Nel saggio si affronta il tema dei possibili riflessi del processo di digitalizzazione nell’attuazione della pretesa tributaria sulla configurazione sostanziale di fattispecie imponibili e parametri quantitativi per la determinazione dei tributi.
Intervention on the relevance of data in determining taxable income in the digital era. – The essay deals with the issue of the possible effects of the digitization process in the implementation of the tax claim on the substantial configuration of taxable cases and quantitative parameters for the determination of taxes.
Sommario:1. Modalità digitali nel trattamento dei dati e innovazioni nella disciplina sostanziale dei tributi. – 2. Rilevazione dei “flussi di cassa” e imposte sul reddito. – 3. La “liquidità” come indice di capacità contributiva. – 4. L’imposizione dei “sovra-redditi”. – 5. Il “tetto obbligatorio sui ricavi di mercato”: si tratta di un tributo?
1. Devo innanzi tutto ringraziare anch’io gli organizzatori di questo convegno, ed in particolare la professoressa Carpentieri, che mi ha indotto ad intervenire in un dibattito a prima vista incentrato sui profili dell’attuazione dei tributi in un contesto di sempre più accentuata digitalizzazione dell’Amministrazione finanziaria (ed in buona parte anche dei contribuenti) prospettandomi il tema dei possibili riflessi di quel processo sulla configurazione sostanziale di fattispecie imponibili e parametri quantitativi per la determinazione dei tributi.
In effetti la scelta di partecipare a questo incontro si rivela decisamente positiva, non solo per l’eccellente accoglienza, l’ottima cena, il meraviglioso panorama e questo bellissimo palazzo, proteso sul golfo, ma, direi soprattutto, per gli spunti offerti dagli interventi già svolti ed in particolare dalla relazione della stessa professoressa Carpentieri.
L’utilizzazione di modalità digitali e di tecniche informatiche per la rappresentazione delle attività economiche, la conservazione, la trasmissione, la raccolta ed il controllo dei dati rende infatti possibili approcci innovativi nella formulazione delle regole per la determinazione quantitativa dei risultati dell’attività economica, ma l’innovazione può anche coinvolgere la stessa identificazione e definizione dei presupposti dei relativi tributi evidenziando, al limite, l’eventualità di una sostanziale modifica degli indici di capacità contributiva.
2. Il primo tema che ci viene prospettato si connette alla più agevole e diffusa possibilità di controllo digitale dei flussi di liquidità facenti capo a ciascun operatore economico. Risulta cioè oggi più agevole un rapido controllo dell’effettivo introito dei proventi in denaro degli imprenditori, che consentirebbe la generalizzazione del criterio di cassa, da molti considerato più rispondente ad esigenze di effettività dell’indice di capacità contributiva.
Ma, come vedremo, si possono ipotizzare anche altre e più rilevanti modifiche dell’attuale disciplina delle imposte sui redditi d’impresa.
Premesso che queste più agevoli possibilità di riscontro non sembrano attualmente estese ai pagamenti in contanti ed a quelli effettuati in moneta digitale, si potrebbe notare, nelle proposte di concentrare la determinazione delle basi imponibili sui “flussi di cassa”, un’ovvia tendenza a ridurre, nella disciplina della determinazione del reddito imponibile, la rilevanza dei beni e dei diritti (cose materiali o intangibili, ma anche crediti e debiti, in particolare quelli di natura finanziaria) e delle loro vicende.
Una rigorosa concentrazione sui flussi di cassa della disciplina degli imponibili renderebbe, ad esempio:
irrilevanti costi e proventi “in natura”;
inoperanti tecniche di “imputazione” (ad esempio, per trasparenza) dei redditi;
incoerenti i riferimenti alla disciplina dei redditi “figurativi” (come, ad esempio, i redditi catastali).
Certo, questi non sono profili essenziali della disciplina del reddito d’impresa, ma si inizia a percepire un discostamento dall’originario e tradizionale suo impianto.
