Nella definizione dei contenuti della norma fiscale si assiste da sempre a una tensione tra le istanze di matrice parlamentare e le esigenze di declinazione tecnica e specialistica degli istituti tributari. È in questo quadro che si innesta oggi una crescente preminenza del profilo tecnocratico rispetto a quello di partecipazione democratica, soprattutto nella formulazione della regolazione fiscale transnazionale. Lo scritto intende interrogarsi, ancorché per linee generali, circa la reale sussistenza di un antagonismo tra le due anime della norma finanziaria, laddove invece potrebbe rinvenirsi tra di esse un rapporto di funzionale complementarità, contemplata financo dal principio costituzionale di riserva (relativa) di legge. Rilevandosi, inoltre, la ricorrenza di forme ricorrenti di trasparenza e consultazione anche nel procedimento di elaborazione tecnica delle regole fiscali, con un effetto in qualche modo, suppletivo rispetto al principio di partecipazione democratica.
Democracy and technocracy in tax law: conflict or dynamic agreement? – Tax law has always been at the centre of the intertwining of democratic demands and technical contents. Nowadays such interactions appear accentuated in the legislation relating to international tax issues. This contribution intends to question, albeit in general terms, the real existence of an antagonism between these two aspects of tax law, where this relationship can instead be seen in terms of functional complementarity, also contemplated by the Italian constitutional discipline on tax matters. In this context, some recurring forms of transparency and consultation can also be noted in the legislative process of the technical tax institutes, thus guaranteeing a connection with the principle of democratic participation.
Sommario:1. Premessa. – 2. Legittimazione tecnica e norma tributaria. – 3. Tecnica e democrazia tra conflitto e coordinamento. – 4. Il ruolo della tecnica nell’imposizione a “scarso gradiente democratico”. Un caso esemplare: il progetto BEPS. – 5. Alcune conclusioni.
1. Le presenti riflessioni riguardano un tema che un semplice intervento è ben lungi dall’esplorare appieno. Si tratta piuttosto di flash intesi a gettare qualche luce sul rapporto tra tecnocrazia e democrazia nella formulazione della norma tributaria. In particolare, si proverà a rispondere al quesito se esista (e di che tipo sia) realmente un conflitto tra livello tecnico e principio democratico nell’implementazione delle nuove forme di legislazione fiscale.
Il tema, per vero, è risalente come la norma tributaria stessa, ma vale egualmente la pena di rievocarlo alla luce del ruolo assunto oggi dalla normativa di derivazione extrastatale dove il tecnicismo risulta ancor più prevalente rispetto all’ordinamento interno.
Circa le ragioni di questo fenomeno, che tende ad emarginare le rappresentanze politiche nazionali, basti ricordare che i fenomeni fiscali globali sono diventati estremamente complessi: il Parlamento non può elaborare autonomamente la regola tecnica più adeguata ad affrontarli, dovendosi tenere conto di situazioni di fatto e di realtà tecniche regolabili con qualche probabilità di efficacia solo attraverso accordi di carattere internazionale.
Sotto questo profilo, tuttavia, non può non rilevarsi per incidens come al noto deficit democratico che assilla l’attività prescrittiva di matrice internazionale (non sufficientemente ripianato dalla rappresentatività dei soli esecutivi degli Stati membri nelle organizzazioni specializzate), si aggiunge un tipo di produzione normativa che sembra trovare solo nella tecnica le ragioni del suo dover essere.
2. Ancora in punto di premesse, non sembra inutile rievocare la classica connessione tra diritto tributario e principio rappresentativo e come uno dei principi fondativi del parlamentarismo sia espresso nel brocardo “no taxation without representation”; laddove, invece, il rapporto tra diritto e dimensione tecnocratica fa appello ad un principio di razionalità sostenuto da argomentazioni specialistiche. Heidegger ragionava al proposito di una metafisica della tecnica, per cui tutto ciò che è argomentabile in senso tecnico disegna il nostro orizzonte conoscitivo (Lichtung) e ci appare quindi come legittimo, giusto, imprescindibile (col rischio, tuttavia, che alla tecnica resti subalterna la legittimazione democratica).
