Aiuti di stato e valutazione dei tax ruling: note a margine della recente sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea sul caso “Fiat Finance and Trade”

Di Giuseppe Farcomeni -

(commento a/notes to Corte Giustizia UE, 8 novembre 2022, cause riunite C-885/19 P e C-898/19 P)

Abstract

Nella sentenza in commento, la CGUE ha innovato il suo orientamento in tema di valutazione delle decisioni fiscali anticipate, meglio note come tax ruling, concesse alle multinazionali dalle Amministrazioni finanziarie degli Stati dell’Unione. In particolare, la Corte ha chiarito come deve essere individuato il sistema di riferimento, o regime normale di tassazione, pertinente al caso controverso. Esso va identificato considerando soltanto le norme fiscali applicabili alle società appartenenti alla stessa categoria (nel caso di specie, società integrate), che si trovano in una situazione di fatto e di diritto comparabile a quella del tax ruling. Per quanto attiene al giudizio di selettività della misura, sarà necessario verificare come il principio di libera concorrenza, sancito dall’art. 107, par. 1, TFUE, è stato trasposto nell’ordinamento interno, con riferimento al regime normale applicabile. Inoltre, non dovranno essere utilizzati criteri o parametri esterni, se non espressamente richiamati dalle norme fiscali dello Stato, per non invadere la sua competenza esclusiva in settori del diritto non armonizzati. Sul punto, i giudici sembrano voler limitare la discrezionalità della Commissione in una disciplina – quale è quella sui prezzi di trasferimento – nella quale gli Stati godono di modalità alternative per raggiungere un’approssimazione affidabile del prezzo di mercato, obiettivo che corrisponde al principio di libera concorrenza. Invero, tale approccio potrebbe essere fautore di ingiustificate differenze di trattamento tra le società integrate e quelle autonome, a seconda della loro collocazione sul territorio, differenze che potrebbero essere risolte dall’armonizzazione di tale principio a livello europeo. Pertanto, a legislazione invariata, è opportuno chiedersi se lo strumento degli aiuti di Stato sia idoneo per contrastare le forme di harmful tax competition.

Fiscal State aid and assessment of tax ruling: some remarks on recent judgment issued by the Court of Justice of the European Union on the “Fiat Finance and Trade” case. – In the judgment in question, the CJEU innovated its case law on tax rulings, granted by the tax administrations of the states of the Union to multinational companies. In particular, the Court clarified how the reference framework or normal taxation relevant to the disputed case must be identified. It must be identified by considering only the tax rules applicable to those companies that belong to the same category (in the present case, integrated companies) and are in a factual and legal situation comparable to that which signed the tax ruling. Regarding the determination of the advantage, it’s necessary to verify how the arm’s length principle, as laid down in Article 107(1) TFEU has been incorporated into national law compared with normal taxation. Furthermore, parameters and rules external to the national tax system cannot be considered unless that national tax system makes explicit reference to them, in order not to invade its exclusive competence in not harmonized fields of law. On this point, the judges seem to want to limit the discretion of the Commission in a discipline such as that on transfer pricing, in which the States enjoy alternative ways to achieve a reliable approximation of the market price, an objective that corresponds to the arm’s length principle. Indeed, this approach could be the advocate of unjustified differences in treatment between integrated and independent companies, depending on their location on the territory, differences that could be resolved by harmonizing this principle at European level. Therefore, with unchanged legislation, it is appropriate to ask whether the State aid instrument is suitable for countering forms of harmful tax competition.

 

 

Sommario: 1. I fatti di causa e gli enunciati della Corte di Giustizia. – 2. La corretta individuazione del sistema di riferimento o regime normale di tassazione applicabile al ruling fiscale controverso. – 3. La valutazione della selettività dell’aiuto in funzione del principio di libera concorrenza. – 4. Conclusioni.

 

1. La sentenza in commento attiene alla valutazione in ordine alle c.d. decisioni fiscali anticipate, meglio note come ruling fiscali o tax ruling, concessi dalle Amministrazioni degli Stati dell’Unione Europea a società multinazionali, al fine di individuare, preventivamente, la disciplina fiscale che sarà alle stesse applicate. Sui tax ruling, la Commissione europea esercita un potere di controllo (art. 108 TFUE) circa la natura di tali misure e per la verifica della loro compatibilità con il mercato interno, in ordine alla possibile configurabilità di un aiuto di Stato, vietato ai sensi dell’art. 107, par. 1, TFUE.

