Le ragioni dell’abrogazione della mediazione tributaria e le problematiche di diritto intertemporale

Di Giuseppe Ingrao -

Abstract

Il contributo illustra le ragioni dell’abrogazione dell’istituto del reclamo/mediazione, evidenziando poi le problematiche di diritto intertemporale che si pongono in relazione alle controversie connesse ad atti impositivi notificati prima del 4 gennaio 2024 e alla sorte delle procedure già avviate alla predetta data; profili sui cui l’art. 4 del Decreto legislativo n. 220/2023, in tema di entrata in vigore e decorrenza degli effetti, non detta alcun regime giuridico.

The reasons for the repeal of tax mediation and the issues of transitional law. – The contribution illustrates the reasons for the repeal of the institution of mediation, then highlighting the intertemporal law problems that arise in relation to disputes connected to tax deeds notified before 4 January 2024 and the fate of procedures already initiated on the aforementioned date; profiles on which the art. 4 of Legislative Decree no. 220/2023, regarding entry into force and effective date of effects, does not dictate any legal regime.

 

 

Sommario: 1. Premessa. – 2. La criticità di fondo del reclamo/mediazione come configurato nel 2011. – 3. Le ragioni dell’abrogazione con la riforma fiscale 2023. – 4. La decorrenza degli effetti dell’abrogazione. – 5. La praticabilità del reclamo/mediazione in relazione alle controversie connesse ad atti impositivi notificati prima del 4 gennaio 2024 e alle procedure già avviate alla data del 4 gennaio 2024. – 6. Conclusioni.

1. La legge delega n. 111/2023, di riforma del sistema fiscale, non poteva trascurare il tema del processo tributario, nonostante nel corso del 2022 sia stata apportata un’importante riforma che – come è noto – ha toccato prevalentemente gli aspetti ordinamentali nella prospettiva di qualificare l’organo giudicante. Se da un lato, quindi, si è istituita la magistratura tributaria togata, che nell’arco di un decennio dovrebbe essere pienamente operativa grazie alla progressiva fuoriuscita degli attuali componenti delle Corti di giustizia tributaria e all’immissione in ruolo dei nuovi giudici reclutati mediante concorso, dall’altro occorreva intervenire con modifiche sul rito, tali da rendere la giustizia tributaria più rapida ed efficace.

I criteri direttivi, contenuti nella citata delega, in merito alla “revisione del contenzioso” sono numerosi e investono vari aspetti del rito. Tra questi ci limitiamo a segnalare quelli ispirati all’esigenza di ridurre sensibilmente i tempi necessari per la conclusione della controversia e, cioè, il potenziamento dell’informatizzazione del giudizio, il rafforzamento del divieto di produzione di documenti nel secondo grado, l’obbligo di comunicare alle parti il dispositivo del provvedimento adottato entro sette giorni dalla deliberazione di merito e, da ultimo, non per minore importanza, il coordinamento degli istituti a finalità deflativa operanti nella fase antecedente la costituzione in giudizio con la nuova disciplina dell’autotutela.

 

2. Tralasciando di descrivere le modalità con cui sono stati attuati nel complesso i predetti criteri direttivi, occupiamoci specificamente di quello da ultimo citato. Al riguardo, rammentiamo che il procedimento di reclamo/mediazione è stato introdotto nel 2011, con il precipuo scopo di limitare l’accesso alla fase giurisdizionale per quelle pretese fiscali di importo contenuto che finiscono per “intasare” le Corti di giustizia tributaria. La normativa in questione ha superato il vaglio di legittimità costituzionale, in quanto, l’introduzione di una fase preprocessuale era frutto di un corretto esercizio della discrezionalità legislativa non censurabile, né sul piano del diritto alla tutela giurisdizionale, né su quello del rispetto del principio di uguaglianza e ragionevolezza (Corte cost. sent. n. 98/2014 e n. 38/2017). I giudici delle leggi hanno, peraltro, sottolineato che la fase del reclamo/mediazione si giustifica, in particolare, sia per esigenze di ordine generale, quali quelle di un meno dispendioso soddisfacimento delle situazioni sostanziali oggetto di dette controversie, sia per il perseguimento di finalità superiori di giustizia, quali la riduzione del numero dei processi attivabili dinanzi le Corti di giustizia tributaria.

