La legittimazione processuale del fallito in caso di inerzia del curatore
Di Anna Rita Ciarcia
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(commento a/notes to Cass., SS.UU., 28 aprile 2023, n. 11287)
Abstract
Il contribuente dichiarato fallito ha legittimazione processuale vicaria ad impugnare gli atti dell’Amministrazione tributaria, allorché sussista inerzia dell’organo concorsuale integrata dal concorso di alcune condizioni. Il presupposto è che si tratti di debiti fiscali con elementi costitutivi sorti prima dell’apertura del concorso, per i quali la maturazione di definitività dell’avviso, per l’insolvente, decorre solo dalla relativa presa di conoscenza, anche se il termine è già decorso nel frattempo per il curatore.
The procedural legitimacy of the bankrupt in case of inertia of the trustee. – The taxpayer declared bankrupt has vicarious procedural legitimacy to challenge the acts of the tax administration when there is inertia of the insolvency body integrated by the concurrence of certain conditions. The assumption is that these are tax debts with constitutive elements that arose before the opening of the competition, for which the maturation of definitiveness of the notice, for the insolvent, starts only from the relevant acknowledgment, even if the deadline has already in the meantime for the curator.
Sommario: 1. Premessa. – 2. La legittimazione processuale e l’ordinanza di rimessione. – 3. Il soggetto legittimato all’impugnazione e l’inerzia del curatore. – 4. Conclusioni.
1. La Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, chiarisce, si spera in maniera definitiva, il soggetto legittimato ad impugnare l’atto impositivo in costanza di fallimento.
La dichiarazione di fallimento, pur non sottraendo al fallito la titolarità dei rapporti patrimoniali compresi nel fallimento, comporta, a norma dell’art. 43 Legge fallimentare (R.D. 16 marzo 1942, n. 267), la perdita della sua capacità di stare in giudizio nelle relative controversie, la quale tuttavia permane, in via eccezionale, in caso di inerzia del curatore; la Corte definisce cosa si intende per inerzia ovvero se questa sia determinata da un totale disinteresse alla vicenda processuale, rimessa esplicitamente o implicitamente nella gestione del fallito o, invece, non consegua ad una negativa valutazione circa la convenienza della controversia.
In particolare, con l’apertura della procedura concorsuale, il fallito perde la disponibilità del suo patrimonio e si verifica una dissociazione fra proprietà e potere di amministrazione giuridica del patrimonio, ai sensi dell’art. 42 Legge fallimentare, ma non viene meno la titolarità dei rapporti giuridici patrimoniali e neppure quella soggettiva d’imposta. Soggetto passivo d’imposta resta sempre il fallito, anche se spossessato dei suoi beni e sostituito dagli organi della procedura nell’amministrazione e nella disposizione del suo patrimonio, ex art. 31 Legge fallimentare (Schiavo G., Il fallito conserva la soggettività passiva tributaria, in Corr. trib., 2003, 5, 380).
Con la circ. 22 marzo 2002, n. 26/E l’Amministrazione finanziaria ha chiarito che il fallito, durante la procedura fallimentare, non perde la soggettività passiva d’imposta; ancora, con la ris. 5 giugno 2002, n. 171/E ha precisato che il fallito, sia che abbia lo status di imprenditore individuale o che sia socio di società di persona, mantiene la soggettività passiva tributaria ed anche la piena titolarità giuridica dei redditi personali, sia attratti nel fallimento sia estranei ad esso.
2. L’intervento delle Sezioni Unite è dovuto all’ordinanza di rimessione della sezione tributaria del 25 agosto 2022, n. 25373 (Rugolo G., “Inerzia consapevole” e “inerzia dimenticanza”: la legittimazione del fallito ad impugnare gli atti impositivi al vaglio (forse) delle Sezioni Unite, in Riv. tel. dir. trib., 2023, 1, V, 253).
Il punto di partenza della fattispecie consiste nella circostanza che, sebbene gli atti impositivi i cui presupposti si siano determinati prima dell’apertura della procedura concorsuale, abbiano attitudine a incidere sullo stato passivo, è evidente che, ai fini della loro impugnabilità da parte del debitore, non rileva solo la persistenza della qualità di contribuente del debitore insolvente (rapporto di imposta che assume rilievo costituzionale ex art. 53 Cost.), ma soprattutto il diverso interesse che il contribuente insolvente ha nell’impugnare gli atti medesimi.
