Spunti critici sui nuovi atti di recupero dei crediti: tra norme riformate, in procinto di essere riformate e da riformare
Di Antonio Guidara
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Abstract (*)
Il contributo analizza la disciplina recata dal nuovo art. 38-bis D.P.R. n. 600/1973, introdotto in attuazione della legge delega per la riforma fiscale ad opera dell’art. 1, comma 2, lett. b), D.Lgs. 12 febbraio 2024, n. 13, evidenziandone gli aspetti critici, rispetto ai quali si auspica un ulteriore intervento del legislatore delegato mediante l’emanazione di decreti correttivi ai sensi dell’art. 1, comma 6, L. n. 111/2023.
Critical points on the new debt collection acts in the recent regulatory developments – The contribution analyses the discipline brought by the new art. 38-bis, Presidential Decree n. 600/1973, introduced in implementation of the enabling law for tax reform by art. 1, paragraph 2, letter. b), Legislative Decree. 12 February 2024, n. 13, highlighting the critical aspects, with respect to which further intervention by the delegated legislator would be appropriate by issuing the corrective decrees pursuant to art. 1, paragraph 6, of the enabling law of 9 August 2023, n. 111.
Sommario: 1. Quadro normativo e profili di interesse. – 2. Il rilievo della distinzione tra crediti non spettanti e crediti inesistenti. – 3. La coesistenza di due distinti atti di recupero. – 4. Mancati coordinamenti.
1. Procedo in questa sede a prime considerazioni sulla nuova disciplina recata dal nuovo art. 38-bis D.P.R. 29 settembre 1973, n.600.
Si tratta di considerazioni “a caldo”, dal momento che l’art. 38-bis citato è stato introdotto il mese scorso (dall’art. 1, comma 2, lett. b), D.Lgs. 12 febbraio 2024, n. 13, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, 21 febbraio 2024, n. 43), e con effetti per gli atti emessi dal 30 aprile 2024; impatta su un contesto normativo anch’esso di recente emanazione (al massimo gennaio scorso), e con effetti spesso postergati; impatta anche su un contesto normativo in divenire: così, ad esempio, sono di prossima emanazione, le definizioni dei crediti non spettanti e dei crediti inesistenti, che dovrebbero aver luogo nei testi sulle sanzioni, licenziati dal Governo qualche giorno fa (ancora non pubblicati).
L’articolo innova il D.P.R. n. 600/1973, recante “Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi”, ove, come ben si sa, non era presente una disposizione equivalente. E lo fa in difetto di una espressa previsione nella legge delega 9 agosto 2023, n. 111 : infatti, il D.Lgs. n. 23/2024, contenente il nuovo art. 38-bis, è stato emanato in applicazione dell’art. 17 della delega che nulla prevede in proposito (il D.Lgs. n. 23/2024 richiama espressamente l’art. 17 della legge delega «e, in particolare, il comma 1, lettere a), b), c), d), e) f), g), numero 2), e h), numero 2)», ma anche gli artt. 2, comma 1, lett. b), nn. 1) e 2), e 3, comma 1, lett. a), della stessa delega).
Esso impatta, però, su una disciplina esistente – recata dall’art. 1, commi 421-423, L. 30 dicembre 2004, n. 311 e dall’art. 27, commi 16, 17, 19 e 20, D.L. 29 novembre 2008, n. 185, come convertito dalla L. 28 gennaio 2009, n. 2 – che viene meno in concomitanza con l’entrata in vigore della nuova disciplina. Può dirsi, allora, che la disciplina esistente segni il perimetro di intervento del legislatore delegato, al quale del resto compete pure un generico potere di «revisione del sistema tributario» ai sensi dell’art.1 della delega, che dovrebbe sfociare in un «riordino organico delle disposizioni che regolano il sistema tributario» ai sensi del successivo art. 21 («mediante la redazione di testi unici, attenendosi ai seguenti princìpi e criteri direttivi: a) puntuale individuazione delle norme vigenti, organizzandole per settori omogenei, anche mediante l’aggiornamento dei testi unici di settore in vigore; b) coordinamento, sotto il profilo formale e sostanziale, delle norme vigenti, anche di recepimento e attuazione della normativa dell’Unione europea, apportando le necessarie modifiche, garantendone e migliorandone la coerenza giuridica, logica e sistematica, tenendo anche conto delle disposizioni recate dai decreti legislativi eventualmente adottati ai sensi dell’articolo 1; c) abrogazione espressa delle disposizioni incompatibili ovvero non più attuali». Si veda anche quanto previsto dal successivo comma 2).
