RECENTISSIME DALLA CASSAZIONE TRIBUTARIA – Cass., sez. trib., 19 gennaio 2024, n. 2029 – Natura, requisiti e impugnabilità delle fatture relative al servizio di raccolta dei rifiuti urbani
Di Giovanna Petrillo
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La massima della Suprema Corte (*)
Gli atti con cui il gestore del servizio smaltimento rifiuti solidi urbani richiede al contribuente quanto dovuto a titolo di tariffa di igiene ambientale non attengono il corrispettivo di una prestazione liberamente richiesta, ma un’entrata pubblicistica, anche quando dovessero avere la forma di fattura commerciale. Da ciò la loro natura di atti impositivi, la necessità che le predette fatture possiedano i requisiti sostanziali propri di tali atti e la loro impugnabilità davanti al giudice tributario, ancorché non siano ricomprese nell’elenco degli atti impugnabili di cui all’art. 19 del decreto sul processo tributario.
Il (tentativo di) dialogo
Nel nostro ordinamento, la disciplina avente ad oggetto il prelievo per il servizio di raccolta, recupero e smaltimento dei rifiuti solidi urbani ha subito numerose modifiche nel corso degli ultimi cinque lustri.
Si è, infatti, passati dalla TARSU (“Tassa per lo Smaltimento dei Rifiuti Solidi Urbani”), la cui natura tributaria era stata riconosciuta dalla Corte costituzionale con la nota sent. 24 luglio 2009 n. 238; alla TIA-1 (“Tariffa di igiene ambientale”) cui è poi subentrata la TIA-2 (“Tariffa ambientale integrata”); la quale, a sua volta, è stata sostituta dalla TARES (“Tassa sui rifiuti e sui servizi comunali”), che è stata infine rimpiazzata dall’attuale TARI (“Tassa sui rifiuti”).
La pronunzia in commento riguarda: (i) la TARES, che – come i precedenti tributi – aveva l’obiettivo della integrale copertura economica del servizio di raccolta e smaltimento rifiuti e doveva essere determinata dai singoli Comuni facendo riferimento agli indici del D.P.R. n. 158/1999; e (ii) l’attuale TARI, che l’ha sostituita, il cui presupposto è «il possesso o la detenzione a qualsiasi titolo di locali o di aree scoperte, a qualsiasi uso adibiti, suscettibili di produrre rifiuti urbani». E, in modo particolare, gli avvisi di pagamento emessi da una società commerciale – subentrata al Comune nella gestione del servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti urbani – per il versamento delle somme dovute a titolo di TARES e TARI per gli anni dal 2013 al 2016, i quali erano stati oggetto di impugnazione davanti al giudice tributario da parte dei contribuenti che ne erano i destinatari.
In linea con i principi fissati dalla propria giurisprudenza in materia, i predetti avvisi di pagamento sono stati considerati dalla Suprema Corte alla stregua di atti impositivi impugnabili, nonostante non siano espressamente ricompresi nell’elenco degli atti opponibili ex art. 19 del decreto sul processo tributario, con la conseguenza che essi devono possedere tutti i requisiti sostanziali di tali atti, ivi compresa la motivazione di cui si contestava l’esistenza.
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Per giungere a tale conclusione, pienamente condivisibile, la Suprema Corte ha richiamato la premessa logico-giuridica su cui poggia il precedente Cass. n. 11481/2022, in materia di TIA, secondo cui «gli atti con cui il gestore del servizio smaltimento rifiuti solidi urbani richiede al contribuente quanto da lui dovuto a titolo di tariffa di igiene ambientale, anche quando gli stessi dovessero avere la forma di fattura commerciale, non attengono al corrispettivo di una prestazione liberamente richiesta, ma a un’entrata pubblicistica». Poiché – come si è detto in apertura – nel tempo si sono succedute la TIA-1 e la TIA-2, una chiosa pare d’obbligo in relazione a tale affermazione di principio richiamato dalla pronuncia in esame. Pur essendo entrambe orientate alla copertura dei costi – e composte da una quota determinata in relazione alle componenti essenziali del costo del servizio, riferite in particolare agli investimenti per le opere e ai relativi ammortamenti, e una quota rapportata invece alle quantità di rifiuti conferiti, al servizio fornito e all’entità dei costi di gestione – i due tributi non avevano la stessa natura.
Quanto alla TIA-1, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione (sent. n. 5078/2016) ne hanno riconosciuto natura tributaria, con conseguente esclusione dell’assoggettabilità a IVA, perché connotata da una serie di elementi autoritativi, quali l’assenza di volontarietà nel rapporto fra gestore e utente, la totale predeterminazione dei costi da parte del soggetto pubblico e l’assenza del rapporto sinallagmatico; ritenendola, altresì, compatibile con l’ordinamento europeo sul presupposto che «non vi è alcuna normativa adottata in base all’art. 175 CE che imponga agli Stati membri un metodo preciso quanto al finanziamento del costo dello smaltimento dei rifiuti urbani, di modo che tale finanziamento può, a scelta dello Stato membro interessato, essere indifferentemente assicurato mediante una tassa, un canone o qualsiasi altra modalità».
