I presupposti per il riconoscimento del diritto alla detrazione e del diritto al rimborso IVA possono essere diversificati? La questione sull’art. 30, comma 2 lett. c), D.P.R. 633/1972 è rimessa alle Sezioni Unite

Di Alessia Fidelangeli -

Abstract

Con l’ordinanza che si annota si chiede alle Sezioni Unite di pronunciarsi sulla spettanza di un credito IVA chiesto a rimborso in relazione a operazioni svolte su beni di terzi. Sul tema esistono, infatti, due diversi orientamenti giurisprudenziali. Secondo il primo orientamento, il diritto al rimborso spetterebbe all’unica condizione che il bene sia utilizzato in funzione strumentale all’esercizio dell’impresa; tale soluzione sarebbe quella più coerente con il principio di neutralità dell’imposta. Per il secondo orientamento, che valorizza la nozione di bene ammortizzabile TUIR e qualifica la possibilità di chiedere il rimborso come “facoltà eccezionale”, sarebbero necessarie sia la strumentalità all’esercizio dell’attività di impresa, sia l’acquisto da parte dell’impresa stessa. Nel richiedere la trattazione della questione da parte delle Sezioni Unite, l’ordinanza sottolinea la centralità dei principi che regolano l’autonomia procedurale degli Stati in ambito IVA (equivalenza ed effettività) nella soluzione della questione e prospetta la futura trattazione di questioni fondamentali relative alla disciplina nazionale del rimborso. 

Can the conditions for the recognition of the right to deduct VAT and the right to a VAT refund be diversified? The question on article 30, paragraph 2, letter. c), of the presidential decree n. 633/1972, is referred to the Joint Session of Italian Supreme Court – The issue concerns the entitlement of a VAT credit claimed for refund in relation to works carried out on third-party property. There are, in fact, two different case law on the subject, the dissimilarity of which has not been overcome. According to the first, the right to reimbursement would accrue on the sole condition that the asset was used for an instrumental function in the economic activity; this solution would be the most consistent with the principle of VAT neutrality. According to a second, which enhances the notion of depreciable asset for the purposes of direct taxation and the “exceptionality” of the refund procedure, both the instrumentality to the exercise of the economic activity and the property by the business itself would be necessary. In requesting that the matter be dealt with by the joint session of Italian Supreme Court, the order emphasises the centrality of the principles governing the procedural autonomy of States in the VAT sphere: equivalence and effectiveness. Moreover, it envisages a future decision on fundamental issues concerning the national refund discipline.

Sommario: 1. Introduzione. – 2. Il diritto alla detrazione IVA per operazioni compiute su beni di proprietà di terzi. – 3. Gli orientamenti difformi della Cassazione sul rimborso IVA per operazioni compiute su beni di proprietà di terzi. – 4. La prassi amministrativa sul rimborso IVA per operazioni compiute su beni di proprietà di terzi. – 5. I presupposti applicativi del rimborso e la centralità dei principi di effettività ed equivalenza. – 6. Conclusioni.

1. L’ordinanza di cui si discute ha origine da una controversia riguardante un credito IVA chiesto a rimborso ai sensi dell’art. 30, comma 2, lett. c), D.P.R. n. 633/1972 in relazione a lavori di ristrutturazione di fabbricati e impianti esistenti su un terreno detenuto in locazione (si specifica che nel lavoro si farà riferimento all’ordine attuale dei commi dell’art. 30 D.P.R. n. 633/1972, a seguito dell’abrogazione del comma 1 della disposizione).

Il D.P.R. n. 633/1972, infatti, subordina il riconoscimento del diritto al rimborso a determinate e specifiche condizioni. L’art. 30, comma 3, D.P.R. n. 633/1972 prevede che il contribuente possa chiedere il rimborso dell’eccedenza detraibile, risultante dalla dichiarazione annuale, se dalle dichiarazioni dei due anni precedenti risultano eccedenze detraibili. Tuttavia, ai sensi dell’art. 30, comma 2, D.P.R. n. 633/1972, in una serie specifica di ipotesi, il contribuente può chiedere in tutto o in parte il rimborso dell’eccedenza all’atto della presentazione della dichiarazione, senza necessità di rispettare il requisito dei due anni, qualora la suddetta eccedenza sia di importo superiore a 2.582,28 euro. In particolare, secondo la lett. c) dell’art. 30, comma 2 ciò può avvenire qualora l’imposta in eccedenza sia relativa all’acquisto o all’importazione di beni ammortizzabili (sul rimborso delle eccedenze IVA v. Basilavecchia M., Situazioni creditorie del contribuente ed attuazione del tributo. Dalla detrazione al rimborso nella imposta sul valore aggiunto, Pescara, 2000; Centore P., Detrazione dell’IVA non dovuta: una scelta di serietà, in Corr. trib., 2018, 30, 2307 ss.; Tesauro F., Credito di imposta e rimborso da indebito nella disciplina dell’IVA, in Boll. trib., 1979, 1466 ss.).

In difetto di un’individuazione normativa del concetto di beni ammortizzabili ai fini IVA è pacifico che la disposizione rinvii agli artt. 102 e 103 D.P.R. n. 917/1986 e quindi alla nozione di “bene ammortizzabile” in materia di imposte dirette (per la quale si rinvia, tra gli altri, a Falsitta G., Ammortamenti [dir. trib.], in Enc. giur. Treccani, II, Roma, 1988 e Fantozzi A. – Paparella F., Lezioni di diritto tributario dell’impresa, Padova, 2019, 231). Tali disposizioni si riferiscono esplicitamente ai beni strumentali all’attività d’impresa di cui gli esercenti hanno il possesso o su cui possono vantare il diritto di proprietà o un altro diritto reale. La ratio dell’art. 30, comma 2, lett. c), D.P.R. n. 633/1972 si rinviene nell’esigenza di non ostacolare gli investimenti in fattori produttivi aventi utilità ripetuta che i soggetti passivi IVA realizzano (Maspes P., Opere su beni di terzi: mai dire rimborso?, in Corr. trib., 2021, 2, 150 ss.).

