Il cram down fiscale alla ricerca di nuovi limiti: vaghezza dei presupposti e varietà di soluzioni

Di Giuseppe Mercuri -

(commento a/notes to Tribunale di Reggio Calabria, sent. 9 giugno 2023)

 

 

Abstract

I presupposti dell’omologazione forzosa si prestano a diverse interpretazioni da parte della giurisprudenza. La vaghezza del dato qualitativo (convenienza o esiguità della proposta) è stata recentemente risolta con l’introduzione di limiti quantitativi minimi di soddisfacimento dei crediti erariali. Tuttavia, anche questa soluzione potrebbe non essere idonea alla luce della funzione della transazione fiscale negli accordi di ristrutturazione.

The tax cram down in search of new limits: vagueness of legal requirements and range of solutions. – The requirements of tax cram down may be subject to different interpretations by Italian case law. The vagueness of the quality issue (convenience or meagreness of the proposal) has recently been resolved with the introduction of minimum quantitative limits for satisfying tax credits. However, even this solution may not be suitable in light of the function of the tax settlement in the restructuring agreements.

 

 

Sommario: 1. Introduzione. – 2. Una ragionevole interpretazione del “termine” assegnato all’Amministrazione finanziaria. – 3. Questioni sostanziali: convenienza ed esiguità della proposta secondo la recente giurisprudenza. – 4. Amministrazione finanziaria e giudice nella regolazione della crisi di impresa. – 5. Le differenze fra i requisiti degli accordi di ristrutturazione e del concordato preventivo in continuità. – 6. I problemi derivanti dalla scelta di “limiti quantitativi” e dall’abuso dello strumento: possibili soluzioni.

 

 

1. L’utilizzo di concetti vaghi comporta come immancabile conseguenza quella di configurare situazioni paradossali come quelle del “sorite di Eubulide”. Quando si parla di “convenienza” o di “esiguità” della proposta nell’ambito degli accordi di ristrutturazione in relazione a crediti erariali si valuta un profilo quantitativo che al di là di un (non precisato) limite dovrebbe comportare anche un mutamento in termini qualitativi. E invero, la qualità rilevante in questa sede (i.e. il carattere conveniente di una proposta) si riflette nell’accettabilità della revisione dell’assetto predeterminato dalla norma tributaria con un possibile arretramento (più o meno intenso) dell’interesse erariale in ragione di altri interessi e valori, quali quello alla continuità dell’impresa e alla conservazione del lavoro. La difficoltà di determinare a priori il rapporto fra quantità e qualità rievoca quel paradosso, potendosi arrivare ad affermare “paradossalmente” che anche un solo centesimo di euro in favore del Fisco potrebbe essere qualificato come “conveniente” ove l’alternativa in sede di liquidazione comporti un risultato pari a zero.

Su questi temi s’innesta una recente sentenza del Tribunale di Reggio Calabria (sent. 9 giugno 2023, Pres. Campagna, Est. Cantone) che ha avuto modo di soffermarsi su aspetti sostanziali e procedimentali della disciplina della transazione fiscale nell’ambito degli accordi di ristrutturazione concernenti una società calcistica (art. 63 c.c.i.i.). Le soluzioni esegetiche adottate in sede di omologa hanno avuto una vasta eco, generando reazioni anche da parte del Governo nella prospettiva di ridefinire i parametri di ammissibilità della falcidia dei crediti fiscali e contributivi.

2. Per quanto concerne le questioni procedimentali, il Tribunale si è occupato della qualificazione del termine di 90 giorni assegnato all’Amministrazione finanziaria per aderire alla proposta depositata presso gli Uffici competenti. Si potrebbe considerare tale termine come “dilatorio”, nel senso che la domanda di omologazione dell’accordo non può essere presentata anteriormente alla sua integrale decorrenza, in quanto si dovrebbe consentire all’Amministrazione di beneficiare integralmente dello spatium deliberandi previsto dall’art. 63, comma 2, cit. Tale tesi viene respinta dal Tribunale per il caso in cui prima del compimento del 90° giorno intervenga il rigetto espresso dell’Amministrazione. E difatti, il termine dovrebbe essere considerato come meramente “acceleratorio”, dovendosene rinvenire la ratio nella necessità di scandire sotto il profilo procedimentale l’attività amministrativa e ciò anche nella prospettiva della formazione di un silenzio, ove l’Amministrazione finanziaria rimanga inerte a fronte della proposta depositata. Al riguardo, il Tribunale – seguendo un’interpretazione logica della norma – ha ritenuto che, là dove la volontà dell’ente si sia formata anteriormente alla scadenza del termine con la reiezione della proposta, è dato attivare la procedura di omologazione forzosa, essendo irrilevante l’ulteriore periodo residuo. Si tratta di una conclusione condivisibile, ancorché il Tribunale si riferisca a tale ipotesi prospettando la configurazione di “sorta di sanatoria ex tunc” del “vizio procedurale”. Su questo punto è dato dubitare della soluzione offerta: se il termine è meramente acceleratorio e non dilatorio, non si può porre alcun vizio ove il diniego dell’Amministrazione finanziaria sia stato manifestato anteriormente alla perenzione del termine e, quindi, non vi potrebbe essere alcuna sanatoria, rientrando tale ipotesi nella fisiologia e non già nella patologia della fattispecie procedimentale in discorso. E del resto, tale conclusione pare trovare conferma anche alla luce dei principi della legge delega (art. 2 L. n. 155/2017), là dove si richiedeva l’adozione di un modello processuale «con caratteristiche di particolare celerità» e la riduzione della durata delle procedure concorsuali. E difatti, l’esigenza di gestione della crisi (nella prospettiva di un suo superamento) richiede di procedere tempestivamente, onde evitare un aggravamento della situazione in cui versa l’impresa.

