Ravvedimento speciale, “rilevabilità” degli illeciti tributari di omesso versamento e norme di (pseudo-)interpretazione autentica
Di Roberto Iaia
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Abstract
Il tenore della disciplina del c.d. ravvedimento speciale (art. 1, commi 174 ss., L. n. 197/2022) appare consentirne l’applicazione agli illeciti di omesso versamento di imposte dichiarate, non rilevati dall’Agenzia delle Entrate. Tuttavia, l’esegesi amministrativa ha escluso tale ipotesi, con una soluzione, poi, avallata da una disposizione (art. 21 D.L. n. 34/2023) qualificata come di “interpretazione autentica”, la quale non sembra presentare tali connotati.
Special repentance, “detectability” of tax violations due to non-payment and rules of authentic (pseudo-) interpretation. – The tenor of the discipline of the so-called special repentance (Article 1, paras. 174 et seq., Law no. 197/2022) appears to allow its application to violations of failure to pay taxes exposed in tax returns, not detected by the Revenue Agency. However, administrative exegesis has excluded this hypothesis, with a solution endorsed by a provision (Article 21, par. 1, Law Decree no. 34/2023), qualified as “authentic interpretation”, which does not seem to have these features.
Sommario: 1. Premessa e possibili fondamenti sistematici. – 2. Profili disciplinari. – 3. Rapporto con altre fattispecie condonistiche e ravvedibilità delle violazioni non contestate. – 4. L’interpretazione erariale “creativa” di una preclusione normativamente inesistente. – 5. Natura ed effetti dell’esegesi amministrativa. – 6. L’avallo offerto dall’art. 21 D.L. n. 34/2023. – 7. Le norme di interpretazione autentica nello Statuto dei diritti del contribuente e natura pseudo-interpretativa dell’art. 21 D.L. n. 34/2023. – 8. Contenuto fisiologico e riflessi temporali delle norme di interpretazione autentica. – 9. Il divieto di retroattività. – 10.(Segue). Effetti del divieto e la discutibile categoria giurisprudenziale delle norme innovative con effetto retroattivo. – 11. Rapporto con il principio della tutela dell’affidamento. – 12. Conclusioni.
1. Nella cornice della c.d. “tregua fiscale” di cui alla L. n. 197/2022 (dedicata al bilancio di previsione dello Stato per l’anno 2023 e per il triennio 2023-2025), merita particolare attenzione la disciplina del ravvedimento speciale (art. 1, commi 174-178).
Presenta i lineamenti di un c.d. “condono puro”, giacché ha previsto la possibilità di definire determinati illeciti tributari, con la riduzione delle sanzioni a un diciottesimo del minimo edittale di legge (art. 1, comma 174), senza incidere sull’ammontare dell’imponibile e dell’imposta (per un inquadramento, Preziosi C., Il condono fiscale. Natura giuridica, funzione, effetti, Milano, 1987; Ingrao G., Il condono fiscale, in Enc. giur., Diritto on line, 2016; Falsitta G., I condoni fiscali tra rottura di regole costituzionali e violazioni comunitarie, in il fisco, 2003, 1, 1786 ss.).
In linea di massima, simili interventi normativi favoriscono o consolidano l’atteggiamento dei contribuenti a non ottemperare ai propri obblighi tributari, confidando in una (ormai, strutturale e cronicizzata) possibilità di conseguire mitigazioni dell’entità delle sanzioni, ordinariamente irrogabili.
Il sicuro orizzonte di un contenimento delle misure afflittive, che si affaccia con periodica costanza, rischia di deprimere e mortificare la funzione preventiva e repressiva degli illeciti fiscali e si riverbera sulla stessa corretta esazione dei tributi che le norme sanzionatorie dovrebbero efficacemente presidiare.
D’altro canto, si è sostenuto che un condono puro, qual è quello in esame, potrebbe comunque essere costituzionalmente giustificabile, nella misura in cui espressivo di una disciplina clemenziale (in sé, non esclusa a livello primario: cfr. art. 79 Cost.), ragionevolmente concepibile (art. 3, comma 1, Cost.) in circostanze eccezionali che comportino l’attenuazione del disvalore sociale della condotta del trasgressore (Ingrao G., Il condono fiscale, cit., ivi, ult. par.).
Nella specie, la disciplina si riferisce a violazioni «relative al periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2021 e a periodi d’imposta precedenti» (art. 1, comma 174) e, così, abbraccia gli anni 2020 e 2021, funestati dalla depressione economica provocata dalla pandemia da Covid-19 e acuita dalla crisi energetica e dall’inflazione, a seguito della guerra fra Russia e Ucraina. In simile contesto, molti contribuenti hanno risentito di carenze di liquidità, talora radicali, con la proliferazione di illeciti anche solo di mero versamento di imposte dichiarate, che, in condizioni ordinarie, non si sarebbero perfezionati.
Da questo specifico punto di vista, il ravvedimento speciale potrebbe apparire meno distonico con la nostra Costituzione rispetto ad altre fattispecie condonistiche.
Definiti i generali lineamenti di sistema, passiamo a considerare l’ambito di riferimento della disciplina.
2. La legge ha disegnato a contrariis l’orbita applicativa dell’istituto clemenziale, dato che la riferisce a illeciti diversi da altri contemplati dalla stessa L. n. 197/2022. Anzitutto, il ravvedimento speciale non riguarda violazioni adombrate a seguito di controllo automatizzato delle dichiarazioni, tramite comunicazioni di irregolarità, (artt. 1, commi 153-159, L. n. 197/2022; 36-bis, D.P.R. n. 600/1973 e 54-bis, D.P.R. n. 633/1972) in pendenza dei termini di versamento delle somme da esse veicolate, al 1° gennaio 2023, giorno di entrata in vigore della stessa legge (art. 1 comma 153, in rapporto all’art. 21 L. n. 197/2022 cit. e art. 1, comma 155; v. Agenzia delle Entrate, circ. 13 gennaio 2023, n. 1/E; ris. 14 febbraio 2023, n. 7/E; Risposta a istanza di interpello, 27 aprile 2023, n. 307).
Inoltre, il ravvedimento speciale non si applica agli illeciti di natura formale, perfezionati entro il 31 ottobre 2022, non incisivi sulla determinazione dell’imponibile e sul versamento dei tributi reddituali, dell’IVA, dell’IRAP, oggetto di altra fattispecie di definizione (art. 1, commi 166-173).
Invece, trova riscontro a fronte di violazioni non contestate, alla data del versamento di quanto dovuto o della prima rata, con atto di liquidazione, di accertamento o di recupero, di contestazione e di irrogazione delle sanzioni, comprese le comunicazioni di irregolarità a seguito di controllo formale della dichiarazione (art. 36-ter D.P.R. n. 600/1973).