Il curatore del fallimento, da parte sua, ha interesse ad iniziare un giudizio avverso una pretesa tributaria solo laddove tale contenzioso possa astrattamente incidere sulla ripartizione dell’attivo tra i creditori concorsuali, al netto dei costi prededucibili da sostenersi sia per l’instaurazione, sia quale effetto accessorio del contenzioso stesso (Conigliaro M., Difesa del debitore insolvente dinanzi al fisco: chiaro interesse ad agire ma opaca legittimazione processuale, in il fisco, 2022, 47/48, 4553).
Il contribuente fallito, al contrario, ha un interesse del tutto differente, tenuto conto dei riflessi, anche di carattere sanzionatorio, che potrebbero discendere dall’ammissione del credito tributario, ove il maggior credito venisse valorizzato dal curatore nella relazione al giudice delegato (art. 33 L. fall., art. 130 D.Lgs. n. 14/2019 art. 130) e ove tale circostanza si tramutasse in una imputazione penalmente rilevante (Cass., sez. V, sent. 30 aprile 2014, n. 9434).
Non si possono tacere, inoltre, gli eventuali effetti positivi che potrebbero discendere in favore del contribuente insolvente dalla esclusione del suddetto credito tributario come ulteriore interesse ad agire. Sebbene essi siano sostanzialmente virtuali o, quanto meno, eccezionali in pendenza della procedura concorsuale liquidatoria, essendo il debitore titolare di una sorta di interesse de residuo al proprio patrimonio, si riespandono dopo la chiusura del fallimento (Cass., sez. V, sent. 6 giugno 2022, n. 18124; Corte Giustizia europea, 16 marzo 2017, C-493/15, Identi).
Dal riconoscimento della legittimazione straordinaria in capo al contribuente dichiarato fallito discendono alcuni corollari.
In primo luogo, il difetto di tale legittimazione straordinaria, in quanto fondato sull’inerzia del curatore (che, quindi, ha mostrato disinteresse per la tutela giurisdizionale) e su un interesse del tutto autonomo del debitore, può essere rilevato dal solo curatore, proprio sul presupposto che il curatore non sia rimasto inerte e abbia adito l’Autorità giurisdizionale (Cass., sez. VI, sentt. 27 maggio 2022, n. 17240 e 30 luglio 2021, n. 21896).
Se ne deduce che l’eccezione di difetto di legittimazione straordinaria del curatore è di natura relativa, non rilevabile dalla controparte, né di ufficio, in quanto ha la finalità di evitare sovrapposizioni tra l’iniziativa del curatore del fallimento e quella del contribuente. Solo il curatore può, pertanto, sollevare questa eccezione, nel caso in cui sia stato lui a proporre impugnazione oppure anche nel caso in cui egli sia intervenuto nel giudizio originariamente promosso dal contribuente (Cass., sez. V, sent. 16 aprile 2007, n. 8990).
Questa soluzione appare coerente con la eterogeneità e succedaneità dell’interesse ad agire del debitore rispetto all’interesse della massa dei creditori, in quanto l’interesse del primo soccombe solo se entra in conflitto con quello della massa dei creditori.
In secondo luogo, è evidente che il contribuente, in costanza di fallimento, non ha alcun onere di dimostrare in giudizio il proprio interesse ad agire, posto che né controparte, né il giudice potrebbero mai rilevare il difetto di interesse ad agire, salvo che nel giudizio intervenga il curatore, posto che l’inerzia rileva per il semplice fatto che il curatore non abbia fatto ricorso tout court alla tutela giurisdizionale.
Diverso appare il caso in cui l’inerzia del curatore del fallimento si manifesti successivamente alla proposizione, da parte del curatore, di un giudizio tributario che, successivamente, gli organi della procedura ritengano inopportuno coltivare ulteriormente.