Una qualche indicazione può forse trarsi dall’art. 20, comma 1, lett. a), della delega, laddove al n. 5) si chiede al legislatore delegato di «introdurre, in conformità agli orientamenti giurisprudenziali, una più rigorosa distinzione normativa anche sanzionatoria tra le fattispecie di compensazione indebita di crediti di imposta non spettanti e inesistenti». È ben vero che la previsione de qua attiene (quanto a collocazione) alle sanzioni, ma la congiunzione «anche» caldeggia un intervento ulteriore, di tipo sostanziale, anzi essa lascia intendere che l’intervento in sede sanzionatoria debba essere corollario di quest’ultimo, che cioè l’intervento sostanziale è poziore rispetto a quello in punto di sanzioni. Il legislatore delegato, però, non sembra essersi reso conto di ciò e si è limitato ad intervenire sulle sanzioni.
Naturalmente, vista la sede e i tempi a disposizione, non si procede ad un’analisi della nuova disciplina dell’art. 38-bis. Ci si limita ad alcuni spunti critici su tre aspetti, di probabile maggior risalto, allo scopo di contribuire proficuamente ad un dibattito che si spera possa portare agli opportuni interventi legislativi di correzione e integrazione voluti in seconda battuta dalla delega (si ricorda, infatti, che ex art. 1, comma 6, della stessa «il Governo è delegato ad adottare uno o più decreti legislativi contenenti disposizioni correttive e integrative dei decreti legislativi adottati ai sensi della presente legge, entro ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore dell’ultimo dei decreti legislativi medesimi ovvero dalla scadenza, se successiva, del termine di cui ai commi 1 o 4, nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi previsti dalla presente legge e secondo la procedura di cui al presente articolo»).
2. Così, innanzi tutto, risalta la distinzione tra crediti non spettanti e crediti inesistenti, già nell’esordio (ma non solo) dell’art. 38-bis («Per il recupero dei crediti non spettanti o inesistenti, l’Agenzia delle entrate applica, in deroga alle disposizioni vigenti, le seguenti»). Essa, estranea alla legislazione sostituita dal nuovo art. 38-bis (l’art. 1, comma 421, L. n. 311/2004 è dettato «per la riscossione dei crediti indebitamente utilizzati in tutto o in parte, anche in compensazione […], nonché per il recupero delle relative sanzioni e interessi […]» e l’art. 27 D.L. n. 185/2008 si riferisce sic et simpliciter ai «crediti inesistenti utilizzati in compensazione»), ha una matrice sanzionatoria.
Nel 2015, infatti, si differenziano le sanzioni, prima unificate, irrogabili ora «nel caso di utilizzo di un’eccedenza o di un credito d’imposta esistenti in misura superiore a quella spettante o in violazione delle modalità di utilizzo previste dalle leggi», ora «nel caso di utilizzo in compensazione di crediti inesistenti» (con la precisazione legislativa che sono inesistenti i crediti dei quali manca, in tutto o in parte, il presupposto costitutivo o insuscettibili di essere riscontrati mediante i procedimenti ex artt. 36-bis e 36-ter D.P.R. n. 600/1973 e 54-bis D.P.R. n. 633/1972), aggravandosi decisamente la risposta dell’ordinamento per la seconda ipotesi: così i commi 4 e 5 dell’art. 13 D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, introdotti dall’art. 15, comma 1, lett. o), D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158. Parallelamente lo stesso legislatore procede in sede penale, sostituendo all’unico reato (di utilizzo in compensazione di crediti non spettanti o inesistenti) i nuovi delitti di indebita compensazione per crediti non spettanti (ipotesi più lieve) e per crediti inesistenti (ipotesi più grave), ma senza descrivere le fattispecie di non spettanza e/o di inesistenza: così l’art. 10-quater D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, come modificato dall’art. 9, comma 1, D.Lgs. n. 158/2015.