Lasciando, però, da parte la speculazione filosofica, è indubitabile che la vicenda storica dello Stato moderno abbia costruito il rapporto tra piano tributario e principio rappresentativo (poi democratico) sulla base della riserva di legge. Ma, a ben vedere, è proprio il carattere (pacificamente) relativo di questa riserva, che, colorando la materia in senso (non compiutamente rappresentativo ma) funzionale, apre il varco a normazioni tecniche secondo schemi regolamentari di varia natura che abbiano nei principi legislativi un pur vago riferimento.
La stessa Corte costituzionale[1] ha, del resto, osservato che, se la riserva dell’art. 23 Cost. non riguarda la fissazione delle aliquote entro i limiti stabiliti dalla norma primaria, la stessa può ritenersi soddisfatta laddove la definizione quantitativa del tributo sia affidata a organismi di composizione e funzionamento che rispondono a regole tecniche (di competenza materiale). In altri termini, se l’imposizione legittima è senza margini di dubbio quella democratica, è anche vero che la stessa Costituzione non esclude e anzi presuppone implementazioni regolatorie di matrice tecnica.
3. Più che un conflitto, allora, sarebbe possibile configurare una distinzione funzionale tra principio democratico e ispirazione tecnica nella determinazione della norma tributaria?
Tale soluzione sembra del tutto plausibile immaginando la formulazione della norma impositiva come risposta complessa a due ordini di interrogativi:
a) se e cosa tassare;
b) come tassare.
Ora, se il primo quesito richiede l’intervento di una decisione politica, il secondo interrogativo (come tassare) sconta senz’altro un’articolazione del tributo in chiave tecnica. Quindi, la tecnica è parte del tributo e completa il principio democratico che ne sta alla base.
Questa complementarità precettiva sembra confermata in più direzioni, come si trae dalle seguenti considerazioni:
i) l’espressione di leggi delega in campo fiscale consente, almeno in teoria, di contemperare esercizio democratico e conoscenze specialistiche. La delegazione legislativa è, tra l’altro, giustificata dalla normale mancanza di attrezzatura tecnica da parte del Parlamento.
ii) In tal senso, si può osservare anche l’oggettiva disfunzionalità del decreto-legge rispetto alle garanzie sottese al principio di riserva di legge, che è alla base della prescrizione contenuta nell’art. 4 dello Statuto dei diritti del contribuente, a mente del quale «non si può disporre con decreto-legge l’istituzione di nuovi tributi né prevedere l’applicazione di tributi esistenti ad altre categorie di soggetti». In tal modo, la l. 212/2000 (che aspira a una funzione superprimaria, assumendo quindi un ruolo orientativo generale nel diritto tributario interno) delinea, in qualche modo, una salvaguardia del principio di genesi parlamentare della norma fiscale.
iii) Su questa linea, anche l’art. 75, comma 2, Cost. preclude il referendum abrogativo sulla normativa tributaria perché è normativa tecnica, riservando in tal modo alla rappresentanza assembleare le decisioni in materia. In altri termini, è la stessa Costituzione che sottrae la materia tributaria all’istanza democratica del referendum, e non tanto perché, come banalmente si dice, sarebbero diffusamente abrogati i carichi fiscali, ma proprio per la sua intrinseca tecnicità (non a caso la Corte costituzionale vi ha assimilato la legge di bilancio).
iv) Anche la distinzione dogmatica tra diritto tributario (e in questo tra i principi e la disciplina dei singoli tributi) e scienza delle finanze, e la ricomprensione di entrambe le materie nell’ambito del diritto finanziario, stanno a testimoniare come tecnica e politica siano connaturate e distinte nella formulazione di norme tributarie.
Senza trascurare che la natura tecnica delle normative tributarie rende, a ben vedere, maggiormente trasparenti le decisioni in merito alla loro adozione, perché la tecnica è dimostrabile e argomentabile; dando luogo, in qualche modo, a una sorta di motivazione implicita delle formule impositive che vengono adottate.
Finalmente, i tributi più tecnicamente connotati sono anche i più settoriali e pertanto risultano soggetti a stringenti valutazioni da parte dei rispettivi destinatari, attraverso osservazioni, interventi professionali, o financo attività di lobbying, che, sebbene non abbiano vocazione a garantire l’interesse collettivo, consentono la partecipazione alla loro formulazione da parte dei contribuenti direttamente incisi.