Il regime ha previsto la facoltà di dilazionare gli importi dovuti in otto rate di pari entità, scadenti il 30 settembre, 31 ottobre, 30 novembre, 20 dicembre 2023, 31 marzo, 30 giugno, 30 settembre e 20 dicembre 2024, con interessi pari al 2% annuo (art. 1, comma 174).
3. Tanto rilevato, la disciplina sollecita alcune riflessioni proprio in relazione a quella relativa alla definizione delle comunicazioni di irregolarità, riguardo agli illeciti più rilevanti e frequenti di omesso versamento di imposte, amministrate dall’Agenzia delle Entrate, esposti nelle dichiarazioni tributarie.
La diversa definizione sulle comunicazioni di irregolarità involge non solo quelle trasmesse al 1° gennaio 2023, ma pure quelle “recapitate successivamente” al 1° gennaio 2023 (art. 1, comma 153), con esclusione, dunque, del ravvedimento speciale in ambedue tali ipotesi (art. 1, comma 174 in rapporto al comma 153).
Tuttavia, illeciti di omesso versamento di imposte dichiarate, potrebbero non essere stati interessati da alcuna comunicazione di irregolarità anche dopo il 1° gennaio 2023 e, così, sarebbero estranei al regime della definizione delle comunicazioni di irregolarità (art. 1, commi 153 ss. cit.).
Proprio per questo, allora e a stretto rigore, dovrebbero sussumersi a quello del ravvedimento speciale (art. 1, comma 174 in rapporto al comma 153).
Difatti, il ravvedimento speciale trova adito per illeciti riferiti a dichiarazioni tributarie, senza ulteriori precisazioni circa la natura di essi; dall’altro, giustappunto, non riguarda le ipotesi di omesso versamento già oggetto di comunicazioni di irregolarità, alla luce di quanto dianzi osservato (art. 1, comma 174, L. n. 197/2022).
Sicché, quelle non attinte da comunicazioni siffatte dovrebbero essere così ravvedibili, con la riduzione delle sanzioni a un diciottesimo.
Il punto di caduta dell’interpretazione letterale appare allineata al sistema.
Si ritiene sia irragionevole (e, perciò, contrario all’art. 3, comma 1, Cost.) riconoscere i benefici della “tregua fiscale” a fronte di una violazione già constatata con avviso bonario, ma non anche a una violazione non contestata.
L’auto-regolarizzazione di un illecito non contestato, proprio perché tale, parrebbe meritevole a fortiori di un trattamento premiale, in ragione della resipiscenza del contribuente prima dell’innesco di attività amministrativa di controllo cartolare (ex artt. 36-bis D.P.R. n. 600/1973 e 54-bis D.P.R. n. 633/1972).
Ulteriore conforto alla soluzione appare trarsi dalla generale disciplina del ravvedimento operoso, sulla quale riposa quella del ravvedimento speciale (v., altresì, l’art. 1, comma 177, L. n. 197/2022 cit.; cfr. Agenzia delle Entrate, circ. 27 gennaio 2023, n. 2/E, par. 2, 12 e 14).
In linea di principio, l’ordinamento ammette il ravvedimento ordinario sino alla notifica di provvedimenti di esercizio della potestà accertativa o liquidatoria dell’ente impositore o di atti che li preannunciano, quali sono le comunicazioni di irregolarità per le violazioni di omesso versamento (art. 13, comma 1-ter, D.Lgs. n. 472/1997; v. Galeazzi S., Il nuovo ravvedimento operoso, in Riv. dir. trib., 2014, 9, I, 995 ss.; Conte D., Il gene mutante del ravvedimento operoso ed i suoi effetti sul nuovo modello di attuazione del prelievo, in Riv. dir. trib., 2015, 5, I, 443 ss.; Melis G., Note minime su talune questioni interpretative in tema di ravvedimento operoso, in Dir. prat. trib., 2021, 4, 1567 ss.).
Se il ravvedimento ordinario è concepibile sino alla notifica di un avviso bonario, non si vede perché non lo debba essere per quello speciale.
In altri termini, una mitigazione sanzionatoria anche per il ravvedimento speciale, prima della notifica di un atto di esteriorizzazione degli esiti di tali forme di controllo, trova avallo anche nel tertium comparationis del regime sul ravvedimento ordinario.
4. Sennonché, l’esegesi amministrativa si è sollecitamente espressa in senso contrario a quello qui sostenuto.
Da un lato, invero, ha correttamente affermato che «Per beneficiare della regolarizzazione in esame è necessario che le violazioni ‘ravvedibili’ non siano state già contestate, alla data del versamento di quanto dovuto o della prima rata, con atto di liquidazione, di accertamento o di recupero, contestazione e irrogazione di sanzioni, comprese le comunicazioni di cui all’articolo 36-ter del DPR n. 600 del 1973» (Agenzia delle Entrate, circ. n. 2/E/2023, par. 2, 14).
Affermazione, questa, in armonia con il regime del ravvedimento ordinario, come testé rilevato (art. 13, comma 1-ter, D.Lgs. n. 472/1997, cit.).
Tuttavia, la stessa affermazione è, dipoi, limitata e contraddetta da quella ulteriore: «non sono definibili con il ravvedimento speciale in commento le violazioni rilevabili ai sensi degli articoli 36-bis del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e 54-bis del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633» (Agenzia delle Entrate, circ. n. 2/E/2023, cit., par. 2., 12-13; v. anche circ. 20 marzo 2023, n. 6/E, par. 3, sub 3.3.; ris. 19 giugno 2023, n. 28/E).
Così esprimendosi, l’interpretazione erariale ragiona di violazioni “rilevabili”, non già di violazioni “rilevate”; sicché, il riferimento risulta essere, appunto, a illeciti contestabili mediante controllo cartolare, ma non ancora contestati.
Si tratta di una soluzione ermeneutica “creativa”, dato che, evidentemente, fa affermare al dato normativo ciò che non afferma (art. 1, commi 174 e 153 cit.). Insomma, appare un esempio di interpretazione praeter legem e, dunque, contra legem che ha indotto, in passato, a ragionare di “circolari illegittime” (Di Pietro A., Circolare. II) Circolari in materia tributaria, in Enc. giur., 1988, VI, 3, ove, peraltro, si riporta proprio l’esempio di un precedente amministrativo, limitativo della portata di una disciplina condonistica, considerato in primis già da Falsitta G., Rilevanza delle circolari interpretative e tutela giurisdizionale del contribuente, in Rass. trib., 1988, I, 1 ss., in part. 2).
