La cessione indiretta dell’azienda (con previo riscatto di beni in leasing) tra formalismi inutili e simmetrie neglette
Di Andrea Manzitti
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(nota a/notes to Cass., sez. trib., 22 marzo 2023, n. 8235)
Abstract
La nota analizza criticamente l’iter-logico argomentativo e la conclusione della Suprema Corte in una peculiare fattispecie di cessione indiretta d’azienda formata da beni condotti in locazione finanziaria e riscattati prima del trasferimento.
The indirect transfer of a business (with prior redemption of leased assets) between unnecessary formalisms and neglected symmetries – The note critically review the argumentative pattern and the conclusion of the Supreme Court in a peculiar case of indirect transfer of a business composed of assets held under financial leasing and legally purchased shortly before the transfer.
Sommario:1. La fattispecie esaminata, le questioni giuridico-tributarie vagliate e il principio di diritto scolpito dalla Suprema Corte. – 2. Le origini della participationexemption e l’espressa volontà di equiparare la cessione d’azienda alla cessione delle quote di partecipazioni. – 3. L’iter logico-giuridico seguito dalla Cassazione per giungere alle conclusioni rassegnate. Le ragioni della sua criticabilità. – 4.(Segue). Sulla ritenuta decisività dell’iscrizione nel bilancio della conferente dei beni che formano l’azienda conferita. – 5.(Segue). Sulla ritenuta necessità che la conferente sia proprietaria dei beni che componevano la azienda conferita (nel caso di specie condotti in locazione finanziaria e riscattati poco prima del conferimento). – 6.(Segue). In modo particolare, sulla non condivisibilità dell’obiter dictum della Suprema Corte secondo cui la participation exemption si giustifica “soltanto” per l’assenza di intento speculativo.
1. Sfrondati dagli elementi non essenziali, i fatti e le questioni giuridiche oggetto della sentenza in commento sono riassumibili nei termini che seguono.
Una società attiva nella produzione di olio di oliva conduceva in locazione finanziaria un “compendio immobiliare” costituito da immobili, impianti e macchinari che utilizzava nell’attività d’impresa. La medesima società svolgeva, anche con altri mezzi di proprietà e personale proprio, la lavorazione dell’olio.
Decisasi a cedere l’intera attività a terzi, ha posto in essere l’usuale struttura di cessione indiretta dell’azienda (conferimento dell’azienda in società di nuova costituzione e successiva cessione delle partecipazioni). Il giorno prima del conferimento, la società ha riscattato i beni condotti in locazione finanziaria per includerli nel perimetro dell’azienda conferita.
L’Ufficio accertava l’operazione negando l’applicazione della PEX sulla quota parte della plusvalenza riferibile ai beni precedentemente condotti in locazione finanziaria poiché i predetti beni non erano stati “iscritti in bilancio” e non erano stati posseduti per l’holding period previsto dalla legge (all’epoca dei fatti 18 mesi, ora 12).
Mentre i giudici del merito accoglievano il ricorso della società, con la sentenza in commento la Corte di Cassazione ha invece accolto il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, enunciando il seguente principio di diritto.
«Il combinato disposto degliartt. 87, comma 1, e 176, comma 4, TUIR, nel prevedere l’esenzione parziale da tassazione dellaplusvalenza generata dal trasferimento di partecipazioni od azioni di una società in cui siaricompresa un’azienda già oggetto di conferimento – stabilendo che il requisito temporale e diiscrizione a bilancio di cui all’art. 87, cit., può essere riferito anche al periodo in cui l’azienda èstata posseduta dal soggetto conferitario – fa riferimento ai beni aziendali e dunque allarelativa proprietà e non alla mera titolarità dell’azienda in sé, dovendosi così escludere che sipossa a tal ne considerare presenti i requisiti temporali suddetti ove l’azienda sia nellatitolarità della conferitaria da almeno diciotto mesi (in base alla disciplina applicabile rationetemporis), ma i relativi beni siano invece entrati in sua proprietà, e quindi iscritti a bilancio,da un periodo inferiore. Ai fini suddetti, il presupposto della iscrizione a bilancio dei beni facenti parte dell’azienda,non può dirsi soddisfatto dalla loro mera annotazione sui conti d’ordine ovvero dalla loroindicazione nell’ambito della nota integrativa, i quali svolgono una funzione informativa».
