Sull’imponibilità ai fini IRAP dei plusvalori derivanti dalla cessione onerosa del “cartellino” dei calciatori

Di Angelo Contrino -

(nota a/notes to Cass., sez. trib., 26 febbraio 2024, n. 50658)

Abstract (*)

Nel saggio si commentano i passaggi argomentativi con cui la Suprema Corte è tornata a esprimersi a favore dell’imponibilità ai fini IRAP dei plusvalori derivanti dalla cessione a titolo oneroso di calciatori c.d. “non svincolati”, nel contesto normativo vigente prima delle modifiche apportate all’assetto del tributo nel 2016, dovendosi considerare l’imponibilità oggi pacifica.

On the taxability for IRAP purposes of the capital gains deriving from the onerous transfer of the players’ “card” – The essay presents an analysis of the arguments through which the Supreme Court reiterated its endorsement of taxing capital gains resulting from the sale of non-released football players for IRAP purposes. This discussion takes place within the regulatory framework preceding the 2016 modifications to the tax system, as today there is a prevailing consensus regarding their taxability.

Sommario: 1. La questione dell’imponibilità o meno ai fini IRAP dei plusvalori derivanti dalla cessione di calciatori c.d. “non svincolati”. Sintesi delle contrapposte soluzioni dibattute in dottrina, giurisprudenza e prassi. – 2. La qualificazione del trasferimento oneroso del calciatore come cessione di contratto: le conseguenze nel bilancio della società sportiva-cessionaria (fra regola e una possibile eccezione non contemplata nel modello di bilancio della FIGC). – 3. I riflessi della collocazione in bilancio del diritto alla prestazione sportiva nel contesto del regime fiscale dei beni d’impresa e l’irrilevanza della compravendita quale atto di gestione ordinaria delle società di calcio. – 4. Le soluzioni fiscali sul versante reddituale e le ragioni dell’imponibilità ai fini IRAP dei plusvalori derivanti dalla cessione del cartellino in passato (anche in base al “principio di correlazione”) e oggi (per l’irrilevanza soltanto dei plusvalori da trasferimenti di compendi aziendali).

