Si può applicare la c.d. split years clause nelle Convenzioni ove non è espressamente prevista? Il valore del Commentario OCSE quale soft law

Di Alessandra Magliaro e Sandro Censi -

Abstract

Giurisprudenza e prassi continuano a negare la possibile applicazione del frazionamento del periodo di imposta nelle Convenzioni contro le doppie imposizioni che espressamente non contengono tale previsione. Dalla dottrina continuano però a giungere notevoli sollecitazioni per una diversa lettura della questione spingendo a superare i rigidi formalismi interpretativi.

Can the so-called split years clause be applied in Conventions where it is not expressly provided for? The value of the OECD Commentary as soft law. – Judges and fiscal administration practices continue to deny possible application of tax period splitting in double taxation agreements which do not expressly contain this provision. However, considerable requests for a different reading of the question continue to come from doctrine, pushing us to overcome rigid interpretative formalisms.

 

Sommario: 1. Premessa. – 2. La determinazione della residenza fiscale interna e convenzionale e il frazionamento del periodo di imposta. – 3. Le previsioni del Commentario OCSE relativamente al frazionamento del periodo di imposta. – 4. Il valore interpretativo delle disposizioni del Commentario. – 5. Soft law v. hard law.

1. Complice, molto probabilmente, la previsione di una revisione della disciplina sulla residenza fiscale prevista nella recente Legge delega di riforma fiscale (L. n. 111/2023) si è riacceso il dibattito dottrinale sul possibile frazionamento del periodo di imposta, c.d. split year. Sul tema si è recentemente pronunciata anche la Cassazione con una interessante ordinanza (Cass. civ., sez. V, n. 25690/2023) in cui gli Ermellini escludono la possibilità di applicare la split year clause, sulla base del solo Commentario OCSE, nel caso di Convenzioni che non la prevedano espressamente.

Il caso sottoposto all’attenzione dei giudici di legittimità riguardava un conflitto di residenza fiscale di un contribuente tra Italia e Francia. Tale conflitto, secondo il contribuente, doveva risolversi con l’applicazione del principio del frazionamento del periodo di imposta, di cui alla Convenzione Italia-Francia, come interpretato dal Modello OCSE e dal relativo Commentario.

Secondo la Cassazione, invece, lo split year non poteva applicarsi non essendo previsto dalla Convenzione Italia-Francia, sottolineando che il Commentario non ha valore normativo e costituisce una raccomandazione diretta ai Paesi aderenti, i quali, tuttavia, nel delineare la disciplina convenzionale sono liberi di darvi attuazione.

2. Come noto, nella normativa tributaria italiana, l’art. 2, comma 2, TUIR stabilisce che «si considerano residenti le persone che per la maggior parte del periodo di imposta sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente o hanno nel territorio dello Stato il domicilio o la residenza ai sensi del Codice civile».

Le condizioni citate dall’articolo sono tra loro alternative e la sussistenza anche di una sola di essere per la maggior parte del periodo di imposta è sufficiente a far ritenere che un soggetto sia qualificato, ai fini fiscali, residente in Italia.

Per quanto concerne il periodo di imposta da prendere in considerazione il successivo art. 7 del medesimo TUIR specifica che «l’imposta è dovuta per anni solari, a ciascuno dei quali corrisponde un’obbligazione tributaria autonoma […]». Dal combinato disposto dei due articoli citati è evidente che nel nostro ordinamento esiste una considerazione unitaria del periodo di imposta. Pertanto il contribuente che per la maggior parte del periodo di imposta (183 giorni o 184 se l’anno è bisestile) soddisfa il requisito formale dell’essere iscritto all’Anagrafe dei cittadini residenti o quello sostanziale di avere in Italia la residenza o il domicilio sarà considerato fiscalmente residente nel nostro Paese.

Se ne deduce, altresì a contrariis, che non sussiste, nel nostro ordinamento, la possibilità di essere considerati parzialmente fiscalmente residenti. La stessa Agenzia delle Entrate con Risoluzione n. 471/E/2008 ha specificato che, ai fini della normativa italiana, non è possibile considerare un soggetto residente limitatamente ad una frazione dell’anno di imposta.

Dal diverso punto di vista internazionale e, in particolare, nell’ambito di alcune Convenzioni contro le doppie imposizioni può invece sussistere una disposizione che consenta, nella particolare ipotesi di doppia residenza, la possibilità di frazionare il periodo di imposta quali ad esempio le Convenzioni stipulate tra l’Italia e la Germania e tra l’Italia e la Svizzera. La split year clause contenuta in tali Convenzioni con riferimento ai casi di dual residence è stata recentemente oggetto di numerosi interpelli (si tratta dei nn. 370/2023, 255/2023, 173/2023, 73/2023).