La situazione è destinata a cambiare, essendo stati licenziati dal Governo alcuni giorni orsono i decreti legislativi di riforma dei testi sanzionatori tributari; in essi, infatti, e ai fini che qui interessano, si procede a meglio descrivere le fattispecie. In particolare, all’art. 13, comma 4, D.Lgs. n. 471/1997 viene meno il riferimento all’eccedenze e si definisce il credito non spettante: «Si considera credito non spettante il credito, diverso da quello di cui al comma 5, fondato su fatti reali non rientranti nella disciplina attributiva per il difetto di specifici elementi o particolari qualità. È non spettante altresì il credito utilizzato in violazione delle modalità di utilizzo previste dalle leggi vigenti ovvero, per la relativa eccedenza, quello fruito in misura superiore a quella prevista». Inoltre, al successivo comma 5 viene meno il riferimento ai procedimenti di liquidazione e controllo formale della dichiarazione, la cui applicabilità escludeva tout court l’inesistenza del credito, e si definisce l’inesistenza del credito, così allargata, alla sola mancanza del presupposto: «il credito per il quale manca, in tutto o in parte, il presupposto costitutivo». Parallelamente, si interviene in sede penale, riproponendosi la definizione di crediti non spettanti e inesistenti, sia pure in termini non del tutto coincidenti (cfr. le lett. g-ter e g-quater aggiunte all’art. 1 D.Lgs. n. 74/2000), e introducendosi una condizione di non punibilità per il delitto di indebita compensazione per crediti non spettanti, di cui all’art. 10-quater D.Lgs. n. 74/2000 («quando, anche per la naturatecnica delle valutazioni, sussistono condizioni di obiettiva incertezza in ordine agli specifici elementi o alle particolari qualità che fondano la spettanza del credito»).
Non so quanto possa essere corretto ai fini del recupero ex art. 38-bis D.P.R. n. 600/1973 attingere alle qualificazioni punitive, peraltro suscettibili di essere riferite a più procedimenti, anche diversi rispetto a quelli ex art. 38-bis D.P.R. n. 600/1973; tant’è che la delega richiedeva una distinzione «anche sanzionatoria tra le fattispecie di compensazione indebita di crediti di imposta non spettanti e inesistenti» (così l’art. 20, comma 1, lett. a), n. 5), ma, come si è detto, in sede sostanziale la distinzione non è stata realizzata. Il legislatore, inoltre, sembra essere stato influenzato dai recenti arresti delle Sezioni Unite della Cassazione, di cui alle sentenze nn. 34419 e 34452 dell’11 dicembre 2023, i quali però convincono poco, per le forzature nell’esegesi delle litterae legis – invero facilmente superabili – finalizzate ad attribuire pro amministrazione portata ricognitiva alla distinzione tra crediti non spettanti e crediti inesistenti introdotta nel 2015. Gli stessi convincono poco anche perché si avventurano in una distinzione netta tra le due ipotesi: che è solo parzialmente percorribile (al di là degli assiomi, alcune zone grigie sono ineliminabili); che muove da una lettura ampliativa, discutibile e contra reum, della fattispecie punitiva più grave; che è viziata dalla mancata distinzione tra crediti e eccedenze, mentre queste ultime sono correttamente riconducibili, quanto alle conseguenze sanzionatorie, alla sola previsione di cui all’art. 13, comma 4, D.Lgs. n. 471/1997 (per di più, esse sono state opportunamente espunte da tale previsione nella recentissima riscrittura dei testi sanzionatori, non ancora in Gazzetta).