1. Il tema oggetto della pronunzia in commento, ossia l’imponibilità o meno ai fini Irap dei plusvalori derivanti dalla cessione di calciatori con contratto non ancora giunto in scadenza (calciatore c.d. “non svincolato”), è stato al centro di una ventennale contrapposizione fra società sportive e FIGC, da un lato, e Agenzia delle Entrate, dall’altro, che ha stimolato un notevole dibattito sia in dottrina (v., fra gli altri, Galgano F. La compravendita dei calciatori, in il fisco, 2001, 2, 311, in dialogo virtuale con Luschi G. – Stancati G., Aspetti fiscali della “cessione di calciatori”, con particolare riguardo al regime Irap, in Rass. trib., 1999, 6, 1742; Fava P., Cessione del contratto di prestazione calcistica e disciplina Irap, ne Il fisco, 2000, 47, 13964; Ingrao G., L’imponibilità ai fini dell’IRAP dei proventi connessi alla cessione degli atleti da parte delle società sportive, in Riv. dir. trib., 2008, 9, II, 525; Procopio M., Irap e società calcistiche professionistiche: la rilevanza delle plusvalenze e minusvalenze derivanti dalla cessione dei diritti sportivi, in Dir. prat. trib., 2009, 2, II, 331; Pizzonia G., Le immobilizzazioni immateriali nelle imposte dirette: il caso dei diritti alle prestazioni sportive dei calciatori, in Rass. trib., 2011, 5, 1217 ss.; Giovannini A., Irap e cessione di calciatori e Stizza P., Profili fiscali della cessione di calciatori professionisti, entrambi in Uckmar V., a cura di, Lo Sport e il Fisco, Padova, 2016, rispettivamente, 178 ss. e 336 ss.), sia nella giurisprudenza tributaria di merito (a favore della tesi di parte privata, v., fra le molte, Comm. trib. reg. Puglia, n. 22/24/2014; Comm. trib. prov. Udine, n. 258/1/2014; Comm. trib., prov. Roma, n. 92/28/2012; Comm. trib. reg. Lazio, n. 92/28/2012; Comm. trib. reg. Sardegna, 8 luglio 2011, n. 146; Comm. trib. prov. Roma, n. 467/33/2011; Comm. trib. prov. Lecce, 10 giugno 2009, n. 587; Comm, trib. prov. Milano, 1° dicembre 2008, n. 319; Comm. trib. prov. Messina, 21 aprile 2007, n. 516; a favore della tesi di parte pubblica, v., fra le altre, Comm. trib. reg. Friuli Venezia Giulia, 28 gennaio 2016, n. 30; Comm. trib. reg. Lombardia, 19 agosto 2015, n. 3265; Comm. trib. prov. Torino n. 1346/3/2014; Comm. trib. reg. Lombardia, n. 120/22/11; Comm. trib. prov. Roma, n. 397/25/2009; Comm. trib. prov. Parma, 2 aprile 2008, n. 2008; Comm. trib. prov. Parma, n. 11/9/2008, in richiamo, però, del divieto di abuso del diritto fiscale), con l’ovvio, successivo intervento della giurisprudenza di legittimità, che – a partire dalla sentenza Cass., sez. trib., 2 dicembre 2015, n. 2459 (commentata da Trettel S., Il contrasto della giurisprudenza sul trattamento IRAP delle cessioni di calciatori “salva” dalle sanzioni, ne il fisco, 2016, 4, 3763 ss.) – si è pronunciata a favore della rilevanza ai fini IRAP dei plusvalori derivanti dal trasferimento a titolo oneroso dei calciatori “non svincolati”, avviando un orientamento che si è progressivamente consolidato nel tempo (Cass., sez. trib., 9 gennaio 2019, n. 345; Cass., sez. trib., 12 gennaio 2019, n. 661, Cass., sez. trib., 25 gennaio 2019, nn. 2144, 2145 e 2146; Cass., sez. trib., 4 aprile 2019, n. 9433 e, fra le ultime, Cass., sez. trib., 12 gennaio 2023, n. 661; Cass., sez. trib., 25 gennaio 2023), fino alla recentissima sentenza che qui si commenta.

I termini del contrasto possono essere sintetizzati come segue.

Per le società sportive e la FIGC, il negozio giuridico di cessione dei calciatori si sarebbe dovuto segmentare in tre contratti: (i) l’accordo tra le due società sportive per il trasferimento del giocatore; (ii) l’accordo tra la vecchia società sportiva e il calciatore per la risoluzione del contratto di lavoro; (iii) l’accordo tra la nuova società e il calciatore; da ciò la conseguenza che, in assenza di un trasferimento del diritto alla prestazione sportiva del calciatore, esso non determina il sorgere una plusvalenza rilevante ai fini IRAP (ma anche ai fini IRES), la quale, in ogni caso, sarebbe stata un “provento straordinario” estraneo alla relativa base imponibile.

Per l’Agenzia delle Entrate, invece, il negozio in esame rientrava nello schema tipico della cessione del contratto, ex art. 1406 c.c., in quanto la società sportiva-cessionaria acquista, con il consenso del calciatore-ceduto, il diritto all’utilizzo della prestazione del calciatore verso un corrispettivo oggetto del contratto e succede in tutti gli obblighi e i diritti connessi (cfr. ris. 19 dicembre 2001, n. 213/E e circ. 20 dicembre 2013, n. 37/E; per il vero, la tesi propugnata dall’Agenzia si deve a Galgano F., La compravendita dei calciatori, cit., 311 ss.); donde l’incasellamento del suddetto diritto tra i beni immateriali ammortizzabili e l’idoneità del suo trasferimento oneroso a generare plusvalenze rilevanti ai fini IRAP (oltre che ai fini IRES).

