IL PUNTO SU… La sanzione accessoria della sospensione dell’attività
Di Anna Rita Ciarcia
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A. L’applicazione della sanzione accessoria della sospensione dell’attività, in caso di omessa emissione degli scontrini fiscali, di cui all’art. 12, comma 2, D.Lgs. n. 471/1997, non è esclusa dalla definizione, in via agevolata, dell’atto di contestazione relativo alla violazione dell’omissione prevista dall’art. 16 D.Lgs. n. 472/1997.
Anche lo schema del Decreto Legislativo in materia di sanzioni, approvato dal Consiglio dei Ministri il 21 febbraio scorso (il testo è stato definitivamente approvato il 24 maggio scorso ed è in attesa di pubblicazione) in merito alla fattispecie in esame, ha lasciato le norme del tutto identiche alle precedenti, modificando solo la numerazione. Venuto meno il riparto tra i tre D.Lgs. in materia di sanzioni (nn. 471-472-473/1997), lo schema di decreto ha previsto un unico testo: l’art. 12 D.Lgs. n. 471/1997 dovrebbe divenire l’art. 37 (Titolo II – Capo III “Disposizioni comuni alle imposte sui redditi e all’imposta sul valore aggiunto”), mentre l’art. 16 D.Lgs. n. 472/1997 dovrebbe divenire l’art. 18 (Titolo I) del nuovo decreto. La sostanza delle disposizioni resta, tuttavia, invariata.
Sulla questione è intervenuta, di recente, la Cassazione che, con l’ordinanza 29 gennaio 2024, n. 2635, ha confermato l’orientamento secondo il quale il predetto art. 12 D.Lgs. n. 471/1997, che prevede la sospensione della licenza o dell’autorizzazione all’esercizio ovvero dell’esercizio dell’attività medesima nel caso in cui siano state accertate nel corso di un quinquennio tre distinte violazioni dell’obbligo di emettere la ricevuta o lo scontrino fiscale, ha carattere speciale rispetto alla norma generale contenuta nell’art. 16, comma 3, D.Lgs. n. 472/1997, con la conseguenza che l’irrogazione di detta sanzione non viene inibita dalla definizione agevolata prevista da quest’ultima disposizione. E questo anche a fronte di equivoche istruzioni allegate all’atto di contestazione delle sanzioni, nelle quali era espressamente indicato che la definizione agevolata (ex art. 16 cit.) di tale provvedimento avrebbe escluso l’irrogazione della sanzione accessoria.
B. L’art. 6, comma 3, D.Lgs. n. 471/1997, come noto, punisce, con la sanzione principale, la mancata emissione di ricevute fiscali, scontrini fiscali o documenti di trasporto ovvero l’emissione di tali documenti per importi inferiori a quelli reali, con una sanzione pari al novanta per cento dell’imposta corrispondente all’importo non documentato. Competente alla contestazione di omessa emissione è la Guardia di Finanza (circ. n. 1/2018 – volume I), con un’attività che viene svolta all’esterno degli esercizi commerciali. In caso di mancata esibizione dello scontrino commerciale, se viene dimostrato, dall’esercente, che l’operazione è stata eseguita e si esibisce, dal registratore di cassa, lo scontrino relativo all’acquisto, nessuna irregolarità viene segnalata; laddove, invece, il commerciante, per qualsiasi motivo, non sia in grado di dimostrare l’emissione dello scontrino, viene redatto il PVC.
L’Agenzia delle Entrate, quindi, dopo aver ricevuto i processi verbali di constatazione, redatti dai militari della Guardia di Finanza (o dagli stessi funzionari dell’Ufficio), che riscontrato le violazioni in materia di mancata emissione di scontrini o ricevute fiscali, provvede ad emettere i conseguenti atti di contestazione ai sensi dell’art. 16 D.Lgs. n. 472/1997 ed irrogando, al contempo, la sanzione amministrativa prevista dall’art. 6, comma 3, D.Lgs. n. 471/1997.