3. Maggiore interesse ha destato la soluzione prospettata in relazione al concetto di “convenienza” nell’ambito dell’omologazione forzosa. Sul punto, l’obiezione mossa dall’Agenzia delle Entrate e dalle altre Amministrazioni (INPS e INAIL) risiedeva nella “irrisorietà” in re ipsa di una proposta di soddisfacimento dei crediti nella misura del 5%. Inoltre, i creditori con i quali erano stati raggiunti gli accordi di ristrutturazione integravano solo l’1,13% del totale, mentre l’esposizione debitoria nei confronti degli enti fiscali e previdenziali ascendeva al 68,79% del totale dei debiti.

Fermo il loro carattere “determinante” ai fini delle maggioranze richieste dalla disciplina, il Tribunale si è posto il problema se sia possibile omologare gli accordi di ristrutturazione a fronte di un diniego motivato dell’Amministrazione. Gli argomenti impiegati a tal riguardo poggiano sul dato letterale (stante l’espressa previsione della possibilità di attivare il c.d. cram down «in mancanza di adesione» dell’ente) e su un’interpretazione costituzionalmente orientata, in quanto il legislatore ha introdotto tale meccanismo in conformità all’art. 97 Cost. e, segnatamente, «al fine di superare ingiustificate resistenze alle soluzioni concordate» spesso registrate nella prassi da parte delle Pubbliche Amministrazioni (in tal senso, vedasi la relazione illustrativa al D.Lgs. n. 14/2019).

In tale chiave di lettura, la motivazione del rigetto della proposta assume un ruolo centrale, per ciò che la determinazione dell’Amministrazione deve trovare riscontro sotto il profilo della ragionevolezza in un percorso argomentativo per il cui tramite essa dimostri di aver posto in essere «un equo contemperamento degli interessi in gioco». Questo passaggio dovrebbe essere effettuato dalle Amministrazioni alla luce della “convenienza”. Tale parametro dovrebbe concretizzarsi nella comparazione fra due termini, di cui uno “fattuale” e l’altro “prognostico”: e invero, si deve mettere a raffronto quanto si otterrebbe dalla proposta in sede di transazione fiscale (considerato il piano del professionista attestatore) e ciò che si ricaverebbe in sede di liquidazione alla luce del valore patrimoniale (determinato sulla scorta dei dati aziendali e senza la continuità dell’impresa) e delle cause legittime di prelazione. Sicché, considerare in re ipsa l’irricevibilità della proposta di riduzione del tributo al 5% (con azzeramento di interessi e sanzioni) significa motivare in modo meramente “formale”, non essendovi argomentazioni idonee a rendere noto il procedimento logico di formazione della determinazione amministrativa. Al riguardo, il Tribunale richiama «l’esigenza di bilanciare» il c.d. «interesse fiscale» con l’«interesse concorsuale» nelle «procedure concordatarie ed assimilabili», le quali – a fronte delle recenti evoluzioni normative – sono «sempre più mirate alla conservazione del bene impresa» (arg. tratto da Cass., SS.UU., n. 8504/2021).

Seguendo tale linea interpretativa, il Tribunale si sofferma sul limite del quantum ammesso per la falcidia dei crediti erariali, rimarcando come la disciplina (fino a quel momento) in vigore non fissasse né una soglia minima di soddisfacimento degli enti fiscali e previdenziali, né una percentuale di credito che avrebbe dovuto essere rappresentato dagli accordi di ristrutturazione siglati con altri creditori. Da qui la critica all’orientamento di merito secondo cui la proposta non dovrebbe essere “esigua” e la ristrutturazione non dovrebbe riguardare solo le Amministrazioni, ma anche percentuali non “simboliche” o “irrisorie” di altri creditori (Corte d’Appello di Firenze 14 ottobre 2022; Trib. Salerno 23 gennaio 2023; Trib. Lecce 17 ottobre 2022). E difatti, secondo il Tribunale, sarebbe illogico precludere l’accesso agli strumenti per il superamento della crisi d’impresa in presenza di soli debiti fiscali e/o previdenziali. A ciò si potrebbe aggiungere che la soluzione opposta sarebbe contraria anche alla stessa ratio del c.d. cram down, atteso che si consente al giudice di assolvere una funzione suppletiva (in caso di silenzio dell’ente) o sostitutiva (in caso di diniego) a fronte di una proposta conveniente e considerato il carattere “determinante” del credito erariale.

Sicché, la comparazione fra i risultati “liquidatori” e gli esiti “transattivi” viene condotta dal Tribunale alla luce delle peculiarità della fattispecie concreta e, in specie, delle caratteristiche degli asset della società calcistica. E del resto, la necessaria “duttilità” dell’istituto ha trovato ampio riscontro nella giurisprudenza di merito, dovendosi rammentare altri casi in cui l’omologazione ha avuto ad oggetto crediti erariali che integravano il 99% della complessiva esposizione debitoria con una percentuale di soddisfacimento del credito pari al 5,4% (v. Trib. Milano, decreto 3 giugno 2021; in senso conforme cfr. Trib. Milano, decreto 31 luglio 2021; Trib. Roma, decreto 27 luglio 2021; Trib. Trieste, decreto 15 luglio 2022).