Il caso oggetto del giudizio riguardava un tax ruling reso dall’Amministrazione finanziaria del Lussemburgo nei confronti della Fiat Finance and Trade (FFT), in base al quale le operazioni di finanziamento infragruppo della FFT erano state considerate aderenti al principio di libera concorrenza, previsto all’art. 164, par. n. 2, del codice delle imposte sui redditi lussemburghese e alla circolare L.I.R. n. 164/2 del direttore dei prelievi fiscali lussemburghesi, del 28 giugno 2011 (punto 16).

La Commissione europea, dopo aver avviato e concluso un procedimento di indagine formale ex art. 108 TFUE, si è pronunciata affermando che il ruling fiscale in questione aveva integrato un aiuto di Stato, vietato dall’art. 107, par. 1, TFUE, con conseguente violazione del principio di libera concorrenza.

In particolare, la FFT, in quanto società integrata avrebbe goduto di un vantaggio selettivo e, quindi, di un trattamento più favorevole, derivante dall’applicazione del sistema generale dell’imposta lussemburghese, rispetto a quello delle società non integrate. Invero, il tax ruling avrebbe permesso che una società del gruppo FFT fatturasse prezzi di trasferimento non in regime di libera concorrenza, se parametrati alle stesse operazioni effettuate, in condizioni di mercato, da società non facenti parti di un gruppo, con ciò determinando una riduzione della base imponibile e, quindi, dell’imposta da corrispondere.

La Corte europea ha ribadito che, per la sussistenza di un aiuto di Stato vietato, la misura incriminata deve: a) essere imputabile allo Stato o effettuata mediante risorse pubbliche; b) incidere sugli scambi tra gli Stati; c) concedere un vantaggio selettivo al beneficiario; d) falsare o creare pericolo di distorsione della concorrenza (punto 66; sentenza del 6 ottobre 2021, World Duty Free Group e Spagna/Commissione, C-51/19 P e C-64/19 P).

Con specifico riferimento alla selettività dell’aiuto, i giudici hanno seguito criteri interpretativi già noti alla giurisprudenza della Corte (sentenza 16 marzo 2021, Commissione/Polonia, C-562/19 P), chiarendo che la misura nazionale di dubbia legittimità deve, invero, favorire direttamente solo alcune imprese e non le altre che si trovano in situazioni di fatto e di diritto comparabili e che, per tale ragione, subiscono un trattamento discriminatorio (punto 67).

Successivamente, la Corte ha precisato che una misura è selettiva quando, individuato il regime fiscale normale, essa lo deroga introducendo una disparità di trattamento tra operatori che si trovano in situazioni comparabili, salva la prova fornita dallo Stato in ordine al fatto che la differenziazione derivi dalla struttura del sistema tributario interno (punti 68-69).

I giudici, ancora, hanno esplicitato taluni principi già individuati (seppur indirettamente) in precedenti decisioni (Commissione/Polonia C-562/19 P; Commissione/Ungheria, C- 596/19 P). In specie, per le materie non oggetto di armonizzazione, solo lo Stato membro può individuare, «attraverso l’esercizio delle proprie competenze in materia di imposte dirette e nel rispetto della propria autonomia fiscale, le caratteristiche costitutive dell’imposta, le quali definiscono, in linea di principio il sistema di riferimento oppure il regime fiscale ‘normale’, a partire dal quale occorre analizzare il requisito relativo alla selettività. Ciò vale in particolare per la determinazione della base imponibile e del suo fatto generatore» (punto 73).

La Corte, inoltre, ha precisato che il sistema normale di riferimento in materia di imposte dirette di uno Stato membro si individua soltanto attraverso la normativa interna, che rappresenta l’unico referente per verificare se una misura costituisca o meno aiuto di Stato selettivo (punto 74). Pertanto, ad avviso dei giudici, la Commissione ha erroneamente fatto derivare il principio della libera concorrenza direttamente dall’art. 107, par. 1, TFUE, senza verificare se lo Stato membro avesse trasposto tale principio nel suo ordinamento nazionale (punto 76).

Invero, il Tribunale (punti 141-145 della sentenza), aderendo alla ricostruzione della Commissione, aveva ritenuto che il principio di libera concorrenza trovasse applicazione ove il sistema fiscale interno (nel caso di specie quello lussemburghese) non avesse previsto alcuna distinzione nella tassazione tra società integrate o non integrate. Ciò in quanto, sempre secondo la Corte, il suddetto principio di libera concorrenza intende tassare, allo stesso modo, gli utili di tutte le società residenti e, quindi, gli utili di una società facente parte di un gruppo devono essere tassati come se fossero il risultato di operazioni effettuate a prezzi di mercato (punti 77-80). Ne consegue che il tax ruling oggetto di contestazione ha integrato un vantaggio selettivo, poiché ha concesso una tassazione più favorevole alla FFT, società integrata, rispetto a quella destinata a società non integrate.

