Finalmente una svolta nella giurisprudenza della Cassazione in tema di atti impugnabili?

Di Federico Rasi -

Abstract

La sentenza n. 21254/2023 potrebbe rappresentare un punto di svolta nella giurisprudenza della Cassazione dal momento che, nell’affrontare il problema della impugnabilità dell’avviso di presa in carico conseguente ad un avviso di accertamento impo-esattivo, rassegna una serie di conclusioni innovative. Viene, in particolare, finalmente fornita una nozione di interesse a ricorrere rilevante ai fini dell’individuazione degli atti impugnabili nel processo tributario coerente con quella del processo amministrativo; la Cassazione sembra poi anche intervenire sui modelli processuali dell’impugnazione a pena di decadenza e in via facoltativa. Nonostante le soluzioni che offre siano più o meno condivisibili, la sentenza in questione potrebbe rappresentare un punto di svolta nella giurisprudenza della Cassazione.

Finally, a turning point in the jurisprudence of the Supreme Court on the subject of challengeable acts? – Judgment no. 21254 of 2023 may represent a turning point in the jurisprudence of the Supreme Court of Cassation, which, in addressing the problem of the appealability of a notice coming from tax administration, connected to an impo-exactive notice of assessment, draws a series of innovative conclusions. It provides a notion of interest in appealing, relevant for the purposes of identifying the acts that can be challenged in tax proceedings, that is finally consistent with the similar notions relevant for administrative proceedings, the Court of Cassation also seems to intervene on the procedural models of the appeal within or without time limits. Although the solutions it offers are more or less agreeable, this judgment may represent a turning point in the jurisprudence of the Supreme Court.

 

 

Sommario: 1. La sentenza della Corte di Cassazione, sez. V., 19 luglio 2023, n. 21254: considerazioni introduttive. – 2. Il ragionamento della Corte di Cassazione. – 3. La non impugnabilità dell’avviso di presa in carico. – 4. La nuova nozione di interesse a ricorrere adottata dalla Cassazione. – 5. Le eccezioni alla regola della non impugnabilità. – 6. La perdurante validità della categoria degli atti atipici e dell’impugnazione in via facoltativa. – 7. Luci e ombre nel ragionamento della Cassazione: considerazioni conclusive.

 

 

1. L’avviso di presa in carico non è un atto impugnabile, a meno che il contribuente non intenda far valere l’omessa notifica dell’accertamento esecutivo presupposto. Si è espressa in questi termini la Corte di Cassazione con la sentenza 19 luglio 2023, n. 21254, andando a risolvere un potenziale contrasto che si sarebbe potuto profilare nella giurisprudenza delle Corti di merito.

Mentre, infatti, per talune di queste (CTP Asti, sent. n. 2/2/14 e sent. 285/2015; CTP Reggio Emilia, sent. n. 214/2015; CTR Piemonte, sent. n. 402/34/15) andava esclusa l’impugnabilità dell’avviso di presa in carico in quanto tale atto né aveva natura provvedimentale, né era equiparabile ad un atto di precetto, per altre era impugnabile tout court (CTP Vicenza, sent. n. 431/14; CTP Roma, sent. n. 2575/48/18; CTP Taranto, sent. n. 2043/2016; CTR Lombardia, sent. n. 3858/2017; CTP Milano, sent. n. 3387/2018; CTR Lazio, sent. n. 677/2021). Questo orientamento faceva leva sulla considerazione che tale provvedimento non avesse soltanto un contenuto informativo, ma anche una funzione contestativa e sollecitatoria e potesse, dunque, essere paragonato a una intimazione di pagamento (CTR Lazio, sent. n. 677/2021; CTP Catania, sent. n. 17/2020; CTP Roma, sent. n. 10588/2020; CTR Emilia-Romagna, sent. n. 2893/18; CTP Roma, sent. n. 2575/2018; CTR Abruzzo, sent. n. 957/2019; CTP Milano, sent. n. 4096/2019; CTR Salerno, sent. n. 8473/2017). Il riconoscimento dell’impugnabilità, da talune Corti, era poi ulteriormente condizionato alla circostanza che l’avviso di presa in carico fosse il primo atto con il quale il contribuente veniva messo al corrente del debito tributario avendo l’Amministrazione omesso di notificare il presupposto avviso di accertamento esecutivo (CTP Milano, sent. n. 4096/2019; CTP Milano, sent. n. 3387/2018; CTP Roma, sent. n. 2575/2018) (in dottrina cfr. Russo A., Non impugnabile la comunicazione di presa in carico delle somme esigibili con l’atto impoesattivo, in il fisco, 2016, 6, 589; Cissello A., Nota di presa in carico omessa senza nullità, in www.eutekne.info, 25 marzo 2021).

La Cassazione prende espressa posizione su tali conclusioni cercando di mettere ordine in tale quadro e, nel farlo, procede ad un’articolata ricostruzione della sua giurisprudenza in tema di atti impugnabili. In dettaglio, richiama le sue stesse conclusioni circa la natura tassativa o meno dell’elenco di cui all’art. 19 D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, per approfondire, in particolare, quelle sentenze in cui impiega l’art. 100 c.p.c. come chiave interpretativa per individuare quali siano gli atti impugnabili innanzi alla giurisdizione del giudice tributario (senza pretesa di completezza in tema di atti impugnabili cfr. Fransoni G., Spunti ricostruttivi in tema di atti impugnabili nel processo tributario, in Riv. dir. trib., 2012, 11, I, 979; Puri P., Riflessioni sul profilo oggettivo dei limiti interni della giurisdizione tributaria, in Dir. prat. trib., 2017, 3, I, 1027; Glendi C., [voce] Contenzioso tributario, in Enc. giur. Treccani, IX, 2001, 1; Id., [voce] Processo tributario, in Enc. giur. Treccani, XXVIII, 2004, 1; Id., La “speciale” specialità della giurisdizione tributaria, in Guidara A., a cura di, Specialità delle giurisdizioni ed effettività delle tutele, Torino, 2021, 414; Russo P., L’ampliamento della giurisdizione tributaria e del novero degli atti impugnabili: riflessi sugli organi e sull’oggetto del processo, in Rass. trib., 2009, 6, 1551; Tesauro F., Gli atti impugnabili e i limiti della giurisdizione tributaria, in Giust. trib., 2007, 1, 12; Id., [voce], Processo tributario, in Dig. disc. priv., Sez. comm., 2017, 339). Se fino ad ora, questo rinvio era poco più che una mera clausola di stile, con la sentenza in esame la Cassazione non si esime dal fornire indicazioni pratiche e operative per individuare quando tale interesse sussista. Nel fare ciò, i giudici di legittimità toccano anche altri profili ricorrenti nella loro giurisprudenza di legittimità con l’effetto che il possibile campo di applicazione della sentenza n. 21254/2023 non potrà riguardare solo l’avviso di presa in carico, ma, anzi, dovrà considerarsi ben più ampio.