Se non bastasse, introduce un profilo di irragionevolezza e, dunque, di conflitto rispetto all’art. 3, comma 1 Cost., rispetto al tertium comparationis della disciplina del ravvedimento ordinario, su cui quella del ravvedimento speciale si innesta, come testé osservato.
Difatti, si è appurato come il ravvedimento ordinario trovi la propria barriera preclusiva nella notifica della comunicazione di irregolarità o, anche e in via diretta, della cartella ricettiva dell’iscrizione a ruolo, non preceduta da tale comunicazione (nelle ipotesi di omesso versamento di somme dichiarate, secondo l’interpretazione giurisprudenziale afferente il concetto di “incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione” ex art. 6, comma 5, L. n. 212/2000; v. per esempio, fra le più recenti, Cass. civ., sez. VI – 5, ord. 21 dicembre 2022, n. 37391; cfr., inoltre, l’art. 17, comma 3, D.Lgs. n. 472/1997).
Dall’altro, il ravvedimento speciale non sarebbe fruttuosamente esperibile anche a fronte di una violazione meramente “rilevabile”, ma non “rilevata” da una comunicazione di irregolarità o da una cartella riproduttiva di un’iscrizione a ruolo.
Per l’effetto, secondo tale opinione, gli illeciti di omesso versamento di imposte dichiarate, non contestati nella cornice di un controllo cartolare, graviterebbero in una sorta di “No Man’s Land”, al di fuori di qualsivoglia ipotesi di definizione contemplata dalla “tregua fiscale”.
Fra l’altro, l’Agenzia fiscale ha sostenuto siffatta lettura “creativa” in riferimento al solo controllo cartolare, senza alcun riferimento alle violazioni “rilevabili”, ma non “rilevate” (anche per il) tramite (di un) controllo formale della dichiarazione (art. 36-ter D.P.R. n. 600/1973 cit.).
La ragione dipende probabilmente dall’ambito applicativo del correlato regime della definizione delle somme dovute a seguito di avviso bonario (art. 1, commi 153 ss., L. n. 197/2022), il quale, giustappunto, non considera le ipotesi di controllo formale.
Pertanto, a tutta prima, si potrebbe arguire che per patologie riscossive intercettabili, ma non intercettate, mediante controllo formale sarebbe possibile il ravvedimento speciale, a differenza di quanto rilevato per quello cartolare, dal momento che, appunto, tale strumento definitorio trova adito a fronte di “violazioni diverse da quelle definibili” in relazione ai controlli automatizzati (art. 1, comma 174, L. n. 197/2022 cit.).
In tale disparità di trattamento, affiora un ulteriore profilo di irrazionalità e, perciò e di nuovo, di contrasto con l’art. 3, comma 1, Cost., se accostata, all’opposto, all’uniformità disciplinare che contraddistingue le due fattispecie di controllo in limine (cartolare e formale), nel regime del ravvedimento ordinario (art. 13, comma 1-ter, D.Lgs. n. 472/1997, cit.).
5. L’indirizzo dell’Agenzia delle Entrate, non affatto condivisibile, ha orientato e (come vedremo a breve, a fortiori) orienterà l’azione degli Uffici fiscali periferici.
È vero che le circolari e risoluzioni amministrative, ça va sans dire, non costituiscono fonti del diritto e, perciò, non sono giuridicamente vincolanti (arg. ex art. 1 prel.; di recente, Cass., sez. I, 6 luglio 2023, n. 19168 e 3 luglio 2023, n. 18701 e 18718[1]; in generale, Cass., sez. trib., ord. 15 luglio 2022, n. 22440, par. 6.4.1.; Cass., Sez. Un., 2 febbraio 2016, n. 1915, par. 5, sub 1; Cass., Sez. Un., 2 novembre 2007, n. 23031, in GT – Riv. giur. trib., 2008, 4, commentata da Cerioni F., Efficacia “normativa” e “fattuale” delle circolari in materia tributaria, 307 ss.; v., Sammartino S., Le circolari interpretative delle norme tributarie emesse dall’Amministrazione finanziaria, in Aa.Vv., Studi in onore di Victor Uckmar, Padova, 1997, II, 1077 ss., in part. 1089; Ficari V., La disapplicazione delle sanzioni amministrative nei procedimenti tributari, in Rass. trib., 2002, 1, 473 ss., spec. al par. 5.2.; per riflessi in specifici ambiti disciplinari, d’Ayala Valva F., Nuove tariffe d’estimo e rimborso delle imposte, in Rass. trib., 2002, 6, 1864 ss.; nella letteratura amministrativistica, Giannini M.S., Circolare, in Enc. dir., Milano, 1960, VII, 1 ss., in part. 4).
A stretto rigore, non sono financo vincolanti per gli Uffici periferici della stessa Agenzia fiscale, la cui attività è pur sempre governata dalla legge (arg ex art. 23 Cost.; per tale prospettiva: Cass., Sez. Un., 2 novembre 2007, n. 23031, par. 2; Falsitta G., Orientamenti e disorientamenti in tema di efficacia delle circolari interpretative, commento a Comm. trib. II grado di Matera, 4 giugno 1991, in Riv. dir. trib., 1992, II, 316 ss., in part. 317; Colli Vignarelli A., Collaborazione, buona fede ed affidamento nei rapporti tra contribuente e amministrazione finanziaria, in Dir. prat. trib., 2005, 3, I, 501 ss., spec. 507).
D’altro canto, è innegabile la rilevanza che l’indirizzo ermeneutico elaborato dall’amministrazione centrale, almeno sino a un eventuale revirement, rivesta per le articolazioni territoriali della stessa autorità fiscale, giacché traccia la strada entro la quale è chiamata a esplicarsi, in modo uniforme, la loro azione verso l’esterno.
Sicché, la non vincolatività dell’interpretazione erariale centrale sugli Uffici periferici si riduce ad assumere spessore (solo) teorico, anche alla luce dei riflessi – quantomeno – disciplinari della condotta di pubblici funzionari che disattendessero ordini superiori (Bertolissi M., Circolari nel diritto tributario, in Dig. disc. priv., sez. comm., Torino, 1988, III, 86 ss., spec. par. 7; Sammartino S., Le circolari interpretative, cit., ivi, 1085; Cerioni F., Efficacia “normativa” e “fattuale”, cit., ivi, 313 ss.).
