Attività di trasporto aereo effettuata da società estera nell’ambito di un contratto di wet lease e stabile organizzazione in Italia

Di Rita Verde -

(commento a/notes to Cass., ord. 29 novembre 2022, n. 35138)

Abstract

L’impresa estera che eserciti un’attività di trasporto aereo nelle forme del contratto di wet lease si considera avere una stabile organizzazione in Italia, ai fini delle imposte sui redditi, quando dispone nel territorio dello Stato di almeno una base di servizio nella quale operi sia una quota di lavoratori subordinati con mansioni di equipaggio di condotta e di cabina sia una dotazione di mezzi costituita da una flotta di aerei. Tale struttura di mezzi umani e tecnici deve essere dotata di un grado di permanenza tale da istituire un collegamento non episodico con il territorio dello Stato e deve essere in grado di generare un’autonoma attività economica rispetto a quella svolta dalla società madre, costituita dallo svolgimento di tratte di volo domestiche. Ai fini IVA, occorre la prova che la medesima struttura organizzativa sia in grado di fornire un’autonoma prestazione di servizi senza la partecipazione della società madre.

Air transport activity carried out by a foreign company according to a wet lease agreement and permanent establishment in Italy. – The foreign company that carries out an air transport activity in the forms of the wet lease contract is considered to have a permanent establishment in Italy, for income tax purposes, when it has at least one service base in the territory of the State in which it operates both subordinate workers with flight and cabin crew duties and an endowment of means consisting of a fleet of aircraft. This structure of human and technical means must be endowed with a degree of permanence such as to establish a non-episode connection with the territory of the State and must be able to generate an independent economic activity with respect to that carried out by the parent company, constituted by carrying out of domestic flight segments. For VAT purposes, there is need to prove that the same organizational structure is able to provide an independent provision of services without the participation of the parent company.

 

 

Sommario: 1. Cenni introduttivi. – 2. La questione pregiudiziale e la soluzione della Cassazione. – 3. La stabile organizzazione “aerea” ai fini dell’imposizione diretta. – 4. La stabile organizzazione ai fini dell’imposizione indiretta. – 5. Conclusioni.

1. Con sentenza 29 novembre 2022, n. 35138, la Cassazione si è pronunciata su una particolare questione concernente l’imponibilità in Italia dei redditi d’impresa realizzati da una società fiscalmente residente all’estero (più precisamente con sede in Romania) esercente attività di trasporto aereo di linea di passeggeri che effettuava voli domestici e internazionali in base a contratti di noleggio di aeromobile comprensivo di equipaggio (wet lease).

2. La questione sottoposta alla Corte traeva origine dall’accertamento effettuato nei confronti della società non residente con il quale venivano recuperati sia maggiori IRES e IRAP, sia maggiore IVA sul presupposto che la società avesse localizzato una stabile organizzazione sul territorio dello Stato. La società resisteva ed impugnava tali avvisi di accertamento dinanzi alla Commissione tributaria provinciale del Lazio sostenendo, al contrario, l’inesistenza di una stabile organizzazione in Italia e con essa, la conseguente assenza di soggettività tributaria nel nostro ordinamento ai fini dell’imposizione diretta e indiretta. I giudici di primo e di secondo grado accoglievano le argomentazioni della società estera e negavano nella fattispecie la sussistenza della stabile organizzazione in quanto, con riferimento a questa particolare tipologia contrattuale, si riteneva che la stipula di contratti di noleggio comprensivo di equipaggio (wet lease) non avesse comportato per la contribuente, in qualità di vettore operativo, l’approntamento di una stabile organizzazione in Italia idonea a svolgere un’autonoma attività economica. Più precisamente, ad avviso del giudice di appello, la stipula di contratti di wet lease con varie compagnie aeree escludeva l’esistenza di una stabile organizzazione sul territorio dello Stato, giacché la stipula di contratti e l’emissione dei biglietti aerei veniva effettuata dal solo vettore contrattuale (lessee) e non anche da quello operativo, concentrandosi esclusivamente sul ruolo svolto dall’esercente dell’aeromobile in quanto titolare dei voli.