Scopo delle presenti note è proprio verificare se la sentenza n. 21254/2023 possa essere addirittura il punto di partenza per una sistematica riorganizzazione del problema delle condizioni per l’accesso al processo tributario.

2. Al fine di una corretta comprensione della pronuncia e della sua portata, merita brevemente ripercorrere il ragionamento in essa articolato.

La Corte procede all’analisi della natura dell’avviso di presa in carico per osservare come esso sia l’atto con cui il Concessionario della riscossione comunica al contribuente di aver ricevuto in carico le somme contenute in un avviso di accertamento impo-esattivo, ovverosia quell’avviso di accertamento che, a seguito delle modifiche apportate dal D.L. 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla L. 30 luglio 2010, n. 122, contiene sin dall’origine l’intimazione ad adempiere entro il termine di 60 giorni dalla notifica effettuata a cura dell’Agenzia delle Entrate. In caso di mancato pagamento da parte del contribuente entro i termini dilatori previsti dalla normativa, l’Agenzia delle Entrate affida il carico all’Agente della riscossione, il quale è tenuto, appunto, a informare il debitore della presa in carico del debito. Ciò comporta che l’atto di cui si discute non contenga né l’intimazione di pagamento, né altri comandi, ma si limiti ad avvisare il contribuente che la competenza amministrativa della gestione del debito è passata dall’ente impositore all’ente incaricato della riscossione.

Ne consegue, per i giudici di legittimità, che l’atto di cui si discute non ha alcuna valenza contestativa e sollecitatoria; questa, infatti, non risulta né in forma esplicita, né in forma implicita (non può, infatti, neppure desumersi dai comportamenti che tiene il contribuente che lo riceve apprendendo del passaggio di competenza della propria pratica da un’Amministrazione ad un’altra).

Tutto ciò è sufficiente per annoverare l’avviso di presa in carico «fra gli atti amministrativi senza valenza provvedimentale, cioè privi di forza cogente ed unilateralmente modificativa della situazione giuridica del destinatario» essendo «l’effetto di contestazione e sollecitazione […] solo un’eventuale deduzione soggettiva di chi riceva la comunicazione del passaggio di competenza della pratica che lo riguarda».

Si tratta di un assunto fondamentale per i giudici di legittimità perché consente loro, facendo leva sulla giurisprudenza secondo cui sono impugnabili solo gli atti avverso cui il contribuente vanta un interesse ad agire, di negare la sussistenza di tale interesse nei confronti dell’avviso di presa in carico.

Prima di pervenire a questa conclusione, però, i giudici di legittimità rassegnano alcune considerazioni sulla nozione di interesse a ricorrere rilevante ai fini del contenzioso tributario, non limitandosi più a invocare tale principio puramente e semplicemente come fosse una mera clausola di stile. Gli viene finalmente data sostanza affermando che esso deve considerarsi sussistente tutte le volte in cui un atto è capace di incidere sulle situazioni giuridiche soggettive del contribuente; viene altresì chiarito che l’interesse ad agire ex art. 100 c.p.c. rilevante ai fini dell’interpretazione dell’art. 19 D.Lgs. n. 546/1992, ha una duplice valenza in quanto esso esprime sia quello «della parte privata alla tutela del proprium», sia quello «pubblico alla stabilità dei rapporti».

Il richiamo all’art. 100 c.p.c. comporta, dunque, che possano, anzi debbano, essere considerati ricorribili avanti alla giustizia tributaria solo gli atti aventi natura provvedimentale, ovverosia solo gli atti capaci di modificare unilateralmente e in via autoritativa le situazioni giuridiche soggettive dei destinatari. Esclusivamente in presenza di tali condizioni ed esclusivamente al momento della formale notizia o della concreta percezione dell’esistenza di tali atti, sorge, per la Cassazione un interesse attuale, concreto, personale ed economicamente valutabile in capo al contribuente che assurge al grado di interesse ad agire ex art. 100 c.p.c. Aggiunge la Corte che l’interesse in questione può avere:

  • natura sostanzialmente e formalmente oppositiva e, dunque, essere finalizzato a contrastare un atto amministrativo autoritativo, capace di mutare unilateralmente le situazioni giuridiche soggettive (patrimoniali o di status) del destinatario, così com’è per gli atti impositivi in genere;
  • natura sostanzialmente pretensiva e formalmente oppositiva e, dunque, essere finalizzato a ricorrere avverso un diniego di rimborso che impedisce la restituzione al contribuente di quanto indebitamente versato.

Il verificarsi di una di queste situazioni comporta, in nome di «un’armonica lettura dei principi di efficacia, efficienza ed economicità della tutela giudiziaria e di ragionevole durata del processo come distillati dalla Corte EDU, dagli organismi Euro unitari, alla luce dei principi costituzionali e dell’elaborazione processual-civilistica», di dover riconoscere al contribuente il diritto di adire il giudice tributario, affinché questi esegua «un sindacato giurisdizionale a natura mista soggettiva ed oggettiva (sugli atti e sui rapporti) che si esplichi su tali provvedimenti e sulle situazioni giuridiche soggettive che ne sono coinvolte».

L’accertamento della sussistenza di un interesse a ricorrere va effettuato, per la Cassazione, con particolare rigorosità prestando attenzione a verificare con la massima attenzione il requisito dell’“attualità” in quanto l’accesso alla tutela giurisdizionale non può essere eccessivamente anticipato. Occorre evitare di «arretrare l’interesse fino a momenti assai antecedenti la concreta lesività producendo, avvallandola, una mole di contenzioso promosso in via eventuale, con intenti anticipatori della tutela che finiscono per non dare al cittadino la tutela effettiva e nel condizionare l’Amministrazione finanziaria in momenti in cui è ancora piena la sua (fisiologica) discrezionalità».

Applicando tali principi all’avviso di presa in carico e, dunque, tenendo conto che quest’ultimo, come chiarito, non ha alcuna capacità di incidere né su profili sostanziali, né su aspetti processuali del rapporto tributario, va esclusa la sua impugnabilità. Anzi, per la Cassazione, consentirne la ricorribilità significherebbe avvallare quell’inammissibile e assolutamente evitabile effetto di “retrodatazione” dell’interesse ad agire a un momento in cui esso è soltanto eventuale.

Ciò non esclude che possano, comunque, residuare casi in cui l’avviso di presa in carico vada considerato impugnabile: questo si verifica quando tale atto è lo strumento mediante il quale, “per la prima volta”, il contribuente ha notizia di un debito tributario, essendo omessa la notifica dell’atto presupposto. Solo in questo caso, va riconosciuta la possibilità di impugnarlo, possibilità che, però, non deriva dall’atto in sé, ma dalla lesività dell’atto presupposto (ignorato) che solo in tale occasione si palesa. Per la Cassazione, il fatto che, in questo modo, si facciano valere anche eventuali vizi propri dell’atto conseguente (l’avviso di presa in carico) non ne muta la natura di atto non impugnabile; si tratta di una impugnabilità “riflessa” (e non “diretta”), continuando essa a dipendere dalla lesività dell’atto presupposto fino ad allora ignorato.