L’art. 12, comma 2, D.Lgs. n. 471/1997, prevede espressamente che al raggiungimento della quarta violazione in cui in parola, la Direzione regionale dell’Agenzia delle Entrate notifica al contribuente il provvedimento di sospensione dell’attività commerciale, quale sanzione accessoria alla violazione (Marinello A., Le sanzioni accessorie in materia di imposte dirette e di imposta sul valore aggiunto, in Giovannini A. – Di Martino A. – Marzaduri E., a cura di, Trattato di diritto sanzionatorio tributario, Milano, 2016, II, 1780).
L’art. 16, comma 3, D.Lgs. n. 472/1997, stabilisce che, nel termine previsto per ricorrere, è possibile definire la violazione con il pagamento di un importo pari a un quarto della sanzione indicata (primo periodo) e che tale definizione agevolata «impedisce l’irrogazione delle sanzioni accessorie»(ultimo periodo).
Dalla lettura di tale ultimo articolo, sembrerebbe, dunque, che il pagamento dell’atto di contestazione di sanzioni precluda l’applicazione della sanzione accessoria ovvero della sospensione dell’esercizio dell’attività.
Questo orientamento, confermato dalla giurisprudenza di merito, non trova, tuttavia, adesione dinnanzi ai giudici di legittimità.
La Corte di Cassazione, infatti, appare costante nel negare la possibilità di estendere gli effetti della definizione agevolata della sanzione principale a quella accessoria della sospensione.
Infatti, la giurisprudenza di legittimità sottolinea la rilevanza dell’ultima parte del comma 2, dell’art. 12 D.Lgs. n. 471/1997, in particolare dell’inciso secondo cui la sospensione è comminata «anche se non sono state irrogate sanzioni accessorie in applicazione delle disposizioni del citato decreto legislativo n. 472 del 1997» (Cass., sez. V, ord. 26 febbraio 2020, n. 5185).
La mancata irrogazione delle sanzioni accessorie “in applicazione” delle disposizioni indicate dalla norma, quindi, per espressa previsione di legge, non costituisce ostacolo all’irrogazione della sanzione della sospensione in esame.
Questa interpretazione testuale appare l’unica dotata di una coerenza logica e sistematica e si giustifica in ragione di un rapporto di specialità (Cass., sez. V, sent. 5 febbraio 2007, n. 2439), in quanto il D.Lgs. n. 471/1997, art. 12, comma 2, costituisce norma speciale rispetto a quella, richiamata, del D.Lgs. n. 472/1997, art. 16 per cui deve concludersi che l’irrogazione della sanzione prevista dall’art. 12 non può ritenersi mai impedita dalla definizione agevolata di una o più delle tre violazioni «dell’obbligo di emettere la ricevuta fiscale o lo scontrino fiscale compiute in giorni diversi nel corso di un quinquennio» (Cass., sez. V, sent. 4 giugno 2010, n. 13577).
La prassi, egualmente, ritiene che l’interpretazione testuale dell’articolo citato sia l’unica dotata di una coerenza logica e sistematica (cfr. ris. 4 luglio 2007, n. 150/E che ha confermato la propria tesi in merito all’ininfluenza della definizione sull’irrogazione della sanzione in argomento, richiamando la circ. 25 gennaio 1999, n. 23/E).
L’art. 12, comma 2, citato ha natura di disposizione speciale e detta, per la sospensione dell’attività, una regolamentazione derogatoria rispetto alla generale previsione di cui all’art. 16, comma 3, D.Lgs. n. 472/1997.
Infatti, mentre secondo tale ultima norma la definizione agevolata impedisce l’irrogazione delle sanzioni accessorie, questa specifica sanzione accessoria esula dall’ordinario, ai sensi di quanto richiamato nel comma 2 dell’art. 12, il quale, in aderenza al principio lex specialis derogat legi generali, prevale proprio sull’altra norma.
C. La Corte di Cassazione, con la sentenza citata, ha precisato ulteriormente l’ambito di applicazione della sanzione, alla luce delle varie modifiche che si sono succedute all’art. 12.
