Osservazioni sul contraddittorio doganale tra normativa europea e riforma fiscale
Di Federico Tarini
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Abstract (*)
A partire dalle prime elaborazioni della giurisprudenza europea di inizio anni 2000, il diritto al contraddittorio ha assunto un ruolo cardine nell’ambito dell’accertamento doganale rimanendo, però, una facoltà del tutto limitata per gli altri tributi di matrice prettamente nazionale. L’introduzione del nuovo contraddittorio generalizzato (e le prospettate modifiche al TULD) hanno però modificato questa netta distinzione. Il presente contributo, partendo da una ricostruzione della disciplina attualmente applicabile, mira ad effettuare alcune considerazioni circa il ruolo del contraddittorio in ambito doganale a seguito della riforma fiscale.
Notes on the Right to be Heard in the Customs Procedure – European Law And Tax Reform-Since the first decisions of European jurisprudence in the early 2000s, the right to be heard has assumed a pivotal role in the context of customs assessment while remaining, however, an entirely limited option for other purely domestic taxes. The introduction of the new generalised right to be heard (and the planned amendments to the TULD), however, have changed this clear distinction. This contribution, starting from an analysis of the currently applicable rules, aims to make some considerations on the role of the right to be heard in customs matters following the tax reform.
Sommario: 1. Le origini giurisprudenziali del diritto al contraddittorio. – 2. Il diritto al contraddittorio nella normativa doganale europea. – 3. Il diritto di accesso alle informazioni nell’ambito del contraddittorio doganale. – 4. Le deroghe al diritto al contraddittorio nella normativa doganale europea. – 5. La violazione dell’obbligo di contraddittorio preventivo. – 6. Il contraddittorio doganale nella normativa italiana: fra normativa doganale e nuovo contraddittorio generalizzato. – 7. (Segue). Il contraddittorio generalizzato (cenni). – 8. Il contraddittorio doganale alla luce della riforma fiscale.
1. In materia doganale, il “diritto ad essere ascoltato”, o “right to be heard”, trova le proprie radici nella giurisprudenza della Corte di Giustizia. Il contraddittorio preventivo oggi positivizzato nel Codice Doganale dell’Unione (Regolamento UE, 9 ottobre 2013, n. 952/2013, in breve, CDU) è infatti il risultato del recepimento della giurisprudenza europea emersa sotto la vigenza del previgente Codice (Regolamento CEE, 12 ottobre 1992, n. 2913/92) la quale rappresenta, quindi, un imprescindibile punto di partenza.
Sebbene il tema sia stato oggetto di attenzione da parte della Corte di Giustizia sin dai primi anni ‘60 (Corte di Giustizia, sentenza 4 luglio 1963, Alvis vs. Consiglio CEE, causa C-32/62; Corte di Giustizia, sentenza 24 ottobre 1996, Commissione vs. Lisrestal, causa C- 32/95), la genesi del right to be heard è individuabile nella ormai nota sentenza Sopropé (Corte di Giustizia, sentenza 18 dicembre 2008, Sopropé, causa C-349/07).
Fu infatti proprio con questa decisione che i giudici di Lussemburgo, seppur chiamati a pronunciarsi solo sulla congruità dei termini per svolgere memorie e presentare osservazioni, ricondussero, per la prima volta, il diritto al contraddittorio nell’ambito del diritto di difesa e, quindi, nell’alveo dei diritti fondamentali UE.
In particolare, la sentenza Sopropé, recepita e richiamata da tutta la giurisprudenza successiva, conclude affermando che l’adozione di una decisione sfavorevole per il contribuente (non solo, quindi, accertamenti in senso stretto, ma anche decisioni attinenti, ad esempio, alla revoca della qualifica di AEO) obbliga le Amministrazioni nazionali a consentire all’operatore economico di esprimere, in maniera utile, efficace e tempestiva, il proprio punto di vista prima dell’adozione della decisione definitiva.
