Giudizio tributario e buon governo nell’applicazione dei principi fondativi dell’incertezza normativa oggettiva: spunti di riflessione dalla recente giurisprudenza di legittimità
Di Giovanna Petrillo
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(commento a/notes to Corte di Cassazione, ord. 30 marzo 2023, n. 9055)
Abstract
Con l’ordinanza in commento la Suprema Corte dà continuità ad indirizzi noti in tema di incertezza normativa oggettiva quale esimente dalla responsabilità amministrativa tributaria: pur tuttavia, la specificità del tema trattato oltre a rimanere di stringente attualità risulta di notevole interesse pratico in quanto, come dimostrato dal caso esaminato, spesso i principi fondativi dell’istituto non risultano tenuti in adeguato conto dai giudici. Illustrato il contenuto della pronuncia, si cercherà di approfondire alcuni profili di criticità riguardanti l’applicazione delle cause sintomatiche dell’obiettiva incertezza a fronte dell’esigenza di prevedere una maggiore valorizzazione dell’esimente in questione.
Tax judgement and good governance in the application of the founding principles of uncertainty in tax legislation: insights from a recent Supreme Court case. – The judgment in question gives continuity to well known guidelines on the subject of uncertainty of tax law as a circumstance excluding wrongfulness: despite this, the subject matter is very topical and of considerable practical importance since, as demonstrated by the case study,often the founding principles of the institute are not adequately taken into account by the judges. Explain the content of the judgment, we will try to deepen some specific profiles concerning the application of the symptomatic causes of the objective uncertainty in order to foresee a greater valorisation.
Sommario: 1. I fatti di causa e la soluzione interpretativa offerta dalla Suprema Corte. – 2. L’essenza del fenomeno dell’incertezza normativa oggettiva nelle ragioni dell’ordinanza del giudice di legittimità. – 2.1. Le questioni ancora aperte e i limiti dell’orientamento eccessivamente rigorista assunto dalla giurisprudenza. – 3. L’opportunità di un intervento legislativo più pregnante sulla scusante nella prospettiva della delega al Governo per la revisione del sistema tributario.
1. Nel caso esaminato dalla Suprema Corte, la Commissione tributaria regionale ha annullato l’atto di irrogazione della sanzione comminata ad un contribuente relativamente ad un credito d’imposta per investimenti in attività di ricerca e sviluppo. In particolare, la Commissione tributaria regionale ritiene sussistente un’incertezza normativa oggettiva in ordine alle procedure da seguire per accedere al credito d’imposta.
Avverso tale decisione propone ricorso l’Agenzia delle Entrate lamentando che il giudice tributario abbia disposto l’annullamento dell’atto di irrogazione della sanzione in violazione del disposto dell’art. 8 D.Lgs. n. 546/1992 non avendo la Commissione tributaria regionale indicato gli elementi specifici da cui, nel caso di specie, discendeva l’incertezza normativa.
La Corte di Cassazione, nel giudicare fondata la doglianza, ribadisce la propria giurisprudenza in materia indicando quali siano i“fatti indice” che il giudice deve valutare nel loro valore indicativo, al fine di applicare la suddetta causa di esenzione della responsabilità fra cui (a titolo esemplificativo e non esaustivo): difficoltà d’individuazione delle disposizioni normative, dovuta magari al difetto di esplicite previsioni di legge; difficoltà di confezione della formula dichiarativa della norma giuridica; difficoltà di determinazione del significato della formula dichiarativa individuata; mancanza di informazioni amministrative o contraddittorietà delle stesse; mancanza di una prassi amministrativa o adozione di prassi amministrative contrastanti; mancanza di precedenti giurisprudenziali; formazione di orientamenti giurisprudenziali contrastanti, accompagnati dalla sollecitazione di un intervento chiarificatore della Corte costituzionale; contrasto tra prassi amministrativa e orientamento giurisprudenziale; contrasto tra opinioni dottrinali; adozione di norme di interpretazione autentica o meramente esplicative di norma implicita preesistente.
