EDITORIALE – I nuovi sviluppi della normativa sull’autotutela
Di Giuseppe Ingrao
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I. Tra i numerosi principi e criteri direttivi contenuti nell’art. 4 della Legge delega n. 111/2023, specificamente dedicato alla revisione dello Statuto del contribuente, spiccano quelli relativi alle modifiche da apportare all’istituto dell’autotutela tributaria indicati specificamente nel primo comma, lettera h).
Il legislatore delegante ha, in particolare, evidenziato la necessità di «potenziare l’esercizio del potere di autotutela estendendone l’applicazione agli errori manifesti nonostante la definitività dell’atto, prevedendo l’impugnabilità del diniego ovvero del silenzio nei medesimi casi nonché, con riguardo alle valutazioni di diritto e di fatto operate, limitando la responsabilità nel giudizio amministrativo contabile dinanzi alla Corte dei conti alle sole condotte dolose».
Lo schema di decreto legislativo attuativo, in corso di approvazione, dedica due articoli alla revisione dell’autotutela con i quali si introdurranno nella L. n. 212/2000 due nuove norme: l’art. 10-quater (Esercizio del potere di autotutela obbligatoria) e l’art. 10-quinquies (Esercizio del potere di autotutela facoltativa) e chiarisce che dalla data di entrata in vigore delle nuove disposizioni è espressamente abrogata la disciplina dell’autotutela contenuta nell’art. 2-quater del D.L. n. 564/1994 e nel D.M. attuativo n. 37/1997.
II. Prima di verificare la portata innovativa della nuova regolamentazione dell’istituto in parola, occorre innanzitutto evidenziare il forte impatto sugli operatori del diritto tributario che consegue alla collocazione della normativa sull’autotutela nel contesto dello Statuto dei diritti del contribuente: da disposizioni contenute in un provvedimento legislativo “autonomo”, a disposizioni che fanno parte di un corpus normativo fondamentale per il diritto tributario qual è lo Statuto dei diritti del contribuente, che contiene principi generali dell’ordinamento.
La forza condizionante delle norme contenute nella L. n. 212/2000 sul sistema di attuazione dei tributi è, infatti, sotto gli occhi di tutti, e certamente può contribuire a diffondere una maggiore sensibilità presso gli Uffici finanziari nell’esercizio dell’attività di riesame e di ritiro degli atti.
Dal punto di vista del contenuto della nuova regolamentazione non possiamo, però, sottacere che i principi direttivi contenuti nella delega hanno trovato solo una parziale attuazione nello schema di decreto legislativo.
III. Innanzitutto la L. n. 111/2023 stabilisce il criterio direttivo dell’ampliamento dell’applicazione agli errori manifesti rispetto alla previgente regolamentazione. A ben vedere, invece, il campo di applicazione è rimasto sostanzialmente invariato.
Il D.M. n. 37/1997 stabilisce, infatti, che l’Amministrazione finanziaria può procedere, in tutto o in parte, all’annullamento, senza necessità di istanza di parte, nei casi in cui sussista illegittimità dell’atto o dell’imposizione, quali tra l’altro: a) errore di persona; b) evidente errore logico o di calcolo; c) errore sul presupposto dell’imposta; d) doppia imposizione; e) mancata considerazione di pagamenti di imposta, regolarmente eseguiti; f) mancanza di documentazione successivamente sanata, non oltre i termini di decadenza; g) sussistenza dei requisiti per fruire di deduzioni, detrazioni o regimi agevolativi, precedentemente negati; h) errore materiale del contribuente, facilmente riconoscibile dall’Amministrazione.
La nuova regolamentazione normativa contenuta nello Statuto del contribuente indica quali ipotesi che legittimano l’esercizio del potere di autotutela obbligatoria: a) l’errore di persona; b) l’errore di calcolo; c) l’errore sull’individuazione del tributo; d) l’errore materiale del contribuente, facilmente riconoscibile dall’Amministrazione. Con riferimento all’autotutela facoltativa, invece, non vi sono situazioni tipizzate che determinano l’illegittimità o l’infondatezza dell’atto impositivo.
Confrontando le disposizioni normative degli anni ‘90 con quelle di nuovo conio ci si rende conto che il campo di applicazione è identico, ma che, piuttosto, risulta modificata la natura del potere di autotutela. Ed infatti, dalla natura discrezionale “a tutto campo” (l’Ufficio può procedere …) ci si sposta verso la natura vincolata e obbligatoria (l’Ufficio procede …), sia pur con riferimento a poche ipotesi riconducibili a vizi macroscopici degli atti impositivi e dell’imposizione. Per le restanti ipotesi, l’esercizio dell’autotutela continuerà a svilupparsi con le medesime modalità registrate nell’ultimo ventennio: riesame facoltativo e ritiro facoltativo degli atti impositivi, frutto di un’attività discrezionale degli Uffici impositori.
La trasformazione della natura del potere esercitato in sede di autotutela è da accogliere positivamente, ma resta comunque “timida” nella misura in cui opera solo parzialmente per gli atti definitivi.
Nel confermare, infatti, che il potere di autotutela può essere esercitato anche in pendenza di giudizio o in caso di atti definitivi, si precisa che l’annullamento di ufficio obbligatorio non può essere effettuato se decorrono tre mesi dalla definitività per mancata impugnazione. Da ciò si deduce che, decorso il suddetto termine senza che l’autotutela sia stata esercitata, l’annullamento dell’atto definitivo, nonostante quest’ultimo manifesti i vizi elencati nell’art. 10-quater che renderebbero l’autotutela obbligatoria, può avvenire solo in modo facoltativo, ai sensi dell’art. 10-quinquies.
IV. La Legge delega n. 111/2023 precisa normativamente anche i riflessi processuali dell’esercizio del potere di autotutela, invitando il legislatore delegato a disporre circa l’impugnabilità del diniego o del silenzio rispetto all’eventuale istanza di autotutela.
Su questo punto il decreto legislativo di attuazione non interviene. Resta quindi incerta sia l’impugnabilità del diniego o del silenzio, sia il tipo di intervento che eventualmente dovrebbe svolgere il giudice.
Il silenzio del legislatore delegato fa sì che permarrà l’orientamento della giurisprudenza di legittimità formatosi con riferimento alla normativa oggi in vigore, secondo cui è consentita l’impugnabilità del diniego espresso o tacito, dinanzi il giudice tributario, in caso di vizi sopravvenuti (e non originari) dell’atto di cui si chiede il riesame, ma il giudice non può annullare l’atto impositivo (sostituendosi all’amministrazione), potendo solo controllare la legittimità o meno del diniego di autotutela (Cass. n. 23765/2015; n. 24032/2019).
V. In definitiva, pur apprezzando l’intento di dare un forte impulso all’autotutela grazie alla sua collocazione all’interno dello Statuto del contribuente, leggendo le nuove previsioni contenute nello schema di decreto legislativo in corso di applicazione può dedursi che, con riferimento a questo istituto, si registrerà solo un modesto passo in avanti sul fronte di un “più ordinato” rapporto Fisco – contribuente.
Le criticità sino ad oggi evidenziate sull’esercizio del potere di autotutela riguardano, infatti, ipotesi più complesse e delicate rispetto a quelle per cui oggi si è disposto l’obbligo di ritiro dell’atto (art. 10-quater), le quali continueranno a ricadere nell’area dell’attività facoltativa/discrezionale degli Uffici fiscali (art. 10-quinquies).
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