In primo luogo, si è chiarito che, in sede di impugnazione dell’atto di irrogazione della sanzione accessoria della sospensione dell’attività, il contribuente non può utilmente eccepire l’insussistenza delle violazioni poste a fondamento di tale atto, essendo sufficiente che le stesse siano state ritualmente contestate.
Tale conclusione è frutto della modifica operata dall’art. 1, comma 8, D.L. 3 ottobre 2006, n. 262, convertito, con modificazioni, nella L. 24 novembre 2006, n. 286 il quale ha sostituito, nell’art. 12 previgente che prevedeva espressamente quale presupposto per l’applicazione della sanzione il definitivo accertamento delle violazioni rilevate, la formula secondo cui è sufficiente la contestazione di siffatte violazioni (Cass., sez. V, ord. 29 luglio 2021, n. 21760).
In secondo luogo (sebbene tale fattispecie non sia stata oggetto del giudizio), la Corte ha precisato, con riguardo agli importi contestati, che l’attuale formulazione prevede che, se l’importo complessivo dei corrispettivi oggetto di contestazione eccede la somma di 50.000 euro, la sospensione è disposta per un periodo da un mese a sei mesi.
L’art. 33 D.L. 30 settembre 2003, n. 269 al comma 11, aveva espressamente previsto che «La sospensione dell’esercizio dell’attività, ovvero della licenza o dell’autorizzazione all’esercizio dell’attività, prevista dall’articolo 12, comma 2, del citato decreto legislativo n. 471 del 1997, è disposta dal direttore regionale dell’Agenzia delle entrate, per un periodo da quindici giorni a due mesi, qualora nei riguardi dei contribuenti che non hanno aderito al concordato siano constatate, in tempi diversi, tre distinte violazioni dell’obbligo di emettere la ricevuta fiscale o lo scontrino fiscale compiute in giorni diversi nel corso di un quinquennio; in derogaall’articolo 19, comma 7, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, il provvedimento di sospensione è immediatamente esecutivo. La disposizione di cui al presente comma non si applica se i corrispettivi non documentati sono complessivamente inferiori a 50 euro».
Tale ultima indicazione, tuttavia, non ha mai trovato ingresso nella formulazione dell’art. 12 in parola.
Pertanto, secondo la Corte, è irrilevante l’entità dei corrispettivi non documentati, ai fini dell’applicazione della sanzione (Cass., sez. V, ord. 19 novembre 2020, n. 26322; ord. 25 ottobre 2021, n. 25281).
Infine, la disposizione in esame ha lo scopo di sanzionare la condotta illecita rappresentata dalla violazione, a prescindere dalle modalità con le quali poi la stessa sia stata contestata: pertanto, l’accertamento di ciascuna infrazione non deve necessariamente essere effettuato in flagranza, ma è deducibile anche a posteriori dalla verifica della documentazione contabile e, in particolare, dalla discordanza tra somme incassate e scontrini emessi (Cass., sez. V, ord. 28 ottobre 2020, n. 23700).
D. In quest’ottica, allora, non avrebbe alcun rilievo il principio di collaborazione e buona fede nei rapporti tra contribuente e Amministrazione finanziaria, a fronte dell’indicazione nell’atto di contestazione della sanzione dell’espressa formula per cui la definizione agevolata dello stesso impedisce l’irrogazione della seconda sanzione accessoria.
Ora, come noto, ai sensi dell’art. 10, comma 1, L. n. 212/2000, costituisce situazione tutelabile quella caratterizzata: da un’apparente legittimità e coerenza dell’attività dell’Amministrazione finanziaria in senso favorevole al contribuente; dalla buona fede del contribuente, rilevabile dalla sua condotta, in quanto connotata dall’assenza di qualsiasi violazione del dovere di correttezza gravante sul medesimo; dall’eventuale esistenza di circostanze specifiche e rilevanti, idonee ad indicare la sussistenza dei due presupposti che precedono.