Nonostante l’avallo della Corte costituzionale, la dottrina ha, in più occasioni, segnalato le criticità della configurazione del reclamo/mediazione senza la presenza di un mediatore terzo. Il riesame è, infatti, gestito da una struttura dell’Amministrazione finanziaria, diversa da quella che ha emesso l’atto, la quale – al di là della differente ampiezza dei presupposti previsti dalla legge per giungere alla chiusura della controversia (incertezza delle questioni controverse, grado di sostenibilità della pretesa e principio di economicità dell’azione amministrativa, valutabili solo in sede di mediazione) – nonostante la sua autonomia non è stata in grado di differenziare l’atteggiamento tenuto dai funzionari rispetto a quello emerso in occasione degli istituti deflattivi che operano nel procedimento.

Anche per questa ragione, i risultati concreti dell’istituto sono stati poco soddisfacenti (nel 2021 solo il 6,7% di istanze si è chiuso con un accordo), come peraltro testimonia l’esigenza sistematica di introduzione di provvedimenti di definizione delle liti fiscali pendenti (da ultimo contenuti nella legge di riforma del processo tributario n. 120/2022 e nella legge di bilancio per il 2023).

 

3. Il decreto legislativo del 30 dicembre 2003, n. 220, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 3 gennaio 2024, confermando le soluzioni già prospettate in sede di predisposizione della bozza di provvedimento, ha sancito l’abolizione dell’istituto del reclamo e della mediazione tributaria di cui all’art. 17-bis del Decreto legislativo n. 546/1992.

Tale approdo – che era già prefigurabile nonostante la legge delega utilizzasse il termine “coordinamento” – deve essere analizzato nel contesto dell’insieme delle modifiche apportate al sistema di attuazione dei tributi; modifiche che impattano sulla fase processuale, riducendone le occasioni del suo avvio.

Considerata in modo isolato, infatti, la decisione di “far saltare” la fase del reclamo e della mediazione potrebbe apparire poco ragionevole, in quanto limitativa di una possibilità difensiva del contribuente anticipata rispetto alla discussione in giudizio, e in controtendenza rispetto all’intervento del 2018 che ha ampliato il campo di applicazione dell’art. 17 bis alle liti di valore sino a 50.000 euro (rispetto ai 20.000 euro originari).

Ed allora, per comprendere le ragioni della scelta di abrogare la mediazione, occorre considerare che, oltre al rafforzamento dell’istituto dell’autotutela – contenuto nel decreto legislativo 30 dicembre 2023, n. 219 recante modifiche allo Statuto dei diritti del contribuente – l’attuazione della riforma fiscale interverrà, con un chiaro intento di stimolarne l’applicazione, anche sull’istituto dell’accertamento con adesione, il quale ha la medesima finalità di contenere l’intervento del giudice per la risoluzione delle controversie tributarie.

Con riferimento all’autotutela, il citato decreto attuativo ha ridimensionato nettamente la sua natura discrezionale (l’Ufficio può procedere …) a favore della natura vincolata e obbligatoria (l’Ufficio procede …), sia pur con riferimento a ipotesi riconducibili a vizi manifesti degli atti impositivi e dell’imposizione. Quanto all’accertamento con adesione, manca ancora un provvedimento ufficiale, ma lo schema di decreto esitato dal Governo dispone che al contribuente si inoltri non un “mero invito”, ma uno “schema di provvedimento” (una sorta di bozza di accertamento), contenente l’invito alla definizione del procedimento. La nuova veste formale dell’atto dovrebbe avere l’effetto di rendere maggiormente edotto il contribuente della tipologia di contestazione fiscale mossa nei suoi confronti, cioè del suo puntuale inquadramento giuridico nell’ambito di un accertamento analitico, sintetico, etc., ed in conseguenza vi dovrebbe essere un maggiore stimolo alla definizione in sede procedimentale della contestazione.

Ed allora, se l’obiettivo di “processare meno per processare meglio” risulta efficacemente perseguito dall’accertamento con adesione e dall’autotutela nella loro rinnovata veste, non ha più senso dilatare i tempi di ottenimento di una sentenza per l’espletamento di una mediazione obbligatoria, quando, peraltro, tale fase non viene gestita da un organo terzo e imparziale, ma dalla stessa Amministrazione finanziaria (forse per contenerne i costi).

Ma vi è di più. Occorre, altresì, tenere in considerazione che il contraddittorio procedimentale, nonché l’accertamento con adesione e l’autotutela eviteranno il ricorso sistematico al giudice non solo per il “rafforzamento normativo”, ma anche perché, grazie all’imminente introduzione del concordato preventivo biennale e al già sancito potenziamento dell’adempimento collaborativo (D. Lgs. 30 dicembre 2023, n. 221), il numero degli avvisi di accertamento notificati dovrebbe subire una netta riduzione. Se l’attività di riesame degli Uffici andrà ad innestarsi su un numero sempre più ridotto di contestazioni fiscali, i funzionari potranno operare una più approfondita valutazione delle eccezioni sollevate dal contribuente durante la fase procedimentale.

