La tutela giurisdizionale avverso il diniego di esercizio dell’autotutela tributaria avente ad oggetto annullamento parziale di un atto impositivo
Di Stefano Didoni
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(commento a/notes to Cass., sez. trib., 1° dicembre 2023, n. 33610)
Abstract
L’autotutela tributaria rappresenta un istituto fondamentale per consentire la correzione degli errori manifesti e l’annullamento o la revoca degli atti illegittimi o infondati da parte dell’Amministrazione finanziaria. Tuttavia, l’attuale disciplina normativa ha lasciato adito a dubbi circa la doverosità dell’esercizio dell’autotutela, nonché in merito all’impugnabilità del diniego e il sindacato del giudice tributaria, colmati dalla giurisprudenza specie di legittimità, che tuttavia appare non cogliere le specificità dell’istituto, riconducendo l’autotutela tributaria nell’alveo dell’autotutela amministrativa. Lo scenario attuale è mutato a seguito dell’attuazione da parte del Governo della delega per la riforma fiscale.
Judicial protection against the refusal of tax administration to exercise self-protection also in hypothesis of partially illegitimate or unfounded acts – For tax administration the proceeding of self-protection represents a fundamental institution to allow the correction of manifest errors and voiding its own illegitimate or unfounded acts. However, the current regulatory framework has given rise to doubts regarding the obligation to exercise self-protection, as well as concerning the appealability of the denial and the oversight of the tax judge, addressed by case law, especially by Italian Court of Cassation. Nevertheless, this case law seems not to fully grasp the specifics of the institution, associating tax self-protection with administrative one. Such a scenario is on the verge of a new configuration, following the perspective of a complex tax reform.
Sommario: 1. L’autotutela tributaria nel diritto positivo e l’evoluzione dell’istituto alla luce della legge delega di riforma fiscale. – 2. La posizione della giurisprudenza in tema di autotutela: la figura dell’interesse generale all’annullamento e i limiti al sindacato del giudice nei confronti del provvedimento di diniego. – 3. Conclusioni.
1. La Sezione tributaria della Corte di Cassazione, nella ordinanza n. 33610, pubblicata il 1° dicembre 2023, ha affermato che la revoca parziale della pretesa tributaria – nella fattispecie un provvedimento di sgravio parziale – non costituisce un presupposto autonomo e sufficiente per l’impugnazione del diniego relativo alla richiesta di autotutela per la parte residua non annullata.
La Corte ha ribadito, anche in tale ipotesi, il proprio orientamento consolidato, secondo il quale l’annullamento del diniego di autotutela presuppone che il contribuente alleghi «ragioni di rilevante interesse generale dell’Amministrazione finanziaria alla rimozione dell’atto, originarie o sopravvenute».
L’autotutela tributaria era, come noto, disciplinata dall’art. 2-quater, comma 1, D.L. n. 564/1994, convertito («con decreti del Ministro delle finanze sono indicati gli organi dell’Amministrazione finanziaria competenti per l’esercizio del potere di annullamento d’ufficio o di revoca, anche in pendenza di giudizio o in caso di non impugnabilità, degli atti illegittimi o infondati») e dal D.M. n. 37/1997, che ne definisce le modalità di esercizio. Inoltre, l’art. 2-quater, comma 1-octies, D.L. n. 564/1994, inserito dal D.Lgs. n. 159/2015 prevedeva espressamente che «l’annullamento o la revoca parziali non sono impugnabili autonomamente».
L’annullamento d’ufficio e la revoca, nel campo del diritto tributario, hanno ad oggetto, rispettivamente, la rimozione di un atto illegittimo, affetto cioè da un vizio relativo alle modalità di esercizio del potere, ovvero infondato, ossia viziato nel contenuto che non è, dunque, conforme alla corretta rappresentazione della realtà.
L’autotutela tributaria, inoltre, presenta delle differenze rispetto all’autotutela amministrativa (artt. 21-novies e 21-quinquies L. n. 241/1990): in particolare, l’esercizio della prima non prevede, stando al testo normativo, né la rilevanza di un interesse pubblico correlato all’annullamento o alla revoca dell’atto, né un “termine ragionevole” entro cui esso debba intervenire.