L’irrilevanza delle vicende di beni e diritti potrebbe poi consentire scelte negoziali con riflessi per lo meno dilatori circa il momento dell’assoggettabilità ad imposta dei risultati dell’attività economica. Già da tempo si discute circa l’idoneità della permuta ad evidenziare un momento realizzativo (ad esempio, di plusvalenze) e l’accentuazione della rilevanza dei “flussi di liquidità” potrebbe dare supporto sistematico ad una soluzione del problema nel senso della totale irrilevanza. Ma il fenomeno potrebbe estendersi ad ulteriori scelte negoziali (compensazioni volontarie, dazioni in pagamento, transazioni, e così via) orientate, per lo meno, a rinviare nel tempo le vicende “di cassa” che costituirebbero la naturale attuazione dei singoli rapporti obbligatori od il risultato della cessione di beni o diritti. Anzi, se restasse ferma l’ipotesi dell’assoluta irrilevanza dei rapporti finanziari facenti capo all’imprenditore, ogni scelta di destinare beni o crediti all’estinzione delle obbligazioni nei confronti dei finanziatori comporterebbe una definitiva corrispondente riduzione della base imponile.
Infine, se il riferimento ai flussi di liquidità fosse così esclusivo da implicare il superamento e l’abbandono della disciplina relativa alla “destinazione a finalità estranee all’esercizio dell’impresa” (che non implica vicende “di cassa”), si verrebbero a legittimare forme di definitiva sottrazione all’imposta di risultati positivi dell’attività economica, talvolta anche di rilevante entità.
In conclusione, il riconoscimento di un maggior rilievo alle vicende della “liquidità” potrebbe mantenersi nell’ambito di una mera integrazione dell’attuale disciplina dell’imposizione dei redditi d’impresa solo se non fossero soppresse quelle sue articolazioni che oggi impediscono eccessivi rinvii del prelievo o addirittura definitive esclusioni dall’imponibile di componenti essenziali di quello che viene tradizionalmente considerato reddito d’impresa. In altri termini, la nozione stessa di reddito d’impresa richiede che l’eventuale estensione del criterio di cassa per l’imputazione temporale delle componenti reddituali non escluda la permanenza di ulteriori vicende realizzative delle componenti stesse (fra le quali le già accennate modalità di estinzione di rapporti obbligatori, talune operazioni permutative, la destinazione a finalità estranee all’esercizio dell’impresa).
Altrimenti, un’imposizione rapportata esclusivamente alle variazioni della “liquidità” verrebbe a configurare un nuovo e diverso tributo, per la cui applicazione risulterebbero tendenzialmente irrilevanti le variazioni patrimoniali che non incidono sui “flussi di cassa”: in sostanza, un’imposta sulla “liquidità” in quanto tale.
3. L’indice di capacità contributiva cui questo nuovo tributo avrebbe riguardo potrebbe essere approssimativamente definito come facoltà di immediata ed incondizionata destinazione di potenzialità economiche all’attività svolta, all’investimento o al consumo. Sembra però evidente che tale facoltà, in quanto tale, non deriva esclusivamente dalla sussistenza di posizioni attive “a credito” su conti correnti od altri rapporti con banche od intermediari finanziari: analoga disponibilità può, ad esempio, derivare da aperture di credito, assistite o meno da garanzie reali prestate dall’imprenditore, e sussiste a prescindere da obbligazioni di successivo “rientro” o comunque rapporti di provvista.
Il riferimento ad indici di capacità contributiva di questo tipo, connotati da “potere di comando” sul mercato, potrebbe riproporre il tema del raffronto fra l’imposizione dei loro incrementi nel periodo (i “flussi”) e quello della complessiva misura (lo stock) del potere stesso in un dato momento.
Come è noto, il nostro sistema tributario già conosce un’imposta patrimoniale sulle disponibilità bancarie, per la quale il riferimento alla “liquidità” come indice di capacità contributiva potrebbe anche valere come argomento a confutazione delle tesi di chi dubita dell’effettività della capacità contributiva colpita per mancata considerazione dei rapporti obbligatori che eventualmente neutralizzino la valenza economica dei saldi attivi disponibili.