L’Agenzia delle Entrate, nel caso di cui si discute, ha notificato un atto di recupero del credito chiesto a rimborso in relazione alle spese di ristrutturazione poiché, trattandosi di IVA relativa a operazioni a monte su terreni detenuti in locazione, e quindi di terzi, il rimborso non sarebbe dovuto. Avverso l’atto di recupero dell’Agenzia, il contribuente ha proposto ricorso presso la Commissione tributaria provinciale di Brescia, la quale si è pronunciata a favore del contribuente e, contro la suddetta sentenza, l’Agenzia delle Entrate ha proposto appello. La Commissione tributaria regionale della Lombardia ha rigettato l’appello in quanto sulla questione era intervenuta nel 2018 la Corte di Cassazione a Sezioni Unite, affermando la spettanza del diritto al rimborso IVA in caso di collegamento strumentale tra le opere realizzate su beni di terzi e l’attività di impresa esercitata (Cass., Sez. Un., sent. 11 maggio 2018, n. 11533). L’Agenzia delle Entrate ha dunque proposto ricorso in Cassazione e chiesto la rimessione della causa alle Sezioni Unite. Secondo l’Agenzia il giudice del gravame avrebbe erroneamente argomentato in diritto poiché ha applicato principi e norme relativi alla detrazione IVA, sebbene la vicenda riguardi la diversa questione del diritto al rimborso.

Con l’ordinanza che si annota la Corte di Cassazione ha rimesso gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite. Infatti, il riconoscimento del diritto al rimborso dell’IVA assolta per le migliorie su beni di proprietà di terzi è una questione controversa in quanto, come si vedrà più specificamente nel prosieguo, sull’ammissibilità di tale fattispecie di rimborso si contrappongono due distinti orientamenti della Suprema Corte (v. successivo par. 3). Anche la prassi amministrativa ha assunto posizioni non univoche (v. successivo par. 4). Sulla base dell’ordinanza, inoltre, l’intervento nomofilattico delle Sezioni Unite risulterebbe necessario in ragione del rilievo che assume la giurisprudenza europea in materia di procedure di rimborso (v. successivo par. 5).

L’oggetto della decisione è di estrema rilevanza. Infatti, il caso di specie riguarda una specifica ipotesi di rimborso IVA al di fuori della regola che lo subordina all’esistenza del credito per tre esercizi d’imposta consecutivi e concerne, quindi, l’interpretazione di concetti afferenti all’imposizione diretta (nel caso di specie quello di “bene ammortizzabile”), ma richiamati in ambito IVA. Tuttavia, la soluzione che le Sezioni Unite proporranno implica che si forniscano chiarimenti anche su questioni più generali, quali il rapporto tra il diritto al rimborso e alla detrazione, la funzione e struttura del diritto al rimborso dell’IVA e il suo rapporto con il principio di neutralità. Trattandosi di aspetti fondamentali nell’interpretazione e applicazione dell’imposta, la vicenda merita di essere analizzata in attesa della pronuncia della Cassazione (il rimborso IVA deve essere concesso anche per operazioni passive compiute su beni di terzi secondo Centore P., Nuovi limiti ai rimborsi IVA, in Corr. trib., 2006, 5, 407 ss.; Corso R. – Maspes P., Rimborsi IVA più facili, ma l’Europa è ancora lontana: la cronaca di una morte annunciata, in il fisco, 2014, 47, 4632 ss.; Gianfrate C.A.M. – Gugliotta G. – Cuozzo F.D., Rimborso IVA su beni di terzi tra forma e sostanza, in attesa delle Sezioni Unite, in il fisco, 2023, 34, 3213 ss.; Maspes P., IVA: finalmente si cambia!, in il fisco, 2023, 20, 1915 ss.; Id., Opere su beni di terzi, cit.).

2. Per comprendere la questione relativa al rimborso di cui si discute occorre soffermarsi preliminarmente sulla giurisprudenza relativa al diritto di detrazione dell’IVA “a monte”, nascente da operazioni che riguardano beni strumentali all’attività d’impresa, ma di cui il soggetto passivo non ha la proprietà, appartenendo invece a terzi. Tale giurisprudenza prevede che il diritto alla detrazione spetti anche in presenza di un titolo giuridico (contratto di locazione) che legittimi la disponibilità del bene e il suddetto bene sia funzionale all’attività economica del soggetto passivo (Cass., n. 11533/2018, cit.).

Ciò sarebbe conseguenza della giurisprudenza europea, la quale, sempre a detta della Corte di Cassazione, sarebbe giunta ad affermare il “carattere tendenzialmente assoluto del principio di neutralità dell’imposta” (sulla centralità del diritto alla detrazione nell’imposta sul valore aggiunto v., ex multis, Basilavecchia M., La neutralità nell’IVA, tra effettività e cautele, in Rass. trib., 2016, 4, 901 ss.; Bosello F., Appunti sulla struttura giuridica dell’imposta sul valore aggiunto, in Riv. dir. fin., 1978, I, 420 ss.; Gallo F., Profili di una teoria dell’imposta sul valore aggiunto, Roma, 1974; Mondini A., Il principio di neutralità dell’iva tra mito e [perfettibile] realtà, in Di Pietro A. – Tassani T., a cura di, I principi europei del diritto tributario, Padova, 2013, 269 ss.; Salvini L., Rivalsa, detrazione e capacità contributiva nell’imposta sul valore aggiunto, in Riv. dir. trib., 1993, 1287 ss.). Dall’asserita assolutezza del diritto – che è in realtà un’espressione che non si rinviene nella giurisprudenza unionale – ne deriverebbe il riconoscimento anche per lavori di ristrutturazione o manutenzione eseguiti su immobili di proprietà di terzi, purché il bene presenti un nesso di strumentalità con l’attività d’impresa o professionale del soggetto passivo.