Sicché, il Tribunale ha dato maggiore rilevanza rispettivamente alla fattibilità del piano strategico, all’apporto di finanza esterna da parte di un socio e al surplus derivante dalla continuità dell’impresa. In particolare, nella valutazione di convenienza occorre considerare anche la circostanza che l’Amministrazione finanziaria e gli enti previdenziali sono creditori che, analogamente ai fornitori aventi una partnership stabile, hanno anche un interesse alla conservazione dell’impresa sotto due profili: il primo concerne quello di non inaridire la fonte produttiva e, quindi, la possibilità di ottenere future risorse derivanti dalla tassazione negli esercizi successivi; il secondo aspetto può riguardare anche il risparmio di spesa pubblica che gli enti previdenziali conseguono in ragione della prosecuzione dell’attività di impresa, evitando il sostenimento di costi per l’erogazione dei cc.dd. ammortizzatori sociali o per l’attivazione del fondo di garanzia per il pagamento del TFR dei lavoratori dipendenti che comporterebbero un aggravio per il bilancio statale in caso di liquidazione.

Inoltre, il Tribunale ha considerato anche le conseguenze derivanti dalla liquidazione alla luce della disciplina dell’ordinamento sportivo. E difatti, il principale asset della società calcistica è costituito dal c.d. titolo sportivo di cui all’art. 52 delle N.O.I.F., ossia il riconoscimento da parte della F.I.G.C. delle «condizioni tecniche sportive che consentono, concorrendo gli altri requisiti previsti dalle norme federali, la partecipazione di una società ad un determinato Campionato». Tale titolo non è suscettibile di valutazione economica né può essere oggetto di cessione (art. 52, comma 2, cit.). Sul piano degli effetti giuridico-sportivi, la liquidazione giudiziale della società calcistica comporterebbe la revoca dell’«affiliazione alla F.I.G.C.» con conseguente perdita del titolo sportivo e, quindi, del principale asset, venendo meno il diritto alla partecipazione al campionato. Ciò si rifletterebbe in negativo, anzitutto e sotto il profilo economico, sul valore del marchio (in caso di iscrizione alla Lega Nazionale Dilettanti in luogo del campionato di Serie B), ma anche su molteplici diritti a contenuto patrimoniale (come le entrate derivanti dai diritti TV, dai crediti sportivi per preparazione di tesserati con vincolo pluriennale, dalla concessione del centro sportivo), nonché a causa dello svincolo di tutti i tesserati (ossia con la perdita delle principali immobilizzazioni della società calcistica).

Tutte queste circostanze – da assumersi come certe rispetto all’alternativa liquidatoria – hanno consentito al Tribunale di affermare che, nel caso concreto, alla luce del valore dell’attivo realizzabile e della sua incapienza rispetto al soddisfacimento dei creditori in prededuzione e privilegiati, la proposta avanzata (pari al 5%) è “conveniente” rispetto all’alternativa liquidatoria, considerando altresì che – in occasione di una precedente procedura di fallimento concernente il club calcistico della medesima città – il credito vantato dall’Amministrazione finanziaria non aveva trovato il benché minimo soddisfacimento.

4. Le conclusioni sopra rammentate stimolano qualche considerazione sul ruolo dell’Amministrazione finanziaria e del giudice nella regolamentazione della crisi d’impresa. La previsione del canone della “convenienza” è certamente idonea a individuare un vincolo nella valutazione della proposta. E difatti, l’adesione ai sensi dell’art. 63 c.c.i.i. e l’omologazione forzosa hanno come presupposto un’attività di sussunzione (ossia di accertamento del “fatto” riferibile al dato patrimoniale e, quindi, all’attivo realizzabile), ma anche ad un’attività di ponderazione, in quanto la determinazione di un assetto di interessi diverso rispetto a quello predeterminato dalla norma tributaria (in punto di quantum, ove sia richiesta la falcidia) e finalizzato alla conservazione dell’impresa e del lavoro non può prescindere dalle peculiarità del caso concreto, potendosi ben verificare quella situazione cui faceva riferimento Massimo Severo Giannini quando aveva previsto l’esistenza di casi in cui l’interesse curato dall’Amministrazione subisce un’“attenuazione” o un “impedimento” in ragione degli interessi coesistenti (v. Giannini M.S., Diritto amministrativo, vol. II, Milano, 1993, 48). Addirittura si potrebbe intravedere una “convergenza” di interessi, se si considera l’interesse dello Stato alla conservazione della fonte produttiva in vista del reperimento di entrate tributarie future e al fine di evitare un incremento della spesa pubblica attuale.

È anche vero che – come ricordato da autorevole dottrina – la rinuncia di qualcosa che l’Amministrazione finanziaria non potrebbe comunque conseguire nell’alternativa liquidatoria non configura altro che una “pseudo-rinuncia” (v. Falsitta G., Funzione vincolata di riscossione dell’imposta e intransigibilità del tributo, in Riv. dir. trib., 2007, 12, I, 1067; sui dubbi di legittimità costituzionale sollevati e sul loro superamento, v. Russo P., Indisponibilità del tributo e definizioni consensuali delle controversie, in Rass. trib., 2008, 3, 595 ss.; Allena M., La transazione fiscale nell’ordinamento tributario, Milano, 2017, 227-232; v. anche Marini G., Indisponibilità e transazione fiscale, in Miccinesi M. – Allena M. – Logozzo M., a cura di, Studi in onore di Enrico De Mita, Napoli, 2012, 1 e 566). Da questo punto di vista, anche la Corte costituzionale ha riconosciuto come la disciplina della “transazione fiscale” sia diretta espressione, per un verso, dei principi di economicità ed efficienza (art. 97 Cost.) e, per altro verso, della regola della falcidia dei crediti privilegiati che – in caso di incapienza del patrimonio – assume un carattere “essenziale” ai fini del funzionamento delle procedure con finalità esdebitatoria (v. Corte cost., sent. 245/2019). Allo stesso modo, la Corte di Giustizia dell’UE ha negato che si possa configurare una «rinuncia generale e indiscriminata alla riscossione» tenuto conto dei presupposti normativi, quali – in specie e fra l’altro – l’insufficienza del patrimonio e l’attestazione di un esperto circa l’assenza di soluzioni satisfattive in misura maggiore a quella proposta dal contribuente (CGUE, sent. 7 aprile 2016, C‑546/14, Degano).