Come anticipato, quest’ultima tesi – che, dopo l’avvio di molteplici controversie da parte delle società sportive, aveva ricevuto l’avallo anche del Consiglio di Stato (Parere 11 dicembre 2012, n. 5285) – è stata fatta propria dalla giurisprudenza di legittimità a partire dal 2015: la sentenza in commento si è conformata a tale orientamento oramai consolidato, fissando il seguente principio di diritto: «il trasferimento di un atleta professionista da una società sportiva ad un’altra, laddove disposto dietro corrispettivo prima della scadenza naturale del rapporto contrattuale in corso, è riconducibile allo schema della cessione del contratto, nei termini previsti dall’art. 5, comma 2, della L. n. 91/1981; esso, pertanto, dal punto di vista fiscale rappresenta un’operazione assimilabile alla cessione di un bene immateriale, suscettibili di generale una plusvalenza e, dunque, rilevante ai fini IRAP».

Come tutti i mantra giurisprudenziali, che si ripetono sempre uguali dopo la consacrazione di una soluzione esegetica, i passaggi logico-giuridici non sempre sono chiari e, complice anche un’inesorabile sintesi progressiva, non sempre risultano comprensibili e/o coerenti a una prima lettura: per tale ragione, può essere interessante ripercorrere, in chiave critica, l’iter motivazionale seguito dai giudici nel caso di specie per giungere al principio di diritto sopra riportato.

2. La tesi della qualificazione del negozio di trasferimento come classica cessione del contratto – seguita dalla sentenza in commento – si condivide senza riserve, risultando oltremodo convincenti le argomentazioni con cui il Consiglio di Stato (nel citato Parere 11 dicembre 2012, n. 5285), sulla scia di quanto già sostenuto e affermato da autorevolissima dottrina civilistica (il riferimento è a Galgano F., La compravendita dei calciatori, op. cit., 311 ss.), ha confutato l’opposta tesi della scomponibilità dell’unitario contratto in tre distinti negozi giuridici.

Da tale qualificazione discende che oggetto del contratto è il diritto esclusivo alla prestazione del calciatore e che tale diritto va collocato tra le “immobilizzazioni immateriali”, come peraltro riconosciuto dalla stessa FIGC nel modello di bilancio approvato – ove è stato inserito nella voce residuale “Diritti pluriennali alle prestazioni sportive dei calciatori” – sul presupposto che «il diritto alle prestazioni di un calciatore professionista configura, per la società sportiva acquirente del diritto, una posta patrimoniale attiva a carattere pluriennale e di natura immateriale» (così, in continuità con il passato, la Raccomandazione contabile n. 1 della FIGC).

Quest’impostazione – fatta salva l’ipotesi di cui si dirà infra – è più corretta rispetto alla soluzione alternativa della collocazione del costo di acquisto del diritto alla prestazione sportiva tra i “costi pluriennali”, anche nell’avvicendarsi della normativa civilistica sul bilancio di esercizio.

E ciò, fra le altre, per un’assorbente ragione: se è vero che la natura obbligatoria del rapporto di lavoro tra società sportiva e calciatore potrebbe sembrare un ostacolo a tale soluzione (come argomenta la maggior parte della dottrina che sostiene il frazionamento in tre contratti del negozio giuridico di cessione del calciatore: v., per tutti, Pizzonia G., Le immobilizzazioni immateriali nelle imposte dirette: il caso dei diritti alle prestazioni sportive dei calciatori, cit., 1217 ss., nota 92; Luschi G. – Stancati G., Aspetti fiscali della “cessione di calciatori”, con particolare riguardo al regime Irap, cit., 1742), è innegabile e decisivo in senso opposto il fatto che il diritto alla prestazione sportiva sia dotato di un’autonoma utilità economica, da cui discende la possibilità di negoziazione, e che, per quanto “atipico”, esso presenti contabilmente tratti di spiccata similarità con altre fattispecie espressamente menzionate, come le licenze d’uso di brevetti e l’acquisto derivativo di know-how (in quest’ultimo senso, Colombo G.E., Il bilancio di esercizio, in Colombo G.E. – Portale G.B., diretto da, Tratt. delle soc. per az., vol. 7, tomo I, Torino, 1994, 249 e, con un percorso argomentativo diverso ma non perspicuo, Galgano F., La compravendita dei calciatori, cit., 311).