Il regolamento concernente l’esercizio dell’autotutela tributaria (D.M. n. 37/1997), tuttavia, ha introdotto delle differenze rispetto al testo normativo. In primo luogo l’art. 2-quater, comma 1, D.L. n. 564/1994, non specificava le modalità di innesco dell’autotutela, mentre il D.M. n. 37/1997 ha previsto che l’Amministrazione potesse agire «senza necessità di istanza di parte». In secondo luogo, in base all’art. 2, comma 1, D.M. n. 37/1997, l’Amministrazione poteva procedere «all’annullamento o alla rinuncia all’imposizione in caso di autoaccertamento» qualora «sussista illegittimità dell’atto o dell’imposizione», mentre non veniva richiamata l’infondatezza della pretesa, ancorché prevista dal D.L. n. 564/1994. Le ipotesi nominativamente individuate dal D.M. n. 37/1997 non sono state, però, ritenute tassative. Il D.M. n. 37/1997 ha inoltre introdotto il divieto di autotutela «per motivi sui quali sia intervenuta sentenza passata in giudicato favorevole all’Amministrazione finanziaria» (art. 2, comma 2).
L’autotutela, entro i termini di decadenza della potestà impositiva, può operare anche a favore dell’Ufficio, sanando un atto viziato (c.d. autotutela sostitutiva), senza applicazione delle limitazioni previste per l’emissione di un avviso di accertamento integrativo (sul punto Cass., 1° dicembre 2023, ord. n. 33665, ha rimesso alle Sezioni Unite la questione relativa alla legittimità dell’esercizio dell’autotutela sostitutiva, quale istituto derogatorio al principio di unicità e globalità dell’accertamento).
La dottrina si è interrogata sulla natura e sui presupposti che legittimano l’esercizio dell’autotutela tributaria a favore del contribuente. I temi di maggiore interesse possono essere riassunti in tre aree di indagine: se l’esercizio dell’autotutela sia espressione di una funzione amministrativa vincolata, se l’Amministrazione sia obbligata ad emettere un provvedimento in presenza di istanza di parte, se il diniego eventualmente opposto dall’Amministrazione sia impugnabile davanti all’autorità giudiziaria.
Ai primi due interrogativi la dottrina maggioritaria ha dato risposta affermativa, dando rilevanza al carattere vincolato dell’imposizione tributaria e dell’azione amministrativa, nonché alla garanzia costituzionale della capacità contributiva del soggetto destinatario della pretesa. Una diversa impostazione (Stevanato D., L’autotutela dell’Amministrazione finanziaria: l’annullamento d’ufficio a favore del contribuente, Padova, 1996; Marcheselli A., Autotutela tributaria [I agg.], in Digesto comm., IV, 2008) assume che si dovrebbe discutere tra funzione tributaria, vincolata, e funzione di riesame degli atti (vincolati) di imposizione. La funzione di riesame, secondo questa tesi, non sarebbe vincolata (anche perché altrimenti corrisponderebbe sempre a un diritto soggettivo, sempre tutelabile in giudizio) ma poggerebbe su un apprezzamento – discrezionale – dell’interesse pubblico. La rimozione dell’atto illegittimo o infondato corrisponderebbe sempre a tale interesse, se l’atto è ancora impugnabile o in costanza di giudizio, perché l’interesse pubblico tenderebbe a rimuovere un atto, illegittimo o infondato che potrebbe essere fonte di responsabilità, se non altro per le spese giudiziali. Più difficile configurare l’interesse pubblico alla rimozione nel caso di atti definitivi, perché in questo caso entra in scena la certezza del diritto (il consolidamento degli effetti dell’atto e del tributo in esso applicato). Tale valutazione dell’interesse pubblico il legislatore della riforma 2024 la effettua direttamente con la costruzione dei casi di autotutela obbligatoria da esercitarsi entro termini, come si vedrà oltre.
Il terzo interrogativo, invece, ha sollevato più dubbi, in quanto si è ritenuto impugnabile o meno il diniego in base alla delimitazione della giurisdizione tributaria in senso sia orizzontale che verticale (artt. 2 e 19 D.Lgs. n. 546/1992). Ciò va coordinato con la struttura del processo tributario, che non consente di rimettere in discussione, mediante l’impugnazione di un atto successivo, l’atto impositivo presupposto ritualmente notificato e non impugnato. L’inoppugnabilità non è però di ostacolo all’esercizio dell’autotutela (D.L. n. 546/1994) e così il giudicato, posto che la sentenza non sostituisce l’atto impositivo, salvo che il giudice nel rigettare i motivi di ricorso del contribuente abbia accertato in modo puntuale dei fatti favorevoli alla parte pubblica.