Detto in altri termini, la valutazione della convenienza si risolve in un criterio che opererebbe comunque, quand’anche non fosse espressamente previsto dalla norma alla luce dell’operatività dei canoni della “buona amministrazione”, nel cui novero rientrano l’economicità, la ragionevolezza e la proporzionalità. Non si deve dimenticare che la “convenienza” è un requisito previsto dal diritto positivo anche in altri ambiti: si pensi alla fattispecie di cui all’art. 95, comma 12, del Codice dei contratti pubblici (ora art. 108, comma 10, D.Lgs. n. 36/2023), là dove la scelta di non procedere all’aggiudicazione per “mancanza di convenienza” o per “inidoneità delle offerte” costituisce una prerogativa ampiamente discrezionale, a sua volta poggiante sul principio generale di buon andamento secondo cui le Pubbliche Amministrazioni sono tenute «all’adozione di atti quanto più possibile coerenti e proporzionali alle esigenze effettive di provvista per i loro compiti». Sulla base di questa premessa, la giurisprudenza conclude che tale margine di discrezionalità abbia una duplice conseguenza: per un verso, impone un obbligo di adeguata motivazione in capo alla stazione appaltante circa le ragioni di convenienza o d’idoneità delle offerte (cfr. Cons. Stato, sez. V, n. 4787/2017); per altro verso, comporta la limitazione del sindacato giurisdizionale ai profili di manifesta illogicità, irragionevolezza, contraddittorietà o insufficienza della motivazione ovvero all’errore o al travisamento dei presupposti di fatto (Cons. Stato, sez. V, sent. 8 luglio 2022, n. 5720).

Epperò la differenza fra la fattispecie testé rammentata e quella della regolazione della crisi d’impresa risiede nella circostanza che il sindacato rimesso al Tribunale non è di tipo contenzioso, ma rientra in una “giurisdizione volontaria” in cui il giudice (in ragione della propria garanzia di terzietà e imparzialità) viene scelto dal legislatore per il compimento di attività sostanzialmente amministrative in cui è chiamato ad “incidere su diritti” (piuttosto che “decidere di diritti”), dando luogo a quel contemperamento di interessi per raggiungere un equilibrio nella complessità della crisi di impresa (v. Fabiani M. – Pagni I., I giudizi di omologazione nel Codice della crisi, in De Simone L. – Fabiani M. – Leuzzi S., a cura di, Studi sull’avvio del codice della crisi, numero speciale di Dirittodellacrisi.it, settembre 2022, 156-166).

Quindi, la convenienza è un “vincolo”, ma non rimane avulso dal contesto in cui tale canone deve operare. E difatti, se l’applicazione del criterio implica una valutazione comparativa fra quanto si otterrebbe dalla proposta nella continuità dell’impresa e quanto deriverebbe dalla liquidazione, il primo termine da mettere in raffronto si ricollega anche alla “fattibilità” del piano strategico proposto dall’attestatore in vista del superamento della crisi, con la conseguenza che l’arretramento dell’interesse erariale (ossia l’entità della falcidia) dovrebbe trovare riscontro nella maggiore possibilità di risanamento dell’impresa (con conservazione dei livelli occupazionali). La misura proposta, quindi, si può giustificare anche su questo piano: l’Amministrazione finanziaria. Ha un vantaggio rispetto alla “liquidazione”, in quanto la continuità dell’impresa è un valore anche per lo Stato.

Profili di criticità potrebbero insorgere nel caso in cui il diniego alla transazione fiscale sia “ampiamente motivato”. Sul punto parte della giurisprudenza si è indirizzata verso un orientamento che appare conforme alla ratio legis dell’omologazione forzosa e cioè quella di fornire uno strumento per «superare ingiustificate resistenze alle soluzioni concordate». Si è sostenuto, quindi, che il cram down fiscale possa essere disposto solo a fronte di un rifiuto irragionevole e non motivato (v. Corte d’Appello di Milano, decreto 23 febbraio 2023, Pres. Vigorelli, Est. Mammone; Trib. Lecce sez. III, 17 ottobre 2022, Pres. Pasca, Est. Maggiore). Su questo versante il punto di osservazione del giudice dovrebbe essere anzitutto quello formale, in quanto occorre verificare se la motivazione sia sussistente oppure si riveli meramente apparente, apodittica o tautologica. Ma la verifica della “giustificatezza” del diniego (che parrebbe emergere dalla relazione illustrativa) finisce comunque per introdurre una valutazione della congruità della “scelta”. E difatti, secondo la disciplina in esame, il giudice “omologa” (cioè deve omologare) se la proposta è conveniente “anche” sulla base della relazione del professionista indipendente. In tal modo il legislatore sembra aver voluto precisare che il giudice può fare affidamento non solo sulla relazione, ma anche su ulteriori elementi istruttori che consentono di confermare l’opportunità della proposta (e, a contrario, la “sconvenienza” del diniego dell’Amministrazione finanziaria) alla luce delle circostanze del caso concreto. Inoltre, la prospettazione della convenienza riversata nella relazione del professionista deve essere «oggetto di specifica valutazione da parte del tribunale» secondo un esame che dovrebbe essere autonomo rispetto al contenuto più o meno esteso della motivazione del diniego. Sicché, il ruolo del giudice non appare limitato solo ad un controllo formale circa la sussistenza, la logicità e la coerenza interna della motivazione, ma si risolve in un esame sostanziale sui requisiti dell’omologazione. E invero, la giurisprudenza rammentata – pur affermando l’esistenza di un limite all’intervento del giudice a fronte di un diniego ampio e motivato – compie comunque una verifica dei requisiti in concreto, in specie contestando l’attendibilità dei dati aziendali riportati dal professionista. Si veda il decreto 23 febbraio 2023, là dove la Corte di Appello di Milano – dopo aver affermato che «il cram down si giustifica quando il rifiuto opposto dall’amministrazione finanziaria alla proposta appare irragionevole» – ha escluso tale circostanza per ciò che l’Amministrazione finanziaria aveva «spiegato in modo ampio e dettagliato le ragioni per le quali ha ritenuto non conveniente la proposta e lacunosa l’attestazione del professionista incaricato dalla proponente». Su questo piano, la Corte d’Appello scende nel merito ritenendo inattendibile la ricostruzione del professionista circa i possibili esiti della liquidazione, in quanto quest’ultimo muoveva da premesse metodologiche errate (come la valutazione atomistica dei beni aziendali) e da dati smentiti dal settore di mercato di riferimento (circa un prevedibile «andamento in costante risalita» dei beni dell’azienda)