In definitiva, per la Cassazione, l’originario elenco di atti impugnabili non costituisce più numero chiuso, ma va integrato consentendo l’impugnazione degli:

  • atti di natura provvedimentale capaci di modificare unilateralmente e autoritativamente le situazioni giuridiche soggettive del contribuente, sia attinenti a profili sostanziali che processuali;
  • atti che non appartengano alla prima categoria, ma che costituiscano il primo atto notificato o comunque pienamente conosciuto o legalmente conoscibile da parte del contribuente, successivo ad un atto impugnabile, ma non formalmente comunicato e che, quindi, si palesa tramite la comunicazione dell’atto successivo, non autonomamente lesivo.

La sentenza in questione, come anticipato e illustrato, contiene diverse statuizioni che riguardano non solo questioni di dettaglio, ma anche di portata assolutamente generale.

 

3. Muovendo dal particolare, va, innanzitutto, osservato come il riconoscimento della non impugnabilità (salve eccezioni) dell’avviso di presa in carico rappresenti una novità nella giurisprudenza della Cassazione. La conclusione cui essa perviene pare assolutamente condivisibile in quanto, come correttamente riconosciuto dai giudici di legittimità, è un atto che “semplicemente” minaccia un’azione, non la avvia. Quanto al contenuto, esso duplica, infatti, atti esistenti, senza aggiungere loro alcunché.

Tale conclusione è coerente con la “storia” di quest’atto, che è stato introdotto nell’ambito della riforma dell’avviso di accertamento impo-esattivo attuata con il D.L. n. 78/2010 che voleva concentrare la riscossione nell’accertamento ed evitare le complicazioni derivanti dalla notifica dell’avviso e del ruolo e della cartella. Per evitare tali difficoltà si è proceduto, prima, all’accorpamento dell’avviso di accertamento (atto certamente impugnabile) con il ruolo e la cartella (atti altrettanto certamente impugnabili) nell’avviso impo-esattivo e, poi, all’introduzione dell’avviso di presa in carico.

Non vi sarebbe, però, stata alcuna utilità pratica nel rendere questi ultimi due atti soggetti al medesimo regime dei precedenti quanto a funzioni e quanto a impugnabilità. Se così fosse stato, la descritta riforma non sarebbe stata null’altro che una mera ridenominazione degli atti precedenti. L’avviso di presa in carico nasce strutturalmente come atto diverso e “minore” rispetto all’avviso di accertamento; esso ha soltanto la funzione di informare il contribuente, in ottica collaborativa, del cambio del suo interlocutore; non ha alcuna funzione di rinnovare la pretesa fatta valere, sicché non può strutturalmente considerarsi un atto impugnabile. Diversamente opinando, le finalità di semplificazione della riforma sarebbero frustrate.

Tali considerazioni hanno, dunque, correttamente fatto propendere la Cassazione per escludere qualunque lesività dell’avviso di presa in carico e, dunque, hanno consentito di escludere una sua natura provvedimentale e, per l’effetto, la sua autonoma impugnabilità. È solo il precedente avviso ad essere lesivo e, dunque, è solo nei suoi confronti che devono indirizzarsi le doglianze del contribuente, impregiudicata la ricorribilità degli atti successivi (allo stesso avviso di presa in carico) con cui si avvia la fase esecutiva vera e propria.

La Cassazione non affronta, però, il caso in cui l’avviso di presa in carico presenti vizi propri. Ciò si potrebbe verificare, ad esempio, nell’ipotesi in cui, nella sua predisposizione, l’Amministrazione riporti in modo sbagliato le somme dovute dal contribuente. Stante il tenore della sentenza n. 21254/2023, le conclusioni cui essa perviene non dovrebbero cambiare; anche in questo caso le doglianze del contribuente dovrebbero appuntarsi contro il successivo atto della riscossione (a condizione che permangano tali errori) in quanto dall’avviso di presa in carico non deriverebbe comunque immediatamente alcuna azione dell’Amministrazione finanziaria. La tutela riconosciuta al contribuente sarebbe così solo rinviata, ma non ritardata, in quanto ancora lo stesso soggetto non soffre alcuna lesione. Effettivamente, anche in caso simile, residuando la sostanziale ininfluenza dell’atto in questione, non vi sarebbe motivo per consentirne l’impugnazione.

In definitiva, l’avviso di presa in carico in sé considerato, non dando l’avvio ad alcuna attività, ma esaurendosi in una mera comunicazione, non può, in modo corretto e condivisibile, essere considerato impugnabile.

4. Passando a un livello di analisi più generale, va osservato come la predetta conclusione abbia una portata sistematica più ampia: la sentenza n. 21254/2023 offre, infatti, spunti replicabili per altri atti, sicché essa non può non considerarsi rilevante ai fini della ricostruzione dell’intero elenco degli atti impugnabili.

Il chiaro riferimento alla natura provvedimentale degli e alla loro capacità di incidere sulle situazioni giuridiche soggettive del contribuente, quali elementi da impiegare nella ricostruzione dell’interesse a ricorrere rilevante nell’ambito del processo tributario, rappresenta un deciso passo in avanti rispetto alle precedenti sentenze in cui la Cassazione aveva cercato di adattare la nozione di cui all’art. 100 c.p.c. al sistema del D.Lgs. n. 546/1992.

In particolare, nonostante il richiamo all’art. 100 c.p.c., fosse già da tempo impiegato dalla Cassazione, quest’ultima aveva cercato soltanto nell’ordinanza 2 luglio 2020, n. 13536, di dargli una qualche sostanza, però in modo del tutto inappagante.

Il caso in discussione riguardava l’impugnabilità della certificazione dei carichi pendenti rilasciata ad un contribuente, tramite la quale veniva attestata a suo carico l’iscrizione a ruolo di due cartelle di pagamento definite con condono ex art. 12 L. 27 dicembre 2002, n. 289 (sulla vicenda cfr. Paparella F., L’impugnabilità del certificato dei carichi pendenti: l’assenza di tutela avverso gli atti ricognitivi dei debiti tributari anche nell’ipotesi di infedeltà dannosa per il richiedente, in Riv. tel. dir. trib., 2020, 2, 711).

