Sul discrimine tra operazioni soggettivamente ed oggettivamente inesistenti nel reato di dichiarazione fraudolenta: punti fermi ed evoluzioni nella giurisprudenza di legittimità
Di Francesca Prosperi
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(commento a/notes to Cass. pen., sez. III, 29 marzo 2023, n. 13096)
Abstract
Molte sono le pronunce giurisprudenziali aventi ad oggetto il reato di dichiarazione fraudolenta mediante l’uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (art. 2 D.Lgs. n. 74/2000). Volendo ricondurre a un filo conduttore comune la variegata casistica, si evince come sia radicato l’assunto per cui tale reato sarebbe configurabile, con riguardo all’evasione dell’imposte dirette, solo qualora vi siano operazioni oggettivamente inesistenti ovvero vengano esposti nelle dichiarazioni dei costi mai sostenuti, ma non anche quando le operazioni siano solo soggettivamente simulate. Cogliendo l’occasione offerta dalla lettura della pronuncia in commento, e ricostruita tale impostazione tradizionale e maggioritaria, il presente articolo si propone di fornire uno sguardo “oltre” tale panoramica, valutando quelli che appaiono gli spiragli e le pulsioni a cui copiosa recente giurisprudenza e dottrina non sembrano restare indifferenti.
On the distinction between subjectively and objectively non-existent transactions in the crime of fraudulent declaration: fixed points and evolutions in the jurisprudence of Supreme Court. – There are many case law rulings on the integration of the offence of fraudulent declaration through the use of invoices or other documents for non-existent transactions (Article 2 of Legislative Decree No. 74/2000). If we want to trace this wide variety of cases back to a common thread, it is clear that the assumption is rooted that such a crime would be configurable, in the context of direct tax evasion, when the transactions objectively do not exist or when the declarations include costs that have never been incurred, but not when the transactions are only subjectively simulated. Taking advantage of the opportunity offered by the reading of the judgment in commentary, and having reconstructed this traditional and majority approach, the present article aims to look “beyond” this overview, evaluating what appear to be the glimmers and impulses to which the numerous recent jurisprudences and doctrines do not seem to remain indifferent.
Sommario:1. I fatti di causa e le questioni sollevate nella sentenza in commento. – 2. La soluzione interpretativa offerta dalla Suprema Corte: per la configurabilità del reato di cui art. 2 D.Lgs. n. 74/2000 le operazioni soggettivamente inesistenti rilevano «se non altro ai fini dell’evasione dell’IVA». – 3. Il celato accenno al discrimine tra operazioni oggettivamente e soggettivamente inesistenti: un raffronto della pronuncia in esame con Cass. pen., sez. III, 28 novembre 2022, n. 45114. – 4. I recenti approdi della giurisprudenza: la configurabilità della fattispecie di cui all’art. 2 D.Lgs. n. 74/2000 non subisce alcuna distinzione a seconda dell’imposta evasa (sul reddito o IVA).
1. Con la sentenza in commento, la Cassazione penale, sez. III, è tornata nuovamente a delineare i confini del reato di dichiarazione fraudolenta mediante l’uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti disciplinato dall’art. 2 D.Lgs. n. 74/2000.
La vicenda oggetto della pronuncia ha visto due soggetti, uno in qualità di referente gestionale di fatto e l’altro di amministratore di diritto di una società, ricorrere in Cassazione avverso la sentenza della Corte di Appello di Torino del giugno 2022, la quale aveva confermato la loro penale responsabilità per il reato di cui agli artt. 110 c.p. e 2 D.Lgs. n. 74/2000.
Più nel dettaglio, per i giudici di primo e di secondo grado, tali soggetti – al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto – avrebbero indicato nella dichiarazione annuale relativa a tali imposte presentata nel settembre 2012, elementi passivi fittizi costituiti da fatture apparentemente emesse da altra società, ma relative a prestazioni inesistenti, conseguendo in tal modo una ingente evasione dell’IVA.
Plurimi sono i motivi di doglianza eccepiti dalle parti ricorrenti, relativi in particolare a vizi di motivazione della sentenza di secondo grado, vizi di travisamento di prove nonché attinenti all’elemento soggettivo del reato.