Questa soluzione non sembra revocabile in dubbio se ulteriormente si considera che l’art. 2423-ter, comma 4, c.c. è pacificamene finalizzato a consentire l’adattamento della denominazione delle voci e delle sottovoci previste dagli schemi di cui agli artt. 2424 e 2425 c.c., là dove necessario in ragione della natura dell’attività esercitata dalla società e che – come giustamente rilevato – «l’esigenza prospettata potrebbe porsi, ad esempio, per le società sportive che devono iscrivere tra le immobilizzazioni immateriali i diritti alle prestazioni sportive dei giocatori, luogo non riconducibile ad alcuno dei beni immateriali menzionati nello schema di stato patrimoniale» (così, Strampelli G., Del bilancio (Artt. 2423-2435-ter), in Abbadessa P. – Portale G.B., diretto da, Le società per azioni. Codice civile e norme complementari, tomo I, Milano, 2016, 2166 ss., cui si rinvia anche per la dottrina giuscommercialistica espressasi in tale senso). In questa prospettiva, la soluzione adottata dalla FIGC di coniare la voce specifica “Diritti pluriennali alle prestazioni sportive dei calciatori”, nel modello di bilancio approvato, è conforme alla normativa civilistica.

Da ciò deriva, sul fronte della “spesabilità” del costo, la possibilità di attivare il processo di ammortamento del valore iscritto in bilancio, e corrispondente al costo di acquisto del diritto alla prestazione sportiva aumentato degli oneri accessori (in ispecie, i compensi di mediazione degli agenti), che potrà avvenire in quote costanti, crescenti o decrescenti (l’adozione di quest’ultimo metodo, che appare il più prudenziale, è ammesso anche nelle versioni più recenti della citata Raccomandazione contabile n. 1 della FIGC), purché il predetto processo sia sistematico, uniforme e costante nel tempo.

Va chiarito che, se quanto affermato vale in generale, non è possibile escludere in via di mera eccezione la collocazione del predetto diritto nell’attivo circolante del bilancio di esercizio, ancorché tale ipotesi non sia contemplata nel modello di bilancio predisposto dalla FIGC.

E infatti, ai sensi dell’art. 2424-bis, comma 1, c.c., se un calciatore dovesse, ad esempio, essere acquistato a cavallo di due esercizi per valorizzarlo e cederlo a breve, il diritto alle relative prestazioni sportive non potrà che essere allocato nell’attivo circolante, non rappresentando un investimento durevole; e ciò a prescindere dalle indicazioni provenienti dalla FIGC (che, come detto, prevede l’iscrizione tra le immobilizzazioni immateriali senza alcuna alternativa), per l’ovvia ragione che le Raccomandazioni contabili di tale Federazione sono recessive rispetto alla disciplina codicistica. Ciò comporta che il relativo costo non potrà essere ammortizzato, ma dovrà essere imputato integralmente a conto economico al momento del perfezionamento del trasferimento, e che la cessione del calciatore genererà un ricavo, determinando in capo alla società sportiva un differenziale positivo o negativo per contrapposizione, a seconda che il corrispettivo di cessione sia superiore o inferiore al costo imputato a conto economico al momento dell’acquisto.

Discussa è, invece, la questione della contabilizzazione nello stato patrimoniale, per la società sportiva-cessionaria, del diritto alla prestazione eventualmente acquisito “a titolo gratuito” (ossia senza corrispettivo alcuno) ovvero “a parametro zero” (calciatore c.d. “svincolato”).