La relativa tutela non è ancorata a schemi precostituiti ed al modello formale della validità/invalidità dell’atto, ma richiede una valutazione in concreto in relazione alla diversità delle fattispecie e delle situazioni (cfr. Cass., sez. V, sent. 10 dicembre 2002, n. 17576; nello stesso senso Cass., sez. V, sent. 6 ottobre 2006, n. 21513 e 14 gennaio 2015, n. 537; Marongiu G., Statuto del contribuente, affidamento e buona fede, in Corr. trib., 2001, 35, 2613; Id., Lo Statuto e la tutela dell’affidamento e della buona fede, in Riv. dir. trib., 2008, 3, I, 183).
La giurisprudenza di legittimità ha ulteriormente precisato il significato che deve essere attribuito a termini quali “collaborazione” e “buona fede”: il primo trova il suo riferimento, dal lato dell’Amministrazione finanziaria, nei principi di buon andamento, efficienza e imparzialità dell’azione amministrativa tributaria di cui all’art. 97 Cost., comma 1; dal lato del contribuente, invece, vengono in rilievo quei «comportamenti non collidenti con il dovere, sancito dall’art. 53 Cost., comma 1 eimposto a “tutti” i contribuenti, di “concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva”. Il termine “buona fede”, invece, se riferito all’Amministrazione finanziaria, coincide, almeno in gran parte, con i significati attribuibili al termine “collaborazione”, posto che entrambi mirano ad assicurare comportamenti dell’amministrazione stessa “coerenti”, vale a dire “non contraddittori” o “discontinui” (mutevoli nel tempo). Il medesimo termine, se riferito al contribuente, presenta un’analoga, parziale coincidenza con quello di “collaborazione” ed allude a un generale “dovere di correttezza”, volto ad evitare comportamenti capziosi, dilatatori, sostanzialmente connotati da “abuso” di diritti e tesi a eludere una giusta pretesa tributaria» (Cass., sez. V, sent. 1° maggio 2021, n. 12372; Della Valle E., Affidamento e certezza del diritto, Milano, 2001; Trivellin M., Il principio di buona fede nel rapporto tributario, Milano, 2009). Nel caso esaminato dalla Corte, allora, si è affermato il principio per cui, nel bilanciamento dei valori costituzionali, le cc.dd. “Avvertenze” riportate nell’atto, secondo cui la definizione agevolata impedisce l’irrogazione delle sanzioni accessorie, non possono comportare la violazione del principio di affidamento e di buona fede sancito nell’art. 10 citato, in quanto tale principio non può essere invocato di fronte ad aspetti vincolati della normativa tributaria poiché ciò comporterebbe la violazione di fondamentali principi di valenza costituzionale, attinenti all’indisponibilità della obbligazione tributaria.
E. La lettura restrittiva della norma sembra confermata anche dall’art. 4 D.L. 29 settembre 2023, n. 131, c.d. decreto energia, che ha previsto la possibilità di sanare una o più violazioni in materia di certificazione dei corrispettivi avvalendosi del ravvedimento operoso, anche qualora le stesse fossero già state oggetto di constatazione. Tale articolo ha previsto, infatti, la possibilità di una regolarizzazione, tramite ravvedimento operoso, per i contribuenti che, relativamente alla certificazione dei corrispettivi, hanno commesso una o più violazioni di cui all’art. 6, commi 2-bis e 3, D.Lgs. n. 471/1997.
La previsione, tuttavia, ha riguardato solo le violazioni commesse dal 1° gennaio 2022 e fino al 30 giugno 2023, oggetto di constatazione non oltre il 31 ottobre 2023, a condizione che il contribuente non avesse ricevuto la notifica dell’atto di contestazione, di cui all’art. 16 D.Lgs. n. 472/1997, alla data del perfezionamento del ravvedimento e che tale perfezionamento fosse realizzato entro il 15 dicembre 2023.
Il comma 2 dell’art. 4 citato ha previsto il beneficio ulteriore, rispetto alla riduzione delle penalità, rappresentato dal fatto che le violazioni regolarizzate, in base alla disposizione in commento, non rilevavano ai fini del computo per l’irrogazione della sanzione accessoria di cui all’art. 12, comma 2, D.Lgs. n. 471/1997 (Balzanelli M. – Sirri M., Convenienza da valutare per la regolarizzazione dei corrispettivi, in il fisco, 2023, 41, 3899).