Nel contesto appena delineato si inserisce il D.Lgs. n. 219/2023, pubblicato il 3 gennaio 2024, e attuativo della delega contenuta nella L. n. 111/2023 (Delega al Governo per la riforma fiscale). La legge delega ha previsto la riforma dello “Statuto del contribuente” (L. n. 212/2000), con l’inserimento delle opportune previsioni per «potenziare l’esercizio del potere di autotutela estendendone l’applicazione agli errori manifesti nonostante la definitività dell’atto, prevedendo l’impugnabilità del diniego ovvero del silenzio nei medesimi casi nonché, con riguardo alle valutazioni di diritto e di fatto operate, limitando la responsabilità nel giudizio amministrativo-contabile dinanzi alla Corte dei conti alle sole condotte dolose» (art. 4, comma 1, lett. h). Il decreto delegato propone l’attuazione della delega mediante l’inserimento degli artt. 10-quater e 10-quinquies nella L. n. 212/2000 i quali introducono, rispettivamente, l’autotutela tributaria obbligatoria e facoltativa (contestualmente, ai sensi dell’art. 2, comma 4, D.Lgs. n. 219/2023, sono stati abrogati l’art. 2-quater D.L. n. 564/1994 e il D.M. n. 37/1997). La prima riguarda i casi di «manifesta illegittimità dell’atto o dell’imposizione», tassativamente individuati (si tratta, in sostanza, delle ipotesi precedentemente contenute nell’art. 2, comma 1, D.M. n. 37/1997, con esclusione dell’ipotesi di doppia imposizione) e opera «senza necessità di istanza di parte, anche in pendenza di giudizio o in caso di atti definitivi» (comma 1), mentre verrebbe esclusa nei casi (i) di giudicato favorevole all’Amministrazione finanziaria (recependo, di fatto, il limite contenuto nel precedente regolamento) e (ii) «decorso un anno dalla definitività dell’atto viziato per mancata impugnazione» (comma 2). L’autotutela facoltativa ricalca in parte quanto detto, ma opera «in presenza di una illegittimità o dell’infondatezza dell’atto o dell’imposizione», in linea con la precedente formulazione contenuta nel D.L. n. 564/1994 (trattandosi di una clausola ampia sarebbero ricomprese nelle ipotesi di autotutela facoltativa, tra l’altro, tutte quelle elencate nel D.M. n. 37/1997 e non riportate nell’art. 10-quater). Fuori dei casi di “errore manifesto”, dunque, l’autotutela tributaria viene delineata come un atto discrezionale.
Infine, il diniego espresso è stato formalizzato come atto impugnabile, mentre il silenzio assume valore di provvedimento negativo, dunque impugnabile, solo nei casi di autotutela obbligatoria (artt. 19, comma 1, lett. g-bis), g-ter), e 21, comma 2, D.Lgs. n. 546/1992).
2. Per la giurisprudenza l’autotutela tributaria è discrezionale e l’ente impositore non è obbligato a rispondere, emanando un atto amministrativo, a seguito di istanza di autotutela di un atto definitivo (Corte cost., 13 luglio 2017, n. 181). Non assume rilevanza e non è impugnabile il silenzio dell’Amministrazione (Cass., 17 febbraio 2023, n. 5176). Il diniego espresso di autotutela rappresenta invece un atto impugnabile, anche se la richiesta di esercizio di autotutela riguarda un atto divenuto definitivo (fra le più recenti, Cass., 24 agosto 2018, n. 21146; Id., 26 settembre 2019, n. 24032; Id., 20 febbraio 2019, n. 4933; Id., 11 maggio 2020, n. 8719). Ai fini della illegittimità del diniego espresso viene però richiesto, anche dalla giurisprudenza più attuale, che il contribuente dimostri la presenza di un interesse pubblico all’annullamento dell’atto (Cass., 20 settembre 2023 n. 26907; Cass., 4 settembre 2023 n. 25659; Cass., 23 ottobre 2020 n. 23249).
Nella pronuncia in commento la Cassazione ribadisce i suddetti principi. Va precisato che la controversia non riguardava l’impugnazione di un provvedimento di annullamento parziale in autotutela, che non è impugnabile (art. 2-quater, comma 1-octies, D.L. n. 564/1994 vigente ratione temporis).
