Ancora contrasti (interni alla Corte dei Conti) sulla giurisdizione in materia di imposta di soggiorno

Di Giangiacomo D’Angelo e Gianmarco Dellabartola -

Abstract (*)

Anche dopo le modifiche normative che hanno chiaramente assegnato all’albergatore il ruolo di responsabile per il pagamento dell’imposta di soggiorno, perdura l’incertezza sulla assegnazione delle liti relative al mancato versamento dell’imposta. All’interno della giurisprudenza della Corte dei Conti si è creata una vera e propria spaccatura tra sezioni che continuano a rivendicare la giurisdizione della Corte dei Conti e sezioni che invece ritengono ormai sussistente la giurisdizione del giudice tributario. Inoltre, alcune pronunce sembrano evocare una giurisdizione cumulativa. Vi sono però molteplici ragioni sistematiche, anche derivanti dall’evoluzione normativa, che inducono a ritenere che la competenza giurisdizionale per queste controversie sia da assegnare al giudice tributario.

Internal contrasts within the Court of Auditors about the jurisdiction in disputes over the payment of the tourist tax – Uncertainty about jurisdiction in disputes over the payment of the tourist tax remains, even after the amendments to the law, which clearly make the hotel operator responsible for the payment of the tax. There is conflicting case law within the Court of Auditors: some sections continue to claim jurisdiction over these disputes, while others consider that the Tax Court has jurisdiction. Moreover, some rulings seem to suggest a cumulative jurisdiction. According to the authors, several systemic reasons, including recent legislative changes, lead to the conclusion that jurisdiction should be assigned to the Tax Courts.

Sommario: 1. Premessa. – 2. L’orientamento giurisprudenziale precedente e l’introduzione del comma 1-ter dell’art. 4 D.Lgs. n. 23/2011 sulla posizione giuridica del gestore della struttura… – 3. … e il contrasto giurisprudenziale sorto a seguito della sua introduzione. – 4. Perplessità sulla giurisdizione contabile per le liti tra albergatore (responsabile di imposta) e Comune. – 5. La posizione del gestore come responsabile di imposta, e la sua obbligazione di natura tributaria nei confronti del Comune. – 6. Qualche considerazione sulla giurisdizione “cumulativa” tributaria e contabile.

1. Si va sempre più radicando il contrasto giurisprudenziale sulla assegnazione della giurisdizione in materia di imposta di soggiorno, con evidenti incertezze che interessano gli operatori e anche gli Enti comunali in forte difficoltà nel recupero del dovuto.

Il contrasto, come si vedrà, è radicato all’interno della stessa giurisdizione contabile con alcune sezioni schierate per la giurisdizione contabile e altre per la giurisdizione tributaria.

Nell’impostazione normativa l’imposta di soggiorno è un tributo il cui peso economico grava chiaramente sui “turisti” ossia, per esser più precisi, su coloro che alloggiano nelle strutture ricettive situate nel territorio comunale. Tuttavia, è il gestore della struttura ricettiva ospitante ad esser responsabile del pagamento dell’imposta in favore del Comune, con diritto di rivalsa nei confronti del soggetto passivo – turista. L’imposta è quindi disegnata secondo il modello applicativo tipico delle “imposte di consumo”, in cui è il consumatore a dar vita al presupposto e manifestare la forza economica colpita dal tributo, e gli obblighi di rivalsa sul soggetto passivo e di pagamento dell’imposta all’Ente impositore si pongono anche in capo a chi fornisce il servizio fruito (in generale su questi temi, Selicato G., L’imposta di soggiorno, tra collaudati presupposti impositivi e problemi emergenti negli schemi di attuazione del tributo, in Uricchio A.F. – Selicato G., a cura di, La fiscalità del turismo, Bari, 2020, 2015 ss.; Tomo A., L’imposta di soggiorno tra opportunità di rilancio del turismo e il problematico ruolo degli albergatori: luci e ombre della nuova disciplina, in Giur. Imp. 2020, 1, 58 ss.; in una prospettiva più finanziaria Del Federico L., Ipotesi di onerosità per la fruizione dei beni comuni: il caso dei ticket d’accesso alle città d’arte, in Ragion Pratica, 2022, 2, 435 ss., e sugli aspetti dell’imposta di registro come “tributo di scopo” Ricci C., Tributi di scopo tra giustificazioni politiche e categorie giuridiche, in Riv. trim. dir. trib. 2021, 2, 357 ss.)

Si ripropongono perciò, per l’imposta di soggiorno, temi classici e sempre discussi derivanti dalla presenza di più soggetti coinvolti nella dinamica di attuazione del tributo e dei rapporti giuridici che si instaurano tra essi, con i connessi problemi di giurisdizione sui quali ci si sofferma nel presente contributo.

Nella sua formulazione originaria, la disposizione rilevante (art. 4 D.Lgs. n. 23/2011) si limitava sommariamente a individuare solo taluni aspetti fondamentali del tributo quali il presupposto impositivo, i soggetti attivi e passivi, l’ammontare massimo applicabile e le finalità cui era destinato il gettito incamerato. In ragione del ruolo cardine svolto dai Comuni, destinatari del gettito, il legislatore, al comma 3 dell’art. 4 cit., aveva difatti specificamente previsto che «con regolamento da adottare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, ai sensi dell’articolo 17, comma 1, della legge 23 agosto 1988, n. 400, d’intesa con la Conferenza Stato-città ed autonomie locali” sarebbe stata “dettata la disciplina generale di attuazione dell’imposta di soggiorno».