Secondo la Grande Camera, il Tribunale ha errato nella individuazione del regime fiscale di riferimento, che doveva includere esclusivamente le società di gruppo e quelle, sempre di gruppo, impegnate in attività di finanziamento (per le quali si applica la disciplina speciale di cui ai citati art. 164, par. 3, del codice delle imposte lussemburghesi e alla circolare, n. 164/2) e non doveva identificarsi nelle norme generali vigenti per le società residenti (punto 86).

Allo stesso modo, la Commissione non ha considerato come il principio di libera concorrenza, definito dall’art. 107, par. 1, TFUE, era stato trasposto nell’ordinamento lussemburghese all’art. 164, par. 3, del codice delle imposte, con riferimento alle società integrate (punti 89-91).

I giudici della Grande Sezione non hanno, quindi, condiviso questa ricostruzione ed hanno ribaltato la decisione del giudice di primo grado, che aveva riconosciuto, nel tax ruling, la sussistenza di un aiuto di Stato vietato. Occorre dire che il Tribunale è incorso in un errore di diritto nell’applicazione dell’art. 107, par. 1, TFUE, poiché, nello stabilire se il tax ruling fosse selettivo, avrebbe dovuto individuare il sistema di riferimento pertinente (limitato alla disciplina fiscale sulle società integrate) e verificare come il principio di libera concorrenza era stato recepito nell’ordinamento. In tal modo, avrebbe potuto constatare che l’art. 164, par. 3 e la circolare n. 164/2, nel definire la tassazione delle società integrate, intende raggiungere un’approssimazione affidabile del prezzo di mercato; obiettivo, questo, che è espressione proprio del principio di libera concorrenza.

I giudici hanno, infine, precisato che, nelle materie non soggette ad armonizzazione, le modalità di applicazione del principio di libera concorrenza sono riservate allo Stato membro, la cui disciplina è l’unica da vagliare onde individuare la sussistenza di un vantaggio selettivo, integrante un aiuto di Stato vietato (punto 95). Ciò discende dal fatto che la verifica della selettività di una misura (art. 107, par. 1, TFUE) non può violare le norme del trattato sul riparto delle competenze, che riservano la normazione sulle imposte dirette (artt. 114, par. 2 e 115 TFUE) solamente allo Stato (punto 94).

Peraltro, non possono essere utilizzati neanche parametri e regole esterne all’ordinamento interno (come le linee guida dell’OCSE), se non espressamente richiamate dalle singole norme impositive (punto 96).

2. La pronuncia in esame offre lo spunto per riflettere, innanzitutto, sui criteri essenziali per constatare se un tax ruling possa essere o meno qualificato quale aiuto di Stato vietato.

In particolare, i giudici hanno dato  rilevanza, da un lato, alla corretta individuazione del sistema di riferimento applicabile ai soggetti passivi interessati (società che devono adottare quel determinato regime fiscale); dall’altro lato, all’analisi sulla selettività del tax ruling oggetto di contestazione nella misura in cui preveda un trattamento più favorevole, falsificatore della concorrenza, rispetto a quello riservato alle società che si trovano in una situazione comparabile e che, quindi, subirebbero una forma di discriminazione.

Sotto il profilo della corretta identificazione del sistema di riferimento, la CGUE ha specificato che è necessario, primariamente, individuare la base imponibile e il suo fatto generatore, ovvero il presupposto tassabile. In un secondo momento, si dovranno individuare i contribuenti ai quali si applicherà quel sistema di riferimento, ovvero i soggetti passivi tenuti al pagamento di una determinata imposta, prevista dall’ordinamento. Quelli enucleati dalla Corte non sono altro che gli elementi essenziali dell’imposta, dai quali non si può prescindere per la verifica della sussistenza di una misura tacciata di integrare un aiuto di Stato, poiché la sua selettività deve essere valutata considerando tutti gli elementi costitutivi della fattispecie impositiva.

Invero, il Tribunale è incorso proprio in questo errore, poiché non ha individuato adeguatamente il sistema di riferimento pertinente al caso di specie, avendo piuttosto utilizzato come parametro l’insieme delle società residenti, siano esse integrate o non integrate, in luogo del sistema di riferimento costituito dalle sole società facenti parte di un gruppo. A tali soggetti passivi si applicava la norma contenuta all’art. 164, par. 3, e la circolare n. 164/2, che, nel definire la tassazione delle società integrate, mirano a raggiungere un’approssimazione affidabile del prezzo di mercato.