Per meglio inquadrare la questione, occorre partire dalla definizione della fattispecie contrattuale in esame alla quale le compagnie aeree ricorrono sempre più frequentemente. Il wet lease – denominato noleggio di aeromobile comprensivo di equipaggio, ai sensi dell’art. 2, n. 25, Regolamento 24 settembre 2008, n. 1008 – è un contratto di utilizzo dell’aeromobile, in forza del quale il soggetto esercente l’aeromobile (lessor) si obbliga nei confronti di un altro vettore, dietro corrispettivo, ad effettuare viaggi per il trasferimento di persone o di merci nel tempo previsto contrattualmente. La formula di wet lease alla quale si ricorre più frequentemente è quella della ACMI (Aircraft, Crew, Maintenance, Insurance), con la quale il lessor si impegna a compiere uno o più viaggi fornendo un aeromobile (locatio operis) dotato di equipaggio ed accollandosi i costi assicurativi relativi al rapporto di noleggio. Dalla suesposta definizione emerge la distinzione tra il soggetto che esegue il volo (vettore operativo) e il soggetto che stipula i contratti di trasporto ed emette biglietti aerei nei confronti dei passeggeri (vettore contrattuale) (sulla nozione di “vettore aereo operativo”, cfr. Corte di Giustizia UE, sentenza 4 luglio 2018, causa C-532/17, Wirth e a.). Il lessee riesce, in tal modo, ad aumentare la propria capacità di servizio senza dover necessariamente aumentare la flotta mentre il soggetto esercente l’aeromobile ha la certezza dell’utilizzazione più remunerativa dei propri aeromobili operando in un mercato nel quale non è presente con una propria rete commerciale e affidandosi a compagnie aeree note che effettuano prestazioni di trasporto della propria clientela. La natura dell’obbligazione principale assunta dal lessor qualifica il contratto in questione nell’ambito dei contratti di trasporto di persone (cfr. La Spina M.P., Cenni su alcune figure contrattuali atipiche nel trasporto aereo, in Rivista di Diritto dell’Economia, dei Trasporti e dell’Ambiente, 2011, vol. IX, 207 ss.; Masutti A., Il diritto aeronautico. Lezione, casi e materiali, Torino, 2009).

La Cassazione è stata chiamata, nella sentenza in esame, a pronunciarsi sulla possibilità e sulle condizioni per le quali un’impresa non residente che eserciti attività di trasporto aereo nelle forme contrattuali del wet lease possa ritenersi disporre sul territorio dello Stato di una stabile organizzazione. In particolare, i giudici di legittimità, ai fini della effettiva configurazione di tale stabile organizzazione, hanno ritenuto opportuno valutare se la dotazione di mezzi costituita dalla flotta aerea fosse caratterizzata da un grado di permanenza tale da istituire un collegamento non episodico con il territorio dello Stato in grado di generare un’attività economica autonoma rispetto a quella svolta dalla società madre. Nell’ambito della suddetta valutazione, i giudici di ultima istanza hanno esaminato partitamente la nozione di stabile organizzazione ai fini delle imposte dirette e ai fini dell’IVA.

3. Con riferimento al profilo delle imposte sui redditi, la Suprema Corte conclude che la società estera (lessor) aveva stabilito in Italia una flotta aerea e distaccato una quota di personale di bordo rilevando, al contempo, il mancato accertamento, nei precedenti gradi di giudizio, dell’esistenza sia di una sede fissa di affari sia dello svolgimento, attraverso tale sede fissa, di un’attività di impresa.

Il tentativo di meglio individuare i confini della potestà impositiva dell’ordinamento nei confronti di una società non residente con particolare riferimento al criterio della sede fissa di affari – intesa come strumentale allo svolgimento dell’attività economica – richiama la nozione di stabile organizzazione prevista dal TUIR. Come noto, la disciplina convenzionale contenuta all’art. 5, par. 1 del Modello OCSE – e sostanzialmente trasfusa nell’art. 162 TUIR – prevede che con l’espressione stabile organizzazione si designi una sede fissa di affari localizzata sul territorio nazionale da un soggetto estero per mezzo della quale l’impresa non residente esercita in tutto o in parte la sua attività nel territorio dello Stato rendendosi così suscettibile di imposizione da parte dello Stato stesso. Ebbene, nella fattispecie in commento, tale disciplina va integrata con riferimento alla fattispecie contrattuale del wet lease e con la previsione di una nozione di “base” di vettore aereo. La nozione di “base” considerata dall’art. 38 («Disposizioni finanziarie»), comma 1, D.L. 18 ottobre 2012, n. 179 conv. con L. 17 dicembre 2012, n. 221 si identifica «in un insieme di locali e di infrastrutture a partire dalle quali un’impresa esercita in modo stabile, abituale e continuativo un’attività di trasporto aereo, avvalendosi di lavoratori subordinati che hanno in tale base il loro centro di attività professionale, nel senso che vi lavorano, vi prendono servizio e vi ritornano dopo lo svolgimento della propria attività». Come evidenziato dall’Agenzia delle Entrate nella circ. 3 maggio 2013, n. 12/E, la disposizione in commento è finalizzata a ricondurre nell’ambito della normativa nazionale i vettori aerei esteri che si avvalgono di discipline più favorevoli stabilendo, pertanto, l’assoggettamento a tassazione in Italia dei redditi prodotti dai vettori aerei che dispongono di una “base” sul territorio dello Stato.