Tali fatti indice, rimarcano gli Ermellini, devono essere accertati, esaminati ed inseriti in procedimenti interpretativi che siano metodicamente corretti e che portino inevitabilmente a risultati fra loro contrastanti ed incompatibili. In quest’ottica, costituisce causa di esenzione del contribuente dalla responsabilità amministrativa tributaria una condizione di inevitabile incertezza sul contenuto, sull’oggetto e sui destinatari della norma tributaria, ossia l’insicurezza ed equivocità del risultato conseguito attraverso la sua interpretazione (cfr. Cass., sez. V, n. 18405/2018).
Il supremo giudice chiarisce, in merito, al fine di dare rilevanza qualificata alla percezione normativa, che l’incertezza normativa non può essere riconosciuta nella mera pendenza di un giudiziosulla legittimità costituzionale o comunitaria di una norma tributaria nazionale, dovendo emergere altrimenti condizioni di obiettiva incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione della stessa norma (cfr. Cass., sez. V, n. 17195/2019; n. 1893/2021). La Suprema Corte precisa altresì che in tema di responsabilità amministrativa tributaria la condizione di inevitabile “incertezza normativa tributaria” sul contenuto, sull’oggetto e sui destinatari della norma tributaria, che costituisce causa di esenzione, consiste in una oggettiva impossibilità, accertabile esclusivamente dal giudice, di individuare la norma giuridica in cui sussumere un caso di specie, mentre resta irrilevante l’incertezza soggettiva, derivante dall’ignoranza incolpevole del diritto o dall’erronea interpretazione della normativa o dei fatti di causa (cfr. Cass., sez. V, n. 13076/2015).
Tanto rilevato, nella fattispecie oggetto di scrutinio, chiosa il giudice di legittimità, la Commissione tributaria regionale non ha applicato correttamente i principi volti all’individuazione di siffatti elementi, per questa ragione, considera fondato il ricorso dell’Agenzia delle Entrate con conseguente rigetto del ricorso originario del contribuente.
Orbene l’evidente importanza, tanto da poter essere qualificata come una sorta di principio generale sotto il profilo sanzionatorio tributario, della scusante dell’obiettiva incertezza della norma tributaria è occasione di una serie di riflessioni da svolgersi secondo due profili fra loro connessi: il primo riguardante il contenuto del concetto legislativo di obiettiva incertezza della normativa tributaria applicabile ed il secondo (correlato) relativo all’eccessivo rigorismo della giurisprudenza che corre il rischio di limitarne eccessivamente la concreta applicazione.
2. Come è noto, l’ordinamento esclude sulla scorta di ben tre disposizioni normative (art. 10 dello Statuto dei diritti del contribuente, art. 6 D.Lgs. n. 472/1997 in materia di disciplina generale delle sanzioni amministrative tributarie, art. 8 D.Lgs. n. 546/1992 in materia di processo tributario) l’applicabilità di sanzioni nei confronti di chi abbia errato nell’intendere e adempiere i propri obblighi nel caso in cui la ricostruzione o individuazione della fattispecie normativa astratta applicabile a un caso concreto sia obiettivamente incerta. In particolare l’art 8 D.Lgs n. 546/92, riproducendo l’art. 39-bis D.P.R. n. 739/1981 della previgente disciplina sul contenzioso tributario di cui al D.P.R. n. 636/1972, attribuisce alle sole Commissioni tributarie (ora Corti) il potere di dichiarare non applicabili le sanzioni amministrative tributarie quando la violazione è giustificata da «obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione delle disposizioni alle quali si riferisce».
La Suprema Corte con la pronuncia in esame si richiama ad una consolidata definizione di obiettiva incertezza normativa in termini di situazione giuridica oggettiva che risulta caratterizzata dall’impossibilità, esistente in sé ed accertata dal giudice, di individuare con sicurezza ed univocamente, al termine di un procedimento interpretativo metodicamente corretto, la norma giuridica sotto la quale effettuare la sussunzione di un caso di specie. In quest’ottica, l’incertezza normativa oggettiva non rinviene il suo fondamento nell’ignoranza giustificata bensì nell’impossibilità, abbandonato lo stato d’ignoranza, di pervenire comunque allo stato di conoscenza sicura della norma giuridica tributaria (in questi termini si veda Cass. n. 21307/2018). In sostanza, è la situazione oggettiva di mancanza di chiarezza dell’ordinamento tributario a rendere – determinando l’inintelligibilità della norma – scusabile la violazione, ciò in quanto l’equivocità della previsione normativa comportando, in un dato momento, interpretazioni diverse, non consente l’individuazione del significato “certo” della legge.