Inoltre, e per quanto qui di interesse, una delle parti ricorrenti eccepiva altresì l’erroneità della pronuncia della Corte d’Appello per essere stata ritenuta integrata la fattispecie de qua nonostante la mancata contestazione del reato di emissione delle fatture al legale rappresentante della società qualificata come emittente.
2. Ritenendo infondate le doglianze delle parti ricorrenti, la Suprema Corte ha confermato la configurabilità in capo ai soggetti del reato di cui art. 2 D.Lgs. n. 74/2000, espressamente avvalorando la possibilità di imputare il medesimo anche a titolo di dolo eventuale (ex multis da ultimo v. Cass. pen., sez. III, 30 novembre 2022, n. 27. Per un approfondimento sul punto v. Grande M., Il dolo specifico del reato di cui all’art. 2 c.i.g. n. 74/2000 è compatibile con il dolo eventuale[Osservazioni a sentenza] Sez. III, 19/6/2018 (dep. 21 /11/2018), n. 52411, in Cassazione penale, 2019, 5/6, 2268 – 2271).
Quanto alla circostanza della mancata contestazione del reato di emissione delle fatture al legale rappresentante della società qualificata come emittente, la Corte di Cassazione ne ha sottolineato apertamente l’irrilevanza, giacché perfino nell’imputazione tali fatture venivano indicate come «apparentemente emesse» dall’altra società, lasciandosi in tal modo aperta come «prospettiva plausibile» quella per cui tali documenti fossero stati in realtà artificiosamente creati da soggetti diversi dagli amministratori della società medesima.
Più in particolare, a tacitazione della doglianza, è stato evidenziato come il reato de quo ben sia configurabile anche nel caso in cui la falsa documentazione venga creata dal medesimo utilizzatore che la faccia poi apparire come proveniente da terzi, e ciò perché – afferma la Cassazione – la “ratio” del reato di frode fiscale risiede nel fatto di punire colui che artificiosamente si precostituisce dei costi sostenuti al fine di abbattere l’imponibile, non presupponendosi il concorso del terzo (cfr. Cass. pen., sez. feriale, 17 ottobre 2017, n. 47603).
Affermazione, quest’ultima, che non desta sorpresa, trovando conferma nell’assunto per cui in alcune ipotesi – come già in altra recente occasione ricordato dai giudici di legittimità – in caso di autofattura mendace poi utilizzata dal medesimo soggetto ben possano configurarsi sia il reato di cui all’art. 8 D.Lgs. n. 74/2000 (i.e. emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti), sia il reato in esame di cui all’art. 2 D.Lgs. n. 74/2000 (di recente v. Cass. pen., sez. III, 24 gennaio 2023, n. 2859. Per un approfondimento sui limiti del concorso tra le fattispecie incriminatrici de quibus, Santoriello C., Non risponde del reato di emissione di fatture false l’utilizzatore che redige il documento fiscale, [Nota a Cass. pen., sez. III, 11 aprile 2022, n. 13686], in il fisco, 2022, 19, 1881 ss.).
Per la Suprema Corte, inoltre, neppure l’effettività delle operazioni con soggetti diversi dalla società ipotizzata quale emittente varrebbe ad escludere la fittizietà «quantomeno soggettiva» delle fatture indicate nell’imputazione, con conseguente indiscutibile configurabilità del reato di cui all’art. 2 D.Lgs. n. 74/2000 «se non altro ai fini dell’evasione dell’IVA» (i.e. l’imposta di cui si contesta l’evasione nella vicenda in disamina nella pronuncia).
E infatti, come da costante giurisprudenza di legittimità, in ipotesi di utilizzazione di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, i costi relativi alle stesse non sono mai deducibili, con la conseguenza che la loro indicazione in dichiarazione configura una finalità di evasione e realizza un corrispondente profitto senza che rilevi in senso contrario la circostanza che, pur avendo sostenuto tali costi nei confronti del soggetto fittiziamente interposto, il destinatario della fattura sia tenuto a corrispondere nuovamente l’IVA al soggetto che ha realmente fornito la prestazione, quale normale conseguenza di ogni interposizione fittizia (in tal senso v. anche Cass. pen., sez. III, 9 luglio 2019, n. 29977).
