IL PUNTO SU… Il nuovo obbligo di motivazione degli atti tributari ovvero dell’impatto delle modifiche di testo e contesto

Di Salvatore Muleo -

A. Le modifiche apportate allo Statuto dei diritti del contribuente con il D.Lgs. n. 219/2023 consegnano un istituto della motivazione degli atti dell’Amministrazione finanziaria che potrebbe risultare ridisegnato ben al di là delle apparenze.

Il testo dell’art. 7 dello Statuto denota anzitutto un distacco dal riferimento all’art. 3 L. n. 241/1990 sulla motivazione degli atti amministrativi. Riferimento che, come noto, aveva comportato non pochi interrogativi a causa dell’ambiguo richiamo, da un lato, alla regola amministrativa, ma, dall’altro, a solo due dei suoi elementi significativi (i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche) omettendo il terzo (le risultanze dell’istruttoria). Ne era emerso un quadro monco, che permetteva all’Amministrazione finanziaria di non rappresentare esattamente cosa avesse raccolto nell’istruttoria e concentrava sull’atto tributario la focalizzazione della giustificazione della pretesa portata dall’atto stesso.

E’ ben vero che il precedente testo dell’art. 7 dello Statuto aveva denotato un considerevole salto in avanti dell’istituto della motivazione, estendendo a tutti gli atti e precisando dettami che erano stati affermati con la riforma degli anni Settanta del secolo scorso per le imposte sui redditi e per l’IVA.

Ma le prescrizioni della novella del 2023 sono ben più forti.

B. Il riferimento ai “presupposti di fatto” della versione antecedente è divenuto richiamo ai “presupposti” tout court.

Accanto a ciò, è stato opportunamente introdotto l’obbligo di indicare in motivazione i mezzi di prova che fondano la legittimità della pretesa, estendendo così a tutti gli atti la regola già prevista per le sanzioni e per l’IVA.

Modifiche, quindi, di tutto rilievo, si può dire, in relazione alle quali la necessità di esplicitare i mezzi di prova appare in un primo esame la novità più vistosa.

Eppure, potrebbe non esser così.

In realtà, è proprio l’abbandono della regola stabilita nella legge sul procedimento amministrativo a denotare una delle novità di maggior rilievo.

È vero, oramai da un punto di vista storico, che la motivazione dell’atto amministrativo nella legge sul procedimento amministrativo rimane l’archetipo della giustificazione degli atti amministrativi, ma l’istituto della motivazione dell’atto tributario rinviene ora una sua spiccata specialità, allontanandosi dagli stilemi amministrativi (e, in effetti, nemmeno si tratta solo di questione di stile, bensì, come si vedrà subito, di contenuto). Peraltro, ciò avviene curiosamente proprio mentre nel processo tributario il D.Lgs. n. 220/2023 ha introdotto e talora persino trapiantato soluzioni tipiche del processo amministrativo (trapianto che è talora estremamente infelice, come ad esempio avviene per il rito compatto, ma ciò è altro discorso).

Ancora, l’altro elemento modificato – l’ablazione della specificazione “di fatto” riferita ai presupposti – legittima già sotto un profilo letterale un’interpretazione differente da quanto accadeva in passato.

Ma è anche significativo quanto è stato introdotto per altro verso nello Statuto.

C. Le stesse regole dell’azione dell’Amministrazione finanziaria sono state profondamente ridisegnate nella riconfigurazione dello Statuto.

Nello stesso art. 7 è stato introdotto un comma 1-bis, che, pur con evidente metonimia (sono le indicazioni sui fatti a poter esser modificate e non i fatti storici), allo scopo di impedire la motivazione “postuma” ha specificato, seppur con norma non chiarissima, che una volta che un atto sia emesso, l’Amministrazione finanziaria medesima non può più procedere alla modifica della sua giustificazione se non attraverso l’adozione di un nuovo atto, al ricorrere dei presupposti ed in assenza di decadenze.

Deve intendersi superato, quindi, l’orientamento giurisprudenziale che, anche a causa della natura vincolata dell’atto, ammetteva la motivazione “postuma” a (ben discutibile) condizione che non fosse stato leso il diritto di difesa o che i fondamenti dell’atto poi impugnato fossero già percepibili nella fase endoprocedimentale (cfr. Cass., 18 ottobre 2021, n. 28560). E devono anche intendersi cessati gli echi circa l’applicazione dell’art. 21-octies L. n. 241/1990 nella disciplina tributaria, che tale lettura avevano anche legittimato; anche perché la nuova disciplina dell’invalidità degli atti, prevista negli artt. 7-bis – 7-quinquies dello Statuto, esclude che possa ancora ipotizzarsi l’applicabilità del ricordato art. 21-octies.

Ancora, con l’art. 7-quinquies è stata fissata positivamente la regola (che solo alcuni, invero un po’ acrobaticamente ed osteggiati dalla giurisprudenza prevalente, derivavano dal simmetrico richiamo effettuato dagli artt. 70 D.P.R. n. 600/1973 e 75 D.P.R. n. 633/1972 al codice di procedura penale, e quindi all’art. 191 c.p.p.) secondo cui le acquisizioni probatorie effettuate in violazione di legge danno luogo ad inutilizzabilità dei relativi elementi di prova.