In questa cornice, abrogare la fase “ibrida” del reclamo e della mediazione, che continuerebbe a dare scarsi risultati concreti in termini di accoglimento delle doglianze del contribuente e, allo stesso tempo, un sicuro ritardo dell’intervento del giudice, appare una decisione pienamente condivisibile. D’altra parte, il senso complessivo della riforma è quello di riportare nella sede propriamente amministrativa la gestione di quelle contestazioni tributarie che possono essere risolte più efficacemente senza l’intervento del giudice, come molto spesso accade per le liti di modesto valore che rientravano nel campo di applicazione del reclamo/mediazione.

 

4. Ciò posto, dobbiamo evidenziare che tutte le modifiche legislative pongono problematiche di diritto intertemporale, le quali generalmente vengono risolte dal legislatore con precise disposizioni, che si aggiungono alla generale decorrenza degli effetti delle nuove norme tenendo conto della regola della vacatio legis sancita nell’art. 10 delle preleggi al codice civile. Qualora, tuttavia, manchi o sia incompleta la statuizione sul coordinamento tra vecchie e nuove regole in merito alla sorte delle vicende che si formano “a cavallo” del periodo di vigenza delle due discipline (ossia alcuni profili si verificano dopo l’entrata in vigore della nuova norma, ma altri profili hanno origine in un periodo precedente), occorre individuare il regime giuridico da applicare grazie ad una puntuale attività ermeneutica.

L’interpretazione tesa a ricostruire il regime transitorio deve compendiare e bilanciare in modo adeguato i principi e i valori di matrice costituzionale – o anche contenuti nelle norme che recano i principi fondamentali della materia – che impattano la questione di dubbia risoluzione.  Al proposito, peraltro, non è sufficiente ed esaustivo richiamare la regola del factum praeteritum o quella del tempus regit actum.

Orbene, con specifico riguardo D. Lgs. 30 dicembre 2023, n. 220, l’art. 4, primo comma, dispone che il decreto entra in vigore dal giorno successivo alla pubblicazione del decreto nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana e quindi dal 4 gennaio 2024.  Il legislatore detta, poi, nel secondo comma del medesimo articolo ulteriori prescrizioni sulla decorrenza degli effetti delle nuove norme: innanzitutto si precisa che le modifiche di cui all’art. 1 si applicano ai giudizi instaurati, in primo e in secondo grado, con ricorso notificato successivamente al 1° settembre 2024; si aggiunge, poi, che alcune modifiche (sempre contenute nell’art. 1 del decreto) si applichino ai giudizi instaurati, in primo e in secondo grado, nonché in Cassazione, a decorrere dal giorno successivo all’entrata in vigore del decreto, e quindi ai ricorsi introdotti a far data dal 5 gennaio 2024. È, quindi, chiaro ed inequivocabile che il momento di notifica del ricorso determina il regime processuale a cui sarà sottoposta la controversia.

Le previsioni in punto di decorrenza degli effetti della nuova normativa non sono però riferibili alla disposizione in merito all’abrogazione del reclamo/mediazione di cui all’art. 2 del decreto. Dovrebbe, quindi, valere la previsione del primo comma dell’art. 4, secondo la quale il decreto entra in vigore dal 4 gennaio 2024.

Tale conclusione, invero, pone alcuni dubbi: innanzitutto per il regime giuridico delle controversie connesse ad atti impositivi notificati prima del 4 gennaio 2024; secondariamente per la sorte delle procedure di reclamo/mediazione già avviate alla data del 4 gennaio 2024.

5. Con riguardo agli atti impositivi notificati dal Fisco negli ultimi mesi del 2023, e in particolare a ridosso del 31 dicembre (arco temporale nel quale, come è noto, si registra un’intensa attività di notifica di avvisi di accertamento riferiti ai periodi di imposta per cui spirano i termini di decadenza dell’attività di controllo) per i quali alla predetta data ancora pendono i termini per proporre ricorso (non essendo decorsi sessanta giorni dalla notifica o i più ampi tempi che tengano conto di eventuale istanza di accertamento con adesione), occorre verificare se il contribuente dovrà, comunque, rispettare la normativa sul reclamo/mediazione (atteso che l’atto è stato formato e notificato cioè nel periodo di vigenza dell’art. 17 bis), ovvero dovrà proporre direttamente ricorso e costituirsi in giudizio entro trenta giorni a pena di inammissibilità.