In tal caso, non ricorre l’inerzia del curatore, in quanto vi è stata una specifica valutazione degli organi della procedura a non coltivare ulteriormente l’iniziativa giurisdizionale proposta, a fronte della quale il contribuente dichiarato fallito non ha alcuna legittimazione alla sua prosecuzione (Cass., sez. V, sent. 3 aprile 2006, n. 7791).
La mancata prosecuzione del giudizio, ovvero l’omessa impugnazione della sentenza che lo conclude, consegue a una specifica valutazione degli organi della procedura, volta a rinunciare al proseguimento dell’azione giudiziaria, eventualmente prestando acquiescenza alla pronuncia che ha concluso (negativamente) il giudizio introdotto dalla curatela, casi che non sono inquadrabili propriamente nella pura inerzia e che non possono giustificare la legittimazione straordinaria del contribuente dichiarato fallito a proseguire il giudizio (Mauro M., La legittimazione attiva a stare in giudizio nelle liti di rimborso Iva in pendenza della liquidazione giudiziale (già fallimento), in Riv. tel. dir. trib., 2020, 1, VII, 227).
Un diverso orientamento della giurisprudenza, formatosi in tempi più recenti, ritiene che non ricorra l’inerzia ogni qual volta ci sia stata una espressa valutazione da parte del curatore di non intraprendere l’azione giurisdizionale avverso l’atto impositivo, ovvero di rinunciarvi, ancorché preventivamente. In tali situazioni è inammissibile, per difetto di legittimazione ad agire, il ricorso del contribuente contro un avviso di accertamento concernente crediti fiscali, i cui presupposti si siano verificati prima della dichiarazione del suo fallimento, ove il curatore abbia omesso di promuovere un giudizio non per inerzia, ma in seguito ad una esplicita valutazione negativa circa la sua inutilità per la massa dei creditori (Cass., sez. V, sentt. 26 novembre 2021, n. 36894; 16 novembre 2021, n. 34529; 19 ottobre 2021, n. 28973).
Secondo questo “nuovo” orientamento è negata la legittimazione straordinaria del contribuente debitore, la cui eccezione spetterebbe al solo curatore del fallimento, ogni qual volta l’inerzia (ovvero l’omessa attivazione processuale) sia comunque il frutto di una valutazione ponderata della curatela.
In questo caso, tenuto conto che il presupposto della legittimazione straordinaria del fallito sarebbe inibito per effetto di una specifica valutazione (a monte) negativa da parte degli organi della procedura di non adire l’autorità giurisdizionale, occorrerebbe volta per volta esaminare se l’omessa proposizione dell’azione di impugnazione dell’atto impositivo da parte del curatore sia frutto di questa ponderata valutazione.
Ciò implica che sarà onere del fallito dimostrare, ogni volta, ex ante la propria legittimazione processuale, anche laddove il curatore non fosse parte del giudizio e anche laddove il curatore non avesse tout court promosso alcun contenzioso.
Nell’ordinanza di rimessione si evidenzia, altresì, come il concetto di inerzia debba essere inteso non come coincidente con la mera omessa presentazione del ricorso, bensì come un vero e proprio disinteresse degli organi della procedura concorsuale all’instaurazione o prosecuzione della controversia tributaria: l’eccezione di difetto di legittimazione attiva del contribuente non sarebbe più appannaggio del solo curatore del fallimento, ma diverrebbe assoluta e potrebbe essere anche rilevata di ufficio dal giudice.
In terzo luogo, la soluzione della legittimazione straordinaria per pura inerzia sarebbe sostanzialmente inapplicabile in caso di fisiologico operare degli organi della procedura. Il curatore che ritenga di non promuovere una iniziativa giudiziaria non procede, solitamente, a farsi autorizzare a “non agire” dal giudice della procedura (infatti non può configurarsi una autorizzazione a un “non facere“, ma solo una autorizzazione “a stare in giudizio come attore o come convenuto” ex artt. 25, comma 1, n. 6, L. fall., art. 123, comma 1, lett. f, D.Lgs. n. 14/2019 e art. 128, comma 3, D.Lgs. n. 14/2019), ma si limita a sottoporre al visto del giudice delegato il proprio operato. In questo caso il curatore (come nell’ipotesi in cui egli si veda negare l’azione da parte del giudice delegato ex art. 25 L. fall.), operando correttamente nell’interesse della massa, non rimane propriamente inerte ma valuta (sempre) se proporre o meno l’azione giudiziaria; una scelta ponderata del curatore è (o dovrebbe essere) sempre all’origine della scelta consapevole di non impugnare un atto impositivo, in tal modo venendosi a negare in termini generali la legittimazione straordinaria del debitore in caso di apertura di procedura concorsuale.