3. Le argomentazioni offerte dalla Suprema Corte nella pronuncia in esame lasciano spazio a talune riflessioni in considerazione anche di altre statuizioni rinvenibili in altrettanto recente giurisprudenza di legittimità.
Nella riportata affermazione della configurabilità del reato di cui all’art. 2 D.Lgs. n. 74/2000 «se non altro ai fini dell’evasione dell’IVA», è possibile ravvisare un celato riferimento della Suprema Corte al tradizionale orientamento giurisprudenziale secondo cui il reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni inesistenti sarebbe configurabile, con riguardo all’evasione dell’imposte dirette, solo qualora vi siano operazioni oggettivamente inesistenti ovvero vengano esposti nelle dichiarazioni dei costi mai sostenuti, ma non anche quando le operazioni siano solo soggettivamente simulate, cioè quando la fattura riporti l’indicazione di nominativi diversi rispetto agli effettivi partecipanti all’operazione imponibile (ex multis v. Cass. pen., sez. III, 17 aprile 2019 n. 16768. Per un approfondimento del rapporto tra operazioni soggettivamente simulate ed eterodirezione societaria si veda, in particolare, la recente Cass. pen., sez. III, 4 novembre 2022, n. 32506 con nota di Sassara G., L’eterodirezione non è sufficiente a provare l’inesistenza dell’operazione, in il fisco, 2022, 40, 3855 ss.).
E ciò perché, come parte della dottrina ha rilevato, gli elementi passivi corrispondenti a costi documentati, ma ricondotti a soggetti diversi a quelle erogatori della prestazione o del servizio, non dovrebbero essere considerati fittizi (v. Lanzi A. – Aldrovandi P., Diritto penale tributario, Milano, 2020, 353, nota 31).
Più nel dettaglio, per spiegare le ragioni che hanno indotto la giurisprudenza penale a restringere il campo di applicazione dell’art. 2 D.Lgs. n. 74/2000 alla dichiarazione fraudolenta IVA, è utile evidenziare i profili prettamente fiscali che sorreggono le conclusioni di copiosa giurisprudenza tributaria in merito alla deducibilità dei costi connessi a fatture per operazioni soggettivamente inesistenti (da ultimo di recente Cass. civ., sez. V, 29 agosto 2022, n. 25474).
Ineludibile punto di partenza con riferimento alle imposte sui redditi è rappresentato dall’art. 8 D.L. n. 16/2012 (conv., con modifiche, in L. n. 44/2012), il quale ha limitato i presupposti del divieto di deducibilità dei cosiddetti “costi da reato”, sancito dal novellato comma 4-bis dell’art. 14 L. n. 537/1993.
Come giurisprudenza di legittimità ha rilevato, ai sensi dell’art. 14, comma 4-bis, L. n. 537/1993 (come modificato dall’art. 8, comma 1, D.L. n. 16/2012 conv. con modifiche in L. n. 44/2012) sono da considerare deducibili per l’acquirente dei beni i costi delle operazioni soggettivamente inesistenti – inserite o meno in una “frode carosello” – per il solo fatto che essi sono sostenuti, anche per l’ipotesi che l’acquirente sia consapevole del carattere fraudolento delle operazioni, salvo che si tratti di costi che a norma del TUIR (D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917), siano in contrasto con i principi di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità, ovvero di costi relativi a beni o servizi «direttamente utilizzati» per il compimento di un delitto non colposo (in tal senso, da ultimo Cass. civ., sez. V, 5 aprile 2022, n. 11020. Per un approfondimento dottrinale su tali tematiche v. exmultis Bagarotto E.M., L’applicazione della novellata disciplina in materia di ‘costi da reato’ agli effetti reddituali degli acquisti conclusi nell’ambito delle c.d. frodi carosello, in Riv. trim. dir. trib., 2013, 2, 267 ss.; Giovannini A., “Cartiere”, “pizzo” e costi di reato nelle imposte sui redditi, in Corr. trib., 2014, 28, 2171-2178).