Tale questione va risolta tenendo conto che il regime giuridico applicabile alla controversia può individuarsi valorizzando due profili: la data di presentazione del ricorso, ovvero la data di notifica dell’atto impositivo.

La prima soluzione, riferendo l’efficacia della riforma alla data in cui il contribuente propone il ricorso, sembra di primo acchito quella più corretta, posto che – di norma – le modifiche alla disciplina processuale prestano efficacia con riguardo ai ricorsi proposti dopo l’entrata in vigore della nuova disciplina. Bisogna, però, considerare che, nelle controversie instaurate mediante opposizione a provvedimenti impositivi, tale conclusione finisce per “spiazzare” potenzialmente tutti quei contribuenti che – avendo ricevuto l’atto impositivo nel mese di dicembre – non si erano immediatamente attivati con la presentazione dell’istanza di reclamo/mediazione (essendovi ancora un ampio lasso temporale a disposizione). In tal caso, è ipotizzabile ravvisare l’emersione di un legittimo affidamento sulla possibilità di addivenire ad una ben più rapida chiusura della controversia tributaria grazie alle previsioni dell’art. 17 bis, D. Lgs. n. 546/1992, col beneficio peraltro della riduzione delle sanzioni al 35% del minimo edittale (beneficio comunque maggiore di quello del 40% stabilito per la conciliazione giudiziale che in alternativa sarebbe praticabile).

Ed allora, il cambio di regole in corso d’opera per gli atti notificati a dicembre 2023, pur non creando un nocumento irrimediabile all’esercizio del diritto di difesa, presenta, comunque, conseguenze negative per il contribuente che contrastano con il principio dell’affidamento e della certezza del diritto.

La seconda soluzione, invece, pur agganciando il regime processuale da applicare alla controversia ad un momento esterno al processo, cioè la notifica dell’atto impositivo, evita il manifestarsi degli inconvenienti prima descritti ed è quindi, a mio avviso, oggettivamente quella più equilibrata per risolvere il problema di diritto intertemporale. È sostenibile, pertanto, che tutti gli atti impositivi notificati nel 2023, i cui ricorsi risultano notificati dopo il 4 gennaio 2024, sussistendone i presupposti, dovrebbero essere ancora assoggettati alla procedura di reclamo/mediazione ex art. 17-bis, con conseguente possibilità di costituirsi in giudizio entro trenta giorni dal decorso dei novanta giorni previsti per l’espletamento della procedura di reclamo con esito negativo.

Si segnala, tuttavia, che la tesi secondo cui la procedura di reclamo/mediazione non sia tout court più attivabile per i ricorsi presentati a far data dal 4 gennaio 2024 (relativi evidentemente ad atti impositivi notificati nel 2023) risulterebbe essere stata sostenuta dall’Agenzia delle entrate e dal Dipartimento della Giustizia tributaria del MEF per mezzo di direttive interne emanate nei giorni immediatamente successivi alla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del decreto n. 220/2023, riportate dalla stampa specializzata (con il comunicato stampa del 22/1/2024, il MEF ha comunicato che l’abrogazione dell’istituto opera per i ricorsi notificati a partire dal 4/1/2024). La ragione di tale netta presa di posizione può ricondursi al fatto che l’obiettivo della riforma, su questo specifico punto, è quello di far saltare radicalmente la fase pre-processuale del reclamo/mediazione, fase che altrimenti andrebbe ad impattare sull’enorme numero di avvisi di accertamento di valore inferiore a 50.000 euro notificati a dicembre 2023, evitando così un aggravio di lavoro per gli Uffici periferici che produrrebbe, comunque, scarsi risultati concreti. La rigida soluzione interpretativa del Fisco – che nonostante le criticità qui segnalate non può ritenersi del tutto arbitraria e priva di fondamento giuridico – finirà per essere prudenzialmente (e supinamente) accettata dai contribuenti per evitare rischi di inammissibilità del ricorso.

Quanto al secondo aspetto critico, e cioè alla sorte delle procedure di reclamo/mediazione già avviate alla data del 4 gennaio 2024, per le quali ancora non è decorso il termine di novanta giorni per la loro conclusione, emerge un duplice ordine di criticità: in primo luogo se può, comunque, concludersi la controversia in applicazione dell’art. 17 bis; in secondo luogo, quale sia il termine entro il quale il contribuente debba costituirsi in giudizio senza rischiare di incappare in una declaratoria di inammissibilità del ricorso per mancato rispetto del termine di trenta giorni.