Tale impostazione è coerente con la giurisprudenza della Corte di Giustizia secondo la quale la detrazione spetta anche qualora non sia possibile ravvisare un nesso immediato e diretto tra una specifica operazione a monte e una o più operazioni a valle (CGUE, 29 ottobre 2009, SKF, C-29/08, p.to 58; CGUE, 18 luglio 2013, AES-3C Maritza East 1, C-124/12, p.to 28). Ciò avviene a condizione che i beni e servizi acquistati facciano parte delle spese generali e, in quanto tali, siano elementi costitutivi del prezzo dei prodotti o dei servizi che il soggetto passivo fornisce (v., in particolare, CGUE, 6 aprile 1995, BLP Group, C-4/94, p.to 25 e CGUE, 8 giugno 2000, Midland Bank, C-98/98, p.to 31). Secondo la Corte, i costi che entrano nella categoria delle spese generali presentano un nesso immediato e diretto con il complesso dell’attività economica del soggetto passivo, seppure non con singole operazioni a valle, poiché il costo delle operazioni a monte risulta incorporato nel prezzo di beni e servizi forniti dal soggetto passivo nel contesto delle sue attività economiche.

Il nesso di strumentalità con l’attività d’impresa o professionale va preso in considerazione anche rispetto a una mera potenzialità di esercizio dell’attività economica e, dunque, per l’IVA su operazioni passive preparatorie e prodromiche all’esercizio dell’attività d’impresa e anche qualora l’attività in relazione alla quale l’imposta viene detratta non abbia potuto concretamente esercitarsi. Infatti, il diritto alla detrazione del contribuente non può essere limitato, salvo circostanze eccezionali, in quanto ciò potrebbe creare disparità ingiustificate tra imprese che effettuano già operazioni imponibili e altre che cercano, mediante investimenti, di avviare attività da cui deriveranno operazioni soggette ad imposta (CGUE, 29 febbraio 1996, INZO, C-110/94, p.to 22 e CGUE, 28 febbraio 2018, Imofloresmira, C-672/16, p.to 60; CGUE, 14 settembre 2017, Iberdrola Inmobiliaria Real Estate Investments, C-132/16, p.to 33).

Di conseguenza, secondo la Cassazione, «deve riconoscersi il diritto alla detrazione IVA per lavori di ristrutturazione o manutenzione anche in ipotesi di immobili di proprietà di terzi, purché sia presente un nesso di strumentalità con l’attività d’impresa o professionale, anche se quest’ultima sia potenziale o di prospettiva. E ciò pur se – per cause estranee al contribuente – la predetta attività non abbia poi potuto concretamente esercitarsi» (Cass. n. 11533/2018, cit.).

Una delle ragioni di ricorso addotte dall’Agenzia delle Entrate nel caso che si annota riguarda proprio la possibilità di estendere la giurisprudenza relativa al diritto alla detrazione, che si caratterizza per un’affermazione preminente del principio di neutralità, anche al rimborso dell’imposta relativa a lavori di ristrutturazione di fabbricati e impianti su beni ammortizzabili di terzi. La questione sorge e riguarda il rapporto tra la giurisprudenza relativa all’esercizio del diritto a detrazione e la fattispecie di rimborso ex art. 30, comma 2, lett. c) nel caso di beni ammortizzabili di terzi. Come sottolineato con l’ordinanza di rimessione, l’applicabilità dei principi espressi nella sentenza n. 11533/2018, in relazione alla detrazione, anche al rimborso presuppone che sia configurabile un’identità di struttura e di presupposti applicativi tra il diritto alla detrazione e il diritto al rimborso IVA. Se così fosse, si potrebbe argomentare che, essendo il rimborso uno strumento predisposto dall’ordinamento a garanzia dell’effettività del diritto alla detrazione, nei casi in cui l’ammontare detraibile è superiore a quello dell’imposta dovuta, l’individuazione di limiti al rimborso deve essere oggetto di un vaglio di compatibilità rispetto al diritto europeo. Il suddetto esame di compatibilità dovrebbe tenere conto dell’approccio rigoroso della giurisprudenza europea relativa al diritto alla detrazione anche in relazione a beni su cui si possa vantare solo un titolo di godimento.

A tale proposito, occorre specificare che il caso all’origine della sentenza della Cassazione del 2018 riguardava operazioni di manutenzione e ristrutturazione compiute su beni di terzi, ma il problema che si poneva in quella decisione non era tanto che il bene fosse del terzo, bensì che l’immobile avesse catastalmente destinazione abitativa. Più specificamente, ci si chiedeva se un immobile accatastato come abitativo potesse considerarsi strumentale/inerente all’attività di impresa e dunque se i costi relativi a opere su tale immobile generassero IVA detraibile. Inoltre, nella sentenza veniva prospettata una questione di abuso del diritto poiché il contratto di locazione era predisposto tra una società statunitense controllante, proprietaria del bene, e una società controllata italiana che lo aveva ricevuto in locazione senza aver mai svolto attività d’impresa. Dunque, la sentenza del 2018 riguardava una fattispecie simile a quella all’origine dell’ordinanza che si annota, in quanto i beni erano di proprietà di terzi, ma da collocarsi in un contesto diverso. Infatti, in quel caso, ci si interrogava sul nesso di strumentalità di immobili qualificati come abitativi in relazione ad un’attività di impresa potenziale o futura e in presenza di fattispecie concrete per cui poteva porsi la preoccupazione di elusione fiscale.