La coesistenza di un’imposta sui “flussi” e di una patrimoniale sulla liquidità non costituirebbe, in sé, un’anomalia in un sistema in cui, accanto alle imposte sui redditi, sono state istituite in passato ed attualmente sussistono imposte patrimoniali. Piuttosto, la presenza di più tributi sulla “liquidità” accentuerebbe i tratti di “realità” e frammentarietà di un sistema tributario che non solo ha abbandonato l’idea dell’imposta unica, onnicomprensiva, sul reddito o sul patrimonio, ma non persegue neppure il risultato di assoggettare ad imposta, anche con tributi diversi, tutti i redditi e tutte le componenti patrimoniali.
4. Disponibilità immediata e possibilità di rapida elaborazione dei dati da parte dell’Amministrazione finanziaria possono anche incidere altrimenti sulle scelte sostanziali attinenti la configurazione di nuovi tributi, soprattutto quando si prospetti l’esigenza di intervenire rapidamente, in relazione a improvvise variazioni dell’andamento economico o degli assetti di mercato.
In generale, l’interesse ad utilizzare, per l’accertamento e la riscossione di un tributo, elementi, dati ed informazioni acquisiti ed elaborati ai fini dell’attuazione di tributi preesistenti ha sempre influenzato le scelte legislative. Basti pensare alle tradizionali opzioni in tema di collegamento tra tributi, dall’assunzione di identici presupposto ed imponibile (nei casi di sovrimposizione), all’identificazione dell’imponibile con l’ammontare di altro tributo (nelle addizionali), alla selezione di porzioni del presupposto o dell’imponibile di istituti fiscali preesistenti (nei casi di discriminazione qualitativa), al riferimento ad una parte soltanto dei dati che concorrono a determinarli (come si è fatto, con scelta non del tutto felice, per l’IRAP).
Più o meno recenti vicende dei mercati energetici hanno riproposto la figura dell’imposizione dei “sovra-redditi”, che implica la selezione, come presupposto e parametro di un nuovo tributo, di parte del reddito assoggettato (od assoggettabile) alla relativa imposta.
L’individuazione della porzione del reddito assunta a presupposto di questa tipologia di tributi, che, come ci ricorda Vieri Ceriani, ha i suoi precedenti storici remoti nelle imposte sui profitti straordinari di guerra istituite dopo i due conflitti mondiali del secolo scorso, non si fonda su di un mero criterio quantitativo (la progressività secondo misura dell’imponibile mi sembra d’altronde recessiva nel sistema). Infatti la definizione del “sovra-reddito” si basa essenzialmente su due criteri: la natura straordinaria ed eccezionale dell’assetto del mercato in cui opera il contribuente e l’eccedenza rispetto ad una misura “ordinaria” del reddito. L’ordinarietà non è però riferita, oggettivamente, ad un ipotetico assetto “normale” del mercato, ma, soggettivamente, desunta da un raffronto con la media dei redditi posseduti dal medesimo contribuente nei periodi precedenti. Parrebbe trattarsi di una valutazione della velocità dell’incremento del reddito come indice di maggiore e diversa capacità contributiva, in qualche modo assimilabile a quella che, nella disciplina delle imposte sugli incrementi di valore degli immobili, giustificava una maggior imposizione a fronte del minor intervallo di tempo in cui l’incremento si fosse verificato.
Questa tipologia di tributo sembrerebbe presupporre la precedente operatività di un’imposta ordinaria sul reddito, per lo meno sul reddito d’impresa, ed utilizzare, per la sua applicazione, dati ed elaborazioni contabili strumentali alla determinazione della medesima imposta ordinaria, cosicché le vicende del tributo “dipendente”, dalla dichiarazione, ai controlli, alla riscossione, sono collegate, anche temporalmente, a quelle del tributo “principale”.