Il regolamento attuativo, però, non ha mai visto la luce. È stato fatto circolare da parte della Presidenza del Consiglio dei Ministri (si veda la Nota prot. DAGL/50180/10.3.44/6892 del 21 ottobre 2011) unicamente lo schema del previsto regolamento governativo, nel quale si prevedeva, tra i criteri generali cui informare i singoli regolamenti comunali, che i gestori delle strutture ricettive fossero i soggetti tenuti ad effettuare i versamenti delle somme corrisposte dai soggetti passivi dell’imposta.

2. In tale contesto, alcune Procure della Corte dei Conti hanno iniziato a promuovere azione di danno erariale nei confronti dei gestori delle strutture ricettive sulla scorta di segnalazioni provenienti dai Comuni, in relazione al mancato versamento dell’imposta.

La tesi delle procure contabili si basava essenzialmente sulla qualificazione del gestore come agente contabile, incaricato del maneggio di danaro pubblico, senza una particolare caratterizzazione in termini tributari. Il gestore, omettendo i versamenti nei confronti dell’Ente, violava i suoi doveri di un fedele agente contabile così come previsti dalla legge, e conseguentemente causava un danno erariale con conseguente attivazione di azione di responsabilità erariale da parte della Procura contabile.

Alla responsabilità contabile, sempre prima della novella normativa, si associava poi frequentemente quella penale, poiché l’agente contabile che non riversava – e dunque tratteneva le risorse precipite a titolo di imposta di soggiorno dai propri clienti – appropriandosi di risorse pubbliche di cui aveva la disponibilità in ragione della propria funzione pubblica, era potenzialmente perseguibile per il delitto di peculato.

La giurisprudenza chiamata a pronunciarsi in merito alla responsabilità dei gestori delle strutture ricettive in ragione dell’omesso o parziale versamento dell’imposta di soggiorno aveva sostanzialmente avallato tale impostazione, e si era orientata nel senso che le liti relative alle pretese vantate dai Comuni nei confronti degli albergatori dovessero esser devolute alla giurisdizione contabile.

Tale impostazione era una conseguenza dell’inquadramento degli albergatori quali ‘agenti contabili’ ai sensi dell’art. 178 R.D. 23 maggio 1924, n. 827, sottoposti al giudizio di conto dinanzi alla Corte dei Conti.

Le prime sentenze orientate in tal senso (si vedano, Corte dei Conti, sez. giurisdizionale per la Regione Toscana decreto n. 22/2013 e n. 36/2014; Corte dei Conti, sez. Giurisdizionale per la Regione Emilia Romagna ordinanza n. 12/2015 e n. 98/2015; Corte dei Conti, sez. regionale di controllo per il Veneto deliberazione n. 19/2012/PAR) hanno trovato conferma (al tempo) nella pronuncia della Corte dei Conti a Sezioni riunite n. 22/2016/Qm con la quale il massimo consesso dei Giudici contabili, dopo una diffusa analisi della normativa illo tempore vigente, concluse nel senso che «va indubbiamente riconosciuta la qualifica di agente contabile al soggetto operante presso la struttura ricettiva che, per conto del Comune, incassa da coloro che vi alloggiano l’imposta di soggiorno, con obbligo di riversarla poi all’Ente locale», in quanto, in sintesi, «è palese il carattere pubblico dell’ente per il quale il riscuotitore agisce, trattandosi di un Comune» e sarebbe «altrettanto indubbio […] il carattere pubblico del denaro oggetto della gestione, trattandosi di un’imposta di scopo (vedasi ultimo periodo del comma 1 dell’art. 4 del D.lgs n. 23/2011, che individua gli interventi da finanziare con il gettito tributario)».

Successivamente è intervenuto il legislatore con il D.L. n. 34/2020, introducendo all’art. 4 del citato D.Lgs. n. 23/2011 il comma 1-ter con lo scopo di disciplinare, fra le altre cose, la posizione giuridica dei gestori delle strutture ricettive incaricati di riscuotere e versare l’imposta di soggiorno. Con tale nuovo comma il legislatore ha anzitutto disposto che «il gestore della struttura ricettiva è responsabile del pagamento dell’imposta di soggiorno […] con diritto di rivalsa sui soggetti passivi» nonché responsabile «della presentazione della dichiarazione», da effettuarsi «esclusivamente in via telematica entro il 30 giugno dell’anno successivo a quello in cui si è verificato il presupposto impositivo», e «degli ulteriori adempimenti previsti dalla legge e dal regolamento comunale». Da un punto di vista sanzionatorio, il legislatore ha previsto che «per l’omessa o infedele presentazione della dichiarazione da parte del responsabile si applica la sanzione amministrativa dal 100 al 200 per cento dell’importo dovuto» e che «per l’omesso, ritardato o parziale versamento dell’imposta di soggiorno e del contributo di soggiorno si applica una sanzione amministrativa di cui all’articolo 13 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471».