Si è trattata di una importante novità, dal momento che fino all’avvento della citata novella del 2012 (peraltro operante – in ragione del successivo comma 3 – quale jussuperveniens con efficacia retroattiva in bonam partem) anche nel caso delle operazioni soggettivamente inesistenti venivano considerati indeducibili i relativi costi (v. Cass. civ., sez. VI – 5, 6 luglio 2018, n. 17788. Per un approfondimento in dottrina v. Tundo F., Clausola di retroattività “pro reo” e disciplina in tema di deducibilità dei costi da reato [Nota a Cass. pen., sez. III. 2 luglio 2014, n. 28440], in Corr. trib., 2014, 35, 2685 – 2690).
In particolare, come rilevato dai giudici di legittimità sulla scorta della relazione al D.D.L. di conversione del D.L. n. 16/2012, la nuova normativa comporta che, poiché nel caso di operazioni soggettivamente inesistenti, i beni acquistati – di regola – non sono stati utilizzati direttamente per commettere il reato ma, nella maggior parte dei casi, per essere commercializzati, non è più sufficiente il coinvolgimento, anche consapevole, dell’acquirente in operazioni fatturate da soggetto diverso dall’effettivo venditore perché non siano deducibili, ai fini delle imposte dirette, i costi relativi a dette operazioni, ferma restando la verifica della concreta deducibilità dei costi stessi in relazione ai requisiti generali di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità ai sensi del summenzionato TUIR (ex multis Cass. civ., sez. V, 30 ottobre 2013, n. 24426).
Premesso tutto quanto sopra, l’indicazione di un soggetto diverso da quello che ha effettuato la fornitura è pacificamente rilevante ai fini dell’IVA, dal momento che la qualità dei venditore può incidere sulla misura dell’aliquota e, conseguentemente, sull’entità dell’imposta che l’acquirente può legittimamente detrarre, fondandosi il sistema dell’IVA sul presupposto che tale imposta sia versata a chi ha eseguito prestazioni imponibili, «non entrando nel conteggio del dare ed avere ai fini IVA le fatture emesse da chi non è stato controparte nel rapporto relativo alle operazioni fatturate, per cui esporre dati fittizi anche solo soggettivamente significa creare le premesse per un rimborso al quale non si ha diritto» (Cass. pen., sez. III., 12 gennaio 2022, n. 471).
In sintesi, dunque, l’orientamento in esame perviene ad attribuire all’inesistenza soggettiva una rilevanza diversa a seconda del tipo di imposta oggetto del «mendacio documentale» (così D’Altilia L., Il reato di dichiarazione fraudolenta per operazioni “soggettivamente” inesistenti: un discutibile caso di assimilazione della prova penale a quella civile [Nota a Cass. pen., sez. III, 10 novembre 2021, n. 40560], in Giurisprudenza commerciale, 2022, 4, 836 ss.).
Seppure tale discrimine non abbia interessato il caso esaminato (discorrendosi, come si evince, della sola imposta IVA), il riferimento costituisce occasione per la breve disamina di un’altra recentissima pronuncia della giurisprudenza di legittimità, ossia Cass. pen., sez. III, 28 novembre 2022, n. 45114, ove la Suprema Corte si è dimostrata meno restia ad accogliere una interpretazione estensiva della norma incriminatrice.
Nel caso vagliato da quest’ultima pronuncia, il legale rappresentante di una S.r.l. proponeva ricorso in Cassazione avverso la sentenza Corte di Appello di Brescia che (tra i plurimi aspetti), in parziale riforma della sentenza primo grado, aveva confermato la dichiarazione responsabilità dello stesso per il reato di cui all’art. 2 D.Lgs. n. 74/2000.