E ciò, secondo la Corte, indipendente dalle previsioni contenute nella normativa nazionale trattandosi, appunto, di un diritto fondamentale caratterizzante l’intero contesto. Il right to be heard trova dunque il proprio fondamento nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (CDFUE) e, più precisamente, negli artt. 47 e 48 in materia di diritto di difesa e nell’art. 41 in tema di diritto ad una buona amministrazione (Corte di Giustizia, sentenza 22 novembre 2012, M., causa C‑277/11; Corte di Giustizia, sentenza 3 luglio 2014, Kamino International Logistics BV, cause riunite C-129/13 e C-130/13, in dottrina, Rovetta D., Good News from Luxembourg: General Principles of Community Law and the European Convention on Human Rights are Relevant for the Application of EC Customs Law, in Global Trade and Customs Journal, 2007, 365).
2. Su impulso di questo filone giurisprudenziale, il legislatore europeo nel 2008 (Regolamento reg. CE 450/2008, c.d. Modernized Customs Code, mai entrato in vigore), prima, e nel 2013, poi, decise di positivizzare il diritto al contraddittorio, il quale trova oggi la propria base normativa nell’art. 22, paragrafo 6, CDU.
Trattasi, però, di una disposizione che, oltre ad individuare alcune specifiche deroghe al contraddittorio, si limita ad affermare che «le autorità doganali comunicano le motivazioni su cui intendono basare la decisione al richiedente, cui è data la possibilità di esprimere il proprio punto di vista», nulla prevedendo circa le concrete modalità attuative di tale diritto. Queste ultime, pertanto, devono essere rinvenute nella regolamentazione esecutiva e delegata.
In questo senso, un primo importante contributo in materia lo si può rinvenire all’art. 8, paragrafo 1 del Regolamento di esecuzione (Reg. 2447/2015, in breve, RE), il quale impone l’inclusione all’interno della comunicazione ex art. 22, paragrafo 6, CDU di un espresso riferimento ai «documenti e alle informazioni su cui le autorità doganali intendono basare la propria decisione», accompagnato dall’informativa circa il «diritto dell’interessato di accedere ai documenti e alle informazioni».
Occorre altresì che l’Autorità doganale informi l’interessato circa il «termine entro il quale l’interessato deve esprimere il suo punto di vista» pari, a mente dell’art. 8 del Regolamento delegato (Reg. 2446/2015, in breve, RD), a 30 giorni dalla ricezione della comunicazione.
Anche RD e RE rimangono però silenti sulle modalità con cui l’interessato è legittimato a manifestare il proprio punto di vista. In assenza di regole di forma ad hoc dovrebbe quindi ritenersi ammissibile fare riferimento al principio di libertà delle forme, ricavabile dall’art. 15, paragrafo 1, CDU, fatte salve, chiaramente, eventuali regole vigenti nell’ordinamento domestico.
Si deve quindi ritenere ammissibile l’utilizzo di qualsiasi modalità a patto, chiaramente, che le stesse siano idonee a raggiungere gli scopi.
Tuttavia, stante la necessità di dar prova dell’avvenuto contraddittorio, la quasi totalità delle Autorità doganali realizza il dialogo con il contribuente mediante comunicazioni in forma scritta ovvero incontri diretti di cui è tenuta traccia in appositi verbali.
In ogni caso, la presentazione di osservazioni, indipendentemente dalla forma adottata, non ha alcun effetto “consumativo” del diritto dell’interessato, il quale, riservandosene espressamente la facoltà, può presentare ulteriori memorie fino a decorrenza del termine ex art. 8 RD.
Completa questo quadro l’obbligo di motivazione, il quale deve essere letto alla luce della giurisprudenza della Corte che impone alle Autorità doganali di esaminare attentamente le osservazioni del contribuente prendendo espressa posizione al riguardo nell’atto definitivo eventualmente adottato (Corte di Giustizia, sentenza 16 ottobre 2019, Glencore Agriculture Hungary Kft, causa C-189/18).
Va infine segnalato che è attualmente allo studio un nuovo codice doganale europeo (Proposal for a Regulation of the European Parliament and of the Council establishing the Union Customs Code and the European Union Customs Authority, and repealing Regulation, EU, no. 952/2013 presentata il 17 maggio 2023), il quale, tuttavia, riproduce, all’attuale art. 6 paragrafo 6, il contenuto dell’art. 22, paragrafo 6, CDU senza apportare alcuna modifica.