È pertanto condivisibile l’orientamento della Cassazione, riaffermato nella pronuncia in commento, secondo cui l’incertezza normativa oggettiva «postula una condizione di inevitabile incertezza sul contenuto, sull’oggetto e sui destinatari della norma tributaria, ovverosia l’incertezza ed equivocità del risultato conseguito attraverso il procedimento di interpretazione normativa» (in tema, cfr. Giovannini A., Potere punitivo e incertezza della legge, in Giur. it., 2008, 8/9, 2081; ampiamente in argomento si rinvia anche alle condivisibili e complete argomentazioni esposte in Cass. 28 novembre 2007, n. 24670 e diffusamente confermate da Cass. 19 ottobre 2020, n. 22689). In tale prospettiva, il giudizio sulla ragionevolezza dell’interpretazione erronea che ha determinato l’illecito tributario costituisce il parametro necessario per l’esclusione della responsabilità da parte del contribuente (così, Logozzo M., La ragionevolezza dell’interpretazione erronea quale presupposto dell’obiettiva incertezza della legge tributaria, in GT – Riv. giur. trib., 2009, 12, 1064 ss.).
Fermo quanto esposto, dalla casistica definita in sede dottrinale e giurisprudenziale possono essere individuate svariate cause sintomatiche dell’obiettiva incertezza da intendersi quali modelli concreti di riferimento cui ricondurre l’applicabilità della scusante che costituisce, come detto, una fattispecie “aperta” con la conseguente impossibilità di una elencazione esaustiva.
Orbene, sul punto, ciò che ai fini della presente trattazione è particolarmente utile sottolineare è che, sotto il profilo formale, la dichiarazione di inapplicabilità delle sanzioni deve essere, a differenza di quanto fatto dai giudici di merito nel caso in esame, comunque congruamente motivata dal giudice in riferimento alla sussistenza delle relative “cause sintomatiche”. Detto obbligo di motivazione risulta evidentemente funzionale all’esigenza di trasparenza del procedimento logico giuridico seguito dal giudice nell’applicazione dell’esimente in quanto garantisce la verifica in concreto dell’esistenza dei criteri oggettivi in base ai quali il giudice stesso ha rilevato l’obiettiva incertezza della norma violata.
Avendo riguardo alla fattispecie oggetto di scrutinio nella pronuncia che si annota, la Suprema Corte è stata, dunque, investita ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c. della questione relativa alla violazione delle disposizioni che prevedono l’esimente della obiettiva incertezza quale causa di non punibilità ed ha correttamente, in mancanza della necessità di ulteriori accertamenti di fatto, deciso la causa nel merito giudicando in punto di applicabilità o meno delle sanzioni senza necessità di un giudizio di rinvio. E’ infatti ampiamente consolidato il principio in base al quale l’accertamento delle condizioni di applicabilità della scusante «è censurabile in sede di legittimità per violazione di legge, non implicando un giudizio di fatto, riservato all’esclusiva competenza del giudice di merito, ma una questione di diritto, nei limiti in cui la stessa risulti proposta in riferimento a fatti già accertati e categorizzati nel giudizio di merito» (ex multis, cfr. Cass. 25 giugno 2009, n. 14987).
Il giudice può, in definitiva, disapplicare le sanzioni per violazioni di norme tributarie, anche in sede di legittimità, qualora abbia accertato che le stesse siano state commesse in presenza e in connessione con una situazione di oggettiva incertezza nell’interpretazione normativa, ma solo se vi è stata domanda del contribuente nei modi e nei termini processuali appropriati (diffusamente si veda Cass. 9 luglio 2019, n. 18388). In particolare la Suprema Corte, con riferimento ai tempi e alle preclusioni processuali che il contribuente deve rispettare per essere legittimato a chiedere al giudice di non applicare le sanzioni, ha affermato il principio secondo il quale la domanda di disapplicazione delle sanzioni incontra la preclusione della domanda introduttiva del giudizio di primo grado, nel senso che non può essere formulata per la prima volta in sede di appello o in sede di legittimità (cfr. Cass. nn. 22890/2006, 25676/2008, 7502/2009, 8823/2012, 4031/2012, 24060/2014, 440/2015, 9335/2015 e 14402/2016).