Piuttosto, l’applicazione di una circolare che esprimesse una posizione contraria alla legge esonererebbe il funzionario da responsabilità disciplinari, ma resterebbe ferma l’illegittimità del provvedimento allineato alla circolare nei confronti del destinatario di esso (Di Pietro A., Circolare. II) Circolari in materia tributaria, cit., ivi, 3-4).
È altrettanto indiscutibile che gli stessi contribuenti siano propensi a uniformare la propria condotta a quanto additato dall’Erario centrale, per allontanare la prospettiva di vedersi muovere addebiti da parte di Uffici fiscali che, appunto, attuassero le indicazioni maturate dall’Agenzia, a livello nazionale, per quanto erronee siano.
Per il ravvedimento speciale, un contribuente che avesse deviato dai binari dell’interpretazione amministrativa sarebbe ora esposto al disconoscimento degli effetti definitori, alla decadenza dal beneficio della rateazione, all’iscrizione a ruolo degli importi dovuti per imposte, interessi e della sanzione del 30%, a titolo di omesso versamento (arg. ex artt. 1, comma 175, L. n. 197/2022 e 13, comma 1, D.Lgs. n. 471/1997 citt.).
Pertanto, se l’esegesi amministrativa non è giuridicamente vincolante (anche) nei confronti dei contribuenti, ne influenza comunque la condotta (Di Pietro A., I regolamenti, le circolari e le altre norme amministrative per l’applicazione della legge tributaria, in Amatucci A., diretto da, Trattato di diritto tributario, I.2, Padova, 1994, 619 ss., in part. 658; Falsitta G., Orientamenti e disorientamenti, cit., ivi, 317-318; Ficari V., La disapplicazione, cit. ivi, par. 5.2., cit.; Logozzo M., I principi di buona fede e del legittimo affidamento: tutela “piena” o “parziale”?, in Dir. prat. trib., 2018, 6, I, 2325 ss., spec. 2331-2332; Cerioni F., Efficacia “normativa” e “fattuale”, cit., ivi, 314-315; cfr., inoltre, Bertolissi M., Le circolari interpretative dell’Amministrazione finanziaria, in Rass. trib., 1987, I, 435 ss., spec. 459).
D’altronde, proprio per tale ragione, la legge ha stabilito che il Fisco deve «assumere idonee iniziative volte a consentire la completa e agevole conoscenza delle disposizioni […] amministrative vigenti in materia tributaria» e, in specie, «portare a conoscenza dei contribuenti tempestivamente e con i mezzi idonei tutte le circolari e le risoluzioni da essa emanate» (art. 5, commi 1 e 2, L. n. 212/2000; v. Logozzo M., I principi di buona fede, cit., ivi, 2331-2332, nt. 15).
6. Da alcuni mesi, la pratica opportunità di uniformarsi all’(erroneo) orientamento del Fisco è divenuta necessità, imposta da una norma di legge, che detto orientamento ha inopinatamente recepito.
In particolare, l’art. 21, comma 1, D.L. n. 34/2023 (convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, L. n. 56/2023) reca la “Interpretazione autentica dell’articolo 1, commi 174, 176 e 179, della legge 29 dicembre 2022, n. 197” (v. la rubrica). Statuisce che «All’articolo 1, comma 174, della legge 29 dicembre 2022, n. 197, leparole “le violazioni diverse da quelle definibili ai sensi dei commi da 153 a 159 e da 166 a 173, riguardanti le dichiarazioni validamente presentate relative al periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2021 e a periodi d’imposta precedenti” si interpretano nel senso che: a) sono escluse dalla regolarizzazione le violazioni rilevabili ai sensi degli articoli 36-bis del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e 54-bis del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633 […]» (sulle norme di interpretazione autentica nel diritto tributario, cfr. Melis G., L’interpretazione nel diritto tributario, Padova, 2003, 462 ss. e, in part., 507 ss.; Mastroiacovo V., I limiti alla retroattività nel diritto tributario, Milano, 2004, 150 ss.; Tesauro F., Limiti costituzionali delle leggi tributarie interpretative, in Corr. trib., 2007, 24, 1967 ss.; Picciaredda F., Abuso di interpretazione autentica e Statuto dei diritti del contribuente, in Beghin M. – F. Moschetti F. – Schiavolin R. – Tosi L. – Zizzo G., a cura di, Per un ordinamento tributario non confiscatorio e non rinunciatario, Alla ricerca di criteri costituzionali di giustizia tributaria. Atti della giornata di studi in onore di Gaspare Falsitta, Padova, 2012, 307 ss.; in rapporto al principio di tutela dell’affidamento, su cui v. amplius, par. 11., Marcheselli A., Affidamento e buona fede come principi generali del diritto procedimentale e processuale tributario: uno spunto in materia di obbligazioni solidali e plurisoggettività, in Dir. prat. trib., 2009, 3, I, 439 ss., in part. 448 ss. nonché in Uso e abuso della retroattività nel diritto procedimentale tributario (l’efficacia nel tempo delle regole sugli accertamenti), in Riv. tel. dir. trib., 2022, 1, XIV, 520 ss.; Amatucci F., Retroattività della norma tributaria in ambito comunitario e tutela del contribuente, in Rass. trib., 2010, 2, 326 ss.; Contrino A., Modifiche fiscali in corso di periodo e divieto di retroattività “non autentica” nello Statuto del contribuente, in Rass. trib., 2012, 3, 589 ss.; Castaldi L., I vincoli statutari alla esegesi legislativa in materia tributaria, in Dir. prat. trib., 2011, 5, I, 955 ss.; Tassani T., Il diritto del contribuente all’irretroattività della norma tributaria, in Carinci A. – Tassani T., a cura di, I diritti del contribuente. Principi, tutele e modelli di difesa, Milano, 2022, 327 ss.).
Il D.L. n. 34/2023 è in vigore dal 31 marzo 2023, giorno successivo alla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, 30 marzo 2023, n. 76 (v. art. 25 D.L. n. 34 cit.).