In tali casi l’annullamento parziale adottato in autotutela o comunque il provvedimento di portata riduttiva rispetto alla pretesa tributaria, contenuta in atti divenuti definitivi, è stato ritenuto non impugnabile dalla giurisprudenza maggioritaria, che ha invece riconosciuto l’autonoma impugnabilità del nuovo atto purché di portata ampliativa rispetto all’originaria pretesa (Cass. 12 giugno 2023, n. 16526; Id. 15 aprile 2016 n. 7511, mentre secondo Cass. 22 marzo 2023 n. 8226, il diniego parziale è impugnabile ove non abbia ad oggetto la mera riduzione della pretesa originaria, nel senso che oltre alla riduzione della pretesa sia comunque correlato alla ripresa a tassazione di altri profili impositivi).
Il caso deciso riguardava il diniego opposto dall’Amministrazione alla richiesta di autotutela avente ad oggetto la parte residua di un ruolo che era stato oggetto di sgravio parziale disposto dall’Ufficio, senza istanza di parte.
Il contribuente impugnava il diniego opposto dall’Amministrazione sulla parte residua non annullata. Stando alla pronuncia, data la natura discrezionale dell’autotutela, l’annullamento d’ufficio di una parte dell’atto non esaurisce la valutazione dell’interesse pubblico, che permane per la parte residua. Il contribuente non può pertanto invocare l’annullamento parziale come presupposto per ottenere l’annullamento dell’intera pretesa impositiva e, di conseguenza, non può contestare il diniego opposto senza allegare ragioni di rilevante interesse generale dell’Amministrazione finanziaria alla rimozione dell’atto, originarie o sopravvenute.
La giurisprudenza di legittimità tende, dunque, ad avvicinare l’autotutela tributaria a quella amministrativa, considerando il contribuente quale soggetto titolare di un interesse legittimo all’annullamento o revoca dell’atto impositivo e richiedendo di operare un bilanciamento fra gli interessi in concreto rilevanti. L’interesse fiscale in primo luogo rilevante è, nel caso di atti definitivi, la stabilità dei rapporti giuridici ovvero, nel caso di decisione favorevole all’Amministrazione definitiva, l’intangibilità del giudicato.
La Cassazione tuttavia non ha fornito una definizione del contrario “rilevante interesse generale” che il contribuente avrebbe facoltà di allegare e in ragione del quale il diniego eventualmente opposto sarebbe illegittimo.
Guardando alla casistica, il ricorso contro il diniego di autotutela può basarsi su eventi sopravvenuti alla notifica dell’atto originario o emersi dopo lo spirare dei termini per il ricorso avverso l’atto oggetto del diniego di autotutela (Cass., 23 ottobre 2020, n. 23249).
È il caso, ad esempio, del venire meno di un presupposto per l’esercizio della potestà impositiva (ad esempio, annullamento dell’atto amministrativo generale nel caso dei tributi locali; pagamento di uno dei coobbligati nel caso di solidarietà passiva; contrarietà della norma al diritto unionale pronunciata dalla CGUE; morte del contribuente o ius superveniens, con riguardo alle sanzioni irrogate divenute definitive per mancanza di impugnazione).
Altro caso è quello in cui il contribuente venga a conoscenza di documenti opponibili alla tesi fiscale (ad esempio, accertamento sulla redditività presunta ex art. 12 D.L. n. 78/2010 in cui il contribuente dimostri che la “novella ricchezza” si era formata in anni non più accertabili).
È invece irrilevante la sentenza del giudice penale di assoluzione del contribuente (Cass., 20 novembre 2015, n. 23765). Nel caso del giudicato, si dovrebbe trattare di eventi sopravvenuti e diversi da quelli che hanno formato oggetto di accertamento da parte del giudice.
Ad ogni modo, secondo la giurisprudenza, l’impugnabilità del diniego non può costituire uno strumento per consentire al contribuente di contestare nel merito la pretesa impositiva ormai divenuta definitiva. In altre parole, se il contribuente non impugna l’atto impositivo non può, successivamente, presentare istanza di autotutela e impugnare l’eventuale diniego, lamentando l’illegittimità o l’infondatezza dell’atto.
Ciò non è sempre agevole da accertare nel caso concreto, in quanto se è vero che il merito non è sindacabile da parte del giudice, è altrettanto vero che i presupposti che giustificano l’esercizio dell’autotutela andrebbero considerati almeno nella loro attitudine potenziale a dimostrare l’erroneità dell’atto impositivo (i.e. la casistica contenuta nell’art. 10-quater dello Statuto, nonché le ipotesi di illegittimità o infondatezza dell’atto o dell’imposizione nei casi di autotutela facoltativa).