3. L’art. 8 RE, oltre a regolamentare il contenuto della comunicazione ex art. 22, paragrafo 6, CDU, contempla anche un espresso obbligo informativo il quale, però, richiede di individuare il punto di equilibrio fra diritto di difesa del contribuente e esigenza di tutela della riservatezza, della segretezza e dell’efficacia dell’attività di accertamento.
Nella giurisprudenza europea il fondamento del diritto all’accesso al fascicolo è individuato, ancora una volta, nell’art. 41 CDFUE (Corte di Giustizia, sentenza 4 giugno 2020, SC C.F. SRL, causa C-430/19).
Secondo la CGUE, l’accesso al fascicolo è un obbligo generalizzato per le Autorità fiscali, il quale può essere limitato solo in presenza di “obiettivi di interesse generale” (sul punto, v. specificamente Comelli A., I diritti della difesa, in materia tributaria, alla stregua del diritto dell’unione europea e, segnatamente, il “droit d’eˆtre entendu” e il diritto ad un processo equo, in Dir. prat. trib., 2020, 4, 1333). Logicamente, anche in caso di deroga, la limitazione non deve dar vita ad un intervento sproporzionato e inaccettabile, tale da ledere la sostanza stessa dei diritti così garantiti.
In altre parole, nella prospettiva europea, il diritto di accesso al fascicolo è, al pari del diritto al contraddittorio, una declinazione del diritto di difesa e, soprattutto, del diritto ad una buona amministrazione, i quali devono sempre essere garantiti, salvo deroghe (proporzionali) dettate da interessi generali superiori.
Nel contesto nazionale la base normativa del diritto all’accesso al fascicolo è data, da un punto di vista generale, dalla L. n. 241/1990 e, a monte, dall’art. 97 Cost. In particolare, a mente dell’art. 22 della legge sul procedimento amministrativo, deve essere garantito «il diritto degli interessati di prendere visione e di estrarre copia di documenti amministrativi». Trattasi, però, di una previsione che, anche a seguito delle modifiche apportate nel 2005, trova forti limitazioni proprio in relazione alla materia tributaria, dazi doganali compresi. Come noto, a mente dell’art. 24, comma 1, lett. b), L. n. 241/1990, «il diritto di accesso è escluso […] nei procedimenti tributari, per i quali restano ferme le particolari norme che li regolano».
Tuttavia, in assenza di specifiche disposizioni applicabili alla sola materia tributaria, è opportuno leggere la normativa amministrativa alla luce dei principi di diritto più volte espressi dal Consiglio di Stato (in questi termini, Salvini L., Accesso agli atti del procedimento tributario, in Dizionario di Diritto Pubblico, Milano, 2006). In questo senso, i giudici di Palazzo Spada hanno evidenziato che la limitazione sopra richiamata deve essere confinata «alla fase di pendenza del procedimento tributario, non rilevandosi esigenze di ‘segretezza’ nella fase che segue la conclusione del procedimento con l’adozione del procedimento definitivo di accertamento dell’imposta dovuta» (Consiglio di Stato, 21 ottobre 2008, n. 5144). E, d’altronde, non potrebbe essere altrimenti.
Come correttamente precisato dalla medesima giurisprudenza amministrativa, accogliendo l’interpretazione opposta si giungerebbe all’inaccettabile conseguenza che «in uno Stato di diritto, il cittadino possa essere inciso dalla imposizione tributaria […] senza neppure conoscere il perché della imposizione e della relativa quantificazione».
In altre parole, la giurisprudenza amministrativa riconosce sì un diritto all’accesso agli atti, ma solo nella fase successiva all’emissione dell’atto definitivo.
Prima della riforma fiscale, la giurisprudenza tributaria nazionale era però particolarmente restia nell’ammettere un diritto all’accesso al fascicolo nella fase procedimentale.
Questa posizione, conscia della preminenza del diritto europeo sulla normativa italiana, fondava le proprie radici in quegli interessi generali sopra richiamati e, nello specifico, nella tutela della “segretezza” dell’agire amministrativo. Senonché, i concetti di riservatezza e segretezza valorizzati dal giudice europeo sembrano non attenere all’attività dell’Autorità pubblica, ma devono essere letti nell’ottica della salvaguardia del privato.