Anzitutto, la stessa previsione di una fattispecie di interpretazione autentica dovrebbe allontanare l’orizzonte dell’irrogazione di sanzioni amministrative nelle ipotesi di ravvedimento speciale perfezionate a fronte di violazioni di omesso versamento “rilevabili”, ma non “rilevate” a quella data. Difatti, a rigor di logica, proprio l’emanazione di una regola di interpretazione autentica dovrebbe sopperire a precedenti condizioni di obiettive condizioni di incertezza nella lettura della disciplina del ravvedimento speciale, legittimanti la non applicazione di misure afflittive (artt. 6, comma 2, D.Lgs. n. 472/1997; 10, comma 3, L. n. 212/2000; 8, D.Lgs. n. 546/1992. Sul rapporto fra norme di interpretazione autentica e obiettive condizioni di incertezza, ex multis, fra le più recenti, Cass., sez. trib., 3 agosto 2023, n. 23776, par. 18.4.; Cass., sez. trib., 2 agosto 2023, n. 23546, par. 21.4.; Cass., sez. trib., ord. 20 luglio 2023, n. 21743, par. 12.2.; la radicata posizione giurisprudenziale è ripresa da Agenzia delle Dogane, circ. 28 dicembre 2015, n. 22/D, par. II; sul punto, Logozzo M., La scusante dell’illecito tributario per obiettiva incertezza della legge, in Riv. trim. dir. trib., 2012, 2, 387 ss., in part. 408-409 e in La disapplicazione delle sanzioni da parte del giudice tributario per obiettiva incertezza della legge, in Riv. trim. dir. trib., 2021, 4, 847 ss., spec. 861-862).
Nondimeno, il punctum pruriens dell’art. 21 D.L. n. 34/2023 è ravvisabile da altri versanti, che toccano gangli nevralgici del sistema ordinamentale.
7. L’art. 1, comma 2, L. n. 212/2000, recante lo Statuto dei diritti del contribuente, prescrive che le norme di interpretazione autentica possano essere adottate solo in casi eccezionali, con legge ordinaria e l’espressa qualificazione delle disposizioni interessate come di “interpretazione autentica”.
Sul piano formale, l’art. 1, comma 2 parrebbe esigere che una norma interpretativa debba essere veicolata da una legge ordinaria, a seguito di confronto parlamentare, non tramite D.L. (Melis G., L’interpretazione, cit., ivi, 507-508; in termini critici verso l’abuso della prassi di emanare norme di interpretazione autentica tramite D.L., Marongiu G., per esempio in Lo Statuto dei diritti del contribuente, in Riv. trim. dir. trib., 2016, 3, 579 ss., spec. 584 ss.).
In proposito, tuttavia, si è obiettato che la riserva di legge avrebbe dovuto essere sancita dalla Costituzione (Mastroiacovo V., I limiti alla retroattività, cit., ivi, 166-167 e ivi nt. 235).
A tale osservazione, sembra agevole replicare che l’art. 1, comma 2 è inserito nella cornice dei «principi generali dell’ordinamento tributario», «in attuazione degli articoli 3, 23, 53 e 97 della Costituzione», derogabili o modificabili «solo espressamente e mai da leggi speciali» (art. 1, comma 1, L. n. 212/2000 cit.). Quelle statutarie non sono comuni norme di legge ordinaria, a propria volta superabili de plano da ulteriori norme di legge ordinaria, come, invece, tende a ritenere la giurisprudenza che ne confina la rilevanza alla stregua di meri «criteri guida per il giudice nell’interpretazione delle norme tributarie (anche anteriori)» (Cass., sez. trib., ord. 14 giugno 2023, n. 17075, par. 3; Cass., sez. trib., ordd. 29 dicembre 2021, nn. 41882 e 41903; ord. 28 dicembre 2021, per tutte e tre tali pronunce, al par. 5.11; sul punto, v. anche Picciaredda F., Abuso di interpretazione autentica, cit., ivi, passim).
Piuttosto, lo Statuto, proprio perché rispecchia principi costituzionali, ne rappresenta esplicazione e parametro di interpretazione e, per questo, concorre a uniformare quella delle norme ordinarie alla stessa Legge fondamentale. Sicché, non si avverte una stretta necessità che la Costituzione sancisca una riserva di legge ad hoc, per le norme tributarie di interpretazione autentica.
Si è, altresì, rilevato che l’art. 1, comma 2 alluderebbe comunque ad atti aventi forza di legge e, perciò, anche ai D.L., la cui esclusione sarebbe in contrasto con l’art. 3, comma 1 Cost., perché irragionevole (Castaldi L., I vincoli statutari, cit., ivi, in part. 965-966; per la sussumibilità anche dei D.L. all’art. 1, comma 2, Picciaredda F., Abuso di interpretazione autentica, cit., ivi, 323).
L’opinione parrebbe comunque superata dalla constatazione che la regola del D.L. sia stata poi oggetto di conversione in legge (n. 56/2023) e, dunque, non sottratta al dibattito parlamentare.
Anche a voler valorizzare il particolare, resterebbe un dato di fondo.
La previsione di un D.L. deve radicarsi sulla straordinarietà di casi di necessità e di urgenza (art. 77, comma 2, Cost. cit.). La “straordinarietà” non risulta così lontana dalla “eccezionalità” cui allude l’art. 1, comma 2 dello Statuto per adottare norme tributarie di interpretazione autentica (in termini affini, Castaldi L., I vincoli, cit., ivi, 966; nel senso che la “eccezionalità” dovrebbe essere parametrata sull’esistenza, anzitutto, di un affidamento tutelabile, Melis G., L’interpretazione, cit., ivi, 509).
Tuttavia, appare quantomeno problematico sostenere che l’art. 21, comma 1, D.L. n. 34/2023 si collochi davvero entro tali coordinate.
Ad esempio, non sussiste(va) un annoso e complesso contenzioso coinvolgente numerosi contribuenti, scaturito da una disposizione di incerta portata, che qui non è dato ravvisare.
Né si avvertiva alcuna esigenza di precisazioni ermeneutiche, a fronte di un quadro di oscurità interpretativa insussistente, stante, al contrario, la lettera di una disposizione (l’art. 1, comma 174, L. n. 197/2022) non foriera di dubbi interpretativi circa l’applicabilità del ravvedimento speciale a violazioni non constatate.
Men che meno si ravvisa(va)no “casi straordinari” (art. 77, comma 2, Cost.), eccezionali (art. 1, comma 2, L. n. 212/2000) alla base di una siffatta operazione normativa.
Il quadro che appare allo studioso e all’operatore è di ben altro segno.
Una norma dell’esecutivo (l’art. 21, comma 1, D.L. n. 34 cit.) ha avallato una interpretazione, avulsa dal testo di riferimento (art. 1, comma 174, L. n. 197/2022 cit.), resa da un’Agenzia fiscale, vigilata da un’articolazione (il Ministero dell’Economia e delle Finanza) dell’esecutivo. La norma è stata emanata in difetto dei requisiti costituzionali (art. 77, comma 2 cit.) di straordinaria necessità e urgenza, alla base di tale species di decretazione oltre che di quello di “eccezionalità”, richiesto dallo Statuto, in diretta attuazione dei principi costituzionali (art. 1, commi 2 e 1, L. n. 212/2000).