Piuttosto occorrerebbe avere presente che la disciplina sostanziale dei crediti è frammentaria e stratificata, specie se si guarda a quelli di natura agevolativa, al punto che non è facile convergere su una definizione unitaria dei crediti tributari. Come anche occorrerebbe avere presente che vi sono definizioni specifiche (e di non facile coordinamento): ad esempio nei controlli cartolari delle dichiarazioni, di cui allo stesso D.P.R. n. 600/1973, l’Amministrazione qualifica i crediti, come spettanti o non spettanti, «sulla base dei dati risultanti dalle dichiarazione» (così l’art. 36-bis, comma 2, lett. e), D.P.R. n. 600/1973) ovvero «in base ai dati risultanti dalle dichiarazioni e dei documenti richiesti ai contribuenti» (così l’art. 36-ter, comma 2, lett. d), D.P.R. n. 600/1973). E ancora che per il recupero dei crediti sono possibili più vie, in aggiunta a quelle delineate dal neo-introdotto art. 38-bis D.P.R. n. 600/1973 (anch’esse non facilmente coordinabili tra loro): così, limitando l’attenzione allo stesso D.P.R. n. 600/1973, oltre ai controlli cartolari di cui agli artt. 36-bis e 36-ter citt., esso prevede anche l’accertamento parziale di cui all’art. 41-bis (laddove consente all’Amministrazione di accertare «l’esistenza di deduzioni, esenzioni ed agevolazioni in tutto o in parte non spettanti […] escluse le ipotesi di cui agli articoli 36-bis e 36-ter»).
3. Dalla lettura dell’art. 38-bis in esame risalta pure, già in prima battuta, la coesistenza di due distinti atti di recupero del credito, rectius l’introduzione di due distinti atti che tengono luogo dell’unico atto finora previsto. La disciplina finora vigente è data dall’art. 1, commi 421-423, L. n. 311/2004 e dall’art. 27, commi 16, 17, 19 e 20, D.L. n. 185/2008, ed appunto in concomitanza con l’introduzione della nuova essa viene abrogata (l’atto di recupero del credito, per come oggi lo conosciamo, nasce vent’anni orsono per procedere a recuperi dedicati e più efficaci di crediti d’imposta, aventi per lo più natura agevolativa – preoccupavano, in particolare, i crediti per l’incremento dell’occupazione e i crediti per gli investimenti nelle aree svantaggiate – utilizzati per compensare/elidere debiti tributari. Solo che stranamente si procede praeter legem, con circolari amministrative, principalmente la n. 35/E dell’8 luglio 2003, che forniva addirittura gli schemi di provvedimento, salvo poi porvi rimedio in sede legislativa con la L. n. 311/2004, che “in sanatoria” regola tanto l’atto di recupero dei crediti indebitamente utilizzati in tutto o in parte, anche in compensazione, ma anche delle relative sanzioni e dei collegati interessi, quanto la successiva attività di riscossione).
Più esattamente, nell’ambito dell’art. 38-bis, comma 1, D.P.R. n. 600/1973, all’atto di recupero del credito d’imposta, di cui alla lett. a) (previsto «per la riscossione dei crediti non spettanti o inesistenti utilizzati, in tutto o in parte, in compensazione ai sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241»), se ne affianca un altro, previsto dalla lett. g), che in assenza di specifiche disposizioni si applica «per il recupero di tasse, imposte e importi non versati, compresi quelli relativi a contributi e agevolazioni fiscali indebitamente percepiti o fruiti ovvero a cessioni di crediti di imposta in mancanza dei requisiti». Il secondo si connota: per un unico termine di decadenza («entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui è avvenuta la violazione») in luogo dei due termini previsti per il primo («entro il 31 dicembre del quinto anno e dell’ottavo anno successivo a quello del relativo utilizzo» a seconda che si tratti di crediti non spettanti e di crediti inesistenti); per una disciplina parzialmente diversa, data da alcune delle lettere precedenti (a, b, d, f), che sconosce la distinzione tra crediti non spettanti e crediti inesistenti.
Ma, ragionandovi sopra, la connotazione del secondo atto, quello di cui alla lett. g), risulta manchevole e probabilmente si può cogliere solo in via differenziale rispetto al primo atto, quello di cui alla lett. a), presentandosi il secondo come residuale.