3. A fronte di una scelta legislativa che subordina il diritto al rimborso al soddisfacimento di alcuni criteri e, in particolare, all’esistenza di un “bene ammortizzabile” secondo la disciplina del TUIR, la giurisprudenza di Cassazione mostra di adottare due orientamenti diversi. Il primo di essi valorizza la centralità del principio di neutralità quale “principio di valenza assoluta” in ambito IVA e considera il diritto al rimborso uno strumento fondamentale per garantire l’effettiva neutralità dell’imposta. A detta di tale primo orientamento, l’interpretazione letterale dell’art. 30, comma 2), lett. c) rischierebbe di mettere in pericolo il principio di neutralità. Perciò, esso andrebbe interpretato nel senso che, per ottenere il rimborso immediato dell’imposta, non sarebbe necessario che il soggetto abbia conseguito la proprietà o altro diritto reale di godimento sul bene. L’altro orientamento, che valorizza invece l’interpretazione letterale degli artt. 30, comma 2, lett. c), D.P.R. n. 633/1972 e 102-103 TUIR, il concetto di bene ammortizzabile richiederebbe il soddisfacimento del requisito della proprietà civilistica e la procedura di rimborso in questione sarebbe una procedura che attribuisce al soggetto passivo una facoltà da considerarsi “eccezionale”.

Il primo orientamento fa capo a due sentenze pronunciate con riferimento, rispettivamente, al diritto al rimborso per la realizzazione di un impianto turistico su beni in affitto (Cass., sent. 5 aprile 2013, n. 8389) e per i costi relativi alla costruzione di un immobile di proprietà altrui ma concesso in comodato al soggetto che ne richiede la detrazione (Cass., sent. 28 aprile 2014, n. 9327). In tali sentenze la Corte ha subordinato il diritto al rimborso all’unica condizione che il bene sia utilizzato in funzione strumentale all’esercizio dell’impresa. Più specificamente, per poter ottenere il rimborso, l’affittuario o il comodatario dovrebbe utilizzare il bene effettivamente e direttamente per l’esercizio dell’impresa e il proprietario non dovrebbe operare alcuna deduzione delle quote di ammortamento.

La Corte ha motivato la propria scelta concentrandosi sul rapporto tra i concetti di strumentalità e di ammortizzabilità. Come si è detto, l’art. 30, comma 2, lett. c), D.P.R. n. 633/1972 prevede che si possa chiedere il rimborso in relazione all’acquisto o all’importazione di beni ammortizzabili. Secondo la Corte la possibilità di ammortizzare beni ricorre qualora vi sia «l’effettiva utilizzazione di essi in funzione direttamente strumentale all’esercizio dell’impresa» (Cass. n. 9327/2014, cit.). Sembrerebbe, dunque, che la Cassazione, nell’interpretare la norma, voglia intendere che, nella disciplina IVA, il legislatore ha fatto riferimento all’ammortizzabilità e usato questa espressione, che di per sé è estranea alla qualificazione dei beni nell’IVA, per richiamarsi alla loro qualità presupposta, vale a dire la strumentalità. In altri termini, il legislatore non voleva utilizzare l’aggettivo “ammortizzabile” per richiedere la ricorrenza di tutte le condizioni dell’ammortamento, ma come sinonimo di “strumentale”. In tal modo, il bene deve appartenere alla categoria dei beni che sono in astratto strumentali e non che sono in concreto soggetti ad ammortamento.

Il secondo orientamento si discosta consapevolmente dal primo in forza della non coincidenza dei concetti di strumentalità ed ammortizzabilità (Cass., sent. 4 dicembre 2015, n. 24779). È noto che l’utilizzazione nel ciclo produttivo (strumentalità) non sia sufficiente a garantire la possibilità concreta di ammortizzare il bene: affinché un bene sia ammortizzabile è ulteriormente necessario che esso sia iscritto tra le immobilizzazioni e, dunque, che l’impresa abbia conseguito l’acquisto o un diritto reale di godimento sul bene. A detta del secondo orientamento di Cassazione, anche in ambito IVA, solo il soddisfacimento di entrambe le condizioni (strumentalità all’esercizio dell’attività di impresa e acquisto da parte dell’impresa stessa) garantisce la possibilità di disporre del bene come proprietario, in conformità alla giurisprudenza europea. Secondo la Corte, dunque, sono ammortizzabili i «beni di uso durevole la cui vita non si esaurisca nell’arco di un esercizio contabile e dei quali l’imprenditore possa disporre in quanto abbia acquistato la proprietà o un altro diritto reale di godimento ed in ogni caso il potere di disporre di essi come proprietario» (Cass. n. 24779/2015, cit.).

Tale conclusione non può essere disconosciuta in ragione del principio di neutralità poiché esso non implica un rapporto consequenziale necessario tra diritto alla detrazione e diritto al rimborso. In altri termini, non si può affermare che, se esiste il diritto alla detrazione, deve esistere il diritto al rimborso. Infatti, la procedura di rimborso di cui all’art. 30, comma 2, lett. c) attribuisce una «facoltà di natura eccezionale che non trova corrispondenza nell’ordinaria esercitabilità che qualifica il diritto alla detrazione» ed è volta a «consentire agli operatori economici, che effettuano operazioni di investimento, un più veloce recupero dell’imposta assolta con riferimento ai beni acquistati ed evitare così un aggravio della propria posizione finanziaria» (Cass. n. 24779/2015, cit.). L’eccezionalità della procedura di rimborso, rispetto all’ordinarietà del diritto alla detrazione, preclude la sovrapponibilità delle condizioni di esercizio delle due fattispecie. Secondo la Corte questa interpretazione della procedura di rimborso non trova ostacoli nell’interpretazione dell’art. 183 della Direttiva IVA, poiché esso rimette agli Stati membri di indicare le modalità per mezzo delle quali l’eccedenza di imposta può essere riportata ai periodi d’imposta successivi o ammessa a rimborso.