Questo specifico regime, previsto alle condizioni indicate, sembrerebbe allora confermare l’interpretazione della giurisprudenza di legittimità.
F. In conclusione, la sanzione accessoria della sospensione dell’esercizio dell’attività ha tipicamente connotati di sanzione afflittiva, attesa la funzione di reprimere la violazione e impedire la realizzazione della stessa mediante una diretta incidenza sull’attività svolta, in tal modo rientrando pienamente nello spirito che connota la disciplina di cui al D.Lgs. n. 472/1997, art. 3. Pertanto, in caso di violazioni dell’obbligo di emettere scontrini, indipendentemente dal valore economico degli stessi, e senza che sia necessaria la definitività della contestazione, l’Agenzia delle Entrate potrà applicare la sanzione accessoria prevista dall’art. 12, comma 2, D.Lgs. n. 471/1997.
La suddetta applicazione non trova limiti nella definizione agevolata della sanzione accessoria, in quanto il coordinamento di tale ultima norma citata con quella contenuta nel D.Lgs. n. 472/1997, art. 16, comma 3, deve essere risolto mediante il criterio di specialità, superando anche le eventuali avvertenze contenute nell’atto di contestazione delle violazioni in virtù dei principi costituzionali.
Nell’ottica del principio di proporzionalità delle sanzioni, la recente revisione del sistema sanzionatorio poteva essere il momento adatto per rivedere la sanzione accessoria della sospensione; in particolare tenendo in considerazione la sproporzione tra la mancata emissione di quattro scontrini in un quinquennio e la sanzione formalmente definita accessoria, che appare eccessiva rispetto alla carica di offensività della condotta contra legem.
Nulla di ciò, tuttavia, è avvenuto, avendo il legislatore, come detto in premessa, confermato in toto gli articoli in esame, cambiando solo la numerazione.
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Ai soggetti cui si riferiscono i dati spettano i diritti previsti dall’art. 7 del D.Lgs. 196/2003 che riportiamo di seguito:
1. L’interessato ha diritto di ottenere la conferma dell’esistenza o meno di dati personali che lo riguardano, anche se non ancora registrati, e la loro comunicazione in forma intelligibile.
2. L’interessato ha diritto di ottenere informazioni:
a) sull’origine dei dati personali;
b) sulle finalità e modalità del trattamento;
c) sulla logica applicata in caso di trattamento effettuato con l’ausilio di strumenti elettronici;
d) sugli estremi identificativi del titolare, dei responsabili e del rappresentante designato ai sensi dell’articolo 5, comma 2;
e) sui soggetti o delle categorie di soggetti ai quali i dati personali possono essere comunicati o che possono venirne a conoscenza in qualità di rappresentante designato nel territorio dello Stato, di responsabili o incaricati.
3. L’interessato ha diritto di ottenere:
a) l’aggiornamento, la rettificazione ovvero, quando vi ha interesse, l’integrazione dei dati;
b) la cancellazione, la trasformazione in forma anonima o il blocco dei dati trattati in violazione di legge, compresi quelli di cui non è necessaria la conservazione in relazione agli scopi per i quali i dati sono stati raccolti o successivamente trattati;
c) l’attestazione che le operazioni di cui alle lettere a) e b) sono state portate a conoscenza, anche per quanto riguarda il loro contenuto, di coloro ai quali i dati sono stati comunicati o diffusi, eccettuato il caso in cui tale adempimento si rivela impossibile o comporta un impiego di mezzi manifestamente sproporzionato rispetto al diritto tutelato.
4. L’interessato ha diritto di opporsi, in tutto o in parte:
a) per motivi legittimi al trattamento dei dati personali che lo riguardano, ancorché pertinenti allo scopo della raccolta;
b) al trattamento di dati personali che lo riguardano a fini di invio di materiale pubblicitario o di vendita diretta o per il compimento di ricerche di mercato o di comunicazione commerciale.
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