Per farlo veniva ricordato come l’atto in questione fosse previsto e disciplinato dall’art. 364 D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14 (c.d. Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza), il quale aveva stabilito che gli uffici dell’Amministrazione finanziaria devono rilasciare, su richiesta del debitore o del tribunale, un certificato unico sull’esistenza di debiti risultanti dai rispettivi atti, dalle contestazioni in corso e da quelle già definite per le quali i debiti non sono stati soddisfatti. Con il provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate 27 giugno 2019, prot. n. 224245/2019, era stato definito il contenuto esatto di tale certificato ed era stato ribadito che esso dovesse recare l’indicazione dei debiti risultanti dall’interrogazione al sistema informativo dell’Anagrafe tributaria, relativi agli atti, alle contestazioni in corso e a quelle già definite per le quali i debiti non erano stati soddisfatti in materia di imposte dirette, imposta sul valore aggiunto e altre imposte indirette. L’atto in questione, in sintesi, risultava preordinato ad attestare la sussistenza di debiti tributari non soddisfatti in base ai dati risultanti dal sistema informativo dell’Anagrafe tributaria; in caso di loro presenza il certificato si sarebbe arricchito di un prospetto riportante i debiti con l’ammontare e lo stato della riscossione alla data di rilascio del certificato stesso. Ne derivava che si trattava, dunque, nient’altro che «di un documento destinato a fornire informazioni sintetiche e riassuntive sull’esistenza, sulla consistenza, sulla natura e sullo stato dei debiti tributari per consentire di valutare l’affidabilità e la solvibilità del contribuente in sede contrattuale, amministrativa o giudiziaria». In definitiva «il tenore sommario e riepilogativo di tale certificato esclude l’idoneità a contenere un’informazione completa ed esaustiva su qualsivoglia (autonoma e/o nuova) pretesa impositiva (diretta o indiretta)».

La Cassazione si occupava della potenziale lesività dell’atto, ma la negava, in modo per nulla convincente. Lo faceva sulla base della considerazione che l’atto in questione non conteneva l’«enunciazione (ancorché stringata) dei presupposti fattuali e delle ragioni giuridiche della pretesa impositiva». Il certificato carichi pendenti, in quanto privo di qualunque motivazione, non poteva, secondo questa impostazione, essere considerato un atto impugnabile in quanto «non [avrebbe garantito] il livello minimo di cognizione sulle singole pretese tributarie, che è indispensabile per l’esercizio del diritto di difesa dinanzi al giudice tributario».

La Cassazione, così facendo, riteneva, maldestramente e non correttamente, che non avesse alcuna utilità pratica il riconoscimento di una tutela dinanzi al giudice tributario in relazione a un atto dal contenuto generale ed onnicomprensivo, destinato a fornire un’informazione meramente riassuntiva, di ogni tipologia di debito tributario a carico del contribuente, senza alcun diretto collegamento con gli atti e i provvedimenti presupposti. Tutto ciò conduceva i giudici di legittimità ad affermare la «non impugnabilità dello stesso […] per la assoluta mancanza di interesse (ex art. 100 c.p.c.) del debitore a richiedere ed ottenere il suo annullamento in sede giurisdizionale».

La sentenza n. 21254/2023 rappresenta un deciso cambio di rotta della Cassazione: l’idoneità di un atto a incidere sulla sfera giuridica del contribuente viene espressamente e apertamente posta al centro del ragionamento senza che a nulla rilevino i requisiti dell’atto (essi saranno l’oggetto del giudizio piuttosto che uno degli elementi che ne condiziona l’avvio). Il ragionamento della Cassazione ora non ruota più attorno alla capacità del contribuente di utilmente reagire all’atto, ma direttamente all’utilità di tale reazione. Nell’ordinanza n. 13536/2020 la Cassazione sembrava intuire il problema, ma poi non lo analizzava efficacemente andando a indagare profili non idonei a dimostrare lesività dell’atto medesimo.

Con la più recente sentenza, i giudici di legittimità dimostrano, invece, di ricondurre la nozione di interesse a ricorrere rilevante ai fini dell’interpretazione dell’elenco degli atti impugnabili dell’art. 19 D.Lgs. n. 546/1992, nel giusto alveo e, in particolare, di trattarla nello stesso modo in cui è trattata la corrispondente nozione impiegata nel processo amministrativo. In questo contesto, tale interesse si sostanzia nel vantaggio diretto che il ricorrente può ottenere dall’azione; esso si riscontra proprio nell’utilità pratica e/o strumentale conseguente all’eventuale accoglimento del ricorso. Tali elementi sussistono se rispetto alla decisione finale del giudice il ricorrente è in grado di dimostrare di avere un interesse:

  • “personale”, dovendo il risultato positivo del contenzioso riguardare esattamente e direttamente il ricorrente. Tale requisito della personalità è ritenuto verificato quando il vantaggio attiene alla sfera giuridica del ricorrente medesimo, non rilevando, in alcun modo, la sfera di altri soggetti, neppure se legati a lui da vincoli stretti;
  • “diretto” o “concreto”, dovendo l’effetto lesivo derivare direttamente dal provvedimento impugnato. Tale requisito esprime il rapporto di causalità che intercorre tra l’atto e la lesione, tale per cui si deve registrare un pregiudizio concretamente verificatosi ai danni del ricorrente;
  • “attuale”, dovendo, come visto, sussistere al momento del ricorso e persistere per tutta la durata del giudizio. La lesione non è ritenuta sussistere al momento del ricorso se il provvedimento in questione non è efficace in quanto, ad esempio: i) occorre l’emanazione di provvedimenti successivi e l’Autorità preposta non vi ha ancora provveduto; ii) dipende da provvedimenti che non sono ancora operanti; iii) occorre attendere il verificarsi di eventi futuri e incerti imputabili tanto all’Amministrazione procedente, quanto a soggetti estranei ad essa (cfr. in dottrina Santoro E., Interesse al ricorso e risarcimento del danno nelle procedure di aggiudicazione di contratti pubblici, in trim. appalti, 2011, 2, 427 e 434; Travi A., Lezioni di giustizia amministrativa, Torino, 2016, 197. Cfr. in giurisprudenza Cons. Stato, sez. IV, sent. 30 giugno 2016, n. 3217; Cons. Stato, sez. VI, sent. 28 dicembre 2017, n. 6145; T.A.R. Lazio, sez. II-ter, sent. 10 gennaio 2018, n. 233).