Tali disposizioni sono solitamente contenute all’interno dell’art. 4 il quale, innanzitutto nel suo primo comma individua il concetto di residenza con rinvio alla legislazione dei singoli Stati. I successivi commi, tramite le tie break rules, si preoccupano poi di individuare la residenza rispettivamente delle persone fisiche e delle persone giuridiche nelle ipotesi di conflitto tra le norme nazionali che portino alla sussistenza di una dual residence. In particolare per quanto riguarda le persone fisiche l’individuazione della residenza fiscale, avverrà andando ad individuare ove il contribuente abbia una abitazione permanente (centro degli interessi vitali) o, in subordine, ove soggiorna abitualmente, o, in subordine sulla base della nazionalità dello stesso o, in estremo subordine, la decisione sarà demandata alle Autorità fiscali degli Stati contraenti. Come detto, solo alcune Convenzioni contengono poi anche una successiva disposizione, quale ad esempio quella contenuta nella Convenzione Italia-Svizzera, che stabilisce che: «La persona che ha trasferito definitivamente il suo domicilio da uno Stato contraente all’altro Stato contraente cessa di essere assoggettata nel primo Stato contraente alle imposte per le quali il domicilio è determinante non appena trascorso il giorno del trasferimento del domicilio. L’assoggettamento alle imposte per le quali il domicilio è determinante inizia nell’altro Stato a decorrere dalla stessa data».

Pur se l’oggetto della Ordinanza in commento riguarda la differente ipotesi in cui tale disposizione non è presente, riteniamo comunque utile ricordare, incidentalmente, che l’interpretazione di tale norma non è del tutto pacifica.

Ed invero a parere di chi scrive e di una parte, seppur minoritaria, della dottrina, si dovrebbe ritenere che la regola del frazionamento del periodo di imposta non sia un ulteriore criterio autonomo supplementare a quelli di cui ai precedenti commi (abitazione permanente, centro degli interessi vitali ed economici ecc.), ma una misura temporale del requisito di residenza che completa dunque il primo comma dell’art. 4 attribuendo ad esso la dimensione temporale mancante (si veda in tal senso Vogel K., A Commentary to the OECD-, UN-, and US Model Conventions for the Avoidance of Double Taxation on Income and Capital, with Particular Reference to German Treaty Practice, Londra, 1997, 254; Giorgi S., La residenza fiscale di una persona fisica in caso di trasferimento all’estero, in Fisc. comm. int., 2009, 2, 98; Magliaro A. – Censi S., Frazionamento del periodo di imposta; la split year clause nella normativa convenzionale e interna, in il fisco, 2023, 35, 3324).

Secondo altri Autori invece, facendo riferimento al Commentario OCSE, la norma sul frazionamento deve essere considerata “applicativa” delle tie break rules e applicabile a prescindere da qualsiasi valutazione in merito all’estensione temporale del periodo (se l’intero anno d’imposta o una sola parte di esso) in cui perdura la situazione di dual residence (Bizioli G. – Mologni D., Residenza delle persone fisiche che si trasferiscono in corso d’anno e split year clause, in Corr. trib., 2022, 22, 455; Delli Falconi F.- Marianetti G., La residenza parziale e le Convenzioni internazionali, in Corr. trib., 2009, 4, 288. La stessa interpretazione viene fornita anche dalla ris. n. 471/E/2008).

3. Qui giunti occorre anche ricordare quanto disposto dal Commentario OCSE relativamente all’art. 4 del Modello di Convenzione e, in particolare, al paragrafo 2.10 ove viene specificato che “«special rules must be established which give the attachment to one State a preference over the attachment to the other State. […] The facts to which the special rules will apply are those existing during the period when the residence of the taxpayer affects tax liability, which may be less than an entire taxable period».

Secondo la dottrina maggioritaria appena ricordata, l’ultimo inciso appena citato, e cioè che il periodo di residenza fiscale in un Paese possa non coincidere con quello di imposta ed essere anche inferiore, deve essere considerato come un principio generale. Pertanto, secondo i medesimi Autori, le disposizioni sul frazionamento del periodo di imposta nei trattati che le prevedono espressamente sono da considerarsi meramente ricognitive di un principio già desumibile in via interpretativa; con l’ulteriore conseguenza dell’applicabilità convenzionale dello split year salvo ove espressamente esclusa (Bizioli G. – Mologni D., op. cit., 458).