Quest’ultima circostanza – se non pone difficoltà relativamente alla “spesabilità” civilistica e fiscale del costo, in quanto, appunto, inesistente – determina un problema in punto di qualificazione fiscale del provento derivante dalla successiva cessione del contratto di prestazione sportiva, che continua a essere oggetto di dibattito sia nella giurisprudenza di legittimità che nella dottrina di settore (in merito, si vedano, specificamente, Cass., sez. trib., 9 gennaio 2019, n. 345, Cass., sez. trib., 4 aprile 2019, n. 9433 e Cass., sez. trib., 8 ottobre 2020, n. 21701, e, quanto alla dottrina, Boria P., Irrilevanti le minusvalenze per cessioni senza corrispettivo del contratto di calciatori, in GT – Riv. giur. trib., 2019, 5, 402 ss.; Massarotto S. – Altomare M., Revirement della Cassazione sulla (in)deducibilità delle minusvalenze da cessioni “a zero” di calciatori, in Riv. tel. dir. trib., 2019, 1, IX, 114 ss. e Contrino A., Spigolature in tema di deducibilità delle minusvalenze da cessione “senza corrispettivo” del diritto alla prestazione sportiva e la pericolosa riesumazione dell’art. 53 Cost. per far prevalere la “sostanza economica” nella nuova veste di “concretezza oggettiva”, in Riv. tel. dir. trib., 2021, 1, X, 376 ss.).

3. La collocazione in bilancio del diritto alla prestazione sportiva tra le “immobilizzazioni immateriali”, e in ispecie nella sua voce residuale, permette di trarre una serie di conseguenze sul versante fiscale, nel contesto del regime d’impresa.

La prima, e più immediata, conseguenza è il rigetto dell’ipotesi interpretativa secondo cui il costo di acquisizione del diritto all’utilizzo delle prestazioni del calciatore non possa essere ricondotto nel novero dei “beni d’impresa”, ma sarebbe configurerebbe un mero “onere ad utilità pluriennale” deducibile nei limiti, e alle condizioni, di cui all’art. 108, comma 3, TUIR (in quest’ultimo senso, fra gli altri, Leo M. – Monacchi F. – Schiavo M., Le imposte sui redditi nel testo unico, Milano, 1991, 774).

E invero, ancorché la categoria delle immobilizzazioni immateriali non abbia in ambito tributario una disciplina unitaria, essendo spezzata in un due sottoinsiemi, è indubbia la sussunzione della nostra fattispecie nell’art. 103, comma 2, TUIR, la cui sfera di azione, oltre ai diritti di concessione, è ampia e abbraccia – con un’espressa clausola residuale e di chiusura – tutti gli «altri diritti iscritti nell’attivo del bilancio»: donde l’attrazione di ogni costo che – com’è nella fattispecie in esame, e a differenza di quelle sussumibili nell’art. 108, comma 3, TUIR – determini l’ingresso nel patrimonio dell’impresa di un bene immateriale, anche se “atipico”, diverso da quelli espressamente menzionati nel comma 1 della medesima disposizione (ossia, diritti relativi a utilizzazione delle opere dell’ingegno, brevetti industriali, processi, formule e know-how tecnico), qual è – come argomentato nel paragrafo precedente – il diritto pluriennale alla prestazione sportiva del calciatore, che, in ragione del suo contenuto economico-patrimoniale, dovrebbe comunque potersi annoverare – com’era per il c.d. vincolo sportivo – tra i beni in senso giuridico di cui all’art. 810 c.c.

La seconda conseguenza, una volta chiarito ed evidenziato che la compravendita di un calciatore determina l’immissione nel patrimonio dell’impresa di un bene immateriale “atipico”, è l’impossibilità – diversamente da quanto prospettato in dottrina anche in tempi recenti – di qualificare tale cespite alla stregua di un “bene-merce” (salvo il caso eccezionale di cui si di è detto alla fine del paragrafo precedente), dovendosi invece collocare nella categoria residuale dei “beni diversi dai beni-merce”, e in ispecie fra quelli “strumentali” allo svolgimento dell’attività imprenditoriale.