Difatti, secondo la condivisibile opinione della Corte, la verifica della selettività dell’aiuto deve considerare come lo Stato membro abbia trasposto il principio di libera concorrenza nell’ordinamento interno con riferimento alle società integrate, per le quali il sistema fiscale lussemburghese mira a raggiungere l’obiettivo di un’approssimazione affidabile del prezzo di mercato, che corrisponde proprio al principio di libera concorrenza.

Al riguardo, in dottrina si è affermato che la sentenza in commento individua in modo chiaro i criteri per individuare il sistema di riferimento pertinente previsto dalle norme fiscali interne applicabili, le sole che consentono, in virtù del loro impianto complessivo, di verificare la natura selettiva e discriminatoria del tax ruling (Santin P., La selettività e il sistema impositivo di riferimento nella più recente giurisprudenza europea sugli aiuti di Stato fiscali, in Riv. dir. trib., 2023, 2, 56 ss.). Pertanto, l’esistenza di un aiuto di Stato contrario al disposto dell’art. 107, par. 1, TFUE, deve essere vagliata proprio con riguardo alla tassazione normale, che si applica a quei soggetti passivi che si trovano in una situazione comparabile, connotata dalla medesima situazione di fatto e di diritto (sul punto, v., Quattrocchi A., Gli aiuti di Stato nel diritto tributario, Milano, 2020, 75 ss.).

Gli aiuti di matrice fiscale costituiscono un oggetto di indagine che ha suscitato particolare interesse nell’ultimo decennio, tanto che la Commissione europea sembra utilizzare tale costruzione non solo per evitare meccanismi limitativi della concorrenza, ma soprattutto per porre un freno alla concorrenza fiscale tra Stati. La dottrina ha indagato a fondo proprio la tendenza ad utilizzare la disciplina degli aiuti di Stato in ambiti differenti rispetto a quelli per i quali era stata, in origine, predisposta (Miceli R., Il divieto di aiuti di Stato nel contrasto ai rulings fiscali. Limiti ed opportunità, in Riv. dir. trib. int., 2021, 1, 71 ss.; Campanella F., L’applicazione della normativa europea sugli aiuti di Stato ai tax rulings agevolativi alla luce della sentenza Engie, in Riv. dir. trib., 2022, 4, 421 ss.; Pepe F., Sulla tenuta giuridica e sulla praticabilità geo-politica della “dottrina Vestager” in materia di tax rulings e aiuti di Stato alle imprese multinazionali, in Riv. trim. dir. trib., 2017, 3-4, 703 ss.; Marino G., Note brevi sull’evoluzione del divieto di aiuti di Stato e sostenibilità dei sistemi fiscali, in Riv. dir. trib., 2018, 4, 393 ss.; Boria P., La concorrenza fiscale tra Stati, Milano, 2018).

Come è stato affermato (Santin P., La selettività e il sistema impositivo di riferimento nella più recente giurisprudenza europea sugli aiuti di Stato fiscali, cit., 52 ss.), una criticità messa in evidenza dalla sentenza in commento attiene, per l’appunto, all’esatta delimitazione del sistema di riferimento rilevante nel tax ruling, rispetto al quale la misura deve essere valutata al fine di riscontrare un eventuale trattamento discriminatorio. Difatti, la Commissione prima, e il Tribunale poi, hanno considerato un sistema di riferimento eccessivamente ampio, comprendente tutte le società residenti e non solo la sottocategoria delle società facenti parte di un gruppo. Queste ultime costituiscono una species distinta e, pertanto, non possono essere assimilabili, a fini della successiva verifica della selettività della misura fiscale, alle società residenti nel loro insieme, per le quali vale un regime impositivo differente.

Appare, dunque, evidente come uno dei profili nevralgici, nel rapporto tra aiuti di Stato e tax ruling, è l’esatta delimitazione del sistema di riferimento, considerato dalla Commissione quale strumento idoneo ad individuare un parametro normativo generale, che tiene conto della ratio del sistema fiscale nel suo complesso (Ronco S.M., Aiuti di Stato e tax rulings: la difficile convivenza del giudizio di selettività con il principio di libera concorrenza, in Dir. prat. trib. int., 2020, 3, 1309 ss.).