La base operativa dotata di infrastrutture e personale configurerebbe, sempre ad avviso dell’Agenzia, una stabile organizzazione obbligando le compagnie aeree operanti nel territorio nazionale mediante le predetti basi ad assolvere gli obblighi tributari in Italia, presumendo che tutti i vettori aerei titolari di una licenza rilasciata da uno Stato membro dell’Unione europea diverso dall’Italia, siano considerati stabiliti sul territorio dello Stato allorquando esercitano in modo stabile, continuativo e abituale un’attività di trasporto aereo a partire da una “base”. Da tale definizione generale, la base di un vettore aereo presuppone, dunque, ai fini delle imposte sui redditi e all’IRAP, la contemporanea sussistenza dei tre elementi costitutivi della stabile organizzazione: il place of business, la fissità spaziale e temporale di tale sede e lo svolgimento dell’attività di impresa, in tutto o in parte, attraverso la predetta base.

Come rilevato dalla dottrina, con riferimento alla fattispecie contrattuale del wet lease, la previsione normativa disciplinata dall’art. 38 del citato decreto legge integra una nozione “speciale” di stabile organizzazione, introdotta proprio al fine di prevenire gli eventuali fenomeni di abuso posti in essere dalle imprese che esercitano servizi di trasporto aereo e che, beneficiando delle lacune esistenti nel nostro ordinamento, sottraggono ad imposizione le attività svolte direttamente nel territorio dello Stato (cfr. Baggio R. – Tosi L., Lineamenti di diritto tributario internazionale, VII ed., Padova, 2022, 142). La concreta novità introdotta dalla disposizione normativa in commento riguarda in primo luogo la previsione di un’ulteriore ipotesi positiva di stabile organizzazione, senza incidere sulla nozione generale di cui all’art. 162, comma 1, TUIR per i vettori aerei c.d. low cost e, non meno importante, la conseguente configurazione di un obbligo previdenziale nei confronti del personale di bordo collocato negli aeroporti italiani (Corte di Giustizia UE, sentenza 19 maggio 2022, causa C-33/21, punto 56, INPS c. Ryanair DAC; e come osservato da Marino G., La “base” di vettore aereo: tanto rumore per nulla?, in Atti del Convegno su La stabile organizzazione, Fondazione Antonio Uckmar, nell’ambito de I Venerdì di Diritto e pratica tributaria, 11-12 ottobre 2013).

La norma consente, pertanto, di includere nella nozione di stabile organizzazione anche le più snelle strutture aeroportuali che, diversamente dai vettori aerei tradizionali, operano attraverso il sistema delle basi operative, in quanto pianificano il loro traffico a partire da più basi operative dalle quali si originano e terminano tutti i voli della giornata (ognuna di queste dispone di un determinato numero di aerei, personale e servizi di terra, ma è previsto che alla fine della giornata sia gli aerei sia il personale ritornino alla propria base operativa di partenza).

4. Dopo aver affrontato la questione sotto il profilo delle imposte sui redditi, la Suprema Corte affronta il tema della configurabilità della stabile organizzazione ai fini IVA. A tal fine, è necessario far emergere immediatamente la differenza tra la nozione di stabile organizzazione ai fini delle imposte dirette e quella di stabile organizzazione ai fini IVA, la quale risulta molto più circoscritta.

In via preliminare, nel settore dell’IVA – imposta armonizzata in ambito comunitario – più che la ricerca di una definizione di stabile organizzazione è sempre prevalsa l’esigenza di individuare i criteri per definire la territorialità delle cessioni di beni e delle prestazioni di servizi; territorialità rilevante ai fini della definizione del presupposto dell’imposta. Prima dell’emanazione del Regolamento del Consiglio UE 15 marzo 2011, n. 282, la nozione di stabile organizzazione ai fini IVA – in assenza di una norma positiva – è stata ricostruita in base alla giurisprudenza della Corte di Giustizia. La disciplina contenuta nella Sesta Direttiva n. 77/388/CE, al fine di identificare il criterio di individuazione del luogo delle prestazioni di servizi, all’art. 9, comma 1, si limitava alla nozione di «un centro di attività stabile a partire dal quale la prestazione di servizi viene resa». Nella successiva Direttiva 2006/112/CE, gli artt. 43 e 44 avevano sostituito, per identificare il luogo delle prestazioni di servizi, la nozione di centro di attività stabile con quello di stabile organizzazione, senza peraltro fornire ulteriori precisazioni al riguardo.