La perentoria conclusione della Suprema Corte offre spunti per alcune riflessioni critiche.
2. Per impostare l’analisi, occorre partire dalla riforma IRES (2003) che introdusse la cd. “participation exemption” o “PEX” in attuazione della legge delega per la riforma tributaria (L. 7 aprile 2003, n. 80).
Uno dei criteri direttivi della legge delega (art. 4, comma 1, lett. c) così disponeva: «esenzione delle plusvalenze realizzate relativamente a partecipazioni in società con o senza personalità giuridica, sia residenti sia non residenti, al verificarsi delle seguenti condizioni: 1) riconducibilità della partecipazione alla categoria delle immobilizzazioni finanziarie prevedendo oltre al riferimento alle classificazioni di bilancio anche il requisito di un periodo di ininterrotto possesso non inferiore ad un anno; 2) esercizio da parte della società partecipata di un’effettiva attività commerciale».
Nei dibattiti precedenti all’approvazione del D.Lgs. n. 344/2003, che attuò la legge delega, venne sollevato il dubbio che se riservata alle sole plusvalenze su partecipazioni la PEX avrebbe discriminato fiscalmente la cessione diretta dell’azienda, che è un evento realizzativo, rispetto alla cessione indiretta della stessa mediante cessione delle partecipazioni della società che possiede l’azienda, evento che invece sarebbe stata esente al 100%.
Si trattava, in sostanza, di coordinare l’introduzione della PEX con un altro principio direttivo, contenuto nell’art. 4, comma 1, lett. m), che disponeva il «mantenimento e razionalizzazione dei regimi di neutralità fiscale e di determinazione del reddito imponibile previsti dallo stesso decreto legislativo [NB, si trattava del n. 358 del 1997] e dal decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 544, al fine di renderli coerenti alle logiche della disciplina recata dalla riforma».
In accoglimento della condivisibile osservazione, venne introdotta una norma – il comma 4 dell’art. 176 – che consentiva le cessioni indirette dell’azienda mediante (a) conferimento dell’azienda stessa in neutralità fiscale e (b) cessione delle partecipazioni nella conferitaria.
Al fine di non costringere il cedente ad attendere 12 mesi dopo il conferimento per maturare l’holding period richiesto per la PEX, la norma dispone che «[l]e aziende acquisite in dipendenza di conferimenti effettuati con il regime di cui al presente articolo si considerano possedute dal soggetto conferitario anche per il periodo di possesso del soggetto conferente. Le partecipazioni ricevute dai soggetti che hanno effettuato i conferimenti di cui al periodo precedente o le operazioni di cui all’articolo 178, in regime di neutralità fiscale, si considerano iscritte come immobilizzazioni finanziarie nei bilanci in cui risultavano iscritti i beni dell’azienda conferita o in cui risultavano iscritte, come immobilizzazioni, le partecipazioni date in cambio».
In questo modo, i requisiti di commercialità e periodo di possesso riferiti all’azienda conferita e maturati in capo alla conferente venivano traslati alla conferitaria, consentendo alla conferente di cedere in PEX le partecipazioni nella conferitaria un attimo dopo l’effettuazione del conferimento.
In definitiva, il sistema nato con l’introduzione dell’IRES prevedeva due modalità per la cessione di una azienda: (a) cessione diretta o (b) cessione indiretta.
Le conseguenze tributarie delle due operazioni sono profondamente diverse:
la cessione diretta è un atto realizzativo, che dà luogo alla formazione di plusvalenze o minusvalenze rilevanti ai fini delle imposte sui redditi. In contropartita alla plusvalenza tassabile in capo al cedente, l’acquirente acquista un costo fiscalmente riconosciuto pari al prezzo pagato e che ha concorso alla determinazione della citata plusvalenza;
la cessione indiretta è un procedimento neutrale, che non dà luogo alla formazione di plusvalenze o minusvalenze rilevanti ai fini delle imposte sui redditi. In contropartita alla plusvalenza esente in capo al cedente, l’acquirente eredita il costo fiscalmente riconosciuto presso quest’ultimo, evidentemente inferiore al prezzo pagato.