Per conferire maggior forza a tale novella, l’art. 5-quinquies D.L. n. 146/2021, entrato in vigore dal 21 dicembre 2021, ha stabilito che «il comma 1-ter dell’articolo 4 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23, ai sensi del quale si attribuisce la qualifica di responsabile del pagamento dell’imposta di soggiorno al gestore della struttura ricettiva con diritto di rivalsa sui soggetti passivi e si definisce la relativa disciplina sanzionatoria, si intende applicabile anche ai casi verificatisi prima del 19 maggio 2020».

Per la prima volta, dunque, una disposizione normativa ha delineato la posizione giuridica del gestore della struttura recettiva perimetrandone responsabilità e individuando le correlate sanzioni applicabili in caso di mancanze nel versamento dell’imposta, con l’utilizzo di termini e istituti propri del diritto tributario.

3. L’assetto delle azioni di recupero del tributo, e quindi della giurisdizione su esse, sembrava destinato a cambiare con la novella normativa volta a chiarire l’aspetto principale su cui si fondava la attrazione alla giurisdizione contabile, e cioè la qualificazione in termini di agente contabile (per l’imposta di soggiorno riscossa) del gestore di struttura recettiva.

Nonostante la (apparentemente) chiara indicazione normativa, recenti sentenze della giurisprudenza contabile hanno tuttavia continuato a rivendicare la giurisdizione della Corte dei Conti in materia, anche se – sempre all’interno della medesima giurisprudenza – non sono mancate pronunce orientate a ritenere non più esistente detta giurisdizione sulle liti tra esercente (responsabile di imposta) ed Ente comunale, declinandola in favore della giurisdizione tributaria.

Vi è perciò, all’interno della giurisprudenza contabile, una vera e propria spaccatura con alcune sezioni che declinano la giurisdizione sulle liti da recupero dell’imposta di soggiorno nei confronti dell’albergatore e degli altri esercenti in favore del Giudice tributario, e altre pronunce che invece continuano a ritenere sussistente la giurisdizione contabile su tali liti.

Segnatamente, ad oggi le sezioni giurisdizionali le quali hanno dichiarato il difetto di giurisdizione della Corte dei Conti in favore del Giudice tributario sono quelle per il Lazio (si vedano ex multis sent. N. 180/2023, n. 346/2023 e n. 606/2023), la Lombardia (si vedano ex multis sent. N. 38/2021, n. 159/2021, n. 289/2021 e n. 6/2022) e la Puglia (si veda la sent. N. 529/2022), oltre alla Commissione tributaria regionale per il Piemonte (ora Corte di Giustizia tributaria di II grado per il Piemonte, con la sentenza n. 631/2020, a quanto consta l’unica pronuncia dei Giudici tributari in materia dopo l’introduzione del comma 1-ter all’art. 4 D.Lgs. n. 23/2011 che abbia affrontato la questione).

Per contro, nonostante la novella recata dal comma 1-ter dell’art. 4, cit., continuano a rivendicare la propria giurisdizione le sezioni giurisdizionali per il Veneto (ex multis sent. N. 160/2021), la Liguria (sent. N. 1/2022), le Marche (sent. N. 247/2021), l’Umbria (sent. N. 72/2021), l’Emilia-Romagna (ex multis sent. N. 296/2021 e n. 27/2022), la Toscana (ex multis sent. N. 112/2021), la Campania (sent. N. 1010/2021), la Sicilia (sent. N. 248/2021 e n. 310/2021), Bolzano (sent. N. 3/2022) nonché, le sezioni giurisdizionali Centrali d’Appello (sez. III sent. N. 188/2020 e sez. I n. 107/2023).

In sintesi, gli argomenti sostenuti dalle prime ruotano intorno al comma 1-ter dell’art. 4 D.Lgs. n. 23/2011 e valorizzano, anzitutto, il fatto che la qualifica ex lege di responsabile d’imposta del gestore di strutture recettive lo riconduce nell’ambito delle dinamiche tributarie, non sussistendo più quel rapporto di servizio con il Comune individuato dalla giurisprudenza in assenza di chiare indicazioni legislative. Inoltre, le funzioni di riscossione e versamento, nonché gli obblighi di natura dichiarativa posti a carico dei gestori di strutture sono propri dei responsabili di imposte, senza che vi siano ragioni per una differenziazione della posizione giuridica dei primi rispetto agli ultimi. Ed ancora, a ben vedere, non vi è alcun “maneggio di denaro pubblico” che giustificherebbe la loro posizione di agenti contabili, poiché i gestori sono responsabili del pagamento di un’imposta altrui, e rispondono personalmente in caso di inadempimento del soggetto passivo della stessa, salvo l’esercizio del diritto di rivalsa nei confronti di quest’ultimo. Si ritiene, pertanto, che la conclusione secondo sui la finalità di gettito dell’imposta – comune ad ogni tributo – può trasformare quanto incassato dal gestore in denaro pubblico proverebbe troppo. Per di più, non si rinviene nell’ordinamento giuridico alcun principio generale tale da trasformare i responsabili d’imposta o i sostituti d’imposta in agenti contabili. Anzi, al contrario, il fatto di essere essi stessi responsabili dell’imposta nei confronti dell’Ente locale fa venir meno qualsivoglia rapporto di servizio per le attività di riscossione e versamento per conto dell’Amministrazione e, di conseguenza, di rendicontazione di denaro pubblico. Infine, l’espressa attribuzione al gestore di obblighi di natura dichiarativa e la correlata previsione sanzionatoria di carattere fiscale, renderebbe evidente la natura tributaria del rapporto fra gestore della struttura ed Ente locale impositore.