Più nel dettaglio, era stata addebitata al ricorrente l’integrazione della fattispecie di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni inesistenti per l’anno d’imposta 2011 per il tramite di fatture aventi ad oggetto prestazioni derivanti da contratto di somministrazione irregolare di manodopera, “schermato” da quello di appalto di servizi: era stato infatti riconosciuto che i contratti d’appalto tra plurime società coinvolte fossero in realtà accordi simulatori finalizzati a occultare il rapporto di lavoro subordinato irregolare di alcuni operai con la S.r.l., sì come rappresentata dal legale rappresentante ricorrente. Quanto all’imposta evasa, era stato riconosciuto nella sentenza impugnata che l’utilizzazione delle fatture in esame non avesse inciso sulla detraibilità dell’IVA stante l’applicazione del regime del c.d. reverse charge, bensì sulla sola imposta sui redditi: il ricorrente aveva utilizzato le fatture emesse formalmente in relazione a prestazioni derivanti da contratto di appalto di servizi ai soli fini della determinazione del reddito di impresa, ma non per effettuare detrazioni ai fini IVA, in quanto i documenti contabili erano stati emessi in regime di inversione contabile.
Partendo da tale assunto, parte ricorrente denunciava – per quanto qui di interesse – la violazione di legge, in riferimento al citato art. 2 D.Lgs. n. 74/2000, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b), c.p.p., con riguardo alla ritenuta sussistenza del reato di specie.
La sentenza impugnata, infatti, avrebbe illegittimamente ritenuto configurabile la fattispecie de qua in riferimento alla determinazione del reddito di impresa sulla base di documenti fiscali solo “soggettivamente” inesistenti, in quanto comunque relativi alla fornitura di manodopera (per approfondimenti sulla casistica affine, Viglione A., Interposizione illecita di manodopera e dichiarazione fraudolenta: per la prima volta l’ente va a processo per l’utilizzo di false fatture [Nota a Cass. pen., sez. III, 28 aprile 2022, n. 16302], in Le Società, 2022, 11, 1296 ss.). Parte ricorrente – a sostegno della propria eccezione – richiamava il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità summenzionato, affermando che il reato de quo poteva ritenersi integrato con riguardo all’evasione delle imposte dirette solo in caso di operazioni oggettivamente simulate.
In merito, la Suprema Corte ricorda che le fatture per operazioni inesistenti sono anche «quelle che si connettono, ad esempio, al compimento di un negozio giuridico apparente diverso da quello realmente intercorso tra le parti (inesistenza giuridica per simulazione relativa)» (in tal senso dispone in motivazione l’analizzata Cass. pen., sez. III, 28 novembre 2022, n. 45114). A tale conclusione si perverrebbe dalla lettura dell’art. 1, comma 1, lett. a), D.Lgs. n. 74/2000, secondo per fatture o altri documenti per operazioni inesistenti si intendono quelli «emessi a fronte di operazioni non realmente effettuate in tutto o in parte o che indicano i corrispettivi o l’imposta sul valore aggiunto in misura superiore a quella reale, ovvero che riferiscono l’operazione a soggetti diversi da quelli effettivi»: da tale previsione normativa sarebbe stato ricavato nel tempo il principio secondo cui oggetto della sanzione di cui all’art. 2 D.Lgs. n. 74/2000 è ogni tipo di divergenza tra la realtà commerciale e la sua espressione documentale, tenuto conto dello speciale «coefficiente di insidiosità» che si connette all’utilizzazione della falsa fattura (cfr., in tal senso, Cass. pen., sez. III, 15 gennaio 2008 n. 1996).
Occorre, tuttavia, evidenziare come una parte della dottrina abbia ritenuto tale nodo non centrale alla problematica avanzata dalla sentenza, ravvisando nella qualificazione come contratto di appalto o di servizio di una mera attività di somministrazione di mano d’opera una ipotesi di fattura inesistente: in tal caso, infatti, non si sarebbe in presenza di una prestazione arrecata da un soggetto diverso da quello documentato in fattura, menzionandosi «un contratto che nei fatti non esiste» (cfr. Santoriello C., Non deducibili i costi da contratti nulli e l’utilizzo delle relative fatture integra il reato di dichiarazione fraudolenta [Nota a Cass. pen., sez. III, 28 novembre 2022, n. 45114], in il fisco, 2023, 4, 372 ss.; per ulteriori osservazioni in merito, Id., L’interposizione illegale di manodopera non esclude il concorso con il reato di utilizzo di false fatture [Nota Cass. pen., sez. III, 30 marzo 2022, n. 11633), in il fisco, 2022, 18, 1780 ss.; Id., Arriva la prima condanna ex lege 231 di una società per un illecito fiscale (Nota a Cass. pen., Sez. III, 28 aprile 2022, n. 16302) in il fisco, 2022, 21, 2089 ss.).