Pertanto, si deve ritenere che, ove vi sia una motivazione apparente, la «mancata adesione» dell’Amministrazione finanziaria non sia concretamente idonea a fondare un legittimo diniego (ça va sans dire); ma ciò non implica un “rinvio” all’Ufficio per l’emissione di un nuovo atto congruamente motivato, in quanto il giudice può condurre direttamente la verifica circa la convenienza della proposta (sulla base delle risultanze istruttorie e “anche” sulla base della relazione del professionista).

Nel caso in cui il rifiuto sia sorretto da “ampia motivazione”, il giudice dovrebbe ripercorrere le argomentazioni dell’Amministrazione finanziaria e (con motivazione rafforzata del provvedimento giudiziale) illustrare punto per punto le ragioni per le quali le conclusioni ivi riversate debbano essere disattese alla stregua di un canone di ragionevolezza e di convenienza. Ed anche qui vi possono essere aspetti che attengono al valore dei dati aziendali e/o al metodo di stima o degli altri elementi fattuali che devono essere oggetto di elaborazione onde comprendere la possibilità di un superamento della crisi dell’impresa. Sotto questo profilo, il giudice – in qualità di soggetto terzo ed imparziale chiamato allo svolgimento di un’attività non giurisdizionale, ma (come detto) sostanzialmente amministrativa – può e deve esercitare questa funzione, disattendendo anche i rilievi erronei nel “merito” dell’Amministrazione finanziaria.

Da questo punto di vista, la convenienza della proposta appare strettamente connessa al concetto di ragionevolezza da intendersi come scelta saggia, perché consapevole delle circostanze e dei limiti alla luce del contesto valoriale in cui la decisione viene assunta. Sicché, l’omologazione forzosa deve essere disposta anche a fronte di un diniego “motivato”, ma erroneo, proprio perché è il giudice ad essere chiamato a svolgere un ruolo che presuppone (i) una necessaria e completa acquisizione delle circostanze (in specie, per ciò che concerne i valori del patrimonio in vista della ricostruzione dello scenario liquidatorio) e degli interessi in gioco (ossia quello alla continuità aziendale cui risulta correlato quello dei lavoratori, fornitori e dello stesso Stato in termini di future entrate e di minore spesa sociale) e, dipoi, (ii) un momento di comparazione fra le alternative preconizzabili secondo la fattibilità delle strategie di risanamento.