A questo modello parrebbe conformarsi il “contributo di solidarietà sugli extraprofitti” di cui agli artt. 13 e seguenti della Proposta di regolamento recentemente elaborata dal Consiglio dell’Unione Europea. Si tratta infatti di un prelievo sicuramente di natura tributaria, temporaneo, applicabile agli esercenti attività nei settori dell’estrazione, raffinazione e distribuzione dei combustibili fossili, e agli “utili eccedenti” (quindi ad una porzione del reddito imponibile), corrispondenti alla parte eccedente il 20% dell’aumento dell’utile imponibile rispetto alla media degli imponibili del triennio precedente.
A prescindere da ulteriori profili di incostituzionalità che saranno sicuramente rilevati in un prossimo futuro, il tributo delineato nella proposta di regolamento sembra rispondere ai requisiti individuati dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 10/2015 per la legittimità costituzionale di un prelievo fiscale che aggravi eccezionalmente il trattamento fiscale di talune categorie di imprese, purché in relazione a particolari e straordinarie situazioni di mercato, solo per un tempo limitato ed assumendo ad imponibile una parte (il “sovra-reddito”) del risultato economico dell’attività.
Da questo modello diverge, invece, il “contributo di solidarietà contro il caro bollette” già introdotto nel nostro ordinamento dall’art. 37 D.L. n. 21/2022, convertito nella L. n. 51/2022. L’esigenza di realizzare immediatamente un gettito rilevante già nel corso dell’anno 2022 ha infatti indotto il legislatore italiano a prendere a base per la determinazione del prelievo dati disponibili nel corso dell’anno, cioè i dati relativi all’applicazione dell’IVA risultanti dalle dichiarazioni periodiche.
Il presupposto di quello che decisamente si configura come un “nuovo” tributo parrebbe identificarsi con un incremento del saldo fra fatturato IVA a valle ed a monte rispetto a quello rilevabile in precedenti periodi d’imposta. L’indice di capacità contributiva cui si ha riguardo si pone al di fuori dell’area del reddito: non si tratta di imposizione di un sovra-reddito, ma di una diversa misura dell’andamento dell’attività economica e dei suoi risultati.
La divergenza rispetto ai criteri elaborati nella sentenza n. 10/2015 è evidente ed è già stata posta a base di rilievi di illegittimità costituzionale. In attesa dei primi provvedimenti dei giudici innanzi ai quali le questioni sono state sollevate e quindi di probabili interventi della Corte costituzionale, si può qui segnalare un nuovo tentativo di individuare parametri di rilevazione dei risultati delle attività economiche diversi dal reddito, questa volta per l’impossibilità di disporre tempestivamente, nel corso dell’esercizio, dei dati necessari al calcolo del reddito stesso.
E’ comunque evidente la diversità del contributo disciplinato dal nostro legislatore rispetto al modello delineato nella proposta di regolamento del Consiglio. E’ possibile un ritorno allo schema del tributo commisurato ad una parte del reddito, almeno per il residuo periodo considerato nella proposta stessa, ma le strutturali differenze fra i due istituti potrebbero rendere più evidenti eventuali profili di incostituzionalità.
5. Ancora diverso dovrebbe probabilmente essere il discorso relativo al “tetto obbligatorio sui ricavi di mercato” ed alla destinazione delle eccedenze dei prezzi di cui agli artt. 6 e seguenti della Proposta di regolamento. Si tratta però di istituto la cui natura propriamente tributaria potrebbe essere discussa, anche sulla base di un auspicabile approfondimento della sintetica disciplina attuativa.
Rinviando ulteriori considerazioni a quando si avranno maggiori informazioni e nuovi contributi della dottrina, mi limiterò pertanto ad osservare che, se di tributo si tratta, sicuramente non assume a presupposto il reddito (o parte di esso) dei produttori di energia elettrica, ma, al più, una parte dei loro ricavi.
(*) Trascrizione dell’intervento svolto dall’Autore al convegno “Presentazione del progetto di ricerca PRIN: La digitalizzazione dell’Amministrazione finanziaria tra contrasto all’evasione e tutela dei diritti del contribuente” svoltosi presso l’Università degli Studi di Napoli “Parthenope”, Dipartimento di Studi Economici e Giuridici, in data 5 ottobre 2022.
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