Per meglio definire la portata (teorica e applicativa) che tale concetto ha nel processo amministrativo valga un esempio: il soggetto terzo classificato all’esito di una procedura di gara è considerato avere interesse a impugnare gli atti della procedura e la relativa aggiudicazione solo nel caso in cui le censure da lui dedotte siano tali da determinare, in caso di accoglimento del ricorso, la rinnovazione dell’intera procedura o quella finale dell’aggiudicazione in suo favore (Cons. Stato, sez. V, sent. 14 gennaio 2009, n. 101). Al di fuori di tale ipotesi, il concorrente giunto terzo non avrà alcun interesse a ricorrere, perché, pur con l’esclusione del primo classificato, l’aggiudicazione spetterà automaticamente al secondo classificato (cfr. Giordanengo F.A., L’interesse a ricorrere dell’impresa terza classificata in una gara d’appalto, le varianti progettuali ed i limiti di ammissibilità delle migliorie, in Il Foro amm. T.A.R., 2010, 1, 21; Trebastoni D.F.G., Aggiudicazione provvisoria e difetto di interesse a ricorrere, in Il Foro amm. C.d.S., 2002, 7/8, 1694; Ranzani G., In tema di interesse a ricorrere avverso ad un’autorizzazione ad edificare da parte di soggetti terzi, in Il Foro amm. T.A.R, 2002, 5, 1557). Nell’impostazione del diritto e del processo amministrativo è, dunque, del tutto inutile eliminare un provvedimento o modificarlo nel senso richiesto dal ricorrente, se questi non può trarne alcun beneficio concreto in relazione alla sua posizione (Cons. Stato, sez. VI, sent. 3 settembre 2009, n. 5191. Cfr. anche Ferrara R., [voce] Interesse e legittimazione al ricorso [ricorso giurisdizionale amministrativo] in Dig. disc. pubbl., VIII, 1993, 478).

Finalmente con la sentenza n. 21254/2023 la Cassazione dimostra di evolvere il suo ragionamento e di avvicinare il processo tributario al processo amministrativo dando la giusta impostazione alla nozione di interesse a ricorrere (come si vedrà non è, però, questo l’unico profilo per cui questi due processi risultano ora significativamente accostati).

5. Ritornando all’analisi del caso specifico oggetto della sentenza n. 21254/2023, va aggiunta l’osservazione per cui la regola della non impugnabilità dell’avviso di presa in carico risulta non essere più valida quando tale atto risulta essere il “primo atto” con cui il contribuente viene a conoscenza di una pretesa.

Una simile soluzione non è nuova nella giurisprudenza della Cassazione, ma riecheggia la sentenza a Sezioni Unite 2 ottobre 2015, n. 19704 in tema di estratto di ruolo. In quella occasione, per la Cassazione «una lettura costituzionalmente orientata dell’ultima parte del D.Lgs. n. 546 citato, art. 19, comma 3, (non esclusa dal tenore letterale del testo) impone[va] … di ritenere che l’impugnabilità dell’atto precedente non notificato unitamente all’atto successivo notificato ivi prevista non [costituisse] l’unica possibilità di far valere l’invalidità della notifica di un atto del quale il destinatario [fosse] comunque legittimamente venuto a conoscenza e pertanto non [escludeva] la facoltà del medesimo di far valere, appena avutane conoscenza, la suddetta invalidità che, impedendo la conoscenza dell’atto e quindi la relativa impugnazione, [aveva] prodotto l’avanzamento del procedimento di imposizione e riscossione, con relativo interesse del contribuente a contrastarlo il più tempestivamente possibile, specie nell’ipotesi in cui il danno [potesse] divenire in certa misura non più reversibile se non in termini risarcitori».

All’atto pratico le due sentenze formulano soluzioni finali comparabili, ma diverse quanto a fondamento: in entrambi i casi viene consentito l’accesso alla giurisdizione tributaria, ma, per la sentenza n. 19704/2015, è impugnabile l’atto presupposto (il ruolo o la cartella di pagamento), occasionalmente conosciuto dal contribuente (tramite l’estratto di ruolo) e tale impugnazione è in via facoltativa; per la sentenza n. 21254/2023 è impugnabile, a pena di decadenza, l’ultimo atto «notificato [al contribuente] o comunque [da lui] pienamente conosciuto o legalmente conoscibile» (l’avviso di presa in carico) e, in tale occasione, il contribuente può impugnare anche l’atto presupposto non conosciuto (l’avviso di accertamento impo-esattivo). Secondo la sentenza n. 21254/2023, il contribuente può, infatti, impugnare tanto il secondo atto denunciando la sua illegittimità per difetto di notifica dell’atto presupposto, quanto il primo atto per i suoi vizi propri, senza che gli sia pregiudicata alcuna difesa.

Va, tuttavia, evidenziato che, mentre la sentenza n. 19704/2015 si poneva in antitesi con quanto previsto dall’art. 19, comma 3, D.Lgs. n. 546/1992, ritenendo, anzi, di doverlo esplicitamente superare, la sentenza n. 21254/2023 si coordina, almeno implicitamente, con tale norma. È questa un’altra novità della pronuncia in esame.

La ratio dell’art. 19, comma 3, D.Lgs. n. 546/1992, è tradizionalmente rinvenuta, da un lato, in quella di evitare la possibilità di riproporre più volte la stessa questione in processi diversi (benché avverso atti diversi) (Perrone L., Profili critici degli atti impugnabili nel processo tributario, in Rass. trib., 2020, 1, 100) e, da un altro, in quella di salvaguardare la difesa del contribuente, consentendogli di recuperare la possibilità di impugnare un atto che gli è stata preclusa dalla sua mancata notifica (Ingrao G., Prime riflessioni sull’impugnazione facoltativa nel processo tributario [a proposito dell’impugnabilità di avvisi di pagamento, comunicazioni di irregolarità, preavvisi di fermo di beni mobili e fatture], in Riv. dir. trib., 2007, 12, 1108).

In linea con la funzione garantista di tale norma (anzi potenziandola), già in passato la dottrina (Randazzo F., Le problematiche di giurisdizione nei casi di riscossione tributaria non preceduta da avviso di mora, in Riv. dir. trib., 2003, 12, II, 923; Id., I confini della giurisdizione tributaria sul versante della riscossione e dell’esecuzione forzata tributaria, in Basilavecchia M. – Tabet G., a cura di, La giurisdizione tributaria nell’ordinamento giurisdizionale. Atti del convegno di Teramo 22 e 23 novembre 2007, Bologna, 2009, 49; Id., Esecuzione forzata tributaria: il raccordo tra giudizio ordinario e tributario per una efficace tutela, in Corr. trib., 2011, 33, 2749) aveva evidenziato come la norma in questione rappresentasse lo strumento naturale attraverso cui stemperare la rigidità dell’art. 19, comma 1, D.Lgs. n. 546/1992. In questa prospettiva, l’elettivo campo di applicazione dell’art. 19, comma 3, D.Lgs. n. 546/1992, non sarebbe stato tanto (o almeno non solo) il caso in cui si fossero succediti due atti autonomamente impugnabili, il primo dei quali non notificato al contribuente, quanto piuttosto quello in cui si fossero succeduti un atto impugnabile (non notificato) e un atto non autonomamente impugnabile (notificato). Quest’ultimo, fornendo al contribuente la piena conoscenza del primo, doveva allora considerarsi autonomamente impugnabile proprio al fine di evitare inammissibili vuoti di tutela.

La Cassazione, con la sentenza in esame, fa sostanzialmente propria questa impostazione, finalmente fondando e risolvendo su basi sistematicamente corrette la questione dell’impugnabilità degli atti che, pur se non inclusi nell’elenco di cui all’art. 19 D.Lgs. n. 546/1992, costituiscono il mezzo attraverso cui il contribuente viene a conoscenza di un precedente atto non notificato.