5. Occorre rimarcare altresì che la disciplina degli accordi di ristrutturazione (in rilievo nella sentenza in commento) si differenzia rispetto a quella prevista per il concordato preventivo: nella prima si richiede la convenienza rispetto all’alternativa della liquidazione (art. 63 c.c.i.i.); nella seconda invece si aggiunge anche il “divieto di trattamento deteriore” (art. 88 c.c.i.i.) senza tuttavia specificare quale sia l’ulteriore termine di riferimento per la valutazione di tale carattere (cioè se ci si debba riferire all’alternativa liquidatoria oppure a quanto offerto agli altri creditori). Inoltre, l’esegesi della norma risulta ancor più complicata a cagione della circostanza che, nel comma 2 dell’art. 88 cit., si richiede che l’attestazione del professionista indipendente debba avere ad oggetto la convenienza «e, nel concordato in continuità aziendale, la sussistenza di un trattamento non deteriore»; mentre nel comma 2-bis del medesimo articolo, si consente l’omologazione forzosa se la proposta è «conveniente o non deteriore rispetto all’alternativa liquidatoria». La formulazione “approssimativa” del testo pone il problema se vi sia o meno una distinzione circa i criteri da adottare per il cram down fiscale; ove si ritenga sussistente una differenza concettuale fra la “convenienza” e il carattere “non deteriore”, occorrerebbe chiedersi se i criteri operanti per il trattamento dei crediti fiscali mutino nel concordato in continuità rispetto a quello liquidatorio. Al riguardo, in dottrina, si è ritenuto di ridimensionare le questioni interpretative generate dal recepimento della Direttiva insolvency (Direttiva UE n. 2019/1023) ad opera del D.Lgs. n. 83/2022, osservando che (i) il divieto del trattamento non deteriore deve essere valutato rispetto all’alternativa liquidatoria; (ii) i requisiti della “convenienza” e del carattere “non deteriore” si riferiscono a fattispecie differenti (ossia il primo criterio al concordato liquidatorio, il secondo al concordato in continuità); (iii) tali criteri devono essere considerati sia dall’attestatore, che dal giudice in sede di omologazione a seconda del diverso tipo di concordato (in tal senso v. Paparella F., La questione distributiva nelle procedure concorsuali nel rapporto tra i crediti tributari e diritti degli altri creditori, in Riv. dir. trib., 2023, 3, I, 242). Quanto agli aspetti contenutistici dei due criteri si è osservato come la convenienza implichi un giudizio “più complesso” rispetto al divieto di trattamento deteriore: e difatti, nel primo caso non si valuta solo l’equivalenza rispetto a quanto si riceverebbe nello scenario della liquidazione, ma si considerano altre ed ulteriori forme di “utilità” come ad esempio sotto il profilo dei termini di adempimento oppure in caso di apporto di finanza esterna (v. Paparella F., La questione distributiva nelle procedure concorsuali nel rapporto tra i crediti tributari e diritti degli altri creditori, ult. op. cit., 243). Sulla base di tali considerazioni si ritiene che la “convenienza” (così come sopra delineata) sia assorbente rispetto al criterio del carattere “non deteriore”, ancorché si riproponga (anche qui) il problema del mutamento qualitativo della proposta in ragione di una variazione quantitativa. L’Autore osserva infatti che gli «elementi ulteriori di utilità […] assorbono il mero trattamento non deteriore sicché quest’ultimo è ontologicamente inferiore al primo benchmark per quanto, in concreto, possa essere agevole passare da una condizione di non deteriorità a quella di convenienza destinando al creditore poche decine di euro in più». Se si accettano queste premesse nella delimitazione concettuale dei due criteri, gli accordi di ristrutturazione (seguendo la regola della “convenienza”) troverebbero una disciplina meno favorevole rispetto a quella del concordato in continuità, nonostante l’identità funzionale di tali strumenti.

6. Fermi i dubbi esegetici causati da un infelice adeguamento della normativa domestica al diritto europeo, non si può anche fare a meno di rimarcare il “lato oscuro” derivante dalle proposte in cui i crediti fiscali e previdenziali ricevono una percentuale inferiore a quella degli altri creditori. Al riguardo, il Tribunale di Reggio Calabria ha ribadito il ruolo del giudice di sindacare (in relazione al caso concreto e sulla scorta della documentazione depositata) che «l’esiguità della proposta non celi un intento elusivo e fraudolento».

Qui si ripropone il problema cui si accennava supra nelle battute introduttive. Ricavare l’avvenuto mutamento di una qualità (in specie, il carattere “abusivo” della condotta) da un concetto quantitativo vago (il carattere “esiguo” della proposta) appare un obiettivo velleitario, trattandosi di un procedimento suscettibile di essere smentito sul piano della logica e, come tale, foriero di soluzioni meramente “epidermiche” (sia da parte dell’Amministrazione finanziaria, in sede di valutazione della proposta, sia da parte del giudice a fronte della domanda di omologazione). Sicché, un’operazione di questo tipo potrebbe condurre ad affermare che anche “un solo centesimo di euro” sia conveniente a fronte di una liquidazione che offrirebbe un risultato nullo e, quindi, anche quel centesimo potrebbe non essere considerato “esiguo” se parametrato al niente. Si tratta della riproposizione sotto mentite spoglie del “paradosso del sorite”, il cui superamento richiederebbe un correttivo volto a risolvere il problema derivante dal carattere quantitativo/qualitativo dei concetti impiegati (convenienza, esiguità). Al riguardo si possono svolgere alcune considerazioni.

Anzitutto, si potrebbe ritenere che la questione in discorso non sia suscettibile di trovare soluzione sul piano della “logica sillogistica”, in quanto la valutazione della convenienza non risponderebbe ad un’attività di sussunzione, ma rientrerebbe in una ridefinizione dell’assetto di interessi (originariamente predeterminato dalla norma tributaria) secondo una ponderazione che soggiace comunque ai canoni della buona amministrazione (art. 97 Cost.). Ciò che – nello specifico quadro della disciplina della crisi d’impresa – ruota sul piano elaborato dall’attestatore per esperire un tentativo volto al risanamento dell’impresa. In relazione ai contenuti di tale “giudizio prognostico” circa il buon esito delle iniziative (ivi prospettate) dovrebbe confrontarsi la scelta dell’Amministrazione finanziaria (e, in seconda battuta, il sindacato del Tribunale) nella prospettiva di un’attenuazione (o meno) dell’interesse erariale alla luce dell’alternativa liquidatoria. Tuttavia, la dottrina ha manifestato diverse posizioni sul punto, in quanto alcuni Autori ritengono che l’esplicitazione del requisito della convenienza valga a configurare un “potere vincolato” (v. Paparella F., L’esperienza infinita della transazione fiscale tra natura giuridica dei rapporti e successione delle leggi nel tempo: le Sezioni Unite si esprimono anche sul riparto di giurisdizione tra giudice tributario e giudice fallimentare, in Riv. dir. trib., 2022, 1, II, 19-20; Golisano M., La nuova “transazione fiscale” dell’art. 63 del codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza: fra nuove difficoltà interpretative, inediti poteri sostitutivi e definitive conferme circa la vincolatezza della funzione esercitata, in Riv. trim. dir. trib., 2019, 3, 514); altri ritengono che si tratti di una “discrezionalità vincolata” cui si ricollega un interesse pretensivo del contribuente (v. Ficari V., Mancata transazione fiscale, “interesse” pretensivo del contribuente e poteri giudiziali, in Il Fallimento, 2022, 5, 599) o comunque una discrezionalità “attenuata” che rimane soggetta all’applicazione delle normali regole dell’agire funzionalizzato (cfr. Del Federico L., Margini di tutela del debitore-contribuente e riparto di giurisdizione in tema di transazione fiscale, in Tax News, 2021, 2, 461; sulle modalità di manifestazione dell’attività amministrativa in questo ambito, v. Basilavecchia M., L’azione impositiva nelle procedure concorsuali: il caso della transazione fiscale, in in Miccinesi M. – Allena M. – Logozzo M., a cura di, Studi in onore di Enrico De Mita, Napoli, 2012, 71); altri invece escludono che l’accertamento della maggiore convenienza possa essere inquadrato nell’ambito di un giudizio sull’azione amministrativa (v. Fransoni G., Trattamento dei debiti tributari e concordato preventivo: dal procedimento al processo, in Rass. trib., 2021, 2, 317-320).