3. L’autotutela tributaria risente della carenza di una collocazione sistematica, che de iure condito non consente all’istituto di esercitare la funzione che, almeno in astratto, il legislatore ha inteso riconoscere all’istituto. Infatti l’autotutela tributaria, diversamente da quella amministrativa, tutela interessi opposti solo in apparenza, in quanto sia il contribuente che l’Amministrazione concorrono – o dovrebbero concorrere – ad attuare l’imposizione tributaria nei termini fissati dalla legge (art. 23 Cost.) e dalla capacità contributiva (art. 53 Cost.).
Il riesame ha la funzione di tutelare il contribuente nei confronti di un’imposizione disallineata dal paradigma normativo, in quanto espressa in un atto illegittimo o infondato, al pari di garantire all’Amministrazione di correggere i propri errori, attuando correttamente l’imposizione tributaria, anche nell’ottica di favorire la percezione sociale di una fiscalità equa e, dunque, la compliance dei contribuenti.
Da questa prospettiva si può comprendere la ragione per la quale il legislatore non abbia incluso tra i presupposti dell’autotutela tributaria la sussistenza necessaria di un interesse pubblico all’annullamento dell’atto, opposto e prevalente rispetto a quello del contribuente.
Ciò non toglie che tale rimedio abbia natura eccezionale e residuale, applicandosi in quei casi patologici ove i rimedi tradizionali non sono esperibili (si pensi, ad esempio, ai vizi di notifica dell’atto impositivo, censurabili mediante il ricorso avverso l’atto successivo ai sensi dell’art. 21, comma 3, D.Lgs. n. 546/1992) ovvero ai fatti estintivi della pretesa erariale sopravvenuti a valle dell’atto impositivo.
La riforma fiscale attuata dal Governo, ancorché animata dall’intento del legislatore delegato di valorizzare l’istituto, non sembra andare pienamente in tale direzione. Infatti, se da un lato il legislatore delegato ha raccolto lo spunto della Corte costituzionale contenuto nella sentenza n. 181/2017 (punto 4 della motivazione), introducendo casi di autotutela obbligatoria, dall’altro ha ulteriormente frammentato l’istituto, distinguendo fra autotutela obbligatoria e facoltativa e prevedendo solo nel primo caso l’obbligo di provvedere, senza peraltro chiarire i limiti del sindacato giurisdizionale sul diniego opposto dall’Amministrazione, espresso o tacito, lasciando quindi ampio margine di discrezionalità alla casistica giurisprudenziale.
Appare positiva per una maggiore applicazione dell’istituto la limitazione alle sole condotte dolose della responsabilità dei funzionari nel giudizio amministrativo-contabile dinanzi alla Corte dei Conti art. 1, comma 1, L. n. 20/1994), con riguardo alle valutazioni di diritto e di fatto operate nell’esercizio dell’autotutela (art. 10-quater, comma 3, e 10-quinquies, comma 2, L. n. 212/2000).
Restano, invece, escluse dalla novella, per effetto dell’abrogazione dell’art. 2-quater, D.L. n. 564/1994, le limitazioni all’impugnabilità dell’annullamento o revoca parziali (comma 1-octies) e la facoltà del contribuente di avvalersi in tali casi degli istituti deflattivi, rinunciando al ricorso (comma 1-sexies), nonché la sospensione amministrativa degli effetti dell’atto (commi 1-bis, 1-quater e 1-quinquies) e l’estensione dell’autotutela agli enti locali (comma 1-ter).
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Diritti degli interessati
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1. L’interessato ha diritto di ottenere la conferma dell’esistenza o meno di dati personali che lo riguardano, anche se non ancora registrati, e la loro comunicazione in forma intelligibile.
2. L’interessato ha diritto di ottenere informazioni:
a) sull’origine dei dati personali;
b) sulle finalità e modalità del trattamento;
c) sulla logica applicata in caso di trattamento effettuato con l’ausilio di strumenti elettronici;
d) sugli estremi identificativi del titolare, dei responsabili e del rappresentante designato ai sensi dell’articolo 5, comma 2;
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3. L’interessato ha diritto di ottenere:
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c) l’attestazione che le operazioni di cui alle lettere a) e b) sono state portate a conoscenza, anche per quanto riguarda il loro contenuto, di coloro ai quali i dati sono stati comunicati o diffusi, eccettuato il caso in cui tale adempimento si rivela impossibile o comporta un impiego di mezzi manifestamente sproporzionato rispetto al diritto tutelato.
4. L’interessato ha diritto di opporsi, in tutto o in parte:
a) per motivi legittimi al trattamento dei dati personali che lo riguardano, ancorché pertinenti allo scopo della raccolta;
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