Invero, la CGUE è chiara nel ricondurre fra gli obiettivi di interesse generale la sola tutela della riservatezza personale e del segreto inteso quale segreto professionale in relazione ai dati che si riferiscono a soggetti terzi diversi da colui sottoposto a verifica.
A seguito dell’introduzione del nuovo contraddittorio generalizzato, il legislatore nazionale sembrerebbe essersi oggi allineato alla giurisprudenza europea contemplando, all’art. 6-bis L. n. 212/2000, l’espressa facoltà, in capo al contribuente, di richiedere l’accesso al fascicolo antecedentemente all’emissione dell’accertamento definitivo.
4. Le osservazioni svolte nelle pagine che precedono evidenziano la centralità del contraddittorio nel procedimento amministrativo doganale. Centralità che, tuttavia, non deve essere letta come “assolutezza” del diritto. È infatti la stessa regolamentazione europea a contemplarne numerose deroghe ed eccezioni, pur rimarcando l’obbligatorietà e la rilevanza del right to be heard.
Queste limitazioni (o, talvolta, esclusioni) devono però essere valutate ed applicate nel pieno rispetto del principio di proporzionalità al fine di non pregiudicare la stessa sostanza dei diritti in gioco.
Non è ovviamente questa la sede per passare in rassegna le innumerevoli e variegate ipotesi contemplate dalla normativa europea; basterà qui rammentare che, anche in forza del considerando n. 27 del CDU, l’elencazione contenuta all’art. 22, paragrafo 6 del codice (e nella normativa complementare) non sembra costituire un numero chiuso.
È però necessario interrogarci circa i criteri identificativi di quella proporzionalità richiesta sia dalla normativa europea che dalla Corte di Giustizia.
Ai sensi dell’art. 52 CDFUE «eventuali limitazioni all’esercizio dei diritti e delle libertà […] devono essere previste dalla legge e rispettare il contenuto essenziale di detti diritti e libertà». Pertanto, «Nel rispetto del principio di proporzionalità, possono essere apportate limitazioni solo laddove siano necessarie e rispondano effettivamente a finalità di interesse generale riconosciute dall’Unione o all’esigenza di proteggere i diritti e le libertà altrui».
Il punto fondamentale è indubitabilmente rappresentato dal non ben definito concetto di “contenuto essenziale di detti diritti e libertà” che funge da limite a deroghe e limitazioni.
Le elaborazioni giurisprudenziali non consentono di individuare con assoluta certezza criteri certi e univoci. Tuttavia, volendo tracciare un “filo rosso” fra le varie impostazioni rinvenibili nella letteratura, pare possibile ammettere che la tutela del contenuto essenziale di un diritto è garantita qualora continui a persistere una certa posizione soggettiva (cfr. Lenaerts K., Limits on Limitations: The Essence of Fundamental Rights in the EU, in German Law Journal, 2019, 779).
Si possono quindi ritenere legittime, ad esempio, semplici limitazioni temporali e/o oggettive come quella contemplata dall’art. 8, paragrafo 2, RD a mente del quale, al ricorrere dei presupposti ivi contemplati, il termine per esercitare il diritto ad essere ascoltati può essere ridotto dagli ordinari 30 giorni a 24 ore.
Per quel che concerne, invece, le limitazioni ad ampio spettro, ossia quelle che conducono fino ad una totale esclusione del right to be heard, occorre adottare una chiave di lettura più ampia – e a carattere prettamente sistematico – la quale vede il contraddittorio non come “diritto a sé stante”, ma come un semplice tassello del più ampio diritto ad una buona amministrazione.
A mente dell’art. 41 CDFUE rientrano nell’ambito di questo diritto, oltre alla facoltà di fornire il proprio punto di vista, anche il diritto “di accedere al fascicolo” e “l’obbligo per l’amministrazione di motivare le proprie decisioni” (cfr. Pierro M., La buona Amministrazione, in Carinci A. – Tassani T., a cura di, I diritti del contribuente, Milano, 2022, 139). Ne consegue che, anche escludendo il diritto al contraddittorio, il contenuto essenziale del diritto non risulterebbe irreparabilmente compromesso qualora venga comunque assicurato il rispetto delle altre due componenti del diritto ad una buona amministrazione sopra richiamate.