La CGUE ha ritenuto che il sistema di riferimento debba essere determinato considerando soltanto quelle norme che caratterizzano lo specifico regime fiscale delle società che appartengono alla stessa categoria di quella che ha sottoscritto il tax ruling, in modo da poter effettuare una comparazione basata su situazioni fattuali e di diritto realmente simili. Inoltre, dovrà essere utilizzata la sola normativa interna dello Stato, che ha trasposto il principio di libera concorrenza nell’ordinamento, in materie nelle quali (nella specie, le imposte dirette) la competenza non è stata devoluta all’Unione. Ed è proprio la concreta attuazione, nel singolo ordinamento, di tale principio a dover essere utilizzata come termine di paragone, per verificare se gli utili di una società, facente parte di un gruppo, siano stati tassati in modo più favorevole rispetto a società indipendenti che operano in condizioni di mercato.

Al contrario, secondo la ricostruzione della Commissione, il principio di libera concorrenza sarebbe immanente in ogni Stato membro, non essendo necessario che tale principio sia trasposto nell’ordinamento interno dello Stato, poiché deriverebbe dall’art. 107, par. 1, TFUE, conformemente a quanto espresso nella sentenza Belgio e Forum 187/Commissione (C-182-03 e C-217/03), nella quale è stato affermato che «il principio secondo cui le transazioni operate tra società di uno stesso gruppo dovrebbero essere remunerate come se fossero state effettuate da imprese indipendenti operanti in circostanze comparabili in condizioni di libera concorrenza» (punti 18-19) (Santin P., La selettività e il sistema impositivo di riferimento nella più recente giurisprudenza europea sugli aiuti di Stato fiscali, cit., 52 ss.).

In altri termini, in forza dell’iter ermeneutico poco sopra delineato, le decisioni della Commissione non dovrebbero contenere riferimenti a principi e criteri esterni, se non nei limiti di quanto previsto dalla normativa interna, proprio per non invadere la sovranità dello Stato nella sua competenza legislativa in ambito tributario, di là da quelli che sono i confini individuati nei Trattati.

Alla luce di tale analisi, sarà necessario considerare, come sistema di riferimento idoneo a valutare la selettività della misura, il regime fiscale che lo Stato ha previsto in concreto per quella categoria di soggetti passivi, onde verificare se sussiste un trattamento discriminatorio nella determinazione della base imponibile e del suo fatto generatore.

3. Per quanto concerne il profilo della selettività della misura fiscale e, quindi, della possibilità che essa falsi il mercato concorrenziale, la CGUE sembra avere posto un freno alla tendenza della Commissione europea di estendere, a dismisura, l’ambito applicativo delle norme in materia di aiuti di Stato. Difatti, nelle sue decisioni, la Commissione valuta la selettività del tax ruling sul presupposto che gli stessi siano concessi in modo discrezionale e senza alcuna corrispondenza con il trattamento fiscale che, generalmente, è applicato agli altri soggetti passivi (Marino G., Note brevi sull’evoluzione del divieto di aiuti di Stato e sostenibilità dei sistemi fiscali, 398 ss.).

Invero, tale tendenza risale al 2015, epoca in cui il commissario alla concorrenza Marghrete Vestager si era posta l’obiettivo di contrastare la cd. Harmful tax competition, propria di alcuni Stati membri dell’Unione che, per attirare il capitale di multinazionali, sottoscrivevano, con le stesse, tax ruling agevolativi.

L’indagine effettuata dalla Commissione non può, però, condurre a decisioni che, seppure apparentemente conformi al diritto dell’Unione, violino la competenza esclusiva dello Stato membro in materie di imposte dirette sui redditi. La dottrina, in passato, ha posto l’attenzione sulla possibilità (di fatto, non del tutto remota) che potesse essere lesa la sovranità dello Stato in materia di imposizione diretta, laddove la Commissione avesse utilizzato, in maniera indiscriminata, le norme in materia di aiuti di Stato (Pepe F., “How to dismantle an atomic bomb”: osservazioni sul caso Apple e sulla prima giurisprudenza europea in materia di rulings fiscali, in Riv. trim. dir. trib., 2021, 2, 334 ss.).

Sicché, appare opportuno precisare che la Commissione, nella sua attività di indagine, non può integrare la normativa interna con elementi diversi da quelli previsti dal legislatore. Per altro verso, la stessa non può effettuare un controllo del tax ruling che sconfini in un’attività di tipo accertativo propria dell’Amministrazione finanziaria, dovendosi limitare a verificare, ab externo, che la misura non sia selettiva e non violi i principi in materia di concorrenza, per come attuati nell’ordinamento interno. Ciò in quanto, la finalità dei ruling fiscali è proprio quella di determinare, in via anticipata, quale sia la disciplina fiscale da applicare nei rapporti con società multinazionali, che vedrebbero ingiustamente leso l’affidamento ingenerato dalla sottoscrizione della decisione fiscale tacciata di selettività.