Tuttavia, per l’Erario cambia poco o nulla1, perché una cessione “plusvalente”:
se è effettuata in modo diretto, le imposte sono pagate subito dall’acquirente ma sono recuperate tramite maggiori ammortamenti deducibili per l’acquirente dopo l’acquisto. L’anticipo della tassazione è parzialmente corretto mediante la possibilità di tassare la plusvalenza in non più di 5 esercizi. In questo modo, le imposte pagate dall’acquirente sono tendenzialmente pari a quelle risparmiate dall’acquirente di modo che il conto dell’Erario chiude a zero;
se è effettuata in modo indiretto, non sono dovute imposte e, come nel caso della cessione diretta, il conto dell’Erario chiude a zero.
Tralasciando ogni considerazione circa la tassazione indiretta delle due ipotesi, in cui la scelta tra cessione diretta o indiretta non è altrettanto neutra per l’Erario, si può quindi concludere che la scelta per l’una o l’altra modalità può essere liberamente effettuata dalle parti. Quand’anche la scelta fosse dettata esclusivamente da ragioni di convenienza fiscale, il risparmio d’imposta ottenuto non può essere considerato elusivo.
Per fugare ogni dubbio sulla legittimità della scelta per una cessione indiretta è stato – ad abundantiam – specificato (comma 3 dell’art. 176 TUIR) che questa non costituisce elusione (ora abuso del diritto)2.
Risulta quindi evidente che l’applicazione della PEX anche alle cessioni indirette dell’azienda non è una agevolazione fiscale. È una norma “di sistema”, diretta espressione della simmetria che permea la tassazione dei beni d’impresa. Come tale, non dovrebbe essere oggetto di interpretazioni restrittive.
Nei casi dubbi, l’interpretazione sistematica dovrebbe guidare l’analisi, anche laddove il tenore letterale della norma non dovesse aiutare.
Purtroppo, nulla nella sentenza in commento fa pensare che i giudici si siano interrogati in ordine alla collocazione delle norme rilevanti nel sistema della tassazione d’impresa.
Le spiegazioni fornite in ordine alla ratio della PEX sono, come vedremo subito, assai discutibili.
3. Il percorso argomentativo seguito dal Supremo Collegio è stato il seguente:
per l’esenzione, la legge richiede il possesso ininterrotto delle partecipazioni cedute per almeno 18 mesi (oggi 12);
l’art. 176 stabilisce che le aziende acquisite per effetto di conferimenti si considerano possedute dalla conferitaria anche per il periodo di possesso della conferente e che le partecipazioni ricevute in cambio si considerano iscritte come immobilizzazioni finanziarie nei bilanci in cui risultano iscritti i beni dell’azienda conferita;
nel caso di specie, alla data del conferimento la conferente disponeva di due rami di azienda. Dei beni che componevano il secondo, tuttavia, aveva formalmente acquisito la proprietà solo pochi attimi prima del conferimento mediante riscatto anticipato dei beni sino a quel momento condotti in locazione finanziaria;
la circostanza che la gestione aziendale della conferente comprendesse da parecchi anni anche il ramo aziendale oggetto di riscatto anticipato è irrilevante, poiché l’unico elemento rilevante ai fini del decidere «è solo la proprietà dei beni in capo all’imprenditore che nella specie divennero [di sua] proprietà solo nel 2006»;
la “participation exemption” si giustifica “soltanto” per l’assenza di intento speculativo;
«le plusvalenze realizzate in seguito alla cessione di una partecipazione caratterizzata dall’acquisto di una parte dei beni aziendali solo in prossimità della cessione stessa, non dipendono – per quella parte – da riserve di utili già tassati presenti nel patrimonio netto della società o comunque da utili attesi futuri, come invece presuppone il meccanismo della participation exemption, prevista per evitare la duplice tassazione degli stessi»;
«la rilevanza del periodo di possesso dell’azienda da parte del conferente è strettamente legata all’iscrizione a bilancio dei beni aziendali più che all’azienda» a sua volta legata alla loro proprietà in capo all’azienda;
nella specie i beni riscattati in prossimità del conferimento 2006, non erano iscritti nel bilancio della conferente, ma soltanto inseriti nei conti d’ordine e menzionati nella nota integrativa; tali annotazioni non sono classificabili come iscrizioni a bilancio.