A tal proposito, fermo quanto sopra rilevato in materia di accesso al fascicolo, appare quantomeno opportuno che, sotto il profilo della motivazione, questa indichi altresì le ragioni che hanno portato all’esclusione del contraddittorio. Questo non solo in una prospettiva “fisiologica”, da intendersi quale corretto adempimento del dovere imposto dall’art. 41 CDFUE, ma anche in un’ottica “patologica”, volta, cioè, a consentire al giudice il vaglio circa l’eventuale indebita esclusione del contraddittorio.
Un’ulteriore giustificazione del diritto al contraddittorio può altresì essere rinvenuta nella ricomprensione dello stesso all’interno del più generale diritto di difesa. Il contribuente ha infatti la possibilità di far valere le proprie ragioni anche dinnanzi ad un organo giudiziale, sicché una compressione (proporzionale) del diritto di difesa in fase endoprocedimentale non estingue del tutto il diritto di difesa allo stesso riconosciuto.
5. Chiariti gli elementi essenziali del contraddittorio doganale, restano ora da esaminare le conseguenze derivanti da una sua eventuale ingiustificata violazione.
Prima dell’intervento di riforma, con riferimento ai soli tributi armonizzati, la giurisprudenza aveva assunto un atteggiamento del tutto peculiare. Il giudice nazionale, prendendo spunto dalla posizione della CGUE, ritieneva che la violazione del contraddittorio potesse tradursi in una invalidità dell’atto soltanto se, in mancanza di tale irregolarità, il procedimento avrebbe potuto comportare un risultato differente (Cass., SS.UU., 9 dicembre 2015, n. 24823). In altre parole, affinché la violazione del right to be heard potesse condurre alla illegittimità dell’atto non era sufficiente una mera (e talvolta pretestuosa) contestazione, ma occorreva che il contribuente desse prova, nel corso del giudizio, di tutti gli elementi che, se esposti nella fase procedimentale, avrebbero potuto influire sull’atto adottato dall’Autorità amministrativa (c.d. prova di resistenza).
Si trattava, quindi, di una prova misurabile in termini di effettività ove, in ossequio ai principi di correttezza e buona fede e al principio di lealtà processuale, il giudice era tenuto a valutare se la violazione del diritto ad essere ascoltati avesse determinato uno sviamento dello strumento difensivo rispetto alla finalità di corretta tutela dell’interesse sostanziale (in tale senso, v. Marcheselli A., Il contraddittorio va sempre applicato ma la sua omissione non può eccepirsi in modo pretestuoso, in Corr. trib., 2014, 33, 2536).
Tuttavia, la specificità frequentemente richiesta dalla giurisprudenza (Cass., 6 ottobre 2020, n. 21376) aveva portato taluni a sostenere (La Scala E.A., L’effettiva applicazione del principio del contraddittorio nel procedimento amministrativo tributario tra svolte, ripensamenti e attese, in Riv. dir. fin., 2015, 3, 411) che una prova di resistenza così concepita rischiava di trasformare una contestazione attinente ai profili “formali” in una vera e propria doglianza vertente sul merito della controversia.
E, allora, al fine di superare queste possibili obiezioni, era stato ritenuto più corretto valorizzare non tanto il profilo della “utilità” del contraddittorio, ma quello attinente alla non pretestuosità della contestazione. Ciò, d’altronde, era proprio l’obiettivo perseguito dalle SS.UU. del 2015, in virtù delle quali il fondamento della prova di resistenza doveva essere individuato nell’intento di evitare un c.d. abuso del processo.
La questione merita però di essere apprezzata anche alla luce del nuovo art. 6-bis L. n. 212/2000 introdotto dal D.Lgs. n. 219/2023, il quale disciplina il nuovo contraddittorio generalizzato. In particolare, la norma, al primo comma, elimina la descritta prova di resistenza comminando, in caso di mancata attivazione dello strumento, l’espressa annullabilità dell’atto successivamente emesso.