4. Come si accennava, però, la presenza di istanze sovranazionali e/o globali ha finito col dislocare anche la decisione circa l’opportunità di introdurre nuove norme impositive in capo ai Governi nelle sedi internazionali, in cui la legittimazione democratica, quando c’è, è meno diretta. Per altro verso, è notorio che i consessi internazionali non hanno lo stesso livello di accountability dei Parlamenti.
Del resto, fenomeni economici e finanziari globali rendono oggi recessiva la forza regolatrice degli Stati, uti singuli, producendo una “entropizzazione” delle fonti, dal punto di vista sia formale (non ultimo, attraverso il maggior rilievo assunto dalla soft law), sia sostanziale (con il ricorso a norme tecniche e puntuali per regolare fenomeni complessi).
Al proposito, qualche specifica riflessione è suggerita dalle vicende che hanno riguardato il progetto Base Erosion and Profit Shifting (BEPS), particolarmente con riferimento all’elaborazione della Action 1[2]. Si tratta, come noto, di un ambito di policy fiscale articolato in due pilastri (i Pillars 1 e 2), concernenti rispettivamente la tassazione dell’economia digitale (inizialmente, tramite l’adozione delle web tax o digital tax) e l’adozione di una imposta minima globale sui grandi gruppi multinazionali (Global Minimum Tax – GMT).
L’OCSE ha provveduto in più occasioni ad accompagnare il percorso di elaborazione delle proposte di riforma fiscale da consultazioni pubbliche e report periodici. Una prima consultazione è così intervenuta nei mesi di febbraio e marzo 2019[3], portando a una definizione di maggiore dettaglio dei due Pillars nel Programme of Work del maggio 2019.
Nell’ottobre 2020, è seguita la pubblicazione dei Blueprint sui progetti di riforma fiscale, anch’essi sottoposti a consultazione pubblica fino al 14 dicembre 2020[4], mentre il 14 e 15 gennaio 2021 si è tenuto il Public consultation meeting on the Pillar One and Pillar Two Blueprints[5]. A queste si sono aggiunte in seguito altre tappe di consultazione o di rendicontazione dell’evoluzione delle proposte normative dell’OCSE attraverso la pubblicazione di appositi report[6].
Il G20 dell’ottobre 2021 ha, infine, deliberato una rimodulazione del Pillar 1 e una sollecita implementazione del Pillar 2[7], in ragione della maggiore appetibilità politica di una imposta minima uniforme rispetto alle digital tax nel frattempo adottate in alcuni Stati.
In sede europea la Global Minimum Tax è stata oggetto di una proposta, ai sensi dell’art. 115 TFUE, condizionata al voto unanime degli Stati Ue in seno al Consiglio, la cui approvazione ha subito alcuni ritardi dovuti, principalmente, al dissenso dell’Ungheria, ma che ha infine trovato attuazione con la Direttiva 2022/2523/UE del 14 dicembre 2022, con termine per il recepimento da parte degli Stati membri al 31 dicembre 2023. In Italia, lo schema del decreto legislativo di attuazione della GMT è poi stato in consultazione pubblica sul sito del MEF dall’11 settembre fino al 2 ottobre 2023[8].
In definitiva, nel caso dell’Action 1 del BEPS la legittimazione democratica si è manifestata solo indirettamente (tramite l’azione dei Governi) e in via differita (l’approvazione della Direttiva e il recepimento da parte degli Stati membri è intervenuta ex post rispetto all’elaborazione della normativa, la cui approvazione ha seguito una direzionalità top-down). Soprattutto, merita di rilevare come l’intero percorso di definizione dei Pilastri della riforma della tassazione dell’economia digitale sia stato accompagnato da fasi di consultazione pubblica e di discussione a livello tecnico-scientifico.
5. In conclusione, se il tradizionale affievolimento del principio di rappresentanza nell’elaborazione della legislazione tributaria è forse per ragioni intrinseche del tutto apparente, la novità è costituita dai livelli regolativi inediti che i fenomeni fiscali transnazionali richiedono e che risultano difficilmente afferrabili secondo canoni tradizionali.