Quanto alla TIA-2, sempre le Sezioni Unite (sent. nn. n. 8631/2020 e 8632/2020) si sono pronunciate a favore della natura di corrispettivo privatistico della prestazione e della conseguente assoggettabilità ad IVA, argomentando, in sintesi, che – a differenza dell’art. 49 D.Lgs. n. 22/1997 istitutivo della TIA-1 – l’art. 238 D.Lgs. n. 152/2006 «individua il fatto generatore dell’obbligo di pagamento della Tia-2 nella produzione di rifiuti, ancorando il debito all’effettiva fruizione del servizio, e, altempo stesso, diversamente dal passato, assegna natura di “corrispettivo” alla tariffa, parametrando l’entità del dovuto alla quantità e alla qualità dei rifiuti prodotti».
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In forza di tale premessa logico-giuridica, è irrefutabile la conclusione secondo cui gli avvisi di pagamento per il pagamento di TARES e TARI, emessi dalla società commerciale subentrata al Comune nella gestione del servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti urbani, hanno natura di atti impugnabili davanti al giudice tributario, nonostante non siano espressamente ricomprese nell’art. 19 D.Lgs. n. 546/1992.
È, infatti, orientamento consolidato della Suprema Corte (v., fra le altre, Cass., sez. V, 10 maggio 2013, n. 11157; Cass., sez. VI, 18 luglio 2016, n. 14675; Cass., sez. V, 31 ottobre 2018, n. 27805; per la dottrina, limitandosi alle più recenti opere monografiche, v. Rasi F., L’interesse a ricorrere nel processo tributario. Il catalogo degli atti impugnabili alla prova di vuoti e duplicazioni di tutele, Padova 2022 e Kostner A., Gli atti impugnabili nel processo tributario, Torino, 2022) che l’elencazione degli atti impugnabili racchiusa nel citato art. 19 ha natura tassativa, ma non preclude la facoltà di impugnare anche altri atti con cui l’Amministrazione finanziaria porti a conoscenza del contribuente una ben individuata pretesa tributaria, esplicitandone le ragioni fattuali e giuridiche, senza necessità di attendere che, ove non sia raggiunto lo scopo dello spontaneo adempimento, essa assuma la forma autoritativa di uno degli atti dichiarati espressamente impugnabili dall’art. 19 D.Lgs. n. 546/1992. E ciò perché – chiarisce la Suprema Corte in maniera condivisibile – già al momento della ricezione della notizia della pretesa sorge in capo al contribuente l’interesse ex art. 100 c.p.c., a chiarire la sua posizione in ordine alla stessa e, quindi, a invocare una tutela giurisdizionale di controllo della legittimità sostanziale della pretesa impositiva, con pronuncia idonea ad acquisire effetti non più modificabili (in tale senso, ex plurimis Cass., sez. V, 5 ottobre 2012, n. n. 17010; Cass., Sez. Un., 18 febbraio 2014, n. 3773; Cass., sez. VI-V, 9 maggio 2017, n. 11397; Cass., sez. V, 8 maggio 2019, n. 12150; Cass., sez. V, 24 dicembre 2020, n. 29501; Cass., sez. V, 15 novembre 2021, n. 34177; Cass., sez. VI-V, 3 febbraio 2022, n. 3347; Cass., sez. V, 8 aprile 2022, n. 11481).
Posto che il contribuente ha la facoltà, non l’onere, d’impugnazione di atti diversi da quelli specificamente indicati nel citato art. 19, la mancata impugnazione di un atto estraneo a quelli ivi elencati citato non determina la cristallizzazione della pretesa, che può essere successivamente reiterata in uno degli atti tipici previsti dallo stesso art. 19. L’emanazione di atti impositivi atipici non incide, dunque, sulla sequenza procedimentale dell’accertamento e della riscossione del tributo, onde la funzione dell’atto principale non è alterata dall’eventuale emanazione dell’atto preliminare. Da ciò discende linearmente che la fattura emessa per il pagamento del tributo non muta la causa tipica della cartella o dell’ingiunzione di pagamento che il contribuente ha, sempre e comunque, l’onere di impugnare per contestare la pretesa tributaria.
(*) La rubrica – come l’intera Rivista – è aperta a tutti colore che intendono contribuire al progresso del diritto tributario, in generale, e al miglioramento della sua applicazione, in particolare, nella specie con interventi di commento della giurisprudenza di legittimità dialogici e costruttivi, scevri di polemiche e posizioni partigiane.
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