Inoltre, con l’art. 10-ter è stato indicato che l’azione amministrativa deve esser conforme al principio di proporzionalità, in specie per ciò che concerne la necessità della misura adottata, la non eccedenza rispetto ai fini (la Ubermassverbot cara ai giuristi tedeschi) e la non limitazione dei diritti dei contribuenti oltre quanto strettamente necessario al raggiungimento dell’obiettivo dell’Amministrazione finanziaria.

Con questi tre tratti sono state riconfigurate proprio le modalità dell’agire dell’Amministrazione finanziaria, secondo modalità da rielaborare completamente.

Si può forse affermare che – se nel 2005 la legge fondamentale dell’ordinamento amministrativo ha cambiato pelle, diventando da legge sull’agire a legge sull’atto amministrativo – nel 2023 la legge fondamentale dell’ordinamento tributario ha aggiunto le due pelli dell’agire e dell’atto tributario.

D. Il contenuto della motivazione dell’atto allora risulta anzitutto allargato anche dalla necessità di indicare i mezzi di prova.

Ma la domanda vera è se l’eliminazione della locuzione “di fatto” abbia impatto sul significato degli elementi da rappresentare e cioè se la nozione di “presupposti” sia più ampia di quella di “presupposti di fatto”. E quale sia il suo spettro.

Già l’interpretazione letterale conduce a ritenere che l’eliminazione della specificazione comporti il riferimento ad una nozione meno ristretta, di certo non coincidente con i “presupposti di fatto”.

Altrettanto certamente deve esser esattamente considerato l’uso del plurale “presupposti” e non del singolare. Tanto meno la nozione adoperata può esser ritenuta coincidente con quella di “presupposto d’imposta”, ad esempio indicata nell’art. 10-quater, comma 1, lett. e), introdotto con lo stesso decreto attuativo.

Il termine “presupposti” non può che includere, ad esempio, i presupposti di fondatezza dell’atto ma anche di legittimità dell’azione amministrativa. E quindi la sussistenza dei requisiti di regolarità dell’attività amministrativa propedeutica all’emissione dell’atto.

A confortare tale lettura può valere anche l’intervenuta variazione del contesto normativo, vale a dire l’introduzione delle regole su richiamate sull’agire amministrativo inserite nello Statuto. Contesto che influisce sull’interpretazione sistematica del testo, confermando quanto emerso con l’interpretazione letterale.

La motivazione dell’atto diventa la sede in cui poter riscontrare la narrazione di ciò che è stato effettuato (e, per tale via, la giustificazione della regolarità dell’azione amministrativa), ovviamente a meno che le modalità di svolgimento dell’istruttoria amministrativa non siano previamente redatte in processi verbali portati a conoscenza del contribuente.

L’interpretazione dei “presupposti” in senso più ampio è coerente, quindi, con il riconoscimento all’istituto della motivazione della funzione di controllo non solo della legittimità formale dell’atto, ma anche della sua rispondenza ai canoni di legittimità per il corretto esercizio dei poteri durante l’istruttoria.

La motivazione diventa veramente, in tal modo, lo strumento di giustificazione del potere globalmente adoperato, non solo mediante l’emissione dell’atto, ma anche con l’esercizio dei poteri istruttori.

E. In altri termini, si può affermare che funzione primaria della motivazione è la giustificazione della fondatezza dell’atto e funzione ulteriore, ma solo in ordine di esposizione, è quella di garanzia, ricollegata al diritto di difesa tutelato dall’art. 24 Cost. e dall’art. 47 della Carta di Nizza-Strasburgo, di autocontrollo dell’azione amministrativa (e persino di informazione nei confronti della collettività, che delle modalità di esercizio dell’azione sarà avvisata leggendo le sentenze).

La valutazione della correttezza dell’operato dell’Amministrazione finanziaria non si ferma alla corrispondenza al modello adottato, ma involge anche, in misura ben più pregnante di quanto avveniva in passato, le modalità di esercizio dell’azione.

Ed è strumento di garanzia – con modalità più spiccate rispetto a quanto avviene negli ordinari procedimenti amministrativi, nei quali la giustificazione di non arbitrarietà e di adeguatezza della decisione è quasi rivolta più alla collettività che non al destinatario dell’atto – che si svincola dal provvedimento finale (l’atto impositivo) per fungere da momento di controllo del regolare esercizio del pur limitato spettro di discrezionalità riscontrabile nel procedimento tributario (i.e., la scelta dei poteri istruttori da adoperare e la loro concreta attuazione) e del rispetto delle prescrizioni di legge. L’obbligo di motivazione, così declinato, è espressione di garanzia da intendersi sia in senso formale che sostanziale.

Essendo assegnato al giudice, se richiesto, il potere-dovere di controllo circa come siano stati ottenuti gli elementi di prova posti a fondamento dell’atto, egli potrà esercitare il sindacato fissato dall’ordinamento solo attraverso una idonea motivazione, che risponda ai requisiti sopra accennati.

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