2.1. Il portato della pronuncia in commento apre, come anticipato, ad una sia pur sintetica riflessione più generale su alcuni profili estremamente delicati della disciplina in discorso che determinano una diversità di vedute fra dottrina e giurisprudenza.
In particolare non risulta condivisibile l’orientamento del giudice di legittimità che limita il riferimento dell’obiettiva incertezza interpretativa esclusivamente al giudice tributario escludendo il “contribuente modello” (ex multis, cfr. Cass. 1° febbraio 2019, n. 3108, Cass. 4 dicembre 2019, n. 31614) in relazione al quale, invece, andrebbe parametrata la esigibilità di una data condotta determinata, in quel momento storico, dalla concreta applicazione della legge. Come autorevolmente sostenuto, infatti, occorre in primo luogo considerare che le nome tributarie sono dirette non solo all’amministrazione ed al giudice ma anche ai contribuenti in relazione ai quali si verifica il presupposto di imposta; oltre a ciò, va osservato che inequivocabilmente dalla stessa formulazione letterale di alcune disposizioni normative (art. 6 D.Lgs. n. 472/1997 nonché art. 10, comma 3, L. n. 212/2000) si evince che il legislatore abbia voluto allargare la platea dei soggetti legittimati alla non applicazione delle sanzioni amministrative già in una fase antecedente ed a prescindere dall’eventuale processo (in tal senso si veda Logozzo M., La scusante dell’illecito tributario per obiettiva incertezza della legge, in Riv. trim. dir. trib., 2012, 2, 402).
Ulteriore aspetto sul quale dissentire dal consolidato orientamento della Suprema Corte riguarda poi la disapplicazione d’ufficio delle sanzioni amministrative da parte del giudice tributario nell’ipotesi di obiettiva incertezza della legge.
La Cassazione ritiene, infatti, che il giudice non può decidere d’ufficio in merito alla non applicazione delle sanzioni tributarie per la sussistenza di obiettive condizioni di incertezza, essendo necessaria una richiesta del contribuente. Quest’ultimo, peraltro, deve anche fornire la relativa prova in merito agli elementi che avrebbero generato confusione sull’interpretazione della disposizione (cfr. Cass. n. 22890/2006, Cass. n. 4031/2012; Cass. n. 440/2015; Cass. n. 7067/2015; Cass. n. 17195/2019; Cass. ord. n. 24707/2019). Poiché grava sul contribuente l’onere di allegare la ricorrenza di tali elementi di confusione, da una parte, deve escludersi che il giudice tributario di merito debba decidere d’ufficio l’applicabilità dell’esimente; dall’altra e di conseguenza, non è consentita una censura avente per oggetto la mancata pronuncia d’ufficio sul punto (cfr. Cass. nn. 2890/2006, 4031/2012; Cass. 19 ottobre 2020 n. 22689), ovvero la declaratoria d’inammissibilità della questione perché tardivamente introdotta solo in corso di causa (cfr. Cass. n. 9335/2015).