In quarto luogo, l’operatività del principio della pura inerzia sarebbe fatto salvo nel solo caso in cui il curatore non si fosse “accorto” della pendenza del termine per impugnare l’atto impositivo, lasciandolo così all’iniziativa del debitore. Secondo questa interpretazione, si pregiudicherebbe l’operato dei contribuenti insolventi che si trovino di fronte a curatori “attenti” (nell’interesse della massa) ai contenziosi pendenti, perché in questo caso non vi sarebbe alcuna inerzia; viceversa, si favorirebbero quei contribuenti che, invece, si imbattono in curatori “disattenti” in relazione ai contenziosi pendenti.
Questa situazione fa sì che la tutela del contribuente sia paradossalmente subordinata a comportamenti non virtuosi da parte dei rappresentanti della massa dei creditori e disincentiverebbe il ricorso alla tutela giurisdizionale dei contribuenti a fronte di comportamenti virtuosi, benché ascrivibili a terzi (il curatore), senza, peraltro, che questi comportamenti virtuosi abbiano una immediata ricaduta positiva nella sfera di interesse del contribuente (Andreani G. – Tubelli A., Verso una disciplina più coerente e omogenea per il regime tributario della crisi d’impresa, in il fisco, 2023, 15, 1431).
Infine, se l’interesse del contribuente meritevole di tutela fosse solo quello del contribuente che si fosse trovato di fronte a un curatore “disattento”, in quanto disinteressato al contenzioso, l’interesse ad agire del contribuente verrebbe in qualche modo legato alla valutazione operata dal curatore, la quale è del tutto avulsa da un eventuale interesse del contribuente.
Questa limitazione “di fatto” della legittimazione straordinaria del contribuente potrebbe, peraltro, apparire non in linea con la persistenza del rapporto di imposta – in costanza di fallimento – in capo al contribuente e con l’interesse alla tutela giurisdizionale in materia tributaria, la quale rientra tra i diritti fondamentali dell’ordinamento (artt. 24, 53 Cost.).
Alla luce di ciò, la Corte ha rimesso la vicenda alle Sezioni Unite: la questione riguarda, in particolare, sia il presupposto della legittimazione straordinaria del contribuente insolvente (se rilevi la mera inerzia del curatore, intesa come omesso ricorso alla tutela giurisdizionale, ovvero se occorra accertare se l’inerzia sia o meno frutto di una valutazione ponderata da parte degli organi della procedura concorsuale), sia gli effetti di tale soluzione sulla natura (relativa o assoluta) dell’eccezione di difetto di legittimazione e sulle difese, al riguardo, del contribuente.
3. Come visto, il primo soggetto obbligato all’impugnazione dell’atto notificato è sicuramente il curatore (Cass., sez. I, sent. 19 febbraio 2000, n. 1901), ma si è sempre riconosciuto che, in caso di inerzia degli organi fallimentari, il fallito è eccezionalmente abilitato ad esercitare egli stesso la tutela giurisdizionale.
In realtà, però, la giurisprudenza ha chiarito che non è sufficiente a determinare il recupero della capacità processuale del fallito l’inerzia del curatore, in quanto anche la rinuncia ad agire o a proseguire nell’azione processuale è espressione del potere processuale del curatore, per cui occorre dimostrare che la mancata azione del curatore sia frutto di disinteresse per il diritto in discussione; ne consegue che la legittimazione processuale di un soggetto dichiarato fallito potrà riconoscersi eccezionalmente solo nel caso di disinteresse o inerzia degli organi preposti al fallimento, ma non quando detti organi si siano concretamente attivati ed abbiano ritenuto non conveniente intraprendere o proseguire la controversia.