A dare manforte a tale interpretazione è sopraggiunta anche la giurisprudenza penale della Corte di Cassazione in materia penale. Nella vigenza dell’originaria disciplina, la giurisprudenza di legittimità penale riteneva configurarsi il reato di peculato in capo al gestore della struttura ricettiva che si impossessava delle somme riscosse a titolo di imposta di soggiorno e non le versava nelle casse comunali. Tuttavia, in tempi più recenti, e a seguito dell’introduzione del comma 1-ter de quo, la Cassazione penale ha rivisto detto orientamento ritenendo che la novella abbia trasformato radicalmente il ruolo assunto dal gestore rispetto all’imposta di soggiorno, da incaricato alla riscossione per l’ente locale a responsabile con altri (e con diritto di rivalsa) per il versamento dell’imposta (Cass. pen., sez. VI, sent. 30 ottobre 2020, n. 30227; sent., 17 dicembre 2020, n. 36317; sent. 4 aprile 2022, n. 12492). Sono stati così recepiti gli auspici e le considerazioni della letteratura più autorevole e acuta che avevano messo in evidenza come, con la qualificazione del gestore in termini di responsabile di imposta, vi è stata una sostanziale depenalizzazione delle condotte di omesso, ritardato o parziale versamento delle imposte da parte dell’albergatore (Flora G., La nuova disciplina dell’imposta di soggiorno: peculato addio anche per i fatti “pregressi”, in Rass. Trib., 2021, 2, 291 ss.; Selicato G. Verso la depenalizzazione dell´omesso, ritardato o parziale versamento dell´imposta di soggiorno?, in Riv. trim. dir. trib., 2020, 2, 407 ss.).

In senso opposto, e cioè per la giurisdizione contabile sulle liti da mancato pagamento dell’imposta da parte dell’albergatore, si sono orientate, ad oggi, la maggioranza delle sezioni giurisdizionali italiane nonché le sezioni giurisdizionali Centrali d’Appello della Corte d’Appello.

La tesi che vede confermata la giurisdizione contabile nonostante l’introduzione del comma 1-ter continua a considerare il gestore della struttura ricettiva, ancorché qualificato dalla novella come responsabile d’imposta, come obbligato a riversare nelle casse dell’Ente locale somme a destinazione pubblica, incamerate all’atto del soggiorno dei clienti.

Non appena corrisposte, dette somme si trasformerebbero in “numerario pubblico”, entrando così immediatamente nel patrimonio dell’Ente locale. Ciò farebbe conservare quel rapporto di servizio con il Comune, connotato da specifici adempimenti contabili (tra cui l’obbligo della resa del conto) e da una funzione strumentale ai fini dell’esazione dell’imposta, il quale giustificherebbe l’assoggettamento al giudizio contabile in caso di omesso o parziale versamento delle somme. Alcune sezioni giurisdizionali hanno altresì evidenziato come siano gli stessi regolamenti comunali a qualificare i gestori delle strutture ricettive come agenti contabili, e ciò solo sarebbe sufficiente a individuare nella Corte dei Conti l’organo responsabile a deliberare sugli omessi versamenti dell’imposta.

Inoltre, nella giurisprudenza della Corte dei Conti, ha anche fatto recentemente capolino una tesi che postulerebbe su tali liti una sorta di giurisdizione cumulativa. Sembra infatti esser questa la soluzione resa da alcune pronunce (Corte dei Conti Marche, sez. giurisdiz., sent. 25 settembre 2023, n. 64) in cui si afferma che l’inquadramento dell’albergatore come agente contabile non è incompatibile con quello di responsabile di imposta, e che la doppia veste dell’albergatore può portare ad una doppia giurisdizione del giudice contabile e del giudice tributario.

4. L’orientamento giurisprudenziale che sostiene il permanere della giurisdizione contabile anche dopo la riforma del 2020 desta diverse perplessità. In primo luogo, va sgombrato il campo dal falso convincimento secondo cui la giurisdizione contabile troverebbe un sicuro riferimento nella giurisprudenza della Cassazione e, particolarmente, nelle Sezioni Unite della stessa.

In effetti, la sola pronuncia che ha affrontato direttamente la questione è Cass., sez. un., 24 luglio 2018, n. 19654, (con nota adesiva di Tenore V., Sulla pacifica giurisdizione contabile sul mancato versamento dell’imposta di soggiorno da parte degli albergatori, e postilla di Marini G., La problematica individuazione del giudice sull’imposta di soggiorno, in Riv. trim. dir. trib., 2018, 2, 476 ss.) la quale però ci sembra non più in termini, in forza del mutato quadro normativo.

