RECENTISSIME DALLA CASSAZIONE TRIBUTARIA – Cass., sez. V, ord. 5 aprile 2024, n. 9073 – Riconoscibilità dell’errore e correzione delle opzioni nella dichiarazione tributaria
Di Alessandro Zuccarello
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La massima della Suprema Corte (*)
L’errore relativo alle opzioni effettuate nella dichiarazione, che emerga dalla presenza di elementi contraddittori all’interno della stessa dichiarazione, può ritenersi riconoscibile e, dunque, legittima la correzione dell’opzione.
Il (tentativo di) dialogo
Con l’ordinanza che si commenta, la Corte di Cassazione ha ammesso, entro certi limiti, la correzione delle opzioni effettuate dal contribuente nella dichiarazione tributaria.
Non si tratta certo di una pronunzia rivoluzionaria, posto che si allinea a un orientamento datato, ma è comunque d’interesse poiché consente di mettere in luce alcuni problemi.
Il caso vagliato trae origine dalla notificazione di una cartella di pagamento per omesso versamento IVA da parte di una società. All’interno della dichiarazione tributaria era stato compilato il rigo VA42 «dedicato al riconoscimento di maggiori corrispettivi per adeguamento agli studi di settore» (così nel testo dell’ordinanza), ma a tale scelta non era seguito il versamento degli importi corrispondenti, di qui la notificazione di una cartella di pagamento all’esito della liquidazione automatizzata della dichiarazione.
Sennonché, la contribuente impugnava la cartella di pagamento sostenendo di aver commesso un errore in sede di redazione della dichiarazione. In particolare, unitamente alla menzionata compilazione del rigo VA42, la contribuente aveva indicato al rigo RF1, col. 2, una causa di esclusione dall’applicazione degli studi di settore: era, dunque. evidente il disallineamento fra i dati interni alla dichiarazione.
Le doglianze della contribuente sono state rigettate sia in primo sia in secondo grado ma hanno trovato accoglimento in sede di legittimità.
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La Cassazione ha anzitutto ribadito l’orientamento secondo cui «qualora la legge subordini la concessione di un beneficio fiscale ad una precisa manifestazione di volontà del contribuente, da compiersi attraverso la compilazione di un modulo, detta dichiarazione assume il valore di atto negoziale, come tale irretrattabile anche in caso di errore, in quanto recante indicazioni volte a mutare la base imponibile e come tali inidonee a costituire oggetto di un mero errore formale, salvo che il contribuente dimostri che lo stesso fosse conosciuto o conoscibile da parte dell’Amministrazione». E precisa, poi, che nel caso di specie fosse indiscutibile che «le modalità di compilazione della dichiarazione contenessero elementi contraddittori, ossia la compilazione del rigo VA42, ai fini dell’adeguamento agli studi di settore, ma anche l’inserimento, nella medesima dichiarazione, al rigo RF1, col. 2, una causa di esclusione dall’applicazione degli studi di settore».
Poste queste premesse, la Cassazione rileva che «a fronte di tali dati, descrittivi della vicenda e incontestati, non emerge una loro ponderazione complessiva da parte dell’organo giudicante. Risulta infatti palese come il giudice dell’appello, nel decidere e nel non vagliare se l’ipotesi potesse ricondursi nella fattispecie dell’errore riconoscibile, non abbia tenuto conto dei principi di diritto enunciati in materia dalla giurisprudenza di legittimità».
Di qui la Cassazione con rinvio della sentenza di secondo grado.
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Per cogliere appieno la portata della pronunzia è bene delineare le cornici normativa ed ermeneutica in materia di opzioni.
In via generale, il tema delle opzioni ha quale importante referente normativo il D.P.R. 10 novembre 1997, n. 442, che all’art. 1 prevede quanto segue: «l’opzione e la revoca di regimi di determinazione dell’imposta o di regimi contabili si desumono da comportamenti concludenti del contribuente o dalle modalità di tenuta delle scritture contabili. La validità dell’opzione e della relativa revoca è subordinata unicamente alla sua concreta attuazione sin dall’inizio dell’anno o dell’attività. È comunque consentita la variazione dell’opzione e della revoca nel caso di modifica del relativo sistema in conseguenza di nuove disposizioni normative». Si tratta di una previsione rilevante ma che si riferisce testualmente ai «regimi di determinazione dell’imposta o regimi contabili».