Diversi sarebbero i profili da indagare, ma in questa sede ci si limita a ragionare (di quello che probabilmente è il profilo di maggiore impatto, vale a dire) dell’ambito di operatività. Ciò perché: per un verso, l’art. 38-bis è collocato all’interno del D.P.R. n. 600/1973, il cui perimetro è dato dalle imposte sui redditi, delle quali contiene le disposizioni in materia di accertamento; per altro verso, si definisce espressamente un diverso ambito di operatività solo con riferimento all’atto di cui alla lett. g) («tasse, imposte e importi non versati, compresi quelli relativi a contributi e agevolazioni fiscali indebitamente percepiti o fruiti ovvero a cessioni di crediti di imposta in mancanza dei requisiti»), senza che invece si dica alcunché circa l’atto di cui alla lett. a); per altro verso ancora, a fronte del perimetro amplissimo dell’atto di cui alla lett. g) (di cui si è detto), risalta che nulla dicano le norme con riferimento all’atto di cui alla lett. a). Di certo c’è che a fronte di tutto ciò l’ambito di operatività dell’atto di cui alla lett. a) dovrebbe essere (più) puntuale e coerente con la sedes del D.P.R. n. 600/1973.
A differenza di quanto in prima battuta può pensarsi, non dovrebbe servire a definire l’ambito di operatività (dell’atto di cui alla lett. a) la previsione della lett. c), laddove si richiama «la riscossione di crediti non spettanti e inesistenti, di cui all’articolo 13, commi 4 e 5, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471»: il riferimento è, infatti, a previsioni sanzionatorie che in sé considerate nulla dicono circa il loro ambito di applicazione (si ascrivono al titolo delle sanzioni in materia di riscossione e, segnatamente, a quelle circa i ritardati od omessi versamenti diretti e altre violazioni in materia di compensazione). Un’indicazione, forse, si sarebbe potuta trarre dal comma 5 dell’art. 13 citato, laddove – nel testo per poco ancora vigente – con riguardo ai crediti inesistenti si escludono da questi ultimi quelli recuperabili per il tramite dei controlli cartolari ex artt. 36-bis e 36-ter D.P.R. n. 600/1973 e 54-bis D.P.R. n. 633/1972, con ciò lasciando intendere di riferirsi comunque a violazioni in materia di imposte sui redditi ed IVA. Ma, come si è detto in precedenza, nel nuovo art. 13 (nel testo licenziato dal Governo e non ancora pubblicato) è venuto meno ogni riferimento ai procedimenti di liquidazione e controllo formale della dichiarazione (di cui ai citati artt. 36-bis, 36-ter, 54-bis); ne consegue che i commi 4 e 5 dell’art. 13, come riformulati, non rilevano ai fini di determinare l’ambito di operatività dell’atto di cui alla lett. a) dell’art. 38-bis, comma 1, D.P.R. n. 600/1973.
Allora probabilmente non resta che valorizzare la sedes dell’art. 38-bis in esame, ovvero la sua collocazione nell’ambito del D.P.R. n. 600/1973, che appunto contiene disposizioni destinate alle imposte sui redditi, con il risultato di destinare solo a queste ultime la disciplina dell’atto di recupero di cui alla lett. a) dell’art. 38-bis. Sovvengono considerazioni analoghe a quelle fatte per altri articoli dello stesso D.P.R. n. 600/1973: così la previsione di solidarietà tra gli eredi per i debiti tributari del de cuius di cui all’art. 65, comma 1, D.P.R. n. 600/1973 («gli eredi rispondono in solido delle obbligazioni tributarie il cui presupposto si è verificato anteriormente alla morte del dante causa»), nonostante letture volte alla sua generalizzazione, è stata limitata alle sole imposte sui redditi (già Cass., 13 ottobre 1975, n. 3277; Corte. cost., 20 marzo 1985, n. 67), affermandosi per gli altri tributi la regola generale di normale distribuzione dei pesi in proporzione alle quote che derivano ai successori (l’art. 752 c.c., quanto alle persone fisiche, esprime appunto una regola basilare – ripresa dall’art. 754 c.c., ma anche dall’art. 1295 c.c., che la fa prevalere sull’eventuale solidarietà – che non può non applicarsi al diritto tributario, rispetto alla quale la solidarietà di cui all’art. 65, comma 1, D.P.R. n. 602/1973 si atteggia la stregua di una deroga, come tale è insuscettibile di estensione al di là delle imposte sul reddito delle persone fisiche, per cui è dettata).