Ciò perché, in tale pronuncia il percorso logico della Corte muoveva dal silenzio normativo in ordine alla qualificazione del gestore alberghiero nei confronti del meccanismo di applicazione dell’imposta. Chiaro sul punto è un obiter dictum, contenuto in un passaggio che conviene riportare integralmente anche perché poi ripreso nella massimazione ufficiale della sentenza. La Corte chiarisce che «Il gestore della struttura ricettiva (o “albergatore”) è pertanto del tutto estraneo al rapporto tributario, e nel silenzio della norma primaria non può assumere la funzione di “sostituto” o “responsabile d’imposta”, né tale ruolo potrebbe essergli attribuito dai regolamenti comunali». L’argomento è chiaro: si è costretti a fare riferimento a inquadramenti diversi e, in particolare, a quello di agente contabile, non essendovi nel testo normativo primario una qualificazione tributaria espressa per albergatore. Ma, come sopra detto, dal 2020 in avanti il silenzio normativo è venuto meno, nel senso che la norma primaria ha qualificato, peraltro financo retroattivamente, l’albergatore come responsabile del pagamento dell’imposta. Ne consegue che tutta l’argomentazione della Corte viene meno e che la soluzione di una giurisdizione contabile non può più muovere oggi dall’assenza di una specifica qualificazione dell’albergatore, ma deve confrontarsi con l’esplicita qualificazione dell’albergatore quale responsabile di imposta.

Per vero, anche prima della riforma del 2020, e quindi prima dell’espresso riconoscimento all’esercente del ruolo di responsabile di imposta, erano stati messi in evidenza alcuni aspetti che chiaramente andavano nella direzione di una giurisdizione tributaria. Si era evidenziato che la normativa prevedeva, così come prevede attualmente, meccanismi di attuazione procedimentale del tributo tipici dell’agire dell’Amministrazione finanziaria, prevedendo cioè che il recupero dell’imposta dovesse avvenire verso il gestore attraverso la procedura di accertamento con apposita motivazione (Farri F., Imposta di soggiorno alla Corte dei Conti?, in Riv. tel. dir. trib., 2018, 2, IX, 91 ss.). La previsione dell’agire procedimentale tipico della materia tributaria comporta(va) dunque la devoluzione delle liti al giudice tributario, secondo un’impostazione autorevole per cui tutti gli atti del procedimento di imposizione relativi a tributi restano attratti alla giurisdizione tributaria, se si conformano al modello di imposizione presupposto dagli atti di cui all’art. 19 D.Lgs. n. 546/92, dovendosi escludere dalla giurisdizione tributario solo gli atti di quei procedimenti che si collocano a monte o a valle del procedimento di imposizione (Russo P. – Fransoni G., I limiti oggettivi del giudicato nel processo tributario, in Rass. Trib., 2012, 4, 858 ss.)

Oggi, con le modifiche intervenute nel 2020, vi sono ulteriori aspetti in favore della giurisdizione tributaria, a completamento della tesi procedurale.

Infatti, è stata procedimentalizzata l’attuazione in autotassazione del tributo, con la previsione dell’obbligo di presentazione di una dichiarazione a cadenza periodica da parte dell’albergatore, facendo chiaramente riferimento al modulo di attuazione proprio dei principali tributi attualmente presenti.

Inoltre, con la modifica normativa è stata prevista nella normativa nazionale l’irrogazione di sanzioni secondo meccanismi di quantificazione tipici della normativa tributaria (si prevede una sanzione dal 100 al 200% dell’imposta evasa, in caso di dichiarazione infedele o omessa) e, in alcuni casi (omesso, ritardato o carente versamento) si è fatto espressamente rinvio a sanzioni previste nel D.Lgs. n. 471/1997, il quale costituisce il testo di riferimento in materia di sanzioni amministrative tributarie.

La previsione di un obbligo dichiarativo e di sanzioni sono chiari indici della riconduzione dei moduli attuativi dell’imposta di soggiorno a quelli di attuazione dei principali tributi presenti nel nostro ordinamento, basati sul modello dell’autotassazione, cioè sulla presenza di obblighi procedimentali e sostanziali a carico del privato per l’attuazione del tributo, e presidiati da apposita norma sanzionatoria-afflittiva.

È quindi evidente l’approccio normativo volto a sancire in maniera inequivoca che l’attuazione dell’imposta di soggiorno debba svolgersi secondo i consolidati assetti previsti dalla normativa fiscale, sia nell’aspetto procedurale di accertamento e riscossione, sia in quello che attiene alla irrogazione delle sanzioni.

5. Le tesi in favore della giurisdizione tributaria appena esposte muovevano, a nostro avviso condivisibilmente, dall’aspetto procedimentale e dalla necessità di tenere in debita considerazione i limiti interni alla giurisdizione tributaria. Queste tesi sono state avanzate prima della modifica normativa che ha qualificato l’albergatore come responsabile di imposta, e in quel contesto normativo si dava per pacifico che con tale qualificazione si sarebbero fugati i dubbi di giurisdizione, con assegnazione della stessa alle Corti di Giustizia tributarie. Infatti, uno degli argomenti che si proponeva a favore della giurisdizione tributaria era relativo alla espressa previsione del ruolo di responsabile di imposta per coloro che gestivano le locazioni brevi, e che ugualmente erano tenuti all’applicazione dell’imposta di soggiorno. Avallando l’idea che l’assenza di una precisa qualificazione come responsabile di imposta comportasse la giurisdizione contabile delle liti sulla riscossione del tributo, si sarebbero avuti procedimenti e tutele molto diverse «nella riscossione del medesimo tributo, che si tratti di albergatori o di esercenti nell’ambito delle locazioni brevi» (Marini G., La problematica individuazione, cit., 480, ss.).