Non si può, tuttavia, sottacere che una corretta applicazione del principio di libera concorrenza, ex art. 107, par. 1, TFUE, rappresenta l’unico strumento, attualmente utilizzabile a livello sovranazionale, per contrastare quelle forme di tax ruling che realizzano, attraverso un’indebita riduzione del carico fiscale, disparità di trattamento contrarie (anche) alle regole del sistema impositivo interno (così, Amatucci F., Ruling fiscali, discrezionalità amministrativa e compatibilità con il diritto sovranazionale, in Dir. prat. trib. int., 2018, 1, 28 ss.).

Può, quindi, ritenersi condivisibile quanto affermato da chi ha sostenuto che la CGUE deve adottare un approccio analitico-razionale, volto a vagliare il contenuto delle contestazioni mosse dalla Commissione per verificarne ogni elemento giuridico e fattuale, piuttosto che preferire un approccio sintetico-intuitivo, basato su una valutazione generale della legittimità del tax ruling (Pepe F.,“How to dismantle an atomic bomb”: osservazioni sul caso Apple e sulla prima giurisprudenza europea in materia di rulings fiscali, cit., 337 ss.). Sarebbe, infatti, opportuno che i giudici valutassero la correttezza giuridica e fattuale delle argomentazioni della Commissione in rapporto ai principi espressi dai trattati, in ragione della loro trasposizione nelle norme dell’ordinamento interno.

Peraltro, non può certo affermarsi che il giudizio sulla selettività del tax ruling vada esente dal controllo della sua conformità al diritto dell’Unione, ma non deve nemmeno essere intaccata l’autonomia impositiva dello Stato membro con riguardo ai tributi non armonizzati. Di conseguenza, il principio di libera concorrenza, individuato dall’art. 107, par. 1, TFUE, non dovrebbe essere considerato quale immanente nel sistema fiscale di riferimento, ma dovrebbe essere valutato nella sua trasposizione nell’ordinamento interno.

La soluzione individuata dalla Corte, la quale risulta aderente al principio di legalità dell’imposizione, è condivisa da quella parte della dottrina che sostiene come il vantaggio e selettività dell’aiuto debbano essere individuati in forza del quadro di riferimento pertinente. In materia di imposizione diretta è lo Stato a decidere quali siano gli eventi tassabili; pertanto, il giudizio sul sistema di riferimento non può derivare direttamente dal diritto dell’Unione o da standard fiscali generalmente riconosciuti a livello internazionale (Parada L., Between Apples and Oranges: The EU General Court’s Decision in the ‘Apple Case’, in EC Tax Review, 2021, 2, 57 ss.)

Dal caso oggetto della pronuncia in commento può essere, quindi, rilevato che, se il regime normale applicato alle società integrate, in ragione delle peculiarità proprie dei gruppi societari, persegue l’obiettivo di un’approssimazione affidabile del prezzo di mercato (art. 164, par. 3, codice imposte del Lussemburgo), sarà tale espressione interna del principio di libera concorrenza a trovare applicazione per valutare se le operazioni infragruppo siano remunerate secondo canoni di mercato e quindi se il tax ruling costituisca una deroga alla modalità di tassazione delle società integrate in Lussemburgo (ciò in netto contrasto con quanto aveva affermato il Tribunale nella sentenza impugnata – 24 settembre 2019, cause riunite T-755/15 e T-759/15, punto 143 – «In tale contesto, se le autorità nazionali hanno accettato, mediante la misura tributaria concessa ad una società integrata, un determinato livello di prezzo per un’operazione infragruppo, l’articolo 107, paragrafo 1, TFUE consente alla Commissione di controllare se tale livello di prezzo corrisponda a quello che sarebbe stato applicato a condizioni di mercato, al fine di verificare se ciò comporti una riduzione degli oneri normalmente gravanti sul bilancio della società in questione, conferendole così un vantaggio ai sensi di detto articolo. Il principio di libera concorrenza, come descritto dalla Commissione nella decisione impugnata, costituisce quindi uno strumento che consente di effettuare tale verifica nell’esercizio delle sue competenze ai sensi dell’articolo 107, paragrafo 1, TFUE»).

Alla luce delle esposte considerazioni, il principio di libera concorrenza deve essere declinato specificamente con riguardo ai ruling fiscali, poiché tale criterio, di derivazione unionale, dovrebbe essere correttamente applicato nell’ordinamento interno, in modo da riservare alle società che si trovano in situazioni comparabili (ovverosia, la species delle società integrate) un trattamento non discriminatorio (sul punto, v., Miceli R., La metamorfosi del divieto di aiuti di Stato nella materia degli aiuti di Stato, in Riv. dir. trib., 2015, 1, 31 ss.).

