’art. 3 della Tariffa, Parte I – pur affermata, oltre che in giurisprudenza, anche in dottrina, sul presupposto che la ricognizione non può essere assimilata alla remissione del debito, con la quale il creditore dismette il proprio diritto, in quanto il riconoscimento del debito non produce alcun effetto innovativo o estintivo dell’obbligazione cui si riferisce, ma elimina dubbi e contestazioni, attraverso una dichiarazione di scienza rilevante sotto il profilo probatorio – non pare sostenibile.

Ciò perché la fattispecie di cui al citato art. 3 presenta un perimetro applicativo ristretto che non comprende gli atti di mero accertamento ricadendo all’interno dello stesso solo gli atti dichiarativi che incidono comunque sulla realtà preesistente, rafforzando, specificando o affievolendo le situazioni giuridiche stesse. E tale non può essere considerato l’atto di riconoscimento di debito, che – come evidenziato – non determina conseguenza alcuna sul piano sostanziale, ma soltanto la c.d. astrazione processuale. Per gli atti di natura meramente ricognitiva, qual è la ricognizione di debito, l’applicazione dell’imposta proporzionale si appalesa del tutto fuori luogo e ingiustificata, se appena si considera che tale soluzione altererebbe quella gerarchia espressa dalla Tariffa, in termini di graduazione della misura della tassazione in funzione degli effetti giuridici degli atti e delle caratteristiche dei beni oggetto dei medesimi, che affonda le sue radici nel principio di capacità contributiva.

L’atto di ricognizione del debito si configura, in sostanza, alla stregua di una mera dichiarazione di scienza, che, come tale, va ricompresa tra gli atti pubblici o le scritture private autenticate di cui all’art. 11 della Tariffa, Parte I, ovvero tra le scritture private non autenticate di cui all’art. 4 della Tariffa, Parte II, da tassare con imposta fissa, non determinando l’atto che – come evidenziato immediatamente in apertura – alcuna variazione nel patrimonio dell’autore e dei destinatari ne possa giustificare la riconduzione nell’alternativa clausola residuale di cui art. 9 della Tariffa, Parte I, riservata agli atti innominati aventi contenuto patrimoniale.

La conclusione non muta nel caso in cui la ricognizione di debito sia contestuale a un atto di costituzione di una garanzia reale (ipoteca o pegno), che normalmente menziona anche il rapporto obbligatorio sottostante, donde il cumulo della tassa fissa dovuta per la ricognizione con quella dovuta per la costituzione della garanzia ai sensi dell’art. 6 della Tariffa. In ossequio al principio di alternatività IVA – Registro, il tributo va applicato in misura fissa anche al riconoscimento di debito che rappresenti un’articolazione interna di un unitario rapporto di finanziamento soggetto a IVA.

* La rubrica – come l’intera Rivista – è aperta a tutti coloro che intendono contribuire al progresso del diritto tributario, in generale, e al miglioramento della sua applicazione, in particolare, nella specie con interventi di commento della giurisprudenza di legittimità dialogici e costruttivi, scevri di polemiche e posizioni partigiane.

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