In particolare, con le SS.UU. si è assistito ad una distinzione tra inerzia semplice, che consente la legittimazione processuale del fallito, e l’inerzia consapevole o qualificata, che, di contro, limita la possibilità per il fallito di adire il giudizio (Conigliaro M., Giudizio tributario: un raggio di sole tra le nubi della legittimazione processuale del debitore insolvente, in il fisco, 2023, 30, 2895).
Pertanto, se l’amministrazione fallimentare rimane inerte, il fallito conserva, in via eccezionale, la legittimazione ad agire per la tutela dei suoi diritti patrimoniali, sempre che l’inerzia del curatore sia stata determinata da un totale disinteresse degli organi fallimentari (Cass., sez. V, sentt. 2 febbraio 2018, n. 2626; 6 luglio 2016, n. 13814).
La giurisprudenza tributaria e da ultime le Sezioni Unite, negli anni, hanno conferito particolare rilevanza alla inerzia o al disinteresse degli organi fallimentari in ordine a questi rapporti: ai fini del riconoscimento di tale legittimazione, avente carattere straordinario o suppletivo, si ritiene che non sia sufficiente che la curatela si sia astenuta da iniziative processuali (ad esempio, la proposizione della domanda o l’impugnazione di sentenze che abbiano determinato la soccombenza del fallito), occorrendo invece che essa si sia totalmente disinteressata della vicenda processuale, rimettendone esplicitamente o implicitamente la gestione al fallito; ne consegue che la legittimazione di quest’ultimo dev’essere esclusa ove l’inerzia degli organi fallimentari costituisca invece il risultato di una valutazione negativa in ordine alla convenienza della controversia (vedi da ultimo Cass., sez. V, ord. 26 novembre 2021, n. 36894).
Pertanto, laddove non vi sia stata una semplice inerzia della curatela fallimentare, quanto piuttosto vi è stata un’esplicita presa di posizione negativa circa l’utilità di promuovere l’impugnazione, il ricorso del fallito deve dichiararsi inammissibile per difetto di legittimazione ad agire in giudizio (Cass., sez. V, ord. 16 novembre 2021, n. 34529).
Resta impregiudicato che, una volta che il fallito ha impugnato l’atto nell’inerzia del curatore, l’unico che possa eccepire in giudizio il difetto di legitimatio ad processum del fallito è sempre e solo il curatore, ciò in quanto la perdita, per effetto della dichiarazione di fallimento, della capacità processuale dell’imprenditore, relativamente ai rapporti di pertinenza fallimentare, non ha carattere assoluto ma relativo e, pertanto, non può essere eccepita dall’amministrazione finanziaria nel corso del giudizio (Cass., sez. V, sent. 9 marzo 2011, n. 5571, CGT I grado di Taranto, sez. III, sent. 12 ottobre 2022, n. 1177); infatti, la perdita di capacità processuale del fallito è posta nell’interesse della massa dei creditori, per cui, quando l’azione esperita non rechi pregiudizio alle ragioni dei creditori e la curatela non manifesti interesse per il rapporto oggetto di controversia, il fallito è abilitato a provvedere alla tutela giurisdizionale dei diritti contestati (Cass., sez. trib., sent. 13 gennaio 2003 n. 277, in GT – Riv. giur. trib., 2003, 6, 550, con commento di Montanari F., Solo il curatore può eccepire la perdita della capacità [processuale] del fallito).
4. Con la dichiarazione di fallimento il curatore subentra nella disponibilità dei beni del fallito e dovrà agire in modo tale da tutelare il suo patrimonio.
Con riguardo agli atti tributari notificati dopo la dichiarazione di fallimento, questa non pregiudica il diritto di difesa del contribuente dichiarato fallito, laddove, se il curatore non si attiva per la difesa in giudizio, il fallito potrà impugnare gli atti autonomamente, in virtù del fatto che egli non perde la sua qualifica di soggetto passivo d’imposta.
E’ evidente che il contribuente ha tutto l’interesse a non far diventare definitivi gli atti tributari, in quanto, una volta chiuso il fallimento e rientrato egli nella disponibilità dei propri beni, dovrà rispondere personalmente, con il proprio patrimonio, degli eventuali atti divenuti definitivi.