La nozione di stabile organizzazione ai fini IVA viene attualmente identificata, ai sensi dell’art. 11, parr. 1 e 2, Regolamento n. 282/2011, con qualsiasi organizzazione, diversa dalla sede dell’attività economica, caratterizzata da un grado sufficiente di permanenza ed una struttura adeguata in termini di risorse umane e tecniche atte a consentirle di effettuare la fornitura di beni o servizi di cui assicura la prestazione (si veda la decisione della Corte di Giustizia UE, sentenza 3 giugno 2021, causa C-931/19, punto 42, Titanium; Corte di Giustizia UE, sentenza 28 giugno 2007, causa C-73/06, punto 54, Planzer Luxembourg). Anche ai fini IVA possono essere richiamati I medesimi requisiti sopra citati per le imposte sui redditi verificando, dunque, ai fini della sussistenza di una stabile organizzazione, sia l’esistenza di un elemento materiale di carattere organizzativo (insieme di locali ed infrastrutture), sia il criterio della fissità dell’organizzazione (grado di sufficiente permanenza). Ai fini IVA, tuttavia, la nozione di stabile organizzazione si discosta da quella prevista per le imposte sui redditi, per quanto concerne l’ultimo requisito giacché non si richiede lo svolgimento di un’attività economica autonoma, quanto piuttosto l’idoneità a fornire i servizi di cui assicura la prestazione (cd. S.O. attiva). In merito, occorre rilevare che l’art. 53 del Regolamento sopra citato prevede che se un soggetto passivo dispone di una stabile organizzazione nel territorio di uno Stato in cui è dovuta l’IVA, al fine di considerare tale stabile organizzazione come soggetto partecipante alla cessione di tali beni o alla prestazione di servizi, è necessario che i mezzi tecnici o umani di detta stabile organizzazione siano utilizzati per operazioni inerenti alla realizzazione della cessione di tali beni o della prestazione di tali servizi effettuata nello Stato. Nella fattispecie in commento la Cassazione richiama una precedente pronuncia della Corte di Giustizia che si è interrogata su una questione particolare, ovverosia se il debitore d’imposta sia il soggetto passivo che fornisce una prestazione di servizi oppure il destinatario di tale prestazione quando quest’ultima è fornita da una stabile organizzazione situata nel territorio dello Stato in cui l’IVA è dovuta. Sul punto, la Corte ha affermato che, in linea di principio, è debitore dell’IVA il solo soggetto passivo che fornisce una prestazione di servizi e dispone di una stabile organizzazione nel territorio di uno Stato membro in cui tale imposta è dovuta (Corte di Giustizia UE, sentenza 23 aprile 2015, causa C-111/14, GST – Sarviz AG Germania). Ai fini IVA, dunque, l’esistenza di una stabile organizzazione di beni e personale di un soggetto non residente idonea a fornire i servizi di cui assicura la prestazione radica in Italia il presupposto dell’imposta.

5. Dalla lettura della pronuncia in commento, dunque, i giudici di legittimità, pur sottolineando la permanente distinzione tra le due nozioni di stabile organizzazione ai fini delle imposte sui redditi e ai fini IVA, ravvisano nella fattispecie in esame i connotati di entrambe le nozioni di stabile organizzazione e tale approdo risulta in linea con la ratio della norma prevista all’art. 38, comma 1, D.L. n. 179/2012 che ha inteso proprio introdurre, come ha evidenziato la citata dottrina, una fattispecie particolare di stabile organizzazione. Con la disposizione normativa in commento, in definitiva, si è inteso riconoscere potestà impositiva allo Stato per quelle fattispecie “particolari” che, a causa dalla lacunosità della normativa previgente, avrebbero potuto dar luogo ad abusi, benché l’attività svolta in concreto integrasse sia il collegamento con il territorio dello Stato tale da far scattare l’obbligo impositivo ai fini delle imposte sui redditi sia il presupposto della territorialità ai fini IVA.

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