Occorre specificare che l’argomentazione della Corte non appare del tutto convincente. Innanzitutto, l’affermazione per cui la procedura di rimborso attribuisce «una facoltà di natura eccezionale che non trova corrispondenza nell’ordinaria esercitabilità che qualifica il diritto alla detrazione» appare non condivisibile dal momento che la procedura di rimborso non sembra potersi configurare come un’eccezione rispetto ad una regola ordinaria. Al contrario, si tratta di uno strumento fondamentale per garantire la neutralità dell’imposta rispetto ai soggetti passivi, qualora l’IVA a credito sia superiore all’IVA a debito. In secondo luogo, non si comprende come mai la Corte faccia riferimento al “diritto di disporre come proprietario”, di cui alla giurisprudenza europea in materia IVA, per sostenere che la possibilità di qualificare un cespite come immobilizzazione, ai fini dei redditi d’impresa, dipenda dalla proprietà dello stesso. Non si comprende, cioè, perché la Cassazione faccia riferimento alle note pronunce della Corte di Giustizia sul trasferimento della proprietà ai fini IVA per individuare la portata del concetto di bene ammortizzabile che dev’essere mutuata dal TUIR (sul “diritto di disporre come proprietario” in ambito IVA v., tra i molti, Castaldi L., Le operazioni imponibili, in Tesauro F., a cura di, L’imposta sul valore aggiunto, Torino, 2001, 43 ss.; Comelli A., IVA comunitaria e IVA nazionale, Padova, 2000, 546 ss.; Filippi P., I profili oggettivi del presupposto dell’IVA, in Dir. prat. trib., 2009, 6, I, 1201 ss.). Tale scelta sarebbe eventualmente comprensibile se la Corte si riferisse, per sostenere la necessità dell’essere proprietari, alla lettera dell’art. 30, comma 2, lett. c), D.P.R. n. 633/1972 (che prevede l’acquisto di beni ammortizzabili) e non al fatto che il concetto di bene ammortizzabile ai fini delle imposte dirette implica il diritto di disporre come proprietario del bene stesso.

Nel 2020 la Suprema Corte si è espressa nuovamente riguardo al riconoscimento del diritto al rimborso per spese incrementative e migliorative su beni di terzi concessi in comodato e volti alla realizzazione di opere non suscettibili di essere rimosse al termine dell’utilizzo (Cass., sent. 4 novembre 2020, n. 24518). La sentenza del 2020 ha ripreso pressoché letteralmente l’argomentazione della sentenza del 2015. Infatti, la Corte di Cassazione ha affermato che l’art. 30 richiede il soddisfacimento di due requisiti: l’acquisto di un bene e che si tratti di un bene ammortizzabile. Per quanto riguarda il primo requisito la sentenza ha richiamato la giurisprudenza europea relativa al “trasferimento del potere di disporre di un bene materiale come proprietario” ed evidenziato che il concetto di cessione/acquisto ai fini IVA, com’è noto, non coincide con quello civilistico. Vi sono infatti casi in cui il potere, tendenzialmente illimitato, di godimento e utilizzo, e dei relativi rischi (c.d. disponibilità economica del bene) è sufficiente affinché si configuri una cessione. Dunque, in questo caso la giurisprudenza relativa al potere di disporre come proprietario è stata più correttamente, rispetto alla sentenza del 2015, riferita al concetto di “acquisto” di cui all’art. 30 D.P.R. n. 633/1972. Per quanto riguarda il secondo requisito, invece, sono beni ammortizzabili quelli che non solo sono provvisti del requisito della strumentalità, ma costituiscono immobilizzazioni materiali o immateriali, in relazione alla loro idoneità ad un uso durevole e al potere dell’imprenditore di disporne in quanto titolare del diritto di proprietà o di altro diritto reale di godimento. La sentenza ha ribadito, infine, che la sussistenza delle condizioni per la detrazione dell’IVA non implica l’automatico riconoscimento del diritto al rimborso della stessa «in quanto l’innegabile centralità sistematica del principio di neutralità non impone necessariamente un vincolo di biunivocità delle situazioni, tale per cui non si possa dare l’una in difetto dell’altro e viceversa».

Altre pronunce più recenti hanno richiamato, invece, le indicazioni fornite delle Sezioni Unite del 2018 ed esteso i principi espressi in materia di riconoscimento del diritto alla detrazione anche al rimborso IVA ex art. 30, comma 2, lett. c) (Cass., sent. 22 settembre 2022, n. 27813; Cass., sent.22 novembre 2021, n. 36014).