Alcuni Autori richiamano anche l’art. 2, comma 8-bis, D.P.R. 22 luglio 1998, n. 322, nella parte in cui prevede che «resta ferma in ogni caso per il contribuente la possibilità di far valere, anche in sede di accertamento o di giudizio, eventuali errori, di fatto o di diritto, che abbiano inciso sull’obbligazione tributaria, determinando l’indicazione di un maggiore imponibile, di un maggiore debito d’imposta o, comunque, di un minore credito». Tale disposizione consentirebbe al contribuente di rimeditare non le opzioni effettuate, ma – tra le altre cose – gli errori materiali che abbiano comunque alla base una volontà espressa in modo chiaro, per il che non sarebbe necessaria la presenza dei requisiti della essenzialità e della riconoscibilità (cfr. Salvati A., Errori dichiarativi ed emendabilità della dichiarazione, in Riv. tel. dir. trib., 2021, 1, II, 100 ss.).
Passando alla giurisprudenza, in tema delle opzioni non sussiste un orientamento unitario.
Le previsioni del D.P.R. n. 442/1997 sono state spesso invocate dalla giurisprudenza rispetto a fattispecie eterogenee, si pensi, ad esempio, alla possibilità di optare per facta concludentia per il regime ordinario IVA (cfr. Cass., 21 aprile 2001, n. 5931; Id., 21 maggio 2001, n. 6886). Ma gli esempi potrebbero essere molteplici (cfr. ex multis Cass., 8 luglio 2002, n. 9885; Id. 4 luglio 2003, n. 10599; Id. 11 febbraio 2005, n. 2810; Id. 25 novembre 2011, n. 24944; Id. 20 giugno 2018, n. 16242; Id. 13 aprile 2021, n. 9615; Id. 22 settembre 2021, n. 25630). Vi sono, tuttavia, posizioni diverse che ripropongono argomentazioni precedenti al D.P.R. n. 422/1997, per le quali sarebbe da escludere che l’opzione fosse «legittimamente individuabile in comportamenti concludenti» (in tal senso si vedano ad esempio, Cass., 25 novembre 1994, n. 9998; Id. 19 agosto 1995, n. 8960).
In particolare, in alcune pronunzie, considerando l’opzione quale manifestazione di volontà, la Cassazione ha ritenuto che per evitare che una opzione già effettuata dal contribuente potesse produrre effetti giuridici sarebbe stato necessario dimostrare «l’esistenza di un errore che in base all’art. 1428 del codice civile avesse i requisiti della essenzialità e della riconoscibilità da parte dell’Amministrazione e ciò in base all’art. 1324 c.c. per cui le norme che regolano i contratti si applicano, in quanto compatibili, agli atti unilaterali tra vivi aventi contenuto patrimoniale» (cfr. ex multis Cass., 27 marzo 1997, n. 2732; Id. 19 settembre 1997, n. 910).
Vero è che in alcune pronunzie la Cassazione ha sostenuto esplicitamente che questo secondo orientamento deve intendersi superato alla luce delle disposizioni del D.P.R. n. 442/1997 (cfr., ad esempio, Cass. n. 10599/2003 cit.; Id. n. 9615/2021 cit.), ma resta il fatto che esso è sopravvissuto al D.P.R. n. 442/1997 ed è stato riproposto anche di recente (si vedano ad esempio Cass., 11 maggio 2012, n. 7294; Id. 22 gennaio 2013, n. 1427; ma si vedano anche le più recenti Cass., 2 marzo 2020, n. 5647; Id. 26 novembre 2020, n. 27043; Id. 22 febbraio 2022, n. 6043; Id. 31 maggio 2022, n. 17500). E ciò ha innegabilmente condizionato l’applicazione delle previsioni del D.P.R. n. 442/1997 che, nonostante la duttilità del tenore letterale, non sono state sempre valorizzate.
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L’ordinanza in esame si ascrive al secondo dei filoni giurisprudenziali sinteticamente illustrati citati: essa, infatti, considera l’opzione irretrattabile anche in caso di errore salvo il caso in cui il contribuente dimostri che l’errore fosse «conosciuto o conoscibile» da parte dell’Amministrazione.