Mi rendo conto che addivenire alla conclusione di limitare così l’ambito di operatività dell’atto di recupero di cui alla lett. a) dell’art. 38-bis, comma 1, D.P.R. n. 600/1973, è riduttiva rispetto alla disciplina esistente e, probabilmente, mortifica tutta una serie di impieghi dei crediti tributari, principalmente quanto all’IVA, ma è difficile de iure condito suffragare soluzioni di maggior respiro.
Di fronte alla pochezza della legge delega e alla sciatteria del legislatore delegato non si può che confidare negli interventi correttivi e integrativi previsti dalla stessa delega (ex art.1, comma 6, della stessa riprodotto nel precedente paragrafo 1), peraltro abbastanza facili. Va da sé che tali interventi non sono sostituibili da eventuali atti di indirizzo politico-amministrativo del Ministro dell’Economia e delle Finanze, cui si riferisce il nuovo art. 10-septies dello Statuto dei diritti del contribuente, neppure considerandoli alla stregua di “super-circolari”: ciò è ultroneo, ma forse giova dirlo, visto il recente abnorme atto di indirizzo del 28 febbraio 2024 circa la nuova disciplina del contraddittorio ex art. 6-bis dello Statuto.
4. Quelle evidenziate sono deficienze, probabilmente emendabili per come si è detto, a maggior ragione in una prospettiva di riscrittura dell’ordinamento (Testi Unici e Codice), che si devono a velocità ed approssimazione di vari passaggi della riforma fiscale in essere, tanto in sede di delega, quanto in sede di decreti delegati. E sempre a velocità ed approssimazione si devono alcuni mancati coordinamenti, sui quali quivi si vogliono spendere alcune considerazioni finali. Si procede per cenni (anche perché gli argomenti sono corposi e meriterebbero ben altre attenzioni), distinguendo a seconda che i mancati coordinamenti riguardino la disciplina consolidata ovvero quella espressione della riforma.
I primi mancati coordinamenti, quelli sulla disciplina consolidata, impattano su profili meritevoli di maggiore attenzione, non fosse altro che per le esperienze applicative registrate. Come è noto, coesistono diversi procedimenti idonei al recupero dei crediti. Si sono richiamati liquidazioni e controllo formale della dichiarazione (di cui ai citati artt. 36-bis e 36-ter D.P.R. n. 600/1973 e 54-bis D.P.R. n.633/1972), ma anche gli accertamenti parziali (di cui agli artt. 41-bis D.P.R. n. 600/1973 e 54, comma 5, D.P.R. n. 633/1972); ad essi si aggiungono i nuovi atti di recupero dei crediti di cui all’art. 38-bis D.P.R. n. 600/1973 (che, però, ripropongono, pur con variazioni, la disciplina di cui all’art. 1, commi 421 ss., L. n. 311/2004). E diversi sono i regimi sanzionatori (anche in conseguenza dei diversi itinerari percorribili). Una lettura complessiva di tali procedimenti porta a valorizzare le specificità degli stessi: maggiori nei procedimenti cartolari, che pertanto troverebbero applicazione innanzi tutti; minori negli accertamenti parziali, che pertanto troverebbero applicazione in seconda battuta. E vi sono alcune utili previsioni di coordinamento: negli artt. 41-bis D.P.R. n. 600/1973 e 54, comma 5, D.P.R. n. 633/1972, dopo le modifiche recate dalla L. n. 311/2004, si escludono espressamente come possibili contenuti degli accertamenti parziali le ipotesi disciplinate dagli artt. 36-bis, 36-ter D.P.R. n. 600/1973 e 54-bis D.P.R. n. 633/1972 (il che fa il paio con le previsioni degli artt. 1, comma 5, e 5, comma 4-quater, D.Lgs. n. 471/1997 che consentono di sanzionare l’insufficiente dichiarazione quanto alla differenza tra l’ammontare del tributo liquidato in base all’accertamento e quello liquidabile in base alle dichiarazioni ai sensi degli artt. 36-bis, 36-ter, 54-bis citati); nell’art. 13 D.Lgs. n. 471/1997, sia pure a fini sanzionatori, si escludono (nel testo ad oggi vigente, ma per poco, viste le imminenti modifiche) dai crediti inesistenti quelli riscontrabili ai sensi degli artt. 36-bis e 36-ter D.P.R. n. 600/1973 e 54-bis D.P.R. n. 633/1972. Dal che discenderebbe – in aggiunta all’ordine esposto – la collocazione residuale degli atti di recupero, laddove cioè non operino gli altri procedimenti.