E infatti, non sembra revocabile in dubbio che il particolare bene in esame è sì impiegato nel ciclo imprenditoriale, ma non esaurisce la sua utilità in modo istantaneo, come accade per i “beni-merce”, essendo suscettibile di utilizzazioni plurime nel ciclo produttivo e asservito in maniera durevole all’esercizio dell’attività economica (nella manualistica pongono la giusta enfasi su tale connotazione, Fantozzi A. – Paparella F., Lezioni di diritto tributario dell’impresa, Padova, 2019, 186; Zizzo G., La determinazione del reddito delle società e degli enti commerciali, in Falsitta G., Manuale di diritto tributario. Parte speciale, Padova, 2018, 398 e, in precedenza, Tesauro F., Istituzioni di diritto tributario. Parte speciale, Torino, 2008, 122) e al conseguimento del fine ultimo dell’impresa.

Ciò ancorché la compravendita dei giocatori rientri tra gli atti di gestione ordinaria delle società professionistiche di calcio, circostanza, questa, che non deve tuttavia trarre in inganno in punto di qualificazione dei beni in esame.

E infatti, se è vero che i calciatori professionisti sono ceduti con notevole frequenza, ciò non implica – e non può, obiettivamente, implicare – che la compravendita dei calciatori sia l’oggetto dell’attività caratteristica delle società sportive: si tratta, infatti, di un mero connotato peculiare dell’attività di queste imprese, che richiede un ricambio quasi continuo dei relativi beni immateriali strumentali.

In questa prospettiva, è dunque corretta l’affermazione perentoria – contenuta nella sentenza in commento – secondo cui «il diritto all’utilizzo escluso della prestazione dell’atleta […] è senz’altro un bene da inquadrarsi tra i beni immateriali strumentali ammortizzabili […], suscettibili, come tali di produrre plusvalenze o minusvalenze, rilevanti ai fini IRES e IRAP».

4. Invero, le soluzioni sul versante reddituale, sinteticamente ma in modo corretto tratte anche dall’estensore della sentenza in commento, sono il precipitato del quadro tracciato e dei punti fermi individuati sul piano patrimoniale.

Quanto al costo di acquisto del calciatore, l’incasellamento tra i beni d’impresa di carattere strumentale del relativo diritto immateriale comporta che – in presenza di un ammortamento civilistico sistematico, uniforme e costante nel tempo – le quote di ammortamento del valore iscritto nello stato patrimoniale siano deducibili anche ai fini fiscali, e ciò a prescindere dall’adozione in sede civilistica di un criterio costante o decrescente1, essendo irrefutabile – per le ragioni illustrate – la “strumentalità” del diritto rispetto all’attività d’impresa.

Quanto ai proventi e agli oneri derivanti dal trasferimento del calciatore, nel regime fiscale di impresa la cessione di un contratto di prestazione sportiva a titolo oneroso determina – essendo il diritto “atipico” che ne costituisce l’oggetto inquadrabile fiscalmente nella categoria dei “beni diversi dai beni-merce” – una plusvalenza o una minusvalenza in ragione dell’entità del corrispettivo pagato dall’acquirente, e non un ricavo produttivo di un utile o di una perdita per differenza rispetto al valore fiscale del bene già spesato.

L’unica eccezione, per cui vale invece quanto da ultimo affermato, è l’ipotesi – già vagliata sotto il profilo civilistico – di acquisizione del diritto alle prestazioni sportive di un calciatore destinato a essere ceduto a breve, che, in quanto da allocare nell’attivo circolante, è annoverabile tra i “beni-merce per assimilazione”.

In quest’ultimo caso, ovviamente, il relativo costo di acquisto sarà non ammortizzabile per quote bensì deducibile in modo integrale per competenza, seguendo – in forza del principio di derivazione rafforzata di cui all’art. 83 TUIR – le regole proprie della competenza civilistico-contabile (in merito, Fransoni G., L’imputazione a periodo nel reddito d’impresa dei soggetti IAS/IFRS, in Corr. trib., 2008, 39, 3145 e Crovato F., Il principio di competenza dopo la riforma degli OIC, in Riv. dir. trib., 2020, 2, I, 153 ss.) e la cessione generà – come detto – un ricavo, determinando per contrapposizione al costo già integralmente spesato, e in ideale congiungimento delle due poste, un differenziale positivo o negativo.