Tanto premesso, ciò che occorre rilevare, ai fini della presente trattazione, è come in tale seconda sentenza (Cass. pen., sez. III, 28 novembre 2022 n. 45114), la Suprema Corte – seppure investita di un caso del tutto peculiare concernente una ipotesi di nullità del contratto – non sia apparsa affatto titubante nel ritenere erroneo l’assunto per cui il ricorso a fatture soggettivamente inesistenti assuma rilevanza penale solo in caso di (illegittimo) abbattimento dell’IVA.
Conclusione, questa, che non è dissimile a quella raggiunta già da qualche anno per il reato di emissione di fatture per operazioni inesistenti (art. 8 D.Lgs. n. 74/2000), che dovrebbe ritenersi integrato, con riguardo alle imposte dirette, anche in caso di inesistenza soggettiva della operazione ovvero quella relativa alla diversità tra soggetto che ha effettuato la prestazione e quello indicato in fattura (cfr. in senso conforme, Cass. pen.. sez. III, 19 gennaio 2016, n. 24307; alla medesima conclusione con riferimento all’art. 2 D.Lgs. n. 74/2000 è giunta anche la già cit. Cass. pen., sez. III, 24 gennaio 2023, n. 2859, per cui «la fittizietà soggettiva della fattura può legittimamente essere considerata indizio, non certo risolutivo, ma nemmeno del tutto irrilevante, in ordine alla inaffidabilità complessiva della stessa, e, quindi, alla inesistenza dell’operazione, quanto meno negli esatti termini economici documentati»).
Quanto alla ratio di fondo, differentemente dal primo orientamento più “garantista” nei confronti del reo, tale diversa impostazione, ritiene che la disposizione di cui all’art. 14, comma 4-bis, L. n. 537/1993 si sia limitata a stabilire una regola per le procedure di accertamento tributario, non avendo tuttavia alcuna incidenza sulla configurabilità delle condotte di dichiarazione fraudolenta sanzionate dall’art. 2 D.Lgs. n. 74/2000 (ex multis Cass. pen., sez. III, 7 luglio 2015, n. 42994).
4. L’analisi della giurisprudenza di legittimità passata in rassegna consente di trarre qualche considerazione finale.
Partendo dal pacifico assunto per cui – ai fini dell’integrazione del reato di cui all’art. 2 D.Lgs. n. 74/2000 – ciò che rileva è l’indicazione di elementi passivi fittizi nella dichiarazione avvalendosi di fatture per operazioni inesistenti (non rilevando, invece, il carattere soggettivo ovvero oggettivo dell’inesistenza), la sua configurabilità si differenzia in relazione al tipo di imposta evasa a seconda dell’impostazione che si adotta.
Da una parte, copiose pronunce della Suprema Corte, avallate dal sostegno di parte della dottrina, ritengono che nell’ambito della fattispecie de qua debba ricondursi espressamente la rilevanza dell’inesistenza soggettiva esclusivamente alla dichiarazione fiscale ai fini IVA. Soluzione, quest’ultima, che fa leva sull’assunto secondo cui, per le imposte dirette, l’utilizzazione di fatture soggettivamente inesistenti quanto dell’emittente non conduce, di per sé, all’indicazione di elementi passivi fittizi. È, quella sintetizzata, una impostazione tradizionale e ancora oggi maggioritaria, di cui sembra dare atto – tra le righe – la prima pronuncia oggetto di disamina (Cass. pen., sez. III, 14 febbraio 2023, n. 13096). Dall’altra, vi un diverso orientamento giurisprudenziale e dottrinale, con il quale occorre confrontarsi, che è nel senso di una interpretazione più estensiva della rilevanza del reato in esame, che postula la configurabilità della fattispecie di cui all’art. 2 D.Lgs. n. 74/2000 a prescindere dalla distinzione a seconda dell’imposta evasa (sul reddito o IVA) e, conseguentemente, del carattere soggettivo od oggettivo dell’inesistenza delle operazioni rappresentate nelle fatture o nei documenti equivalenti (Cass. pen., sez. III, 15 novembre 2019, n. 1998). Data la rilevanza che la questione riveste ai fini pratici, un intervento chiarificatore delle Sezioni Unite non potrebbe che accogliersi con favore.