Attesa la varietà di soluzioni interpretative prospettabili, il “paradosso del sorite” non potrebbe avere altra soluzione che quella di circoscrivere la vaghezza del profilo qualitativo (convenienza) attraverso l’individuazione di una “soglia” che individui – in via generale e convenzionalmente – il mutamento del dato fattuale in positivo (ciò che è conveniente) o in negativo (ciò che è esiguo).

Ed è questa la prima reazione che – secondo indiscrezioni circolate sulla stampa specializzata – il Governo avrebbe assunto nell’elaborazione della bozza del decreto PA e sport approvata dal Consiglio dei Ministri il 15 giugno 2023, ancorché la proposta – dipoi e melius re perpensa – sia stata ritirata nell’atto finale (D.L. n. 75/2023).

L’iniziativa è stata ripresa più recentemente in sede di conversione del c.d. “decreto salva infrazioni” (D.L. n. 69/2023), là dove il Governo ha proposto un emendamento (n. 1.0.100) al d.d.l. A.S. n. 755 volto all’introduzione di nuovi ed ulteriori requisiti rispetto a quelli del carattere “determinante” dei crediti pubblici e della “convenienza”. In particolare, per l’omologazione forzosa in mancanza di adesione dell’Amministrazione finanziaria e degli enti di previdenza ed assistenza si richiede che (a) gli accordi non abbiano carattere liquidatorio; (b) il credito complessivo vantato dagli altri creditori aderenti agli accordi di ristrutturazione sia pari ad almeno 1/4 dell’importo complessivo dei crediti; (c) il soddisfacimento dei crediti pubblici sia almeno pari al 30% del loro ammontare (ivi compresi sanzioni e interessi).

Nel caso in cui l’ammontare complessivo dei crediti vantati dagli altri creditori aderenti sia inferiore ad 1/4 dell’importo complessivo dei crediti, la soglia di soddisfacimento dei crediti non può essere inferiore al 40% e la dilazione di pagamento non può eccedere un periodo di dieci anni. Il nuovo testo è stato approvato anche alla Camera dei Deputati (A.C. n. 1322) e trova applicazione alle proposte di transazione depositate dal 15 giugno 2023 (cioè dalla data successiva all’entrata in vigore del decreto legge “salva infrazioni”).

Probabilmente la soluzione di prevedere soglie minime parrebbe quella più idonea nella prospettiva di una maggiore precisione dei presupposti e – come rimarcato dall’incipit dell’emendamento – al fine di assicurare un’«adeguata tutela ai creditori pubblici non aderenti». Tuttavia, la proposta non è esente da critiche.

Anzitutto, si rischia di ingessare uno strumento che, per sua natura, dovrebbe essere flessibile in relazione alle esigenze di fattibilità del piano presentato dall’attestatore, nei casi in cui si dovrebbe identificare un “arretramento” dell’interesse erariale anche in funzione delle strategie di risanamento dell’impresa individuate dall’attestatore, nonché in relazione ai rischi di infruttuosità dalla liquidazione giudiziale alla luce del caso concreto. Ciò potrebbe ingenerare addirittura dubbi circa la ragionevolezza di una soglia inderogabile, tenuto conto delle finalità dell’istituto nel complessivo quadro della regolazione della crisi di impresa. Inoltre – com’è stato segnalato in dottrina – l’inclusione delle sanzioni e degli interessi parrebbe una scelta eccessiva rispetto alla rilevanza del tributo nel quadro costituzionale, introducendo così limiti irragionevolmente stringenti (in tal senso, v. Abriani N. – Sanzo S., Accordi di ristrutturazione, nella transazione fiscale rischio di soglie troppo alte, in Norme & Tributi Plus, Il Sole24Ore, 21 giugno 2023; per una revisione del trattamento delle sanzioni sotto il profilo della falcidia e della postergazione, v. Paparella F., La partecipazione delle sanzioni amministrative tributarie al riparto nelle procedure concorsuali, in Rass. trib., 2015, 3, 598).

Questi aspetti devono essere opportunamente considerati nell’ambito di future iniziative legislative, rammentando altresì che l’individuazione di limiti quantitativi “in astratto” potrebbe comportare l’esclusione “a priori” di alcune imprese dall’opportunità di accedere agli strumenti previsti per il risanamento dell’impresa.

Tale rischio impone di domandarsi se una tale prospettiva non riveli un modo errato di risolvere il problema.