Conseguentemente, il principio di libera concorrenza passa da criterio solo esterno a criterio proprio dell’ordinamento statuale, nei limiti della sua trasposizione, in una materia (quella dei prezzi di trasferimento) nella quale le regole di tassazione hanno conseguenze sia sull’imposizione dello Stato di residenza, sia sul corretto riparto della potestà impositiva tra gli Stati. Ciò in quanto, per le società integrate, la determinazione del reddito è condizionata da meccanismi di allocazione dei capitali su un piano internazionale (Ronco S.M., Aiuti di Stato e tax rulings: la difficile convivenza del giudizio di selettività con il principio di libera concorrenza, cit., 1307 ss.).

Parimenti, poiché secondo la Corte (punti 95-96) il modo per attuare, in concreto, la libera concorrenza è lasciato, nelle materie non armonizzate, alla discrezionalità dello Stato, anche altri criteri esterni, quali le linee guida dell’OCSE (nonostante siano generalmente riconosciuti dagli Stati), non possono essere utilizzati come parametro di valutazione, se non espressamente richiamati. Difatti, esistono notevoli differenze nell’applicazione dei metodi di determinazione dei prezzi di trasferimento tra gli Stati e le stesse linee guida OCSE enumerano molteplici modalità per raggiungere un’approssimazione dei prezzi di libera concorrenza per le operazioni di trasferimento; pertanto, solo le norme statali sono funzionali all’individuazione del principio di libera concorrenza applicabile al caso controverso.

Può, quindi, affermarsi che, con la sentenza in commento, la Corte ha inteso riportare l’analisi sulla sussistenza di un aiuto di Stato in un tax ruling nel solco della sola verifica della parità di trattamento tra società appartenenti alla stessa categoria, delegittimando un’analisi invasiva che miri a mettere in luce eventuali forme di pianificazione fiscale aggressiva, le quali devono essere valutate in ragione della concreta attuazione, nell’ordinamento interno, dei principi europei e internazionali (in materia di pianificazione fiscale aggressiva, v., Pistone P., La pianificazione fiscale aggressiva e le categorie concettuali del diritto globale, in Riv. trim. dir. trib., 2016, 2, 395 ss.).

4. Da quanto sin qui affermato emerge che la pronuncia in esame ha inteso porre un freno alla pervasività delle valutazioni operate dalla Commissione sui tax ruling. Innanzitutto, per ciò che attiene alla fase della corretta individuazione del sistema di riferimento, è stato raggiunto un equilibrio in ordine alla delimitazione della disciplina pertinente, poiché l’utilizzo del parametro (fin troppo generale) dell’intero regime impositivo sulle società aveva condotto al risultato di raffrontare il contenuto del tax ruling alla ratio del sistema fiscale nel suo complesso, e non alla specifica disciplina applicabile alle società che rientrano nella medesima categoria di quella che aveva stipulato il ruling. Difatti, una comparazione può dirsi efficace solo se considera soggetti passivi che si trovano nella medesima situazione di fatto e di diritto, determinandosi, altrimenti, una surrettizia valutazione della tenuta del regime fiscale generale sulle società residenti, senza parametrarlo alle specifiche caratteristiche di quei tipi societari per i quali sono previste norme ad hoc.

Anche sotto l’ulteriore profilo riguardante la valutazione circa la selettività della misura, è stato posto un freno alla discrezionalità della Commissione che, fino a questo momento, aveva compiuto il giudizio di selettività applicando il principio generale di libera concorrenza, di cui all’art. 107, par. 1, TFUE, sulla convinzione che costituisse un criterio immanente di origine unionale. Su questo crinale, è opportuno precisare che la sua applicazione con riguardo alla disciplina sui prezzi di trasferimento appare fin troppo astratta, rendendosi necessaria una preventiva verifica su come, concretamente, tale principio sia stato trasposto nell’ordinamento di ogni singolo Stato membro. Anche supponendo che vi sia, nella fiscalità internazionale, un generale consenso in forza del quale le operazioni tra le società infragruppo debbano essere valutate, a fini fiscali, come se fossero state concluse tra società economicamente indipendenti, soltanto le disposizioni nazionali individuano, tra un ventaglio di possibili alternative, come raggiungere un’approssimazione affidabile del prezzo di mercato.