Il veicolo di accesso alla tutela giurisdizionale è, precisa la Corte, il secondo atto. Sul punto la Cassazione ha cura di precisare che non per questo il secondo atto (l’avviso di presa in carico nel caso di specie) diviene di per sé impugnabile; è un’impugnabilità riflessa ed eccezionale. In ottica interpretativa, tale puntualizzazione dovrebbe valere a considerare la possibilità di allargare l’elenco degli atti impugnabili come possibilità eccezionale. L’essere l’atto presupposto non notificato e l’essere l’atto successivo il primo che porta a conoscenza la pretesa dovrebbero essere condizioni da valutare con estremo rigore.

Ciò che merita rilevare è come tanto l’approccio della sentenza n 19704/2015, quanto quello della sentenza n. 21254/2023 evitino vuoti di tutela, ma allo stesso tempo occorre osservare come quello più recente sia maggiormente coerente con i principi del processo tributario.

Date tali premesse, la Cassazione, infatti, non può fare a meno di aggiungere, in ossequio ai «principi di efficacia, efficienza ed economicità della tutela giudiziaria e di ragionevole durata del processo», che «l’impugnazione di quegli atti […] costituiscano il primo atto notificato o comunque pienamente conosciuto o legalmente conoscibile dalla parte contribuente, successivo ad un atto impugnabile, ma non formalmente comunicato e che, quindi, si palesa tramite la comunicazione dell’atto successivo, non autonomamente lesivo» va ammessa «a pena di decadenza». Nella sentenza in esame si torna, dunque, al modello dell’impugnazione «a pena di decadenza» e lo si applica non solo a qualunque atto «notificato», ma lo si estende anche a qualunque atto «comunque pienamente conosciuto o legalmente conoscibile» dal contribuente.

6. Tale ultima affermazione consente di tornare a svolgere alcune considerazioni di carattere sistematico. Essa appare un passaggio di non scarso rilievo in quanto impone di ripensare la perdurante validità del regime processuale che la Cassazione riserva agli atti “atipici” cui l’avviso di preso in carico avrebbe potuto essere ricondotto.

Sulla base della giurisprudenza della Cassazione (ex multis Cass. civ., sez. V, sent. 5 ottobre 2012, n. 17010; Cass., sez. V, sent. 28 maggio 2014, n. 11929; Cass. civ., sez. VI-5, ord. 2 novembre 2017, n. 26129; Cass. civ., sez. V, sent. 25 marzo 2015, n. 5966; Cass. civ., sez. VI-5, ord. 18 luglio 2016, n. 14675; Cass. civ., sez. V, sent. 10 novembre 2017, n. 26637; Cass. civ., sez. V, sent. 11 maggio 2018, n. 11471; Cass. civ., sez. V, sent. 30 ottobre 2018, n. 27582; Cass. civ., Sez. Un., sent. 2 ottobre 2015, n. 19704; Cass. civ., sez. VI-5, ord. 1° giugno 2016, n. 11439; Cass. civ., sez. VI-5, ord. 12 ottobre 2016, n. 20611; Cass. civ., sez. VI-5, ord. 9 settembre 2019, n. 22507; Cass. civ., sez. V, ord. 12 ottobre 2021, n. 27860), il regime dell’impugnazione facoltativa di un atto va riservato agli atti “atipici” e vanno considerati come tali:

  • quelli non inclusi nell’elenco dell’art. 19 D.Lgs. n. 546/1992, notificati e non al contribuente (tra i quali si sarebbe potuto far ricadere l’avviso di presa in carico);
  • quelli inclusi nell’elenco dell’art. 19 D.Lgs. n. 546/1992, ma non notificati al contribuente.

La teoria dell’impugnazione facoltativa è (almeno per ora) quella che considera l’impugnazione degli atti atipici come una “possibilità senza preclusioni” per il contribuente, ovverosia è quella che permette al contribuente, qualora quest’ultimo decida di non contestare in via giudiziale l’atto ricevuto, di non vedere definitivamente cristallizzata la pretesa tributaria contenuta in tale atto (differentemente da quanto avviene con riferimento agli atti tipici ove la mancata impugnazione determina la definitività dell’atto), ma di poterla rimettere in discussione alla notifica del primo atto successivo impugnabile (Ingrao G., Impugnazione facoltativa e conoscenza di fatto, in Dial. trib., 2008, 6, 44; Id., Gli Avvisi di pagamento e le comunicazioni di irregolarità come atti non impugnabili, in Dial. dir. trib., 2005, 9, 1127; Id., Prime riflessioni sull’impugnazione facoltativa nel processo tributario (a proposito dell’impugnabilità di avvisi di pagamento, comunicazioni di irregolarità, preavvisi di fermo di beni mobili e fatture), cit., 1103; Lupi R., Uno stratagemma per rompere il collegamento tra impugnabilità dell’atto e sua potenziale definitività, in Dial. dir. trib., 2005, 9, 1131; Randazzo F., Impugnabilità non significa attitudine a consolidarsi, in Dial. trib., 2008, 6, 57; Tesauro F., Il processo tributario tra modello impugnatorio e modello dichiarativo, in Rass. trib., 2016, 4, 1036; Cipolla G.M., Processo tributario e modelli di riferimento: dall’onere di impugnazione all’impugnazione facoltativa, in Riv. dir. trib., 2012, 11, I, 976; Fransoni G., Spunti ricostruttivi in tema di atti impugnabili nel processo tributario, cit.; Perrone L., Profili critici degli atti impugnabili nel processo tributario, cit., 79).

Con la sentenza in esame la Cassazione realizza un cambio di prospettiva di non scarso rilievo: l’avviso di presa in carico, atto non incluso nell’art. 19 D.Lgs. n. 546/1992 e non notificato al contribuente, diviene impugnabile a pena di decadenza e non più in via facoltativa. Ci si sarebbe potuti attendere che, similmente al caso dell’estratto di ruolo, la Cassazione risolvesse la questione nel senso dell’impugnazione in via facoltativa; viene, invece, adottato un modello differente per sancire probabilmente (e auspicabilmente) l’abbandono di tale modello.

Non è tuttavia questo l’unico punto della sentenza n. 21254/2023 che deve essere messo in evidenza; merita rilevare altresì il fatto che il regime processuale dell’impugnazione a pena di decadenza venga riservato a qualunque atto «notificato o comunque pienamente conosciuto o legalmente conoscibile».

È anche questa un’affermazione di non scarso rilievo in quanto sono contemplate ipotesi fortemente differenti tra loro, a molte delle quali la precedente giurisprudenza avrebbe applicato il modello dell’impugnazione facoltativa. Ciò impone di dover analizzare due profili:

  • cosa si debba intendere per atto «notificato o comunque pienamente conosciuto o legalmente conoscibile» dal contribuente;
  • quale siano le conseguenze della mancata impugnazione dell’atto presupposto.