Il ragionamento si presta ad alcune considerazioni critiche.
4 (Segue).La prima riguarda la rilevanza – ritenuta decisiva dalla Suprema Corte – dell’iscrizione nel bilancio della conferente dei beni che formano l’azienda conferita.
Oltre al c.d. “minimum holding period” la PEX richiede che, in sede di prima iscrizione nel bilancio della società cedente, la partecipazione venga iscritta tra le immobilizzazioni finanziarie.
Con ciò si intende riservare il regime PEX alle partecipazioni societarie diverse da quella detenute per la rivendita (“held for trading”, nella terminologia dei principi contabili internazionali3). La rilevanza della prima iscrizione serve ad evitare riclassificazioni opportunistiche ottenibili spostando la partecipazione da una all’altra voce in prossimità di un realizzo per dedurre una minusvalenza o approfittare della PEX.
L’accento normativo è posto sulla classificazione contabile piuttosto che sulla iscrizione in bilancio, poiché è scontato che qualsiasi partecipazione detenuta da una società debba essere iscritta nell’attivo di bilancio, tranne forse nel caso in cui sia stata acquistata gratuitamente e il suo valore di presumibile realizzo sia pari a zero.
Ciò che importa è, quindi, la classificazione impressa inizialmente alla partecipazione da parte dei redattori del bilancio, non tanto l’iscrizione in bilancio di per sé.
Si prenda il caso (appena citato) di una società che acquista senza corrispettivo una partecipazione di controllo in altra società. Se al momento dell’acquisto il suo valore di presumibile realizzo è pari a zero, la partecipazione non deve necessariamente essere iscritta in bilancio. Se anni dopo quella partecipazione fosse ceduta verso corrispettivo, non vi sarebbero motivi validi per negare la PEX sulla plusvalenza realizzata perché manca l’iscrizione in bilancio.
Nella sistematica della tassazione societaria, questa circostanza è irrilevante. Ciò che importa è se la partecipazione aveva o meno i requisiti per essere iscritta tra le immobilizzazioni finanziarie ove avesse avuto un valore di presumibile realizzo maggiore di zero. Ove ciò sia ragionevolmente accertato, solo una interpretazione formalistica e irrispettosa dei principi potrebbe condurre a negare in questo caso l’applicazione della PEX.
5. (Segue). La seconda notazione critica riguarda la necessità che la conferente fosse giuridicamente proprietaria dei beni che componevano la seconda azienda che nel caso risolto erano condotti in locazione finanziaria e riscattati poco prima del conferimento.
La tesi della Cassazione porta a concludere che in ogni caso di conferimento di azienda composta (anche) da beni detenuti non a titolo di proprietà, ma di locazione semplice, locazione finanziaria, affitto ecc., il regime PEX sulla successiva cessione della partecipazione nella conferitaria sarebbe applicabile solo dopo la completa maturazione dell’holding period riferito alla partecipazione. In caso contrario, la PEX si applicherebbe solo sulla quota ideale della plusvalenza riferita ai beni di proprietà della conferente/cedente.
Questa conclusione desta molte perplessità.
La prima è relativa all’apparente contrasto con la lettera e con la ratio del comma 4 dell’art. 176 TUIR.
La norma effettivamente menziona l’iscrizione in bilancio “dei beni dell’azienda conferita”. Inoltre, è vero che normalmente si iscrivono in bilancio i beni di proprietà della società. La sentenza in commento riconosce correttamente che «è pacifico che i beni costituenti un ramo aziendale possono essere nella disponibilità dell’imprenditore non solo quale proprietario, ma anche quale utilizzatore in base ad un contratto di leasing, quale locatore etc.». Solo che poi aggiunge che «[…] ai fini che ne occupano ciò che rileva è solo la proprietà dei beni in capo all’imprenditore».
Questo presuppone che quando la norma menziona i “beni dell’azienda conferita” debba essere letta come “beni dell’azienda conferita e di proprietà della conferente”.