Rinviando a quanto sarà meglio precisato infra, la nuova disposizione crea non pochi problemi di compatibilità con la norma doganale in quanto sembrerebbe eliminare la prova di resistenza, stando alla posizione recentemente assunto dall’Agenzia delle Dogane, solamente per i tributi interni e non anche per gli accertamenti aventi ad oggetto i dazi doganali.
6. La disciplina interna del contraddittorio doganale è (attualmente) contenuta all’art. 11 D.Lgs. 8 novembre 1990, n. 374, così come modificato dall’art. 92, comma 1, D.L. n. 1/2012.
In particolare, a seguito della pronuncia del giudice europeo del 2008, la giurisprudenza, prima, ed il legislatore, dopo, hanno introdotto un obbligo generalizzato di contraddittorio nella materia doganale, contenuto al comma 4-bis del citato art. 11 (Cass., 11 giugno 2010, n. 14105).
La norma, ispirandosi al principio di leale cooperazione su cui si fonda anche l’art. 12 dello Statuto dei diritti del contribuente, ha quindi trasformato la facoltà di fornire il proprio punto di vista (art. 11, comma 2, D.Lgs. n. 374/1990) in un vero e proprio obbligo per l’Amministrazione doganale.
E ciò indipendentemente dalla natura dell’accertamento, essendo tale previsione applicabile sia nel caso di controlli d’ufficio, sia qualora l’accertamento sia fondato su accessi, ispezioni e verifiche.
Da un punto di vista procedurale l’operatore è quindi oggi legittimato a comunicare osservazioni e richieste, nel termine di 30 giorni decorrenti dalla data di consegna o di avvenuta ricezione del verbale. Osservazioni, queste, che devono essere valutate dall’Ufficio doganale prima della notifica dell’avviso.
Ciononostante, sebbene la norma nulla prevedeva in materia, la Corte di Giustizia, così come la prassi e il giudice nazionale, continuano oggi a subordinare l’invalidità dell’atto alla “prova di resistenza”, nulla essendo previsto in tal senso nel recente schema di decreto legislativo di riforma della normativa doganale (Corte di Giustizia, sentenza 20 dicembre 2017, Preqù Italia, causa C-276/16).
Va infine rilevato che lo schema di decreto volto a riformare il Testo Unico delle leggi doganali, recentemente approvato in via preliminare dal Consiglio dei Ministri del 9 aprile 2024, sembrerebbe superare la sinteticità dell’art. 11 optando, invece, per un totale rinvio alla normativa europea.
Difatti, gli artt. 34, 42 e 47, nella formulazione attualmente approvata, oltre a presentare un espresso rinvio alla normativa europea, accolgono espressamente il procedimento contemplato dal CDU realizzando quindi, una uniformazione con la normativa (e con la giurisprudenza) europea.
7.(Segue). All’infuori del settore doganale, l’ordinamento italiano ha visto, nel corso degli ultimi un acceso e vivace dibattito circa la possibilità di riconoscere un generalizzato diritto al contraddittorio preventivo.
Tralasciando le ipotesi specifiche e settoriali, fra le quali rientra, ad esempio, il contraddittorio preventivo nell’ambito degli accertamenti in tema di abuso del diritto, giurisprudenza e dottrina hanno focalizzato la lora attenzione sulla fattispecie contemplata dall’abrogato art. 12, comma 7, L. n. 212/2000.
In particolare, due erano le possibili interpretazioni della disposizione. Da un lato, parte della dottrina (Marongiu G., Diritto al contraddittorio e Statuto del contribuente, in Dir. prat. trib., 2012, 4, II, 614; Muleo S., Il contraddittorio procedimentale e l’affidamento come principi immanenti e Marcheselli A., L’effettività del contraddittorio nel procedimento tributario tra Statuto del contribuente e principi comunitari, entrambi in Bodrito A. – Contrino A. – Marcheselli A., a cura di, Consenso, equità e imparzialità nello Statuto del contribuente, Torino, 2012, rispettivamente 406 e 413), supportata dalla giurisprudenza anteriore al 2015, riteneva che il termine di improcedibilità di cui all’art. 12, comma 7 dello Statuto dovesse essere letto come un vero e proprio contraddittorio obbligatorio generalizzato. Pertanto, anche in assenza di una espressa previsione in tal senso, la violazione del contraddittorio avrebbe dovuto comportare l’invalidità dell’atto successivamente notificato (Cass., SS.UU., 29 luglio 2013, n. 18184).