Convenienza ed esiguità – avendo una latitudine concettuale indefinibile senza una soglia normativamente predeterminata – implicano una forma di “ignoranza” in astratto e a priori, per ciò che la verifica di tali connotati non può che avvenire solo in concreto e alla luce delle circostanze che possono venire in rilievo alla luce della specifica situazione in cui versa l’impresa, cioè in base al valore del patrimonio, in considerazione delle possibilità di reperire risorse dalla finanza esterna o di generare un surplus dalla continuità aziendale, nonché tenuto conto dei crediti prededucibili e privilegiati collocati in posizione poziore rispetto a quelli dell’Amministrazione finanziaria.

Probabilmente il tema dovrebbe essere affrontato su un altro piano e cioè quello del rischio di “abusi” nell’utilizzo dello strumento (v. Andreani G., Omologazione forzosa per evitare abusi verso l’erario, in Focus di Norme e Tributi, 23 giugno 2023). E difatti, non è dato sottacere come la possibilità di offrire percentuali minime possa favorire condotte “opportunistiche” dei contribuenti, i quali potrebbero vedere il Fisco come l’ultimo dei “creditori” a dover essere pagato in vista di una falcidia particolarmente favorevole.

Su questo punto si potrebbe intervenire mediante l’introduzione di limiti quantitativi volti alla delimitazione del concetto di meritevolezza (o meno) ai fini dell’ammissione ai benefici della transazione fiscale. Tale aspetto non dovrebbe avere una connotazione prettamente “morale” per il tramite di soluzioni superficiali e con valutazioni di carattere altamente soggettive.

Si dovrebbe introdurre piuttosto un presupposto di accesso alla transazione fiscale ed al cram down fiscale, richiedendo di verificare se – nei periodi d’imposta precedenti alla crisi – all’aumento dei debiti fiscali (certi e non versati alle scadenze di legge) corrisponda la riduzione dei debiti verso privati (specie se trattasi di creditori privi di causa legittima di prelazione). Questo scostamento dovrebbe essere ricompreso entro una data percentuale in base alla quale è dato presumere la sussistenza di un rischio di abuso ai danni dell’Amministrazione finanziaria.

Si auspica, pertanto, che il legislatore si concentri su questi aspetti “patologici” senza però compromettere il funzionamento dello strumento a priori e cioè privando l’Amministrazione finanziaria e il giudice della possibilità di compiere considerazioni incentrate sulla concretezza della fattispecie. Il superamento della crisi impone la flessibilità degli strumenti, atteso che l’omologazione forzosa è stata introdotta proprio per superare irragionevoli resistenze dei creditori pubblici all’adesione alla proposta recata dal piano. Introdurre ora irragionevoli soglie quantitative potrebbe rivelarsi una scelta dannosa e mal mirata rispetto ai reali problemi da contrastare.

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

Allena M., La transazione fiscale nell’ordinamento tributario, Milano, 2017, 227-232

Abriani N. – Sanzo S., Accordi di ristrutturazione, nella transazione fiscale rischio di soglie troppo alte, in Norme & Tributi Plus, Il Sole24Ore, 21 giugno 2023

Andreani G., Omologazione forzosa per evitare abusi verso l’erario, in Focus di Norme e Tributi, 23 giugno 2023

Basilavecchia M., L’azione impositiva nelle procedure concorsuali: il caso della transazione fiscale, in Miccinesi M. – Allena M. – Logozzo M. (a cura di), Studi in onore di Enrico De Mita, Napoli, 2012

Del Federico L., Margini di tutela del debitore-contribuente e riparto di giurisdizione in tema di transazione fiscale, in Tax News, 2021, 2, 451 ss.

Fabiani M. – Pagni I., I giudizi di omologazione nel Codice della crisi, in De Simone L. – Fabiani M. – Leuzzi S. (a cura di), Studi sull’avvio del codice della crisi, numero speciale di Dirittodellacrisi.it, settembre 2022, 156 ss.

Falsitta G., Funzione vincolata di riscossione dell’imposta e intransigibilità del tributo, in Riv. dir. trib., 2007, 12, I, 1047 ss.

Ficari V., Mancata transazione fiscale, “interesse” pretensivo del contribuente e poteri giudiziali, in Il Fallimento, 2022, 5, 597 ss.

Fransoni G., Trattamento dei debiti tributari e concordato preventivo: dal procedimento al processo, in Rass. Trib., 2021, 2, 304 ss.

Giannini M.S., Diritto amministrativo, vol. II, Milano, 1993, 48

Golisano M., La nuova “transazione fiscale” dell’art. 63 del codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza: fra nuove difficoltà interpretative, inediti poteri sostitutivi e definitive conferme circa la vincolatezza della funzione esercitata, in Riv. trim. dir. trib., 2019, 3, 499 ss.

Marini G., Indisponibilità e transazione fiscale, in Miccinesi M. – Allena M. – Logozzo M. (a cura di), Studi in onore di Enrico De Mita, Napoli, 2012

Paparella F., La questione distributiva nelle procedure concorsuali nel rapporto tra i crediti tributari e diritti degli altri creditori, in Riv. dir. trib., 2023, 3, I, 223 ss.

Paparella F, L’esperienza infinita della transazione fiscale tra natura giuridica dei rapporti e successione delle leggi nel tempo: le Sezioni Unite si esprimono anche sul riparto di giurisdizione tra giudice tributario e giudice fallimentare, in Riv. dir. trib., 2022, 1, II, 10 ss.

Paparella F., La partecipazione delle sanzioni amministrative tributarie al riparto nelle procedure concorsuali, in Rass. trib., 2015, 3, 598 ss.

Russo P., Indisponibilità del tributo e definizioni consensuali delle controversie, in Rass. trib., 2008, 3, 595 ss.

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