È, dunque, condivisibile il monolitico orientamento della giurisprudenza di legittimità, fatto proprio anche dalla sentenza in esame, il quale si è tuttavia formato non attraverso il percorso argomentativo che è stato svolto fino ad adesso, ma meramente appoggiandosi sulle conclusioni rassegnate dal Consiglio di Stato, il quale – dopo avere sancito la riconducibilità del trasferimento di un calciatore nello schema civilistico della cessione del contratto – ha affermato che il contratto di lavoro degli atleti professionisti rappresenta per le società sportive un bene dotato di un’utilità economica suscettibile di autonoma negoziazione, con susseguente collocazione dei relativi, eventuali proventi fra le plusvalenze imponibili, in ispecie ai fini IRAP.

La qualificazione fiscale della cessione del contratto di prestazione sportive come fattispecie che genera plusvalenze (e minusvalenze), in luogo di ricavi (e, dunque, di utili o perdite per contrapposizione al relativo costo), assume rilevanza ai fini IRES e, in passato, anche ai fini IRAP.

Ai fini IRES, il differenziale tra il corrispettivo e il costo d’acquisto – anziché essere sempre tassato per intero al momento del realizzo, come accadrebbe se il corrispettivo della cessione del predetto costituisse ricavo – potrà essere rateizzato in quote costanti nell’esercizio di realizzo e al massimo nei quattro successivi, ai sensi dell’art. 86, comma 4, TUIR. Correlativamente, vertendosi sempre nell’ipotesi di cessione a titolo oneroso, in caso di differenziale negativo la minusvalenza sarà integralmente deducibile ai sensi dell’art. 101 TUIR: con riguardo questa ipotesi, non vi sarebbe stata alcun differenza in caso di qualificazione della fattispecie come generatrice di ricavi, anziché di plusvalenze, poiché la relativa perdita sarebbe stata parimenti deducibile in maniera integrale.

Ai fini IRAP, l’inquadramento della fattispecie tra quelle generatrici di ricavi o di plusvalenze è oggi indifferente, posto che il differenziale è destinato a concorrere, in entrambi i casi, alla formazione della base imponibile.

In passato non era così.

E infatti, l’inquadramento nell’una o nell’altra fattispecie determinava sempre l’assoggettamento a IRAP del differenziale, in caso di qualificazione della fattispecie come generatrice di ricavi; non altrettanto nel caso della plusvalenza, e ciò perché si riteneva – e una difesa in questo senso è stata svolta anche nella controversia oggetto della sentenza in esame – il differenziale esegeticamente collocabile tra i “proventi straordinari”, che si trovavano all’esterno della base imponibile IRAP, e il sottostante bene immateriale privo del requisito della strumentalità all’esercizio dell’attività di impresa2. Questa impostazione è stata rigettata – a ragione – dalla totalità delle sentenze di Cassazione che hanno vagliato la questione, e in maniera implicita anche dalla sentenza in commento, argomentandosi che le plusvalenze da cessione dovevano essere indicate non tra i “proventi straordinari”, bensì tra gli “altri ricavi e proventi” – e, dunque, all’interno dei confini della base imponibile IRAP – in quanto il trasferimento dei calciatori rientra nella gestione ordinaria “accessoria” delle società sportive3.

La questione poteva, invero, essere risolta in modo più lineare e immediato attraverso l’invocazione e l’applicazione del c.d. principio di correlazione (su cui, per tutti, Schiavolin R., L’imposta regionale sulle attività produttive. Profili sistematici, Milano, 2007, 363 ss. e, più di recente, Bernardini A. – Miele L., Il principio di correlazione nella determinazione del valore della produzione netta ai fini Irap, in Corr. trib., 2014, 11, 833 ss.), in forza del quale – a prescindere dalla natura strumentale, o meno, del diritto in esame e dalla natura ordinaria o straordinaria del provento derivante dalla sua cessione – quest’ultimo risultava comunque imponibile in quanto correlato al costo, deducibile ai fini IRAP, sostenuto dalla società sportiva al momento dell’acquisto del diritto alle prestazioni sportive del calciatore.