La prima questione va articolata in ulteriori sotto-profili.

In primo luogo, va osservato come non ponga ovviamente problemi la nozione di atto “notificato”.

In secondo luogo, va rilevato che, benché la Cassazione non lo menzioni (ma lo tratti nella sentenza) va preso in considerazione anche il caso dell’atto “comunicato” (come è l’avviso di presa in carico). Anche tale nozione deve intendersi inclusa nel predetto elenco. La “comunicazione” è quella modalità di trasmissione che avviene informalmente, al di fuori di un procedimento previsto per legge che ne regoli la trasmissione e ne disciplini gli effetti. Ciò non esclude che possano porsi situazioni problematiche nel caso di assenza del contribuente, di ritardo prolungato del contribuente nell’acquisire notizia della comunicazione. Nella sua prossima giurisprudenza la Cassazione dovrà fornire chiarimenti per tali ipotesi. Se l’impugnazione è a pena di decadenza, si dovrà identificare in questi casi il dies a quo per proporre ricorso.

In terzo e quarto luogo vanno analizzate le nozioni di atti “pienamente conosciuti o legalmente conoscibili”, in quanto con esse (e a maggior ragione) potranno porsi le stesse criticità che si pongono con gli atti comunicati. Anche (e a maggior ragione) in questi casi non sarà immediato individuare il dies a quo da prendere in considerazione ai fini del tempestivo compimento delle attività processuali.

Vale la pena sottolineare come, a livello ordinamentale, le nozioni di atti “pienamente conosciuti o legalmente conoscibili” non siano fattispecie del tutto nuove.

Quella di piena conoscenza è una nozione individuata soprattutto dalla giurisprudenza amministrativa per la quale tale situazione si verifica quando un soggetto è in grado di dimostrare l’esistenza di un provvedimento amministrativo lesivo della sua sfera giuridica. È uno di quei casi che fa sorgere in capo all’interessato un interesse (attuale, personale e concreto) ad agire contro di esso. Per proporre ricorso contro tale atto non è ritenuta necessaria neppure la conoscenza di tutti i suoi elementi, essendo invece sufficiente che l’interessato sia a conoscenza di quelli essenziali, quali l’Autorità amministrativa che l’ha emanato, la data, il contenuto dispositivo ed il suo effetto lesivo (cfr., Cons. Stato, sez. IV, sent. 2 marzo 2020, n.1496; Cons. Stato, sez. VI, sent. 11 giugno 2020, n. 3731; Cons. Stato, sez. V, sent. 30 aprile 2021, n. 3452). Nella logica del processo amministrativo, la piena conoscenza è, dunque, una di quelle situazioni da cui può emergere un interesse a ricorrere e la definitività dell’atto se non impugnato. Nel processo amministrativo ciò è il frutto non solo e non tanto della giurisprudenza, ma anche e soprattutto, di una precisa scelta legislativa: l’art. 41 cod. proc. amm. stabilisce, infatti, che il ricorso deve essere notificato, a pena di decadenza, alla Pubblica amministrazione che ha emesso l’atto impugnato «entro il termine previsto dalla legge, decorrente dalla notificazione, comunicazione o piena conoscenza».

In materia tributaria, il problema non è stato fino ad ora del tutto ignorato, ha soltanta ricevuto un minore approfondimento. Va ricordato come la Cassazione (Cass. civ., sez. V, sent. 27 febbraio 2009, n. 4760), per quanto di interesse, abbia già avuto già modo di chiarire che, benché l’art. 21 D.Lgs. n. 546/1992, non preveda formalmente alcuna equipollenza tra notificazione e piena conoscenza, tuttavia, «sarebbe contrario alla natura delle cose, e alla logica che ne sta alla base, negare alla conoscenza effettiva, purché piena e purché provata dall’ufficio tributario, la stessa capacità di creare, a carico del contribuente, l’onere di rispettare il termine decadenziale per l’eventuale impugnazione dell’atto d’imposizione che non gli sia stato notificato, ma che egli abbia, comunque, pienamente conosciuto» (in senso conforme cfr. Cass. civ., sez. V, sent. 4 febbraio 2011, n. 2728). Non sono, però, mancate posizioni di segno contrario (Cass. civ., sez. V, sent. 11 febbraio 2022, n. 4536) sulla base del presupposto che «la natura recettizia degli atti tributari rende inapplicabile l’istituto della “piena conoscenza” ai fini del decorso del termine di impugnazione. Pertanto, l’omessa comunicazione, nei modi di legge, del provvedimento recettizio comporta il mancato decorso dei termini di impugnativa e impedisce che l’atto diventi inoppugnabile».

La sentenza n. 21254/2023 può essere letta nel senso di rappresentare un’apertura al principio della piena validità della rilevanza della piena conoscenza di un atto impositivo. Se così fosse, si auspica, però, che nell’individuare tale situazione sia usato il maggior rigore possibile e sia assicurato al contribuente di poter dimostrare in maniera piena la sua posizione; si auspica altresì sia data rilevanza a tutte quelle situazioni personali che lo riguardano e che possono differire il termine della conoscenza. In altri termini, nel caso in cui l’Agenzia dimostri di aver proceduto alla comunicazione, il contribuente dovrà essere messo in grado di dimostrarne di averne avuto piena conoscenza in una data successiva e non potrà che essere quest’ultima data a prevalere ai fini del computo dei termini di legge.

Alla notifica e alla piena conoscenza, la sentenza n. 21254/2023 affianca il concetto di legale conoscibilità. Tale concetto appare però superfluo; si ritiene possa essere rinunciato in quanto insito nei precedenti, tanto in quello di notifica, quanto in quello di piena conoscenza.

La conoscibilità legale è, infatti, una nozione che copre le situazioni in cui, per presunzione legale, si assume che il contribuente conosca un atto che lo riguarda. Normalmente si tratta di presunzioni che seguono all’adozione da parte dell’Amministrazione finanziaria delle norme in tema di notifica, ipotesi, appunto, già richiamata. Per conoscibilità legale potrebbe intendersi altresì la conoscenza che si ha di un atto perché impiegato in altro procedimento amministrativo o giudiziale. Conoscendo un contribuente di un atto amministrativo in una di tali sedi, si integrerebbe, però, già la fattispecie della piena conoscenza e, dunque, non sarebbe necessario invocare una nuova nozione.

In sintesi, l’ultima ipotesi evocata dal legislatore pare riassorbibile nelle precedenti e, dunque, potrebbe essere abbandonata, in favore di una ricostruzione più in linea con il codice del processo amministrativo.

Così ricostruiti gli eventi da cui decorre il termine per impugnare, si può affrontare il secondo problema sollevato: gli effetti della mancata impugnazione (profilo tanto più problematico quanto è più difficile individuare il dies a quo per l’impugnazione).