Dal 2020, come detto, l’albergatore è espressamente qualificato come responsabile del pagamento dell’imposta di soggiorno, ed è questo l’aspetto che decisamente dovrebbe eliminare ogni dubbio sulla giurisdizione tributaria.

Oggi, la giurisdizione tributaria si impone anche per ragioni sostanziali. Rilevano in tal senso non solo i limiti interni alla giurisdizione tributaria, ma anche i limiti che ne segnano il perimetro esterno, e che come noto attengono ai confini sostanziali della materia tributaria collegandoli alla nozione di tributo (per tutti, cfr. Basilavecchia M., Funzione impositiva e forme di tutela. Lezioni sul processo tributario, Torino, 2018, 29 ss.)

Se si ritiene che l’espressione contenuta nel comma 1-ter dell’art. 4 D.Lgs. n. 23/2011 faccia a sua volta riferimento alla figura prevista dall’art. 64, comma 3, D.P.R. n. 600/1973, la questione della giurisdizione non può che esser risolta in favore della giurisdizione tributaria.

La assegnazione alla giurisdizione tributaria delle liti tra responsabile di imposta ed Ente impositore poggia su un argomento tanto semplice quanto ineludibile, e che attiene alla natura tributaria dell’obbligazione che si pone in capo all’albergatore.

Infatti, il responsabile di imposta, almeno nei casi di responsabilità di imposta propriamente detta, è colui che è tenuto al pagamento dell’imposta insieme con altri, per fatti e situazioni riferibili a questi. E tra responsabile e obbligato principale si crea un rapporto di solidarietà passiva, in relazione al pagamento dell’obbligazione tributaria, e per quanto la solidarietà tributaria possa presentare tratti differenti da quella civilistica, l’obbligazione del responsabile d’imposta ha la stessa natura tributaria di quella dell’obbligato principale, almeno nei casi di responsabilità di imposta propriamente detta. Resta dunque chiaro che l’albergatore, qualificato come responsabile di imposta, rimane debitore di un’obbligazione che ha carattere tributario.

Anche dal punto di visto banalmente letterale risulterebbe una forzatura ritenere che l’obbligo di pagamento dell’albergatore attiene al pagamento di una somma in relazione ad un’obbligazione non altrimenti caratterizzata (se non come riversamento di danaro pubblico). La norma, infatti, non fa riferimento al pagamento di una somma da quantificarsi in misura corrispondente all’imposta incamerata, ma espressamente definisce l’albergatore come colui che è responsabile del pagamento della imposta, prendendo quindi un’espressa posizione sulla natura dell’obbligazione.

Inoltre, l’obbligo di rivalsa, previsto oggi espressamente in favore dell’albergatore nei confronti del soggetto passivo, rafforza la convinzione che i rapporti che ciascuno dei due soggetti coinvolti nel prelievo (albergatore e cliente) ha nei confronti dell’Ente comunale impositore sono riconducibili nell’alveo delle obbligazioni tributarie. La rivalsa del responsabile è, infatti, stata identificata da tempo come una conseguenza necessitata del rapporto di responsabilità/sostituzione (cfr. Parlato A., Il responsabile di imposta, Milano, 1962, 47 ss.), e seppure è ampiamente prevalente l’idea che la rivalsa attenga a rapporti “interni” di tipo privatistico (per precisazioni sul punto, Randazzo F., Le rivalse tributarie, Milano, 2120, 41 ss.) non è mai stata messa in discussione la natura tributaria delle obbligazioni di ognuno dei soggetti verso il Fisco.

Potrebbe forse sostenersi che nel meccanismo di applicazione dell’imposta di soggiorno, ispirata alle classiche imposte di consumo “monofase” applicate al momento in cui un servizio (nel caso: alloggio notturno) è reso in favore del consumatore, l’indicazione dell’albergatore quale responsabile di imposta abbia tratti di non perfetta coerenza con le altre ipotesi di responsabilità di imposta presenti nel nostro ordinamento. E ciò perché, nella visione tradizionale, resta sempre ferma la possibilità del soggetto passivo principale di adempiere autonomamente all’obbligazione tributaria, liberando il responsabile. Nell’imposta di soggiorno, invece, il soggetto passivo, se anche volesse, si troverebbe in seria difficoltà nel pagare immediatamente il tributo all’Ente comunale. Ciò non solo per le evidenti difficoltà pratiche, ma anche perché non è previsto, né regolato, un adempimento diretto del soggetto passivo in favore del Comune. Da questo punto di vista, sarebbe stato forse più coerente con la struttura dell’imposta individuare nell’albergatore un sostituto, più che un responsabile, d’imposta dal momento che l’albergatore prende il posto del cliente nel versamento dell’imposta, e questi non ha e non potrebbe avere – pur volendolo – rapporti diretti con l’Ente impositore.