Al proposito, muovendo dai principi della tutela dell’affidamento del contribuente nel corpo normativo, della tutela del diritto di difesa, nonché del principio di economia processuale, è del tutto intuitivo ed evidente che il regime giuridico da applicare alla controversia “in itinere” sia riconducibile a quello in vigore al momento della notifica sia dell’atto impositivo, sia della presentazione del ricorso/reclamo.

Nonostante l’abrogazione dell’art. 17 bis, pertanto, per tali controversie, l’Ufficio impositore può accogliere il reclamo o la proposta di mediazione del contribuente, ovvero formulare un’apposita proposta, al fine di addivenire alla definizione delle liti.

Va da sé, in conseguenza, che il termine di costituzione in giudizio del contribuente non venga in alcun modo intaccato dall’abrogazione della mediazione con effetti dal 4 gennaio 2024; tale adempimento è da ritenersi tempestivo se avviene entro i trenta giorni successivi al decorso del novantesimo giorno dalla presentazione dell’istanza di reclamo. Un’eventuale pronuncia giurisdizionale di inammissibilità del ricorso per tardività della costituzione in giudizio sarebbe frutto di un’interpretazione della normativa (sulla decorrenza degli effetti della abrogazione della mediazione e sulla costituzione in giudizio) contraria ai principi costituzionali del legittimo affidamento del cittadino sul corpus normativo e del diritto di difesa.

Da ultimo, si accenna per completezza ad un’ultima questione, certamente più teorica che concreta, riguardante le procedure di reclamo/mediazione già avviate alla data del 4 gennaio 2024. Resta, cioè, da verificare cosa accade se il ricorrente, presupponendo l’abrogazione dell’art. 17 bis, decida di costituirsi immediatamente in giudizio, senza attendere il decorso del termine di novanta giorni dalla proposizione dell’istanza di reclamo/mediazione. Sul punto, è sostenibile che, valorizzando il principio di economia processuale e interpretando le norme in relazione alla loro evoluzione, il giudice possa dare applicazione alle nuove regole e ritenere il ricorso immediatamente procedibile, senza così dover concedere un termine per giungere alla mediazione in ossequio a quanto disposto nell’art. 17 bis.

6. In conclusione, appare una decisione pienamente condivisibile quella di abrogare la fase “ibrida” del reclamo e della mediazione, in quanto essa avrebbe continuato a dare scarsi risultati concreti in termini di accoglimento delle doglianze del contribuente e, allo stesso tempo, un sicuro ritardo dell’intervento del giudice. D’altra parte, deve anche considerarsi che il senso complessivo della riforma è quello di riportare nella sede amministrativa la gestione di quelle contestazioni tributarie che possono essere risolte più efficacemente senza l’intervento del giudice, come molto spesso accade per le pretese di modesto valore che rientravano nel campo di applicazione del reclamo/mediazione.

Sarebbe stato opportuno, tuttavia, chiarire in modo inequivocabile le problematiche di diritto intertemporale, perché la previsione contenuta nell’art. 4 del D. Lgs. n. 220/2023, secondo cui la cessazione degli effetti della norma di abrogazione del reclamo/mediazione decorre dall’entrata in vigore della legge di riforma del processo tributario, e cioè dal 4 gennaio 2024, determina rilevanti dubbi applicativi. Nonostante le direttive interne del Dipartimento della giustizia tributaria e dell’Agenzia delle entrate – riportate dalla stampa specializzata – escludano l’applicazione del reclamo/mediazione per i ricorsi presentati a far data dal 4 gennaio 2024, è sostenibile che il principio dell’affidamento dei contribuenti alle regole di opposizione vigenti al momento di notifica dell’atto impositivo depone per l’interpretazione che ritiene sussistente la possibilità di invocare l’applicazione della procedura di reclamo/mediazione per i numerosissimi atti impositivi notificati nel mese di dicembre del 2023,  mettendo in secondo piano le nuove regole vigenti al momento di proposizione del ricorso.

Fermo restando che le nette prese di posizione contenute nelle citate direttive confermano indirettamente la preferibile lettura interpretativa delle disposizioni contenute nel D.lgs. n. 220/2023, secondo cui tutti i ricorsi notificati prima del 4 gennaio 2024 devono rimanere soggetti a mediazione e seguire le regole precedenti (costituzione in giudizio solo decorsi i 90 giorni per la fase del reclamo).

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