Nella prima delle due sentenze ciò è avvenuto in ragione del carattere tendenzialmente assoluto del principio di neutralità, nonché della ratio dell’ammortamento. Per quanto riguarda il principio di neutralità, la Corte ha sottolineato che l’Agenzia individuava la ragione del diniego al rimborso nell’inamovibilità e non autonoma utilizzabilità del bene. Secondo l’Agenzia, poiché il soggetto ha ottenuto il rimborso in ragione dell’esercizio di attività d’impresa, il fatto che il bene inamovibile non possa più essere utilizzato per la suddetta attività, e tuttavia si sia ottenuto il rimborso dei relativi costi, non sarebbe coerente con la disciplina dell’imposta. Secondo la Corte, innanzitutto, ai fini del diritto alla detrazione è irrilevante che l’attività in funzione della quale quel bene è stato acquistato o realizzato non venga più esercitata. A suffragio di tale affermazione, la giurisprudenza più recente non richiama arresti della Corte di Giustizia, quanto il requisito dell’inerenza all’attività di impresa (cfr. Greggi M., Il principio d’inerenza nel sistema di imposta sul valore aggiunto: profili nazionali e comunitari, Pisa, 2012; Menti F., L’inerenza della spesa nel sistema dell’IVA, in Dir. prat. trib., 2022, 4, 1433 ss.). Secondo giurisprudenza nazionale consolidata, il principio di inerenza ha valenza qualitativa e quindi deve intendersi come nesso di strumentalità, anche solo potenziale, tra il bene e l’attività svolta (Cass. n. 11533/2018, cit.; Cass., sent. 27 settembre 2018, n. 23278; Cass., ord. 4 marzo 2020, n. 6022). In ragione della suddetta definizione di inerenza, nella decisione riguardo alla detraibilità o al rimborso – che nella prospettiva assunta in questa sentenza coincidono – non può essere decisivo il fatto che le opere realizzate siano autonomamente utilizzabili o meno dopo il periodo di utilizzo sul bene altrui.

Per quanto riguarda il secondo aspetto (ratio dell’ammortamento), i beni strumentali ammortizzabili, in quanto suscettibili per definizione di consunzione o deperimento, sul piano economico potrebbero avere un ciclo di vita che si esaurisce completamente nel periodo di durata del comodato o di altro diritto di godimento di cui l’impresa sia titolare. Perciò, la circostanza che il terzo proprietario possa beneficiare del bene costituisce una mera eventualità e la detraibilità o rimborsabilità non possono essere fondate su una eventualità. La giurisprudenza più recente, quindi, tende a individuare anche ragioni economiche per giustificare la scelta di garantire il rimborso.

Diversamente, nella seconda sentenza (Cass. n. 36014/2021, cit.), che pure garantisce il diritto al rimborso per opere svolte su beni di proprietà di terzi, si è fatto richiamo ai principi espressi dalle Sezioni Unite e al rapporto di alternatività tra il diritto alla detrazione e il diritto al rimborso IVA, poiché “identica è la logica regolatrice”. Nello stesso anno ciò è stato affermato anche in un’altra decisione, ove si è detto che il diritto alla detrazione e il diritto al rimborso si qualificherebbero come due strumenti alternativi volti al perseguimento del medesimo obiettivo della neutralità (Cass., sent. 11 gennaio 2021, n. 215). Dunque, dalle pronunce più recenti sembrerebbe emergere un orientamento della Corte volto a riconoscere l’identità dei presupposti dei due istituti in ragione dell’identità degli obiettivi degli stessi. Si tratterebbe di strumenti alternativi, piuttosto che di uno strumento naturale e uno strumento speciale/eccezionale. In ragione di tale identità di presupposti, sia il diritto alla detrazione sia il diritto al rimborso spetterebbero anche con riferimento alle opere eseguite su beni di proprietà di terzi purché sia presente un nesso di strumentalità, anche potenziale, con l’attività d’impresa o professionale. È proprio in ragione di queste considerazioni che il rapporto tra i concetti di ammortizzabilità e strumentalità, all’origine dell’ordinanza che si annota, solleva la più ampia questione del rapporto tra diritto a detrazione/neutralità e diritto al rimborso dell’IVA.

Da ultimo, poco prima dell’ordinanza di rimessione, una recente ordinanza della sezione tributaria (Cass., ord. 19 luglio 2023, n. 21228) ha riproposto l’orientamento più restrittivo del 2015, che sembrava essere stato ormai superato nelle pronunce degli ultimi anni.

4. Anche la prassi ha assunto posizioni divergenti. Il diritto al rimborso non è stato riconosciuto in relazione alla stipula di un contratto preliminare di vendita di un bene ammortizzabile (ris. 27 dicembre 2005, n. 179/E). Infatti, secondo l’Agenzia, il concetto di “acquisto” implica che debba esistere un atto che faccia acquisire la disponibilità del bene (cfr. ris. 9 aprile 2002, n. 111/E) e, con la stipula di un contratto preliminare di vendita di un bene ammortizzabile, il promissario acquirente non acquisisce la titolarità del bene. L’imposta assolta sull’acconto del corrispettivo, pagato in sede di preliminare, non è quindi rimborsabile. Nella risoluzione di cui si discute l’Agenzia afferma, più in generale, che le spese incrementative su beni di terzi sono capitalizzabili ed iscrivibili nella voce “altre immobilizzazioni immateriali” qualora le opere realizzate siano separabili dai beni di terzi cui accedono e abbiano una loro autonoma funzionalità. In caso contrario, le spese per il miglioramento, trasformazione o ampliamento di beni di terzi concessi in uso o comodato costituiscono spese per cui non può essere riconosciuto il diritto al rimborso dell’IVA (la ris. n. 179/E/2005, cit., richiama la circ. 31 maggio 2005, n. 27/E).

Il diritto al rimborso è stato negato anche in relazione alle strutture realizzate nell’ambito di una concessione relativa alla gestione di un complesso ricreativo e culturale su un’area comunale (ris. 6 ottobre 2008, n. 372/E). Poiché si tratta di beni fin dall’inizio di proprietà dell’ente locale concedente, essi non possono essere oggetto di ammortamento ai fini delle imposte dirette da parte del concessionario e la società non può chiedere il rimborso dei relativi costi.