Tale teoria è anche quella proposta dal contribuente, nella fattispecie analizzata nella sentenza in commento, posto che nella Convenzione applicabile al caso in esame e cioè la Convenzione Italia-Francia non è prevista, all’interno dell’art. 4, la split year clause.

Nonostante tale assenza, sempre secondo il contribuente, la citata clausola doveva comunque trovare applicazione facendo una interpretazione della Convenzione sulla base del Commentario.

I giudici di legittimità non sono stati però convinti da tale interpretazione e, al contrario, hanno stabilito che il contenuto del Commentario è quello di strumento di indirizzo e ausilio nell’interpretazione delle Convenzioni internazionali ma che, «nel caso di specie, tuttavia, le norme interne convenzionali non presentano alcuno spazio interpretativo da colmare». Pertanto, come detto, hanno rigettato il ricorso del contribuente.

Del resto, anche l’Amministrazione finanziaria si era dimostrata in un più datato intervento contraria all’applicazione, nelle Convenzioni che non la prevedono, della regola del frazionamento del periodo di imposta. In una risposta ad Interpello aveva argomentato che «L’esistenza di norme convenzionali espresse che disciplinano i casi in cui è possibile ricorrere al frazionamento del periodo d’imposta per risolvere situazioni di doppia residenza esclude in radice la possibilità di applicare questo principio in via analogico-interpretativa: poiché il principio è stato già “recepito” dall’ordinamento italiano, estenderne l’applicazione ad ipotesi disciplinate da Convenzioni diverse da quelle in cui è espressamente richiamato violerebbe il principio di sovranità dei singoli Stati e il principio pattizio che sono alla base del sistema di Convenzioni bilaterali prefigurato dal Modello OCSE» (ris. n. 471/E/2008).

4. Relativamente al valore da attribuire al Commentario OCSE l’ordinanza della Cassazione in commento si rifà all’importante arresto giurisprudenziale a Sezioni Unite (Cass., Sez. Un., n. 8500/2021) nel quale i giudici di legittimità, in prima battuta, chiariscono che le Convenzioni sono a tutti gli effetti dei Trattati internazionali. A tal proposito occorre ricordare che la Convenzione di Vienna del 1969, sul diritto dei Trattati, afferma all’art. 31, che i Trattati devono essere interpretati in buona fede in base al senso comune da attribuire ai termini del trattato nel loro contesto e alla luce del suo oggetto e del suo scopo e che oltre al testo della Convenzione, al preambolo e agli allegati inclusi, rilevano tutti gli accordi intervenuti tra le parti in occasione della conclusione dell’accordo.

Il Commentario al modello OCSE, tuttavia, secondo la Cassazione, non può rientrare nel perimetro delineato da questa disposizione in quanto non viene mai allegato ai Trattati.

Come giustamente ricordato, però, (Moretti M., Trattati contro le doppie imposizioni: valenza del “Commentario OCSE” ai fini interpretativi e soggetti ammessi a beneficiare delle disposizioni convenzionali in una recente decisione della Cassazione, in Riv. tel. dir. trib., 2019, 2, XV, 610 ss.). «la dottrina nazionale e internazionale (cfr., per tutti, G. BIZIOLI, Tax treaty interpretation in Italy, in M. LANG (Ed.), Tax treaty interpretation, 2001, pp. 217-218 e K. VOGEL, The influence of the OECD commentaries on treaty interpretation, in Bullettin, December 2000, p. 614) ritiene che il Commentario al Modello OCSE possa rientrare tra i mezzi supplementari di interpretazione, alla luce anche del fatto che la Convenzione di Vienna contiene una lista non esaustiva di ipotetici mezzi complementari (lavori preparatori e circostanze nella quali il trattato è stato concluso): per tale via, è possibile l’utilizzo del Commentario al fine di chiarire il corretto significato da attribuire alle disposizioni contenute in un trattato (sul tema si rinvia a G. MELIS, Vincoli internazionali e norma tributaria interna, in Riv. dir. trib., 2004, pp. 1129 ss.)».

La citata sentenza a Sezioni Unite ha comunque stabilito la non vincolatività delle raccomandazioni contenute nel Commentario OCSE e la loro natura di soft law. Il Commentario quindi, a parere degli Ermellini, deve essere considerato solo uno strumento di indirizzo ed ausilio nell’interpretazione dell’esatto contenuto e delle finalità delle Convenzioni internazionali (Cass. nn. 36690/2022, 36679/2022, 22545/2022).