Peraltro, si evidenzia come la casistica giurisprudenziale interessi per lo più le c.d. frodi carosello, dove l’inesistenza oggettiva si riferisce all’emittente il documento, dovendosi tuttavia tenere conto anche dell’altra species di operazioni soggettivamente inesistenti, nelle quali è ravvisabile un’interposizione fittizia di una qualsiasi delle parti effettive delle operazioni contrattuali.
È proprio con riferimento a tali operazioni che le valutazioni sottese al secondo filone giurisprudenziale possono assumere un particolare rilievo.
Seppure indubbio l’intento unificatore che anima il primo più “garantista” orientamento di legittimità avente altresì il pregio di delineare un filo conduttore nel dualismo del sistema penale-tributario, occorre tuttavia rilevare quanto segue.
Ferma la necessaria verifica – in ogni prospettiva adottata – della concreta deducibilità dei costi stessi in relazione ai requisiti generali di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità così come prescritta dal TUIR, si ritiene come ai fini la configurabilità della fattispecie di cui all’art. 2 D.Lgs. n. 74/2000 con riferimento alle imposte sui redditi, non possa in alcuni casi ignorarsi del tutto aprioristicamente la consapevolezza che i soggetti nutrano circa la fittizietà delle operazioni poste in essere, dovendosi piuttosto attribuire rilevanza all’elemento soggettivo, in modo particolare quando i soggetti coinvolti scontano aliquote diverse di tassazione.
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Santoriello C., Arriva la prima condanna ex lege 231 di una società per un illecito fiscale (Nota a Cass., 28 aprile 2022, n. 16302), in il fisco, 2022, 21, 2089 ss.
Santoriello C., L’interposizione illegale di manodopera non esclude il concorso con il reato di utilizzo di false fatture (Nota a Cass. pen., sez. III, 30 marzo 2022, n. 11633), in il fisco, 2022, 18, 1780 ss.
Santoriello C., Non risponde del reato di emissione di fatture false l’utilizzatore che redige il documento fiscale (Nota a Cass. pen., sez. III, 11 aprile 2022, n. 13686), in il fisco,2022, 19, 1881 ss.
Santoriello C., Rilevanza penale delle fatture soggettivamente inesistenti anche ai fini delle imposte sui redditi (Nota a Cass. pen., sez. III, 17 maggio 2017, n. 24307), in il fisco, 2017, 24, 2389 ss.
Sassara G., L’eterodirezione non è sufficiente a provare l’inesistenza dell’operazione (Nota a Cass. pen., sez. III, 5 settembre 2022, n. 32506), in il fisco, 2022, 40, 3855 ss.
Traversi A. – Gennai S., I nuovi delitti tributari, Milano, 2000, 261 ss.
Traversi A. – Gennai S., I delitti tributari: profili sostanziali e processuali, II ed., 2011, Milano, 49 ss.
Tundo F., Clausola di retroattività “pro reo” e disciplina in tema di deducibilità dei costi da reato (Nota a Cass. pen., sez. III, 2 luglio 2014, n. 28440), in Corr. trib., 2014, 35, 2685 – 2690
Viglione A., Interposizione illecita di manodopera e dichiarazione fraudolenta: per la prima volta l’ente va a processo per l’utilizzo di false fatture (Nota a Cass. pen., sez. III, 28 aprile 2022, n. 16302), in Le Società, 2022, 11, 1296 ss.
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