È forse questo il punto che la Cassazione sembrerebbe intravedere quando precisa che far «valere anche vizi propri dell’atto conseguente non ne giustifica l’autonoma impugnabilità, che risulta sempre dipendente dalla lesione di cui è capace unicamente l’atto presupposto e, fino ad allora, ignorato».

Il problema che sembrerebbero porsi i giudici di legittimità è se l’impugnabilità riflessa, ma comunque a pena di decadenza, dell’atto successivo unitamente all’atto precedente sino ad allora ignorato, trascini con sé anche l’impugnabilità a pena di decadenza dell’atto presupposto.

Come detto l’impugnazione facoltativa serviva proprio ad evitare tale effetto, ma sembrerebbe ora che i giudici di legittimità vogliano superare tale approccio e rendere definitivo l’atto presupposto non impugnato.

Ove sia questo l’esito prefigurato dalla Cassazione, esso non appare contrario all’ordinamento giuridico inteso in senso lato in quanto già previsto dal codice del processo amministrativo all’art. 41.

Benché non asistematico, tale esito rappresenterebbe una svolta “epocale” nel sistema tributario; sarebbe una conseguenza implicita nel riconoscere l’impugnabilità di un atto quale conseguenza della sua lesività e, dunque, della sua idoneità a far emergere un interesse a ricorrere in capo al contribuente. In linea con il processo amministrativo, l’atto avverso il quale sorge un interesse, se non impugnato, non potrebbe che consolidarsi. È, però, opportuno che la Cassazione chiarisca tale punto in quanto del tutto innovativo rispetto alla giurisprudenza prevalente e decisivo per il contribuente.

Allo stato, la ricettizietà era considerata un predicato ineliminabile degli atti tributari. Il sistema delineato dall’art 19 D.Lgs. n. 546/1992, sembrerebbe essere costruito attorno solo tale tipologia di atti, sicché ammettere che situazioni diverse dalla notifica rendano definitivo un atto potrebbe divenire un’apertura non del tutto sistematica. Nel sistema tributario la notifica svolge un ruolo di difesa del contribuente: il fatto che essa debba avvenire secondo precise forme e cautele costituisce il primo baluardo eretto a difesa del contribuente che sa che la sua sfera giuridica può essere aggredita solo da un procedimento altamente formalizzato e non comune. La “notifica” costituisce così un’“allerta massima” per il contribuente. Forme di comunicazione diverse hanno ugualmente la funzione di avvisarlo di situazioni che lo riguardano, ma non di metterlo “sul chi vive”, ma solo di invitarlo ad avviare forme di cooperazione con l’Amministrazione finanziaria finalizzate alla definizione bonaria dell’obbligazione tributaria.

In definitiva, dal momento che la soluzione della Cassazione, pare maggiormente compatibile con il processo amministrativo, piuttosto che con quello tributario, ove tale Corte voglia proseguire per tale strada, deve procedere con cautela.

Consentire di contestare un atto di cui si venga a conoscenza in qualunque modo è una conclusione che ridonda indubbiamente a favore del contribuente in quanto gli si consente l’immediato accesso alla tutela giurisdizionale e alla possibilità di rimuovere gli effetti che tale atto produce (è questa la principale giustificazione a sostegno della giurisprudenza della Cassazione); ciò, tuttavia, non esclude che la stessa conclusione possa tradire i fini del processo tributario. Si rischia di accordare al contribuente tutela in presenza di atti non effettivamente lesivi della sua sfera giuridica. Ad avviso di chi scrive, dovrebbero essere tenuti in migliore considerazione le specificità del sistema tributario e le ragioni per cui viene fatto ricorso a mezzi di trasmissione degli atti tributaria diversi dalla notifica.

La comunicazione, ad esempio, è utilizzata per la trasmissione degli avvisi bonari, come degli avvisi di presa in carico e serve a realizzare forme di contatto informale tra il contribuente e l’Amministrazione stimolando l’adempimento spontaneo dell’obbligazione tributaria. Ipotizzare che dalla comunicazione di un atto derivino gli stessi effetti della notificazione tradirebbe questi scopi. Si ritiene che la Cassazione farebbe allora meglio a restringere la portata delle sue affermazioni.

7. In conclusione va evidenziato come la sentenza n. 21254/2023 si segnali per rappresentare un deciso cambio di rotta nella giurisprudenza della Cassazione. Come dimostrato, la sua portata applicativa trascende assolutamente il caso dell’avviso di presa in carico e ambisce a essere un punto di svolta nella giurisprudenza della stessa Corte. Ciò avviene con luci e ombre.

È una luce la conferma della necessità di allargare il novero degli atti impugnabili facendo, però, in modo che l’accesso alla tutela giurisdizionale arrivi “al momento giusto” e, dunque, non troppo tardi e probabilmente neppure troppo presto (addirittura anche il criticabile orientamento, iniziato da Cass., sez. V, sent. 11 maggio 2012, n. 7344, che vuole impugnabile l’avviso bonario, potrebbe essere messo in discussione da tale sentenza attesa l’inequivoca non immediata lesività di tale atto).

È una luce il fatto che la Cassazione persegua questo obiettivo sposando quella nozione estremamente pragmatica di interesse a ricorrere adottata dalla giurisprudenza amministrativa che ravvisa un simile interesse tutte le volte in cui il contribuente può vedere intaccata la sua sfera giuridica comprensiva anche di tutte le facoltà che gli sono attribuite dalla legge.

È un’ulteriore luce la scelta di inscrivere tale concetto nella sistematica tradizionale del processo tributario (l’impugnazione a pena di decadenza) e non in nuovi modelli processuali di origine pretoria.

È, invece, una possibile ombra il fatto che l’impugnabilità degli atti sia estesa a quelli comunicati, pienamente conosciuti o legalmente conoscibili. Tale passaggio della sentenza merita una miglior definizione. Come si è visto, la “legale conoscenza” potrebbe essere un concetto ultroneo; la “piena conoscenza” è un concetto che dovrebbe essere meglio approfondito: la “comunicazione” di un atto sarebbe un concetto già proprio del diritto tributario, ma utile per altri fini. Dal momento che Cassazione importa nel processo tributario un modello del processo amministrativo, non ricorrendo ai dovuti aggiustamenti, si ritiene vada scongiurato il rischio di rigetto di questo trapianto. Meglio avrebbe fatto la Cassazione a tutelare maggiormente il particolarismo del diritto tributario dando rilievo solo agli atti notificati e non alle altre fattispecie.

In ogni caso, il percorso intrapreso dalla Cassazione, benché perfettibile, appare del tutto corretto e, pertanto, non si può che sperare che quanto si legge in questa sentenza sia confermato nelle prossime decisioni della Corte divenendo, al più presto, opportunamente emendato, giurisprudenza consolidata.

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