Peraltro, nella normativa è possibile anche individuare una generale preferenza per la giurisdizione tributaria in relazione alle liti tra responsabili di imposta e Fisco, anche nei casi di responsabilità di imposta “anomala”. L’esempio più noto è la previsione contenuta negli ultimi due commi dell’art. 36 D.P.R. n. 602/1973 dove si prevede la responsabilità di imposta per i liquidatori delle società che, nello svolgimento dell’attività di liquidazione societaria, abbiano omesso di provvedere al pagamento delle imposte societarie con attivo della società liquidata. Di recente la giurisprudenza delle Sezioni Unite (Cass., SS.UU., sent. 27 novembre 2023, n. 32790) ha avuto modo di ribadire la natura civilistica, e non tributaria, dell’obbligazione in capo al liquidatore responsabile, aderendo a quanto sostenuto da tempo dalla letteratura più autorevole (Parlato A., Il responsabile, cit., 241). Ai fini che qui interessano, è da rilevare che pur trattandosi di una figura di responsabilità di imposta “anomala”, in cui l’obbligazione del responsabile è di natura civilistica, il legislatore ha previsto che essa debba esser fatta valere con atti di accertamento (e dunque successiva riscossione) nei confronti del liquidatore, e che su questi atti vi sia la giurisdizione del giudice tributario (art. 36, commi 5 e 6, D.P.R. n. 602/1972).

Ciò a riprova del fatto che le controversie relative alla responsabilità di imposta sono tendenzialmente sempre apprese alla giurisdizione tributaria, e che la posizione “anomala” del responsabile e/o dell’obbligato principale, non influisce sulla giurisdizione tributaria in relazione alle liti tra responsabile ed Ente impositore attinenti all’imposta dovuta.

In ogni caso, per quanto detto, per la responsabilità di imposta nell’imposta di soggiorno non vi sembrano esser ragioni per mettere in discussione la natura tributaria dell’obbligazione che si pone in capo al responsabile. Ne discende che postulare una diversa giurisdizione sulle liti attinenti al pagamento di quanto da egli dovuto al Comune potrebbe risultare in violazione della norma fondatrice della giurisdizione tributaria contenuta nell’art. 2 D.Lgs. n. 546/1992.

6. Qualche ulteriore considerazione merita la soluzione della giurisdizione cumulativa che, come si è detto, è stata avanzata in una recente pronuncia contabile (Corte dei Conti, Marche, sez. giurisdiz., sent. 25 settembre 2023, n. 64), dove si legge che «deve ritenersi irrilevante l’assoggettamento dell’albergatore, per effetto delle norme sopravvenute, alla giurisdizione tributaria, in qualità di “responsabile d’imposta”, ben potendo il medesimo soggetto essere sottoposto contemporaneamente anche alla giurisdizione della Corte dei conti, quale agente contabile».

In vie di estrema sintesi, il giudice marchigiano ha ritenuto che la qualificazione come responsabile di imposta non si ponga in contraddizione con la qualifica di agente contabile, e che le due qualificazioni giuridiche siano previste a finalità differenti. Di qui, discenderebbe la possibilità di una doppia giurisdizione su una medesima condotta di omesso pagamento dell’imposta.

In astratto, una doppia giurisdizione su una medesima condotta sarebbe anche predicabile, ma potrebbe ragionevolmente ammettersi solo qualora il tema e i profili delle due giurisdizioni siano diversi. E nel caso concreto si potrebbero anche facilmente immaginare i diversi temi di giurisdizione: la giurisdizione tributaria avrebbe ad oggetto l’impugnazione, e quindi la legittimità, degli atti di recupero dell’imposta e di irrogazione di sanzioni amministrative emessi dal Comune; la giurisdizione contabile sarebbe invece attivata con la promozione di un’azione di danno da parte della Procura erariale, e atterrebbe ad un danno al patrimonio pubblico derivante da mancato versamento delle imposte.

Sennonché, la configurazione di un danno (aquiliano) derivante dal mancato pagamento dell’imposta, pur vagheggiata dalla stessa giurisprudenza di legittimità (Cass. civ., 6 dicembre 2021, n. 38711), è ipotesi che non può esser sistematicamente accettata perché, salvo ipotesi particolari, contraddice le peculiarità stesse dell’intera materia tributaria (amplius, Salvati A., Considerazioni sulla possibile azione aquiliana per il recupero del danno derivante da evasione fiscale e sul contrasto con la specificità della disciplina tributaria dell’accertamento, in Riv. dir. trib., 2022, 4, I, 397 ss.).

Questa tesi, peraltro, è stata recentemente oggetto di chiarimenti da parte della Corte di Cassazione la quale ha escluso che il mancato pagamento del tributo possa di per sé costituire un danno risarcibile con azione aquiliana, quantificato nelle somme dovute e non versate (Cass., SS.UU., 12 luglio 2022, n. 29826 con nota di Salvati A., È risarcibile il danno da evasione tributaria?, in Riv. tel. dir. trib., 2022, 2, XV, 1090 ss.).

È stata cioè esclusa la possibilità di cumulare un’azione aquiliana (nei confronti del contribuente) con l’attivazione delle normali procedure di accertamento e riscossione del tributo evaso. E a questa soluzione si è giunti sulla base di considerazioni generali, che attengono alla natura dell’obbligazione tributaria quale obbligazione da attuarsi necessariamente attraverso l’azione amministrativa, e cioè collegata all’esercizio di poteri di accertamento e di riscossione da parte dell’Ente creditore (Salvati A., È risarcibile il danno, cit.).