Rispetto al rappresentato orientamento del supremo giudice che esclude la rilevabilità d’ufficio, autorevole dottrina ritiene in maniera convincente la disapplicazione delle sanzioni amministrative da parte delle Corti di Giustizia tributarie, in presenza dei presupposti previsti dalla legge, doverosa ed esercitabile d’ufficio. Sulla base della ratio dell’istituto e della lettera della legge, si sostiene, in particolare, che il potere/dovere di disapplicazione delle sanzioni è riconosciuto alla Commissione tributaria (ora Corte) direttamente dall’art. 8 D.Lgs. n. 546/1992 senza necessità di ulteriori mediazioni. Da tanto discende che il potere di disapplicazione deve ritenersi esercitabile in qualsiasi grado del processo davanti alle Corti di Giustizia tributaria e quindi anche nel giudizio di rinvio (in questi termini si esprime Logozzo M., La disapplicazione delle sanzioni amministrative da parte del giudice tributario, in Glendi C., a cura di, La riforma della giustizia tributaria, Padova 2021, 33). Ciò a maggior ragione se si considera la precedentemente richiamata affermazione della stessa giurisprudenza di legittimità sulla scorta della quale la scusante è riferibile non già ad un generico contribuente, o a quei contribuenti che per la loro perizia professionale siano capaci di interpretazione normativa qualificata, e tanto meno all’Ufficio finanziario, ma al giudice, unico soggetto dell’ordinamento cui è attribuito il potere-dovere di accertare la ragionevolezza di una determinata interpretazione (cfr. ex multis Cass., sez. 5, n. 24670/2007; sez. 5, 26 ottobre 2012, n. 18434; sez. 5, 23 novembre 2016, n. 23845; sez. 5, 1 febbraio 2019, n. 3108; Cass. 19 ottobre 2020, n. 22689). In altre parole, in questa logica, dovrebbe essere proprio il giudice tributario, in sede di decisione della controversia, ad appurare l’esistenza di una eventuale incertezza oggettiva della normativa dalla quale far discendere la doverosa disapplicazione delle sanzioni.
3. Vero è, come recentemente sostenuto dalla Corte Costituzionale (sent. 5 giugno 2023, n. 110) che «la complessità delle materie che il legislatore si trova a regolare spesso esige una disciplina normativa a sua volta complessa», tuttavia, come efficacemente sostenuto (cfr. Colli Vignarelli A., La “legge oscura” [anche tributaria] nel pensiero della Corte Costituzionale e della dottrina generale [Corte Cost. sent. 5 giugno 2023, n. 110], in Riv. tel. dir. trib., 11 luglio 2023) una legge “oscura”, come sovente è quella tributaria, rende la disciplina non solo complessa ma spesso incomprensibile ed inintellegibile.
A fronte di tale patologico fenomeno radicatosi nel tempo risulta, dunque, quanto mai opportuno estendere ed implementare la tutela del contribuente che erri nell’interpretazione delle norme e nella conseguente applicazione sulla base di una seria perplessità sul significato della disposizione tributaria applicabile al caso concreto che può tradursi nell’ignoranza del suo vero contenuto. La tensione verso un apparato legislativo, amministrativo e giurisdizionale che garantisca la prevedibilità, in maniera ragionevolmente attendibile, dei rapporti giuridici che intercorrono fra i consociati e fra questi e i pubblici poteri rappresenta, infatti, un valore pienamente meritevole di essere perseguito (ex multis, senza pretese di completezza, sul tema cfr. Alpa G., La certezza del diritto nell’età dell’incertezza, Napoli, 2006; Grossi P., Lo Stato moderno e la sua crisi [a cento anni dalla prolusione pisana di Santi Romano], in Introduzione al Novecento giuridico, Roma-Bari, 2015, 68).
In questo contesto, affinché il legislatore emani delle leggi chiare e di facile intellegibilità, la funzione dell’esimente in discorso sarebbe proprio quella di correttivo di un sistema caratterizzato da difficoltà della conoscenza delle norme da cui discende la rinuncia dello Stato all’esercizio della potestà punitiva (in argomento, si veda ampiamente Logozzo M., La disapplicazione delle sanzioni amministrative da parte del giudice tributario, cit., 22).
Sarebbe, pertanto, quanto mai opportuna una maggiore valorizzazione dell’ “obiettiva incertezza” sulla scorta del portato della L. 9 agosto 2023 n. 111 recante “Delega al Governo per la revisione del sistema tributario”, che prevede tra i principi e criteri direttivi specifici per la revisione dello Statuto dei diritti del contribuente di cui alla L. 27 luglio 2000, n. 212, quale legge generale tributaria, quello di «valorizzare il principio del legittimo affidamento del contribuente e il principio di certezza del diritto».