Oggi, la questione non è più controversa.

Come si è anticipato in apertura, la risoluzione della problematica non è il frutto dell’adozione normativa di una soluzione ad hoc, ma discende dalle modifiche apportate all’assetto generale della disciplina IRAP in punto di base imponibile.

Senza indugiare – per evidenti ragioni – sull’evoluzione di tale disciplina (per la quale si rinvia a Giovannini A., Irap e cessione di calciatori, cit., 178 ss.), è sufficiente rilevare che nell’assetto attuale, come risultante dalle ultime modifiche apportate nel 20164, non è più necessario effettuare una valutazione “qualitativa” del provento-plusvalenza derivante dalla cessione di un calciatore, in quanto l’art. 5, comma 1 del decreto IRAP, così come novellato, esclude dalla base imponibile in modo specifico, e solo, i componenti di natura straordinaria derivanti da trasferimenti di azienda o rami di azienda. Onde qualsivoglia, diverso componente straordinario, positivo o negativo, concorre alla formazione della base imponibile IRAP, con conseguente assoggettamento al tributo, a prescindere dall’appartenenza alla gestione ordinaria e dalla strumentalità del bene da cui è stato generato.

(*) Il saggio è stato sottoposto a double blind peer review con valutazione positiva. Esso confluirà nel fascicolo n. 2/2024 (semestrale) della Rivista telematica di diritto tributario.

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1 Tra il criterio di imputazione ai fini civilistici e la regola di deducibilità fiscale vi è una sostanziale coincidenza, se si considera che, già sotto il profilo letterale, nell’art. 2426 c.c. (ma anche nei principi contabili) le immobilizzazioni (anche) immateriali sono ammortizzabili in base al criterio della «residua possibilità di utilizzazione» e nell’art. 103 TUIR (ma anche nell’art. 68 del vecchio TUIR) è previsto l’ammortamento in base alla «durata di utilizzazione prevista dal contratto o dalla legge», senza vincolo alcuno, in entrambi casi, in ordine alla costanza delle quote di ammortamento. Nella circ., 20 dicembre 2013, n. 37/E, p. 16, ai fini della deducibilità, si richiede che «le quote di ammortamento imputate al conto economico siano ancorate a criteri oggettivi in linea con la corretta applicazione dei principi di contabilizzazione e, in caso di adozione di un criterio decrescente, siano rispettati altresì i seguenti requisiti: 1) il sistema delle quote decrescenti sia utilizzato per l’intero parco calciatori; 2) il sistema delle quote decrescenti una volta adottato, non sia modificato, salvo il verificarsi di situazioni eccezionali».

2 La sezione del conto economico dedicata alla gestione straordinaria (“Proventi e oneri straordinari”) è stata eliminata dall’art. 6, comma 6, lett. g), D.Lgs. 18 agosto 2015, n. 139.

3 A ragione perché, anche in base ai principi contabili, la straordinarietà della gestione è legata alla estraneità della fonte del provento (o dell’onere) all’attività ordinaria, com’è, ad esempio, nel caso delle plusvalenze e minusvalenze derivanti da operazioni o eventi che hanno un effetto rilevante sulla struttura aziendale (cessione di rami aziendali, partecipazioni strategiche, riorganizzazioni societarie, ecc.) o dalla cessione di beni immateriali che hanno una notevole rilevanza rispetto alla totalità dei beni strumentali utilizzati per lo svolgimento dell’attività aziendale ordinaria.

4 Art. 13-bis D.L. 30 dicembre 2016, n. 244, conv. dalla L. 27 febbraio 2017, n. 19. L’intervento manutentivo alla disciplina IRAP, realizzato con il citato decreto, è stato determinato – come si evince dal richiamo delle relative voci per la determinazione della base imponibile – dalle modifiche agli schemi del bilancio di esercizio apportate con il D.Lgs. 18 agosto 2015, n. 139, in vigore dal 1° gennaio 2016.

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