5. Come sottolineato da autorevole dottrina il superamento della corretta ma rigida e formalistica interpretazione della giurisprudenza appena citata potrebbe avvenire attribuendo un diverso valore alle regole della soft law. Secondo tale Autore «Si potrebbe insomma sostenere che oggi il dibattito sulla rilevanza giuridica del Commentario al Modello OCSE vada definitivamente separato da quello concernente i profili interpretativi, per collocarlo in quello – più recente ed ancora denso di incognite – concernente il sistema delle fonti nel contesto internazionale del XXI secolo. Verrebbe così` superata la problematica riconducibilità del Commentario in uno o l’altro dei metodi interpretativi previsti dalla Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati, peraltro aprendone una se possibile ancora più controversa, che è quella delle nuove fonti non formali e sul loro rapporto con la rule of law” (Dorigo S., La rilevanza interpretativa del Commentario al Modello OCSE per le Sezioni Unite: è tempo di mutare approccio?, in Dir. prat. trib. int., 2021, 4, 1758).

Sempre secondo il medesimo Autore infatti «l’avvento della soft law internazionale può spostare i termini della riflessione anche con riferimento al Commentario al Modello OCSE, allontanandolo dal tralatizio contesto dell’interpretazione delle norme convenzionali (che come si è visto anche dalle esitazioni e dai silenzi delle Sezioni Unite è tuttora zeppo di incertezze) ed inserendolo invece a pieno titolo nel nuovo dibattito sulle fonti e sul modo di individuare le regole sostanziali destinate a disciplinare le fattispecie concrete sul piano internazionale».

Chi scrive già prima della pubblicazione della ordinanza in commento aveva espresso le sue perplessità relativamente all’applicazione del criterio interpretativo del Commentario OCSE alle Convenzioni che non prevedano espressamente la split year clause. Va però sottolineato che le motivazioni addotte non erano tanto riferibili al discusso valore interpretativo del Commentario ma al fatto che, sempre a nostro parere, come già precedentemente indicato, la regola del frazionamento del periodo di imposta dovrebbe essere considerata non un ulteriore criterio autonomo delle tie break rules bensì una misura temporale del requisito di residenza stabilito al primo comma (Magliaro A. – Censi S., op. cit., 3324).

Proprio perché consapevoli che il nostro sistema tributario è sempre stato improntato al principio di unicità e della estremamente dirompente portata dell’eventuale introduzione di tale principio, non abbiamo però sottaciuto la maggior razionalità di tale interpretazione. È innegabile infatti che una volta avvenuto il trasferimento di domicilio del contribuente, la potestà impositiva dello Stato di origine subisce inequivocabilmente un ridimensionamento notevole che potrebbe addirittura portare all’esclusione della stessa.

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

Bizioli G. – Mologni D., Residenza delle persone fisiche che si trasferiscono in corso d’anno e split year clause, in Corr. trib., 2022, 5, 455 ss.

Bizioli G., Tax treaty interpretation in Italy, in Lang M. (Ed.), Tax treaty interpretation, 2001, 217 ss.

Delli Falconi F.- Marianetti G., La residenza parziale e le Convenzioni internazionali, in Corr. trib., 2009, 4, 288 ss.

Dorigo S., La rilevanza interpretativa del Commentario al Modello OCSE per le Sezioni Unite: è tempo di mutare approccio?, in Dir. prat. trib. int., 2021, 4, 1758 ss.

Giorgi S., La residenza fiscale di una persona fisica in caso di trasferimento all’estero, in Fisc. comm. int., 2009, 2, 98 ss.

Magliaro A. – Censi S., Frazionamento del periodo di imposta; la split year clause nella normativa convenzionale e interna, in il fisco, 2023, 35, 3324 ss.

Melis G., Vincoli internazionali e norma tributaria interna, in Riv. dir. trib., 2004, 10, 1083 ss.

Moretti M., Trattati contro le doppie imposizioni: valenza del “Commentario OCSE” ai fini interpretativi e soggetti ammessi a beneficiare delle disposizioni convenzionali in una recente decisione della Cassazione, in Riv. tel. dir. trib., 2019, 2, XV, 610 ss.

Vogel K., A Commentary to the OECD-, UN-, and US Model Conventions for the Avoidance of Double Taxation on Income and Capital, with Particular Reference to German Treaty Practice, Londra, 1997, 254 ss.

Vogel K., The influence of the OECD commentaries on treaty interpretation, in Bullettin for International Taxation, 2000, Vol. 4, No. 12, 614 ss.

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