Da simile punto di vista, un’evidente mancanza dei presupposti di necessità e urgenza, ove si ritenesse qui riscontrabile, non sarebbe certo stata sanata dalla legge di conversione, la quale risulterebbe, a propria volta, “inficiata da un vizio in procedendo” per aver convertito un decreto governativo, privo dei requisiti costituzionali per la sua adozione (v., per esempio, Corte cost., 18 gennaio 2022, n. 8, par. 6.1. anche per richiami a ulteriori precedenti; Meoli C., Legge di conversione del decreto-legge, in Enc. Treccani on line. Il Libro dell’anno del Diritto 2015).
8. Un ulteriore aspetto fondamentale merita di essere attentamente valutato.
È necessario dedicare attenzione alla “sostanza”, al contenuto del precetto dell’art. 21, comma 1, D.L. n. 34, più che alla “forma”, alla denominazione esteriore attribuita dal legislatore, non di rado in modo fuorviante (cfr. Picciaredda F., Abuso di interpretazione autentica, cit., ivi, 323; Falsitta G., Manuale di diritto tributario. Parte generale, Milano, 2020, 112).
Per essere davvero tale, una regola di interpretazione autentica dovrebbe illuminare il significato della norma preesistente, intercettato fra quelli da essa logicamente ritraibili (e, dunque e all’opposto, escludere uno o più dei sensi, fra quelli ritenuti razionalmente riconducibili alla previsione interpretata), senza intaccarne o integrarne il contenuto testuale.
Detto altrimenti, le «disposizioni di interpretazione autentica devono limitarsi a chiarire il significato delle norme richiamate, ovvero ad individuare una fra la varie interpretazioni possibili, senza modificarne il tenore testuale. Esse, infatti, sono ammissibili solo in presenza di un dubbio interpretativo e sono volte ad enucleare uno specifico significato normativo. Per il carattere prettamente strumentale ed ausiliario, dette disposizioni non possono avere un contenuto precettivo distinto da quello delle norme interpretate” (Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento per gli affari giuridici e legislativi, Guida alla redazione dei testi normativi, circolare 2 maggio 2001, n. 1/1.1.26/10888/9.9222, par. 4.12.).
A rigore, quindi, per le norme di interpretazione autentica, che siano effettivamente tali, non è ortodosso ragionare di “retroattività”, dato che, appunto, dovrebbero esplicitare un contenuto già presente ab initio nella previsione oggetto di interpretazione (Tesauro F., Limiti costituzionali, cit., ivi, 1968).
Nondimeno, si è evocata la retroattività delle norme che si qualificano come di “interpretazione autentica” soprattutto qualora, come nel nostro caso, si tratti di questione di mera etichetta formale per dissimulare un’efficacia ex tunc di una previsione, in realtà, innovativa (Tesauro F., Limiti costituzionali, cit., ivi, 1969; Falsitta G., Manuale, cit., ivi, 109).
Difatti, non appare dubbio che l’art. 21, comma 1, D.L. n. 34/2023, lungi dall’offrire un’interpretazione autentica di alcunché, abbia semplicemente mirato ad attribuire l’imprimatur (di rango accostabile a quello) di legge a una interpretazione contra e praeter legem, resa dall’Agenzia fiscale onde prevenire l’affermazione dell’esegesi corretta dell’art. 1, comma 174, L. n. 197/2022, ma (reputata come) indesiderata dalla parte pubblica (cfr. Picciaredda F., Abuso di interpretazione autentica, cit., ivi, 312).
9. A livello primario, l’art. 25, comma 2, Cost. scolpisce il divieto di retroattività con esplicito riferimento alle norme penali, mentre, tradizionalmente, la giurisprudenza costituzionale ha affermato l’inapplicabilità della norma ad altri settori disciplinari. Inoltre, non ha escluso la possibilità di emanare norme innovative, ma retroattive, distinte da quelle di interpretazione autentica (per esempio, Corte cost., 30 settembre 2011, n. 257, par. 4; 20 maggio 2008, n. 162, par. 2.1.; 26 giugno 2007, n. 234, par. 9; sull’orbita applicativa dell’art. 25, comma 2, v. Marcheselli A., Uso e abuso della retroattività nel diritto procedimentale tributario, cit., ivi, 3 ss.).
Tuttavia, non sembra un approccio condivisibile.
Per il ravvedimento speciale, almeno, appare corretto prefigurare l’invocabilità dell’art. 25, comma 2, Cost., dato che stiamo ragionando della portata di una disciplina certamente procedimentale (l’art. 1, commi 174 ss., L. n. 197/2022) che, dall’osservanza dell’iter da essa disegnato, fa discendere la riduzione di sanzioni amministrative sul piano sostanziale.
Una misura afflittiva, qual è quella di omesso versamento, ad esempio (art. 13, comma 1, D.Lgs. n. 471/1997 cit.), presenta una morfologia accostabile a quella penale (Corte EDU, 8 giugno 1976, nn. 5100/71 e a., Engel e a. c. Paesi Bassi e, nella specifica prospettiva tributaristica, 24 febbraio 2014, n. 12547/86, Bendenoun; proprio in riferimento alla sanzione dell’art. 13, comma 1, cit., Corte di Giustizia, 20 marzo 2018, causa C-524/15, Menci, punto 32; v., incidenter, in modo chiaro, benché senza espliciti richiami alla giurisprudenza sovranazionale, Tassani T., Il diritto del contribuente, cit., ivi, 307).
L’art. 21, comma 1, D.L. n. 34/2023 risulta aver innovato l’art. 1, comma 174, L. n. 197/2022, giacché questo in alcun punto, inibiva la definizione di illeciti non “rilevati” nell’ambito di un controllo cartolare.
L’auto-asserzione normativa di una natura di interpretazione autentica della previsione le vuole attribuire una efficacia ex tunc, confliggente con il divieto di retroattività delle disposizioni, sancito a livello generale dall’art. 11 prel. e, in ambito fiscale, dallo Statuto dei diritti del contribuente (art. 3, comma 1, L. n. 212/2000; sul tema, per esempio, Marongiu G., Abuso del diritto vs. irretroattività, in Rass. trib., 2012, 5, 1151 ss., in part. 1160 ss.; Tassani T., Il diritto del contribuente, cit., ivi, 301 ss., spec. 330. Cfr., inoltre, Petrillo V., Il doppio limite posto dall’affidamento legittimo nei confronti del legislatore e dell’attività amministrativa in materia tributaria, in Dir. prat. trib., 2005, 2, I, 287 ss., spec. 290 ss.).