Anche nell’ipotesi dell’installazione di un impianto su beni di terzi si è negato il diritto al rimborso in quanto l’impianto non era separabile dal bene immobile cui si riferiva (circ. 19 dicembre 2013, n. 36/E; Risposta a interpello n. 861 del 23 dicembre 2021). Con queste risoluzioni si ribadisce che, qualora l’opera non sia amovibile, essa non è di proprietà del soggetto che l’ha realizzata, non può essere iscritta nel bilancio come bene ammortizzabile e non si può applicare l’art. 30, comma 2, lett. c), D.P.R. n. 633/1972. Si afferma inoltre l’irrilevanza del fatto che, successivamente al sostenimento dei costi di acquisto, il soggetto acquisisce la proprietà del bene principale o è costituito a suo favore un diritto reale di godimento.

Il diritto al rimborso dell’IVA è stato riconosciuto, invece, qualora i costi sostenuti dal concessionario per la realizzazione di un complesso immobiliare fossero funzionali all’acquisizione del diritto di concessione (Agenzia delle Entrate, Nota n. 34486/2010), nonché in relazione all’acquisto di stazioni di ricarica di veicoli elettrici installate su suolo pubblico, se non integrate irreversibilmente al suolo (Risposta a interpello n. 497 del 22 ottobre 2020). Infatti, se una società acquista, per lo svolgimento della propria attività economica, le infrastrutture e i servizi necessari per configurare e gestire ciascun impianto di ricarica, ed esse non sono integrate irreversibilmente al suolo, tali beni debbono essere considerati beni strumentali ammortizzabili ai sensi dell’art. 102 TUIR.

Dunque, anche la prassi amministrativa, come la giurisprudenza, adotta due orientamenti per quanto riguarda la possibilità di ottenere il rimborso dell’IVA in relazione a operazioni a monte su beni di proprietà di terzi. Inoltre, diversamente da quanto accade nella giurisprudenza di Cassazione del 2015, l’assenza della proprietà del bene non sembra la ragione principale per negare il diritto al rimborso. La prassi, infatti, attribuisce importanza dirimente alla circostanza che il bene sia o meno amovibile dal terreno del terzo cui afferisce: se il bene è amovibile, e dunque autonomamente utilizzabile, allora spetta il diritto al rimborso; in caso contrario ciò non accade.

5. L’ordinanza di rimessione alle Sezioni Unite, dopo aver ricostruito le difformi posizioni della Cassazione che si sono descritte (v. precedente par. 3), non si sofferma sulla portata della nozione di bene ammortizzabile di cui all’art. 30, comma 2, lett. c), né sul rapporto tra il concetto di ammortizzabilità e strumentalità su cui si erano soffermati gli orientamenti giurisprudenziali già descritti. Infatti, dopo aver sottolineato la centralità della disciplina e della giurisprudenza europee in materia di rimborso, l’ordinanza si concentra più in generale sul rapporto tra la disciplina nazionale ed europea dell’istituto.

Si afferma anzitutto che l’art. 183 della Direttiva IVA, che detta la disciplina europea fondamentale in materia di diritto al rimborso, si presta a una duplice lettura. Esso prevede che, qualora l’importo delle detrazioni superi quello dell’IVA dovuta, gli Stati membri possono far riportare l’eccedenza al periodo successivo, o procedere al rimborso secondo modalità da essi stabilite. Secondo una prima lettura, la disposizione potrebbe essere intesa nel senso di lasciare al legislatore interno la determinazione delle “sole modalità per procedere al rimborso”; alternativamente, essa potrebbe essere interpretata nel senso di attribuirgli anche il compito di individuare i “presupposti applicativi del diritto al rimborso IVA, incidendo, in tal modo, sulla stessa individuazione delle condizioni di riconoscibilità del diritto”. Nel primo caso, sarebbe sufficiente che al soggetto spetti la detrazione e che l’IVA a credito superi l’IVA a debito affinché il soggetto possa chiedere il rimborso dell’imposta; nel secondo caso, la riconoscibilità del rimborso dipenderebbe da presupposti differenti rispetto al diritto alla detrazione. Se si adotta la prima ipotesi interpretativa, assume rilievo centrale la summenzionata giurisprudenza unionale secondo cui la detrazione spetta anche in relazione a lavori su beni di terzi (v. precedente par. 2). Tuttavia, la giurisprudenza europea non si è mai espressa direttamente sull’identità di presupposti tra diritto al rimborso e detrazione.

Con riferimento all’art. 183 della Direttiva IVA la Corte di Giustizia ha precisato che esso non può essere interpretato nel senso che gli Stati membri siano totalmente liberi di disciplinare le modalità del rimborso dell’eccedenza di IVA (CGUE, 12 maggio 2011, Enel Maritsa Iztok, C-107/10, p.ti 27-28, e CGUE, 6 luglio 2017, Glencore Agriculture Hungary, C-254/16, p.to 18). Una richiesta di rimborso è soggetta in linea di principio alle norme sostanziali e procedurali stabilite dallo Stato membro interessato (autonomia procedurale degli Stati membri). Tali condizioni devono però essere compatibili con il diritto europeo alla luce dei principi di equivalenza ed effettività (v., in tal senso, Enel Maritsa Iztok 3, cit., p.to 29; CGUE, 19 luglio 2012, Littlewoods Retail e a., C-591/10, p.to 27; CGUE, 24 ottobre 2013, Rafinaria Steaua Româna, C-431/12, p.to 20). In primo luogo, in base al principio di equivalenza, il diritto processuale nazionale applicabile a soggetti che fanno valere diritti conferiti dall’ordinamento dell’Unione non può essere meno favorevole di quello che disciplina le domande basate sul diritto nazionale. Sulla base del principio di effettività, la disciplina procedurale domestica non deve rendere virtualmente impossibile, o sostanzialmente troppo difficile, esercitare un diritto che deriva dall’ordinamento dell’Unione (Van Eijsden A. – Van Dam J., The Impact of European Law on Domestic Procedural Tax Law: Wrongfully Underestimated?, in EC Tax Review, 2010, 19, 199 ss.). Per verificare se la disposizione nazionale rende eccessivamente complesso l’esercizio dei diritti conferiti dal diritto dell’Unione, è necessario considerare il ruolo svolto dalla disposizione nazionale nell’ambito del procedimento nel suo complesso, le modalità di svolgimento e le caratteristiche specifiche del procedimento (CGUE, 1° aprile 1993, Lageder and others, C-31/91, p.to 27; CGUE, 8 marzo 2001, Hoechst AG and Hoechst, Cause riunite C-397/98 e C-410/98, p.to 85).