Sul fragile quadro testé ricostruito interviene il legislatore della riforma, non già per corroborarlo, ma rischiando di incrinarlo. Invero la delega non si avvede del problema (della coesistenza di più procedimenti) e il legislatore delegato probabilmente lo sottovaluta. Così di quest’ultimo sono da apprezzare: l’espunzione dalla previsione circa i crediti non spettanti ai sensi del novellato art. 13, comma 4, D.Lgs. n. 471/1997 delle eccedenze (che così dovrebbero essere oggetto solo dei controlli cartolari); l’eliminazione dal successivo comma 5 del divieto di definizione agevolata delle violazioni relative ai crediti inesistenti (non giustificabile in sé e fonte di notevoli disparità, avallate da taluna giurisprudenza, laddove l’Amministrazione, non cogliendo le differenze tra i procedimenti di recupero, si attivi ora per il tramite dei controlli cartolari ora per altre vie). Tuttavia, non si comprende perché ricomprendere tra i crediti inesistenti – meglio, nella previsione sanzionatoria che li riguarda ex art. 13, comma 5, D.Lgs. n. 471/1997, come dalla novella di questi giorni, non ancora pubblicata in Gazzetta – quelli accertabili per il tramite dei controlli cartolari (facendo venir meno l’esclusione finora presente nella disciplina). Infatti, ciò complica immotivatamente il quadro di riferimento, introiettandosi la distinzione tra crediti non spettanti e crediti inesistenti in seno ai controlli automatizzati, con implicazioni di non poco conto (a tacer d’altro in punto sanzionatorio); inoltre, così facendo, il legislatore delegato contravviene all’indicazione della delega – di cui all’art. 20, comma 1, lett. a), n. 5, L. n. 130/2023 – che vuole una più rigorosa distinzione tra crediti non spettanti e crediti inesistenti, anche a fini sanzionatori, «in conformità agli orientamenti giurisprudenziali», visto che proprio le recenti pronunce delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, cui si è ispirato il legislatore delegato (nn. 34419/2023 e 34452/2023 citati), giustificano la portata ricognitiva della distinzione tra crediti non spettanti e crediti inesistenti introdotta nel 2015 anche in ragione dell’estraneità dei crediti inesistenti alle previsioni dei controlli cartolari (similiter Cass., 20 febbraio 2023, n. 5243, cui verosimilmente si riferiva la delega, essendo successive ad essa le pronunce nn. 34419/2023 e 34452/2023, cui invece sembra essersi ispirarsi il legislatore delegato).
È vero che a quest’ultimo guasto si può rimediare facilmente in sede di decreti correttivi, ripristinandosi l’esclusione dai crediti inesistenti di quelli accertabili mediante i procedimenti artt. 36-bis e 36-ter D.P.R. n. 600/1973 e 54-bis n.633/1972. Sarebbe, però, preferibile, in attuazione della delega di cui all’art. 20, comma 1, lett. a), n. 5, citato, introdurre (o spostare) in altra sede legislativa, magari nello Statuto dei diritti dei contribuente, la distinzione tra crediti non spettanti e crediti inesistenti, valorizzando proprio la congiunzione «anche» presente nella menzionata previsione di delega, e nella stessa sede chiarire che gli atti di recupero dei crediti di cui al nuovo art. 38-bis D.P.R. n. 600/1973 hanno un’applicazione residuale rispetto agli altri procedimenti presenti nell’ordinamento (sull’esempio di quanto accaduto per l’accertamento dell’abuso del diritto con la previsione dell’art. 10-bis, comma 12, dello Statuto).