Non è certo questa – per evidenti ragioni – la sede per analizzare diffusamente il tema delle opzioni tributarie, ma l’applicazione della disciplina civilistica nel diritto tributario dovrebbe essere debitamente adeguata alle peculiarità di quest’ultima materia.
Si potrebbe, ad esempio, pensare al requisito riconoscibilità dell’errore, che, come emerge dall’art. 1431 c.c., ha lo scopo di tutelare l’affidamento della controparte. In passato la dottrina (valga, per tutti, il riferimento a Betti), ha escluso, con riguardo a ipotesi specifiche, che l’errore dovesse essere riconoscibile in assenza di una esigenza di affidamento della controparte.
Si tratterebbe di verificare se, dinanzi a una attività vincolata di controllo della regolarità degli adempimenti tributari posta in essere dall’Amministrazione, nell’ambito delle opzioni tributarie si possa configurare effettivamente una esigenza di tutela dell’affidamento che richiede l’integrale applicazione della disciplina civilistica ovvero se, date le peculiarità della materia, siano necessari adeguamenti (vi sono anche Autori che ritengono la disciplina civilistica inapplicabile: cfr. di recente Randazzo F., Le opzioni nel diritto tributario, in Riv. dir. trib., 2023, 3, 277 ss.).
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Nel caso vagliato, la Suprema Corte ha ritenuto che la presenza di due diverse scelte, interne alla dichiarazione e fra di loro contrastanti, non sarebbe stata adeguatamente valutata dai giudici di merito ai fini della riconoscibilità dell’errore.
Dalla prospettiva da cui muove la Cassazione tale conclusione risulta senz’altro ragionevole, posto che la scelta operata dal contribuente veniva contraddetta da una scelta di segno opposto contenuta nel medesimo atto.
Ma vi sono anche casi diversi.
Ci si riferisce innanzitutto agli errori formali che, pur non immediatamente evincibili dalla dichiarazione, dovessero comunque emergere dalle riliquidazioni delle dichiarazioni.
Si pensi, ad esempio, al caso di cartelle di pagamento emesse in seguito alla liquidazione delle dichiarazioni che originano da disallineamenti fra i dati contenuti nella dichiarazione e i modelli F24, i quali potrebbero ben essere il risultato di errori materiali nell’effettuazione di opzioni. Probabilmente in questi casi occorrerebbe dare rilievo al comportamento tenuto dal contribuente in contrasto con l’opzione.
Con riferimento al campo degli errori materiali sulle opzioni, si potrebbe poi porre il problema dei disallineamenti fra dichiarazione originaria e dichiarazione integrativa.
Al riguardo, ci si limita a citare un precedente della Cassazione, che riguarda un caso affine.
Il riferimento è all’ordinanza della Suprema Corte 4 marzo 2020, n. 6046, ove il «sistema informatico utilizzato per la compilazione della dichiarazione» aveva richiesto l’adeguamento alla disciplina degli studi di settore, cosa che il contribuente aveva invece inteso evitare, tanto da non effettuare i versamenti corrispondenti; inoltre, per porre rimedio all’errore, il contribuente aveva presentato una dichiarazione integrativa.
È evidente che qui non si aveva contrasto interno tra i dati contenuti nella dichiarazione originaria, ma per la Cassazione era corretta la ricostruzione del giudice di merito che aveva annullato l’iscrizione a ruolo: si trattava, infatti, di un errore materiale accertato dal giudice di secondo grado, e, «pertanto, indipendentemente da ogni considerazione in ordine al rispetto del termine previsto […] per l’emenda di errori od omissioni contenuti nella dichiarazione in danno del contribuente […] deve darsi atto dell’errore contenuto nella dichiarazione e del fatto che il suo contenuto debba essere individuato, in parte qua, in quello riprodotto nella dichiarazione integrativa».
(*) La rubrica – come l’intera Rivista – è aperta a tutti coloro che intendono contribuire al progresso del diritto tributario, in generale, e al miglioramento della sua applicazione, in particolare, nella specie con interventi di commento della giurisprudenza di legittimità dialogici e costruttivi, scevri di polemiche e posizioni partigiane.
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