Tale situazione è resa più complessa dalla circostanza che l’attuazione delle regole sui prezzi di trasferimento può condurre ad una molteplicità di valori, e la funzione dei ruling fiscali è proprio quella di definire anticipatamente il modo di atteggiarsi della tassazione, per evitare possibili contestazioni da parte dell’Amministrazione finanziaria statale; sicché, un controllo fin troppo invasivo da parte della Commissione potrebbe snaturare la funzione dei ruling, ingenerando situazioni di incertezza. Pertanto, appaiono del tutto condivisibili i princìpi enucleati dalla Corte, che intende riportare la valutazione del tax ruling ad un’indagine sulla selettività della misura rispetto alla disciplina interna attuativa dei principi europei, e non già ad una valutazione sulla legittimità del tax ruling in forza dell’applicazione di principi immanenti nel sistema o di criteri esterni, senza verificare come questi siano stati recepiti nell’ordinamento interno.

Invero, tale approccio, derivante dal giudizio sulla declinazione nazionale del principio di libera concorrenza, potrebbe essere foriero di ingiustificate differenze di trattamento tra le società integrate e quelle autonome, a seconda della loro collocazione sul territorio, differenze che potrebbero essere risolte dall’armonizzazione di tale principio a livello europeo. Diversamente, si creerebbe un’ingiustificata compressione delle libertà fondamentali dell’Unione, in particolare qualora l’applicazione del principio di libera concorrenza fosse circoscritta alle transazioni transfrontaliere. Ciò in quanto, attualmente, tale  principio opera come uno standard aperto, ingenerando incertezza laddove i ruling fiscali mirano proprio ad evitarla (Doleman R., In Principle, [Im]possible: Harmonizing an EU Arm’s Length Principle, in EC Tax Review, 2023, 3, 93 ss.).

Se è vero che la CGUE ha ritenuto non discriminatorio il ruling fiscale della sentenza in commento, è altrettanto vero che, in tal modo, potrebbero verificarsi talune disparità di trattamento nell’applicazione del principio di libera concorrenza negli ordinamenti interni, con la conseguenza di legittimare forme di competizione fiscale sleale tra Stati (Dourado A.P., The FIAT Case and the Hidden Consequences, in Intertax, vol. 51, 2023, 1, 4).

Pertanto, a legislazione invariata, è opportuno chiedersi se lo strumento degli aiuti di Stato sia idoneo a contrastare le forme di harmful tax competition, laddove, fino a questo momento, è stato lasciato un certo margine di discrezionalità alla Commissione (Dourado A.P., The FIAT Case and the Hidden Consequences, cit., 4), in assenza di un intervento del legislatore europeo.

Resta inteso che la tenuta delle enunciazioni della Corte è condizionata sia dalle future decisioni dei giudici, e cioè dal rafforzamento dei principi di diritto espressi, sia dal comportamento che adotterà la Commissione nei successivi scrutini dei ruling, essendo auspicabile un approccio che attribuisca al principio di libera concorrenza la giusta valenza, in rapporto al doveroso rispetto delle norme interne, delle competenze legislative esclusive degli Stati membri, nonché della parità di trattamento tra le società.

Altrimenti, potrebbe sussistere il rischio che si verifichino forme di abuso, ove il principio di libera concorrenza abbia trovato concreta trasposizione nell’ordinamento interno ma secondo delle modalità non del tutto allineate alle linee guida OCSE, che, seppur non vincolanti, sono seguite da diversi Stati membri. Sebbene non vi sia alcuna disparità di trattamento tra le società residenti integrate, potrebbe verificarsi, in concreto, una discriminazione tra le società integrate e quelle autonome, dal momento che queste ultime non godrebbero dello stesso margine di discrezionalità delle società integrate per allocare i propri utili, considerando che i profitti di entrambi i tipi societari, se coinvolte nel medesimo genere di transazioni, sono determinati dal mercato (Peeters C., Critical Analysis of the General Court’s ‘EU Arm’s Length Tool’: Beware of the Reflexivity of Transfer Pricing Law!, in EC Tax Review, 2022, 1, 38 ss.).

Pur non essendo possibile risolvere, in questa sede, le questioni da ultimo prospettate, è opportuno comunque confermare che il principio di libera concorrenza riveste un ruolo primario nel giudizio sulla selettività dei ruling. Sicché, gli enunciati espressi dalla Corte non possono che segnare un cambio di rotta nel tipo di valutazioni ammissibili sulle decisioni fiscali. Cionondimeno, l’operato valutativo della Commissione dovrà tenere in debito conto tutti i diversi interessi contrapposti, nell’attesa che gli Stati individuino, di comune accordo, modalità più efficaci del divieto di aiuti di Stato per contrastare le forme di concorrenza fiscale dannosa, stanti i limiti che tale disciplina ha dimostrato di avere in ordine ai confini entro i quali si può spingere il giudizio della Commissione.

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