Detto altrimenti, l’art. 21, comma 1 non dovrebbe disporre “che per l’avvenire” (art. 11 prel.), come qualsiasi altra norma ordinaria. Pertanto, si dovrebbe concludere che trovi applicazione ex nunc per le fattispecie di ravvedimento speciale, perfezionate dal 31 marzo 2023, data di (effettiva) entrata in vigore del precetto, sino al 30 settembre 2023, prima scadenza di riferimento per il versamento degli importi dovuti (art. 1, comma 174 cit.).
10. Movendo da queste premesse, deriverebbe l’inoperatività del ravvedimento speciale per le violazioni “rilevabili” con effetto dal 31 marzo 2023.
Nondimeno, così si aggiungerebbe un ulteriore profilo di irragionevolezza della disciplina (art. 3, comma 1, Cost.), stante l’ingiustificato trattamento differenziato di identiche fattispecie, assoggettabili o meno alla stessa misura clemenziale se perfezionate prima o dopo tale data (purché, naturalmente, entro il generale dies ad quem del 30 settembre 2023).
D’altronde, per ovviare a tale irrazionalità, non si potrebbe sostenere che dall’art. 21 possano scaturire effetti ex tunc.
Vero è che il divieto di retroattività, sancito dallo Statuto, reca una clausola di salvezza espressa proprio per le norme di interpretazione autentica (art. 1, comma 2, L. n. 212/2000 cit.).
Tuttavia, la previsione non è stata certo concepita per ammettere, in modo surrettizio e asistematico, norme tributarie con effetti ex tunc solo perché etichettate come di “interpretazione autentica”.
Il generale divieto di retroattività non può essere certo aggirato da qualificazioni formali, attribuite dal legislatore, ove non rappresentative del contenuto innovativo di un precetto, invece pseudo-interpretativo e cripto-retroattivo (per una posizione affine, Tassani T., Il diritto del contribuente, cit., ivi, 328 ss.).
Con un efficace gioco di parole, si può affermare che le norme di interpretazione autentica, “salvate” dal divieto di retroattività, siano (e debbano essere) solo quelle “autenticamente interpretative” del contenuto di altre, delle quali illuminino il senso fra vari possibili.
Anche a voler accogliere il discutibile orientamento della Corte costituzionale, ove ammette norme innovative con effetto retroattivo, non dovrebbero raggiungersi risultati così lontani da quelli qui prospettati.
Pur entro tale orizzonte, la retroattività dell’art. 21 deve comunque poggiarsi sul principio di ragionevolezza e su adeguate ragioni di interesse generale (Corte cost., 24 aprile 2020, n. 70, par. 7.2.1.; 12 aprile 2017, n. 73, par. 4.3.3.; 10 giugno 2016, n. 132, par. 6; nella giurisprudenza di legittimità: Cass., sez. trib., ord. 4 dicembre 2020, n. 27792, par. 5.2., ult. periodo; Cass., sez. VI – 5, ord. 21 ottobre 2019, n. 26683; Cass., Sez. Un., 2 maggio 2014, n. 9560, par. 10).
Nella specie, non risultano ravvisabili profili di ragionevolezza né ragioni di interesse generale nell’attribuire il manto di norma (con rango) di legge (art. 21 D.L. n. 34/2023 cit.) a un’interpretazione erariale avulsa dal dato normativo di riferimento (l’art. 1, comma 174, L. n. 197/2022 cit.).
Attribuire la veste di regola di “interpretazione autentica” all’art. 21 rappresenta un fragile e patologico espediente di tecnica legislativa, il quale già ex se può costituire elemento sintomatico di irragionevolezza e, dunque, di contrasto fra la previsione (solo asseritamente) interpretativa e l’art. 3, comma 1, Cost. (Corte cost., 24 aprile 2020, n. 70, cit., ivi; 12 aprile 2017, per esempio al par. 4.4.1.).
Piuttosto, vero è che il divieto di retroattività è, more solito, considerato per norme impositive ordinarie, più che per quelle di natura condonistica, come quelle in esame. È altrettanto vero, tuttavia, che lo Statuto riferisce il divieto, anzitutto, alle “disposizioni tributarie” in genere (art. 3, comma 1, cit., alla prima statuizione), fra le quali sono senz’altro annoverabili quelle del ravvedimento speciale.
Pertanto, ai sensi degli artt. 3, comma 1 e 1, comma 2, L. n. 212/2000, si deve concludere nel senso dell’applicabilità solo ex nunc dell’art. 21, comma 1, D.L. n. 34/2023, in quanto privo dei lineamenti di una norma interpretativa.
Tanto comunque non evita alla disposizione pseudo-interpretativa l’ombra della incostituzionalità, per irragionevolezza ove stabilisce una preclusione per le violazioni “rilevabili”, che non risulta nella disciplina del ravvedimento ordinario, su cui fa leva, oltre che per la denunciata disparità di trattamento tra fattispecie anteriori o posteriori al 31 marzo 2023, giorno di entrata in vigore dello stesso D.L. n. 34/2023.
11. Occorre valutare l’ipotesi ricostruttiva alla luce di ulteriori, generali coordinate del sistema ordinamentale.
Il divieto di retroattività affonda le proprie radici nel ricordato principio di tutela dell’affidamento dei destinatari delle disposizioni (tributarie), a propria volta correlato a quelli di certezza del diritto e di ragionevolezza (art. 3, comma 1, Cost.; v. Corte cost., 5 novembre 2021, n. 210, par. 7.2.; incidenter, v. anche Corte cost., 3 giugno 2022, n. 136, par. 7.2.).
Inoltre, il principio di tutela dell’affidamento è accreditato, in apicibus, anzitutto a livello sovranazionale (in rapporto alla tutela della proprietà, ex art. 1, I Prot. CEDU, v. Corte EDU, 7 giugno 2022, nn. 32401/10 e a., Taganrog LRO e a. c. Russia, punto 281; nell’ordinamento europeo, Corte di Giustizia, 29 aprile 2021, causa C-504/19, Banco de Portugal e a., punto 52. Cfr. Marongiu G., Lo Statuto dei diritti del contribuente, in il fisco, 2006, 1, 20 ss., in part. 24 ss.; Melis G., L’interpretazione nel diritto tributario, cit., ivi, 466 ss. e, in rapporto all’art. 1, comma 2, 511 ss.; v., inoltre, Perrone L., L’armonizzazione dell’IVA: il ruolo della Corte di giustizia, gli effetti verticali delle Direttive e l’affidamento del contribuente, in Rass. trib., 2006, 2, 423 ss., spec. 434; Trivellin M. Il principio di buona fede nel rapporto tributario, Milano, 2009).