Nella logica del perseguimento di una più incisiva tutela del principio della certezza del diritto e dell’affidamento è, tra l’altro, espressamente riconosciuto, tra i principi e criteri direttivi generali, quello di «garantire l’adeguamento del diritto tributario nazionale ai principi dell’ordinamento tributario e agli standard di protezione dei diritti stabiliti dal diritto dell’Unione europea, tenendo anche conto dell’evoluzione della giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea in materia tributaria».
Difatti, la “certezza del diritto”, tanto nell’ordinamento nazionale quanto nel sistema giuridico sovranazionale, integra un elemento fondamentale e indispensabile dello Stato di diritto suscettibile, tuttavia, di limitazioni, sulla base di una valutazione comparativa degli interessi in gioco informata ai principi di ragionevolezza e proporzionalità, giustificate dall’esigenza di tutelare altri principi, diritti e beni di rilievo costituzionale (in tal senso, si veda diffusamente Melis G., Relazione sui Progetti di legge recanti: “Delega al governo per la riforma fiscale”[C.75 Marattin e C.1038 Governo], in Innovazione e diritto, 2023, 2, 93).
Occorrerebbe, pertanto, alla luce dei richiamati principi, riformare l’art. 10 dello Statuto dei diritti del contribuente nel senso di un più pregnante intervento sulle obiettive condizioni di incertezza, considerato il riscontro della situazione di incertezza normativa obiettiva in casi troppo rari rispetto alla reale situazione esistente nell’attuale ordinamento tributario italiano (sul punto si veda Farri F., Le [in]certezze nel diritto tributario, in Dir. prat. trib., 2021, 2, 720) e di cui non sempre i giudici tengono debitamente conto. Sarebbe altresì necessario in sede di riforma, in considerazione delle evidenziate criticità, discostarsi dal rappresentato orientamento della giurisprudenza di legittimità prevedendo espressamente la disapplicazione anche “d’ufficio” delle sanzioni amministrative.
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
Alpa G., La certezza del diritto nell’età dell’incertezza, Napoli, 2006
Colli Vignarelli A., La Suprema Corte interviene in tema di “obiettive condizioni di incertezza” della normativa tributaria, in Rass. trib., 2008, 2, 470 ss.
Colli Vignarelli A., La “legge oscura” (anche tributaria) nel pensiero della Corte Costituzionale e della dottrina generale (Corte Cost. sent. 5 giugno 2023, n. 110), in Riv. tel. dir. trib., 11 luglio 2023
Del Federico L., Cause di non punibilità in tema di illecito amministrativo tributario, in Corr. trib., 2002, 30, 2749 ss.
Della Valle E., Affidamento e certezza nel diritto tributario, Milano, 2001
Farri F., Le (in)certezze nel diritto tributario, in Dir. prat. trib., 2021, 2, 720 ss.
Giovannini A., Potere punitivo e incertezza della legge, in Giur. it., 2008, 8/9, 2081 ss.
Giovannini A., Sub art. 8, dlgs 31 dicembre 1992, n. 546 “Errore sulla norma tributaria”, in Glendi C. – Consolo C. (a cura di), Commentario breve alle leggi del processo tributario, Padova 2008, 98
Grossi P., Lo Stato moderno e la sua crisi (a cento anni dalla prolusione pisana di Santi Romano), in Introduzione al Novecento giuridico, Roma-Bari, 2015, 68 ss.
Logozzo M., L’ignoranza della legge tributaria, Milano, 2002
Logozzo M., La scusante dell’illecito tributario per obiettiva incertezza della legge, in Riv. trim. dir. trib., 2012, 2, 387 ss.
Logozzo M., La ragionevolezza dell’interpretazione erronea quale presupposto dell’obiettiva incertezza della legge tributaria, in GT – Riv. giur. trib., 2009, 12, 1064 ss.
Logozzo M., La disapplicazione delle sanzioni amministrative da parte del giudice tributario, in Glendi C. (a cura di), La riforma della giustizia tributaria, Padova 2021, 17 ss.
Melis G., Relazione sui Progetti di legge recanti: “Delega al governo per la riforma fiscale” (C.75 Marattin e C.1038 Governo) in Innovazione e diritto, 2023, 2, 93 ss.
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