L’attuazione del prelievo fiscale non può che svolgersi secondo le particolari regole dell’agire amministrativo fiscale, non essendo possibile l’esperimento di azioni diverse e messe a disposizione della generalità dei creditori. Il Fisco è un creditore che può e deve agire per l’attuazione della pretesa tributaria secondo le regole di azione amministrativa espressamente previste, e non può far riferimento ad azioni diverse per ottenere l’adempimento dell’obbligazione tributaria neanche in via indiretta.

Azioni generali a tutela dei propri crediti, anche risarcitori, sarebbero attivabili da parte del Fisco solo per obbligazioni che non hanno caratterizzazione tributaria, o che si pongono al di fuori dell’esercizio della funzione di attuazione del tributo.

Secondo questo orientamento delle Sezioni Unite, resta quindi per lo più ipotetica l’attivazione di una azione di danno da mancato pagamento delle imposte, azione che potrebbe fondarsi solo su una condotta del contribuente causativa di un danno diverso e ulteriore rispetto al mancato pagamento delle somme dovute a titolo di tributo. Tale condizione potrebbe verificarsi, ad esempio, allorquando il contribuente non solo si sia sottratto al pagamento dei tributi nel termine dovuto, ma abbia agito in maniera tale da rendere infruttuose le procedure di accertamento e riscossione debitamente e tempestivamente attivate dal Fisco.

Alla luce di ciò si può agevolmente constatare che gli spazi di manovra dell’azione contabile tesa a far valere la responsabilità erariale del gestore alberghiero per il mancato pagamento dell’imposta, cumulata eventualmente con le procedure di accertamento e riscossione attivati dall’ufficio, sono piuttosto ridotti se non del tutto ipotetici. L’azione generale di responsabilità contabile è, prima di tutto, azione di risarcimento che postula l’esistenza di un danno al patrimonio pubblico.

E in questa prospettazione la responsabilità erariale, considerata nella sua funzione risarcitoria, deve considerarsi tendenzialmente preclusa, poiché non è configurabile – se non in casi eccezionali – una generale azione di danno da mancato pagamento delle imposte.

È vero, d’altra parte, che la natura della responsabilità erariale non è pacificamente ricondotta alla categoria della responsabilità risarcitoria, e che si è anche affermata nella giurisprudenza contabile e costituzionale una tendenza secondo cui, in alcuni casi, la responsabilità erariale avrebbe anche natura “sanzionatoria – preventiva”.

Ma anche seguendo questa impostazione il cumulo di giurisdizioni non convincerebbe, seppure per altro ordine di ragioni.

Se infatti si valorizzasse la natura sanzionatoria della responsabilità erariale dell’esercente attività alberghiera rispetto al mancato riversamento dell’imposta di soggiorno, si finirebbe per dover ammettere una duplicazione sanzionatoria per violazioni commesse dall’albergatore in materia di imposta di soggiorno. Infatti, come sopra è stato chiarito, è oggi espressamente definito – sia pure attraverso la tecnica del rinvio al D.Lgs. n. 471/1997 – l’aspetto sanzionatorio in materia di imposta di soggiorno, ed è compito dei Comuni irrogare e riscuotere le sanzioni per le violazioni relative alla applicazione dell’imposta.

Apparirebbe allora evidentemente eccessivo il carico sanzionatorio per le violazioni compiute dall’albergatore in materia di imposta di soggiorno: sarebbero applicate sanzioni amministrative e, in più, la “sanzione” da responsabilità erariale. Ciò si porrebbe in contraddizione con le indicazioni sovranazionali e costituzionali in materia di proporzionalità punitiva, esitando in un trattamento sanzionatorio di tipo “draconiano” (cfr., tra i tanti, a commento di Corte Cost. n. 46/2023, Cordeiro Guerra R., Sanzioni tributarie draconiane e principio di proporzionalità, in Corr. trib., 2023, 8/9, 749 ss. E Peverini L., La sentenza n. 46 del 2023 della Corte costituzionale ed il principio di proporzionalità delle sanzioni amministrative: spunti per una corretta interpretazione dell’art. 7, 1° e 4° comma, del d.lgs. n. 472 del 1997, in Dir. prat. trib., 2023, 5, 1921 ss.). Indicazioni di proporzionalità sanzionatoria, che, per di più, sono state recentemente ribadite dallo stesso legislatore nella legge di delega per il riordino del sistema fiscale, come principi direttivi dell’intero plesso sanzionatorio fiscale (cfr. art. 20 L. 9 agosto 2023, n. 111, che richiama diffusamente la proporzionalità come criterio ispiratore per il legislatore delegato). Sarebbe insomma da escludersi una interpretazione che, sia pure svolta in termini di giurisdizione, finisce per avallare in un trattamento ipersanzionatorio per le violazioni da mancato riversamento dell’imposta di soggiorno, ponendosi in evidente contrasto con un principio che, secondo l’attuale legislatore delegante, deve informare l’intero sistema sanzionatorio amministrativo in materia tributaria.

(*) Il lavoro è frutto di una riflessione comune degli Autori. Gianmarco Dellabartola ha redatto i paragrafi 1 – 3, mentre Giangiacomo D’Angelo ha redatto i paragrafi 4 – 6.

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