Si passa a questo punto ai secondi mancati coordinamenti, quelli che riguardano la disciplina espressione della riforma. Le ipotesi considerabili sarebbero tante. I risultati, però, sarebbero probabilmente poco proficui, vuoi per la novità (che esige più sedimentate riflessioni), vuoi per essere la disciplina ancora in itinere (da completare/integrare/correggere/specificare), e di certo sarebbero incompatibili con i tempi (e gli effetti sperati) di questa mia relazione. Sicché occorre essere telegrafici. Allora mi limito ad un solo velocissimo accenno di considerazioni, emblematico delle esigenze di aggiustamenti a venire, nella speranza che esso non avrà più ragione di essere svolto di qui a qualche mese.
Con una formulazione non proprio felice (verosimile frutto di un maldestro copia-incolla: ad esempio, analoga dicitura si rinviene nell’art. 25, comma 12, D.L. 19 maggio 2020, n. 34, come convertito dalla L. 17 luglio 2020, n. 77) l’art. 38-bis D.P.R. n. 600/1973 stabilisce che «per le controversie relative all’atto di recupero di cui alla lettera a) si applicano le disposizioni previste dal decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546» (cfr. la lett. f) del comma 1, ma essa è poi estesa all’atto di cui alla successiva lett. g), così volendosi devolvere le controversie sugli atti di recupero al giudice tributario: ma di ciò non si è mai dubitato (cfr., ad esempio, Cass., 7 aprile 2011, n. 8033 e, più di recente, Cass., Sez. Un. 13 dicembre 2023, n. 34851). Piuttosto, risalta che per giungere a tanto non si è seguita la via che sarebbe stata di gran lunga preferibile, id est la menzione dell’atto di recupero del credito tra gli atti impugnabili ex art. 19 D.Lgs. n. 546/1992, anche perché impattandosi su crediti di natura agevolativa non tutte le controversie che li riguardano vanno al giudice tributario (come precisato, ad esempio e di recente, proprio da Cass., Sez. Un. n. 34851/2023 citata).
Solo che alla mancata menzione dell’atto di recupero del credito tra gli impugnabili ai sensi dell’art. 19 D.Lgs. n. 546/1992 consegue che ad esso non si applichino le nuove basilari discipline del contraddittorio e della motivazione, di cui rispettivamente agli artt. 6-bis e 7 dello Statuto, riservate expressis verbis agli atti «autonomamente impugnabili dinanzi agli organi della giurisdizione tributaria» (mentre, a meno di letture formalistiche, non dovrebbero esserci problemi ad applicare loro altre nuove previsioni, quali quelle sull’invalidità o sull’autotutela, riferite o riferibili agli atti impugnabili). Non credo che il legislatore volesse arrivare a tanto, anche perché, a tacer d’altro e sorvolando sull’importanza di tali discipline, si creerebbero vuoti normativi difficili da colmare e irragionevoli disparità di trattamento: il contraddittorio per il recupero dei crediti vige di certo laddove si utilizzino atti diversi da quelli di cui all’art. 38-bis D.P.R. n. 600/1973 (finanche passando per le forche caudine delle liquidazioni delle dichiarazioni), i quali poi soggiacciono al riformulato obbligo di motivazione. Anche se va detto che probabilmente una lettura di sistema consentirebbe comunque di riferire anche ai nuovi atti di recupero ex art. 38-bis le previsioni degli artt. 6-bis e 7 dello Statuto.
(*) Bozza della relazione al Convegno “Riforma tributaria: novità in tema di accertamento presso Sapienza Università di Roma – Facoltà di Economia, 8 marzo 2024.
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