A me pare che questa lettura non sia accettabile.
In primo luogo, perché si pone in contrasto con il testo letterale. In secondo luogo, perché seppure l’art. 2555 c.c. descrive l’azienda come «il complesso dei beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa», è scontato che nel perimetro aziendale siano compresi “beni giuridici” che non sono di proprietà dell’azienda e che non sono iscritti nel bilancio della società che la possiede.
Per i beni in leasing i principi contabili internazionali prevedono il c.d. “rigt of use model”, in cui l’utilizzatore iscrive (il diritto di uso de)i beni tra le immobilizzazioni, mentre quelli nazionali prevedono il c.d. metodo patrimoniale, per cui i beni si iscrivono nell’attivo dell’utilizzatore solo dopo il riscatto.
Seguendo il principio di diritto espresso dalla Cassazione nella sentenza in commento, la tassazione della cessione indiretta dell’azienda sarebbe diversa a seconda dei principi contabili adottati, per obbligo o per scelta, dalla società cedente.
Si tratta di un esito interpretativo dissonante rispetto ai principi generali e alla simmetria logica che permea la fiscalità diretta dell’impresa4.
6. (Segue).A quanto osservato va aggiunto che non è condivisibile l’obiter dictum della Suprema Corte – fortunatamente estraneo al principio di diritto – secondo cui la “participation exemption” si giustifica “soltanto” per l’assenza di intento speculativo.
Il c.d. “intento speculativo” ha avuto rilevanza ai fini IRPEF sino all’approvazione del TUIR. Dopo essere stato espunto dall’impianto normativo, l’“intento speculativo” è tornato rilevante ai fini tributari nell’ambito della legge delega per la riforma fiscale (L. 9 agosto 2023, n. 111) che prelude a nuove norme sulla tassazione dei guadagni derivanti dalla cessione di opere d’arte5.
Per le società, il problema dell’intento speculativo neppure si pone, poiché per definizione ognuna società “vive” per conseguire utili e ogni atto da queste compiuto è intrinsecamente “speculativo”. Infatti, è semmai la c.d. “antieconomicità” a destare sospetti, proprio nella considerazione della “stranezza” del comportamento tenuto dalla società che, per una volta, non pare orientato all’ottenimento e alla massimizzazione dei propri guadagni.
Ad ogni modo, l’intento della società che vende una partecipazione un mese dopo l’acquisto e di quella che vende dopo 12 o 18 mesi è identico ed è quello di conseguire profitto mediante la compravendita di un bene6.
Pertanto, se l’obiter dictum è servito alla Suprema Corte solo per ricordare con altre parole che la participation exemption richiede un periodo minimo di possesso, nulla di grave. Se così non fosse e l’obiter divenisse principio di diritto, alle 4 condizioni poste dalla legge per l’accesso alla participation exemption la Suprema Corte ne avrebbe aggiunto una quinta, cioè l’assenza di “intento speculativo”.
Così non può essere perché è universalmente riconosciuto che la participation exemption si giustifica non già con l’assenza di intento speculativo ma con l’esigenza di evitare la doppia imposizione economica degli utili societari. Nel caso risolto dalla sentenza in commento, si genera inevitabilmente una doppia imposizione perché la tassazione della plusvalenza in capo alla società conferente-cedente non dà luogo ad un riconoscimento di maggiori valori fiscali né in capo alla conferitaria né alla società acquirente. Il che è esattamente quello che il sistema dell’IRES, per ottime ragioni, intende evitare.
Sarebbe più utile domandarsi quale sia la ratio della condizione di un periodo minimo di possesso della partecipazione ceduta per accedervi, che non è invece richiesta per l’eliminazione della doppia imposizione sugli utili distribuiti.
Non è facile conciliare la diversa risposta legislativa alla soluzione dell’identico problema.
Sospetto che la ragione principale sia che, all’inizio del secolo, i modelli di tassazione societaria su cui è stata modellata l’IRES prevedevano (e spesso tutto prevedono) analoghe condizioni. Potrebbero esservene altre la cui considerazione eccede i limiti di questo veloce commento.