Ne consegue che anche i creditori potrebbero avere interesse a che il fallito impugni gli atti e non li faccia diventare definitivi.
Quanto ai giudizi già in corso, la conseguenza in capo al fallito della dichiarazione di fallimento può essere solo la nomina di un difensore nuovo e diverso rispetto a quello di sua fiducia, ma l’importante è la riassunzione del giudizio interrotto a seguito della dichiarazione di fallimento.
Questo non si verifica nel giudizio di Cassazione, considerato che, il venir meno della capacità di stare in giudizio della parte, non pregiudica il suo diritto di difesa che si è già concretizzato con la presentazione dell’atto.
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
Andreani G. – Tubelli A., Verso una disciplina più coerente e omogenea per il regime tributario della crisi d’impresa, in il fisco, 2023, 15, 1431 ss.
Conigliaro M., Giudizio tributario: un raggio di sole tra le nubi della legittimazione processuale del debitore insolvente, in il fisco, 2023, 30, 2895 ss.
Conigliaro M., Difesa del debitore insolvente dinanzi al fisco: chiaro interesse ad agire ma opaca legittimazione processuale, in il fisco, 2022, 47/48, 4553
Mauro M., La legittimazione attiva a stare in giudizio nelle liti di rimborso Iva in pendenza della liquidazione giudiziale (già fallimento), in Riv. tel. dir. trib., 2020, 1, VII, 227 ss.
Montanari F., Solo il curatore può eccepire la perdita della capacità (processuale) del fallito, in GT – Riv. giur. trib., 2003, 6, 550 ss.
Rugolo G., “Inerzia consapevole” e “inerzia dimenticanza”: la legittimazione del fallito ad impugnare gli atti impositivi al vaglio (forse) delle Sezioni Unite, in Riv. tel. dir. trib., 2023, 1, V, 253 ss.
Schiavo G., Il fallito conserva la soggettività passiva tributaria, in Corr. trib., 2003, 5, 380 ss.
Tesauro F., Appunti sugli adempimenti del curatore fallimentare, in Rass. trib., 1990, 247 ss.
Zenati S., Sulla capacità del curatore fallimentare di assumere la veste di difensore davanti al giudice tributario, in GT – Riv. giur. trib., 2001, 12, 1434 ss.
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Diritti degli interessati
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1. L’interessato ha diritto di ottenere la conferma dell’esistenza o meno di dati personali che lo riguardano, anche se non ancora registrati, e la loro comunicazione in forma intelligibile.
2. L’interessato ha diritto di ottenere informazioni:
a) sull’origine dei dati personali;
b) sulle finalità e modalità del trattamento;
c) sulla logica applicata in caso di trattamento effettuato con l’ausilio di strumenti elettronici;
d) sugli estremi identificativi del titolare, dei responsabili e del rappresentante designato ai sensi dell’articolo 5, comma 2;
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3. L’interessato ha diritto di ottenere:
a) l’aggiornamento, la rettificazione ovvero, quando vi ha interesse, l’integrazione dei dati;
b) la cancellazione, la trasformazione in forma anonima o il blocco dei dati trattati in violazione di legge, compresi quelli di cui non è necessaria la conservazione in relazione agli scopi per i quali i dati sono stati raccolti o successivamente trattati;
c) l’attestazione che le operazioni di cui alle lettere a) e b) sono state portate a conoscenza, anche per quanto riguarda il loro contenuto, di coloro ai quali i dati sono stati comunicati o diffusi, eccettuato il caso in cui tale adempimento si rivela impossibile o comporta un impiego di mezzi manifestamente sproporzionato rispetto al diritto tutelato.
4. L’interessato ha diritto di opporsi, in tutto o in parte:
a) per motivi legittimi al trattamento dei dati personali che lo riguardano, ancorché pertinenti allo scopo della raccolta;
b) al trattamento di dati personali che lo riguardano a fini di invio di materiale pubblicitario o di vendita diretta o per il compimento di ricerche di mercato o di comunicazione commerciale.
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