Inoltre, le modalità di rimborso devono garantire che esso sia interamente effettuato entro un termine ragionevole e che il sistema adottato non faccia correre alcun rischio finanziario al soggetto passivo (Enel Maritsa Iztok 3, cit., p.to 33, con commento di Montanari F., Limiti al diritto al rimborso IVA alla luce dei principi del legittimo affidamento, della proporzionalità e della neutralità, in Dir. prat. trib. int., 2011, 2, 819 ss; CGUE, 25 ottobre 2001, Commissione contro Italia, C-78/00, p.to 34; CGUE, 6 luglio 2017, Glencore Agriculture Hungary, C-254/16, p.to 20). Infatti, il principio di proporzionalità implica che gli Stati membri debbano far ricorso a mezzi che pregiudichino il meno possibile gli obiettivi e i principi stabiliti dalla normativa dell’Unione, quale il principio fondamentale del diritto alla detrazione dell’IVA (CGUE, 16 marzo 2017, Bimotor, C-211/16, p.to 27).

Dunque, l’ordinanza suggerisce che la questione del rimborso IVA per operazioni effettuate in relazione a beni di proprietà di terzi debba essere risolta considerando i principi sul coordinamento tra autonomia procedurale degli Stati ed effettività del diritto europeo. A detta della Cassazione, dalla giurisprudenza europea si desumerebbe che «in sostanza […] il diritto al rimborso iva possa avere una disciplina differenziata rispetto a quella che governa il diritto alla detrazione» – sebbene tale affermazione non si rinvenga con questa formulazione nella giurisprudenza europea – purché, tuttavia, le procedure di rimborso rispettino taluni principi stabiliti dal diritto dell’Unione, come l’equivalenza, il rispetto di termini ragionevoli e l’assenza di rischi finanziari.

In definitiva dall’ordinanza di rimessione emergerebbe che l’intervento delle Sezioni Unite sia necessario, da un lato, per superare gli orientamenti difformi della Cassazione e, in particolare, per chiarire l’opportunità di applicare in ambito IVA la nozione TUIR di bene ammortizzabile e la natura o meno eccezionale della procedura di rimborso. Dall’altro lato, perché, stante la lettura dell’art. 183 nel senso che esso consenta al legislatore di individuare i presupposti applicativi del diritto, la giurisprudenza di Cassazione sembra non considerare quella parte della giurisprudenza europea che pone l’accento, oltre che sul principio di neutralità, anche sui principi che il legislatore nazionale deve rispettare in ambito procedurale (effettività, equivalenza, proporzionalità).

Quindi, già dal testo dell’ordinanza emerge un’indicazione nel senso che entrambi i difformi orientamenti della Cassazione debbano essere ulteriormente interpretati alla luce di queste indicazioni. La giurisprudenza che sostiene la sovrapponibilità tra i presupposti relativi al rimborso e alla detrazione sembrerebbe non tenere in considerazione che la giurisprudenza europea, secondo l’interpretazione fornitane dalla Suprema Corte, abbia previsto esplicitamente che il rimborso IVA possa avere una disciplina differenziata rispetto a quella che governa il diritto alla detrazione. Diversamente, la giurisprudenza che disconosce il diritto al rimborso non sembra attribuire sufficiente rilievo alla circostanza che il legislatore interno non possa prevedere modalità per procedere al rimborso che siano contrastanti con il principio di equivalenza e di effettività.

6. Dall’ordinanza che si annota emerge anzitutto la problematicità dell’utilizzo, in ambito IVA, di concetti tipici delle imposte dirette, come quello di “ammortamento” nell’art. 30, comma 2, lett. c), D.P.R. n. 633/1972. La decisione della Suprema Corte sull’interpretazione di suddetto concetto avrà un impatto significativo dal punto di vista applicativo poiché il diniego del rimborso incide su tutte le attività che effettuano ingenti investimenti per la realizzazione di opere su beni di terzi. Si auspica che la Corte torni a ribadire la spettanza del diritto al rimborso dell’IVA relativa a tali operazioni. Si ritiene, infatti, che questa soluzione sia quella più coerente con il principio di neutralità dell’imposta, dal punto di vista del diritto sostanziale, e con il principio di effettività, dal punto di vista procedurale.

Inoltre, la futura sentenza della Cassazione a Sezioni Unite sarà particolarmente rilevante nell’ordinamento nazionale dal momento che è stato evidenziato che i presupposti nazionali per chiedere il rimborso sono assai più restrittivi rispetto all’impostazione comunitaria (v., ad esempio, Corso R. – Maspes P., Rimborsi IVA più facili, cit.). La questione prospettata implica, infatti, la necessità di ricostruire i presupposti per il riconoscimento del diritto alla detrazione e del diritto al rimborso IVA. La Cassazione a Sezioni Unite dovrà chiarire se il rapporto tra le due fattispecie sia di ordinarietà/eccezionalità oppure di alternatività e se la disciplina attuale del rimborso sia conforme ai principi di neutralità, effettività ed equivalenza. Anche in relazione a tale questione si ritiene che sarebbe opportuno superare la giurisprudenza che qualifica il diritto al rimborso come una facoltà eccezionale.

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