Alla tutela dell’affidamento è correlabile pure la (necessità di) protezione della libertà dell’iniziativa economica privata (art. 41, comma 1, Cost.), turbata da irrazionali e repentine innovazioni normative (Sammartino S., Le circolari interpretative, cit., ivi, 1089; Melis G., L’interpretazione nel diritto tributario, cit., ivi, 487; Contrino A., Modifiche fiscali in corso di periodo, cit., ivi, spec. 595 ss., il quale, in proposito, considera altresì la violazione dei diritti inviolabili dell’uomo ex art. 2 Cost.; Falsitta G., Manuale, cit., ivi, 106-107).
Proprio in relazione all’affidamento, non può essere trascurata la consecutio degli interventi amministrativi e legislativi, alla stregua della quale, una violazione di tali principi non sembrerebbe affiorare in modo così evidente.
Si potrebbe opporre, ad esempio, che la (sedicente) disposizione interpretativa (art. 21, comma 1, D.L. n. 34/2023) abbia formalmente fatto ingresso nell’ordinamento il 31 marzo 2023, dopo soli tre mesi dall’entrata in vigore di quella da interpretare (art. 1, comma 174, L. n. 197/2022), per di più in riferimento a una disciplina eccezionale qual è quella del ravvedimento speciale. Perciò, non avrebbe determinato una particolare turbativa all’affidamento degli interessati.
Oltretutto, tale regola (pseudo-)interpretativa era stata anticipata da (e riproduceva) una prima espressione della opinione amministrativa del 27 gennaio 2023 (giorno di emanazione della cit. circ. n. 2/E/2023), dopo neppure un mese dalla vigenza della disciplina del ravvedimento speciale.
Da quest’ultimo crinale di analisi, benché l’esegesi dell’Agenzia fiscale non sia vincolante per i contribuenti, pare difficile sostenere una violazione dell’affidamento nei confronti di chi avesse deciso di attivare il ravvedimento speciale, dopo il 27 gennaio 2023, per violazioni (anche solo) “rilevabili”, quando il Fisco nazionale le aveva già escluse (per quanto erroneamente) dall’orbita dell’istituto clemenziale.
Ciò nonostante, la necessità di proteggere l’affidamento degli interessati non sembra possa essere del tutto esclusa.
Difatti, è ben possibile che contribuenti possano aver sollecitamente attivato simile percorso anche prima del 27 gennaio 2023, indotti a una rapida definizione delle proprie pendenze fiscali, stimolati, ad esempio, dalla necessità di evitare rischi di esclusione dalla partecipazione ad appalti pubblici (art. 80, comma 4, D.Lgs. n. 50/2016, recante il “Codice degli appalti”, ratione temporis[2]) e/o, semplicemente, da pressanti ragioni morali, dalla volontà di “mettersi in regola” al più presto.
In tale arco di tempo, una piana lettura della disciplina applicabile avrebbe potuto e dovuto condurre verso l’applicabilità del ravvedimento speciale anche a illeciti di omesso versamento, non ancora oggetto di comunicazioni di irregolarità.
Anche da questo punto di vista, la violazione degli artt. 3, comma 1 e 1, comma 2 della L. n. 212/2000 troverebbe chiari addentellati nel principio di tutela dell’affidamento che le norme statutarie hanno inteso rispecchiare e attuare.
12. In conclusione, la progressiva orditura amministrativa e legislativa, sovrappostasi alla disciplina originaria del ravvedimento speciale (art. 1, commi 174 ss., L. n. 197/2022), appare meritevole di una profonda riflessione critica.
L’Agenzia delle Entrate ha offerto una lettura restrittiva della disciplina, affrancata dai dati normativi, ove ha escluso dal ravvedimento speciale le violazioni “rilevabili” e non solo quelle “rilevate” tramite comunicazione di irregolarità o diretta iscrizione a ruolo.
Con l’art. 21, comma 1, D.L. n. 34/2023, poi, il legislatore ha recepito tale lettura, sotto il labilissimo velo di una erronea qualificazione della previsione come di “interpretazione autentica”, mentre, al contrario e piuttosto, ha modificato la norma che avrebbe interpretato e ne ha circoscritto l’originario orizzonte applicativo.
Tale previsione ha aperto l’abbrivio verso una duplice, irragionevole disparità di trattamento, contraria all’art. 3, comma 1, Cost.
In primo luogo, la preclusione non trova riscontro nel regime del ravvedimento ordinario, precluso solo a fronte di illeciti rilevati tramite comunicazione di irregolarità o iscrizione a ruolo, non anche rispetto a quelli solamente “rilevabili” mediante tali atti (art. 13, comma 1-ter, D.Lgs. n. 472/1997).
Inoltre, distingue ingiustificatamente tra fattispecie anteriori e posteriori al 31 marzo 2023, giorno di entrata in vigore del medesimo D.L. n. 34/2023, siccome attrae solo le seconde a tale preclusione, non sancita dalla disciplina di legge per le prime (art. 1, comma 174, L. n. 197/2022).
D’altro canto, il divieto di retroattività delle disposizioni tributarie attua il principio sovranazionale e costituzionale di tutela dell’affidamento, il quale risulta vulnerato soprattutto per le ipotesi di ravvedimento speciale, perfezionate prima del 27 gennaio 2023, data nella quale l’Agenzia delle Entrate ha espresso la propria erronea interpretazione restrittiva, poi recepita nell’art. 21, comma 1, D.L. n. 34/2023 in questione.
Pertanto, il ravvedimento speciale ha conosciuto il susseguirsi di una lettura amministrativa, lontano dal tenore delle regole interpretate, e di un intervento del legislatore che ha offerto a detta lettura “l’ancora di salvataggio” di una regola che si auto-qualifica come di “interpretazione autentica”, ma che tale è solo sulla carta, non affatto quanto al contenuto.
Si tratta evidentemente di una dinamica patologica, ben lontana da quella che dovrebbe caratterizzare un moderno Stato di diritto, effettivamente ancorato, in tutte le proprie espressioni, al principio di separazione dei poteri esecutivo e legislativo.
[1] Tutte in tema di trasferimenti dallo Stato ai Comuni ex art. 64, L. n. 388/2000 per compensare il minor gettito ICI derivante dall’autodeterminazione delle rendite catastali degli immobili di categoria D, che aveva determinato una minor imponibile.
[2] La disciplina di riferimento, ora, è disegnata dall’art. 95, comma 2, in rapporto all’all. II.10., D.Lgs. n. 36/2023, c.d. nuovo codice degli appalti, vigente dal 1° aprile 2023 ed efficace dal 1° luglio 2023 (così, l’art. 229, commi 1 e 2).
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