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
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Artuso E. – Bisinella I., Cessione di opere artistiche e il trittico “collezionista”, “speculatore occasionale” e “mercante d’arte” ai fini delle imposte dirette, in Riv. tel. dir. trib., 2023, 2, VIII, 859 ss
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Viotto A., Il regime tributario delle plusvalenze, Torino, 2013
Zizzo G., Participation exemption e riorganizzazioni societarie, in il fisco,2002, 28, 4428 ss.
1 Ovviamente, tra le due ipotesi alcune differenza non marginali esistono. Ma la tassazione d’impresa non può, e non deve, tenere conto di ognuna di esse, inseguendole per correggerle. Esempi di fiscalità da “farmacisti”, quali la maggiorazione di conguaglio o l’“equalizzatore” sui redditi finanziari, non sono da ripetere.
2 Lo stesso vale per ogni altro caso simile quale, ad esempio, la scissione dell’azienda in una beneficiaria neo-costituita seguita dalla cessione delle partecipazioni in quest’ultima. Questo caso è stato trattato nella Risposta ad interpello n. 97/E del 2017, con argomenti speculari a quelli qui ricordati e a cui chi scrive presta totale adesione.
3 Il principio contabile OIC 21 dispone che «La classificazione nell’attivo immobilizzato e nell’attivo circolante dipende dalla destinazione della partecipazione. Le partecipazioni destinate ad una permanenza durevole nel portafoglio della società si iscrivono tra le immobilizzazioni, le altre vengono iscritte nell’attivo circolante. Al fine di determinare l’esistenza della destinazione a permanere durevolmente nel patrimonio dell’impresa si considerano la volontà della direzioneaziendale e l’effettiva capacità della società di detenere le partecipazioni per un periodo prolungato di tempo».
4 Questa logica era stata invece meglio recepita e valorizzata da Cass., 8 maggio 2019, n. 12138.
5 Si veda l’art. 5, comma 1, lett. h), n. 3 della legge citata. In recente approdo giurisprudenziale (Cass., ord. 8 marzo 2023, n. 69874) lo “speculatore occasionale” è il soggetto intermedio tra il “mercante d’arte” (che è imprenditore) e il collezionista (che rimane un “privato”, anche se occasionalmente compra e vende opere d’arte. Su tema, specificamente, Artuso E. – Bisinella I., Cessione di opere artistiche e il trittico “collezionista”, “speculatore occasionale” e “mercante d’arte” ai fini delle imposte dirette, su questa Rivista, 2023, 2, VIII, 859 ss.
6 Per ipotesi, tale intento potrebbe addirittura mancare in uno o in entrambe le ipotesi, ma le conseguenze fiscali non cambierebbero di un millimetro.
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1. L’interessato ha diritto di ottenere la conferma dell’esistenza o meno di dati personali che lo riguardano, anche se non ancora registrati, e la loro comunicazione in forma intelligibile.
2. L’interessato ha diritto di ottenere informazioni:
a) sull’origine dei dati personali;
b) sulle finalità e modalità del trattamento;
c) sulla logica applicata in caso di trattamento effettuato con l’ausilio di strumenti elettronici;
d) sugli estremi identificativi del titolare, dei responsabili e del rappresentante designato ai sensi dell’articolo 5, comma 2;
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3. L’interessato ha diritto di ottenere:
a) l’aggiornamento, la rettificazione ovvero, quando vi ha interesse, l’integrazione dei dati;
b) la cancellazione, la trasformazione in forma anonima o il blocco dei dati trattati in violazione di legge, compresi quelli di cui non è necessaria la conservazione in relazione agli scopi per i quali i dati sono stati raccolti o successivamente trattati;
c) l’attestazione che le operazioni di cui alle lettere a) e b) sono state portate a conoscenza, anche per quanto riguarda il loro contenuto, di coloro ai quali i dati sono stati comunicati o diffusi, eccettuato il caso in cui tale adempimento si rivela impossibile o comporta un impiego di mezzi manifestamente sproporzionato rispetto al diritto tutelato.
4. L’interessato ha diritto di opporsi, in tutto o in parte:
a) per motivi legittimi al trattamento dei dati personali che lo riguardano, ancorché pertinenti allo scopo della raccolta;
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