In altri termini, in questi scenari la matrice tecnica della norma tributaria sembrerebbe fagocitare quasi del tutto il principio di rappresentanza democratica, se non vi facesse da contrappeso ancora una volta la polifunzionalità della tecnica che assume, per così dire, il ruolo di fattore legittimante della legislazione fiscale in sede internazionale, quantomeno grazie alla trasparenza e alla comprensibilità delle decisioni assunte, attraverso il ricorso a forme di consultazione pubblica e alla possibilità di sottoporre osservazioni alle bozze dei documenti normativi.
Più che rappresentanza, dunque, trasparenza, comprensibilità, responsabilità sembrano essere le clausole del moderno concordato tra democrazia e tecnocrazia in ambito tributario.
(*) Testo rivisto e corredato di note dell’intervento tenuto in occasione della IV Conferenza dell’International Society of Public Law (ICON-S) il 14 ottobre 2023 presso l’Università Commerciale Luigi Bocconi (nell’ambito del panel “Le tensioni dell’ordinamento tributario fra conservazione delle radici e pulsioni avveniristiche”).
[1] Cfr., ex multis, Corte cost., 16 maggio 1994, a mente della quale «l’art. 23 della Costituzione, secondo il quale nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge, afferma il principio che la legge non può lasciare all’arbitrio dell’ente impositore la determinazione della prestazione, ma deve indicare i criteri idonei a delimitare la discrezionalità dell’ente, nell’esercizio del potere attribuitogli (sent. n. 27 del 1979, n. 2 del 1962). La Corte ha peraltro affermato che lo stesso principio è rispettato anche in assenza di una espressa indicazione legislativa dei criteri, limiti e controlli sufficienti a delimitare l’ambito di discrezionalità dell’amministrazione, purché gli stessi siano desumibili dalla destinazione della prestazione ovvero dalla composizione e dal funzionamento degli organi competenti a determinarne la misura (sentt. nn. 90 del 1994, 507 del 1988, 67 del 1973, 21 del 1969, 55 del 1963, 51 del 1960 e 4 del 1957), o quando esista, per l’emanazione dei provvedimenti amministrativi concernenti le prestazioni, un modulo procedimentale a mezzo del quale si realizzi la collaborazione di più organi, al fine di evitare eventuali arbitri dell’amministrazione (sent. n. 34 del 1986)».
[2] Come noto, il progetto BEPS vede la luce nell’anno 2013, in sede di G20, insieme a un piano di 15 Azioni per contrastare la pianificazione fiscale aggressiva. L’Azione n. 1 è stata poi declinata nel report finale del 2015, in cui sono state evidenziate le fattispecie salienti del progetto di riforma fiscale globale per adeguare i sistemi tributari nazionali alla pervasiva digitalizzazione dell’economia.
[3] Cfr. la Public consultation on the tax challenges of digitalisation, disponibile all’indirizzo: web-archive.oecd.org/2019-06-06/506501-public-consultation-tax-challenges-of-digitalisation-13-14-march-2019.htm
[4] Si v. il Public consultation document, Reports on the Pillar One and Pillar Two Blueprints, disponibile all’indirizzo: web-archive.oecd.org/2020-11-24/566339-public-consultation-document-reports-on-pillar-one-and-pillar-two-blueprints-october-2020.pdf
[5] Cfr. il Public consultation meeting on the Pillar One and Pillar Two Blueprints, all’indirizzo: web-archive.oecd.org/2021-02-05/570915-public-consultation-meeting-reports-on-the-pillar-one-and-pillar-two-blueprints.htm
[6] Su cui, si v. quanto riportato all’indirizzo: www.oecd.org/tax/beps/beps-actions/action1/
[7] In particolare, il Pillar 1 è stato rimodulato, formulandosi le linee essenziali di un istituto (alternativo alle prefigurate digital tax) di riallocazione di parte dei profitti derivanti, in misura rilevante, da attività digitali negli Stati di consumo dei servizi e dei beni compravenduti, calcolata sulla base di una soglia di fatturato e di un margine di redditività specifici; proprio l’introduzione di un siffatto meccanismo, per il tramite di una convenzione multilaterale (MLT), dovrebbe coincidere con l’abbandono delle web tax nazionali.
[8] Il Consiglio dei Ministri del 16 ottobre 2023 ha, da ultimo, approvato in via preliminare il decreto legislativo di recepimento della Direttiva UE, emanato sulla base della delega presente nella Legge di riforma fiscale 9 agosto 2023, n. 111, all’art. 3, comma 1, lett. e).
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