Tuttavia, a poca distanza da questa iniziale prima presa di posizione, la Suprema Corte, intervenendo nuovamente a Sezioni Unite, ridimensionò la portata del contraddittorio di cui all’art. 12, comma 7, L. n. 212/2000 (Cass., SS. UU., 9 dicembre 2015, n. 24823).
La Corte, valorizzando la non perfetta coincidenza fra diritto nazionale e diritto europeo, introdusse quindi la già citata distinzione fra tributi armonizzati, disciplinati dalla normativa europea, e tributi non armonizzati, regolati dal solo diritto domestico. I primi, fra i quali rientrano anche i dazi doganali, beneficiavano del diritto al contraddittorio, la cui violazione determinava l’invalidità dell’atto ma, come precisato anche dalla sentenza Kamino, solo a condizione che il contribuente riuscisse a superare la c.d. prova di resistenza. Al contrario, per i tributi non armonizzati non esisteva «una clausola generale di contraddittorio endoprocedimentale in campo tributario nazionale che non sia quella prevista dall’art. 12, co. 7».
Pertanto, secondo questa ricostruzione, prima della riforma del sistema fiscale non esisteva alcun contraddittorio generalizzato, ma il diritto al contraddittorio doveva essere riconosciuto solo all’accertamento dei tributi armonizzati.
Questa ingiustificata distinzione, «distonica rispetto all’evoluzione del sistema tributario», ma superabile solo tramite «un tempestivo intervento normativo che colmi la lacuna evidenziata» (Corte cost., 21 marzo 2023 n. 47), è stata finalmente affrontata dal legislatore della riforma, il quale ha oggi introdotto un vero e proprio contraddittorio generalizzato all’art. 6-bis L. n. 212/2000.
La disciplina, applicabile a tutti gli atti impugnabili ex art. 19 D.Lgs. n. 546/1992 fatta eccezione per gli accertamenti “automatizzati” o “sostanzialmente automatizzati” (D.M. ECOFIN, 24 aprile 2024), introduce un contraddittorio informato ed effettivo, azionato attraverso la consegna di uno “schema di atto” al contribuente e la cui violazione, nei casi previsti, determina la annullabilità dell’atto definitivo.
Nello specifico, l’Amministrazione finanziaria, prima di emettere l’atto impositivo deve mettere a disposizione del contribuente uno schema di provvedimento affidandogli un termine non inferiore a 60 giorni per presentare eventuali controdeduzioni ovvero, su richiesta, accedere ed estrarre copia degli atti del fascicolo.
Al fine di dare effettività alla disposizione viene infine previsto il diritto di accesso al fascicolo e l’obbligo, in capo all’Amministrazione finanziaria, di dare conto, nell’atto eventualmente adottato a seguito di contraddittorio, delle osservazioni del contribuente.
8. Sebbene, per poter effettuare valutazioni a 360°, è necessario attendere il definitivo completamento della riforma, pare possibile, in questa sede, effettuare alcune considerazioni di carattere generale circa il “futuro” del contraddittorio in ambito doganale.
In particolare, ci si deve interrogare se, e, in caso positivo, come, le due fattispecie oggi regolamentate (contraddittorio generalizzato, da un lato, e contraddittorio doganale, dall’altro) interagiscano tra loro.
Un primo punto meritevole di attenzione e già affrontato dall’Amministrazione doganale concerne i differenti termini riconosciuti al contribuente per fornire il proprio punto di vista.
Il nuovo art. 6-bis dello Statuto affida al contribuente un termine per formulare osservazioni sulla proposta di accertamento non inferiore a 60 giorni dalla notifica dello schema d’atto. La normativa doganale, sia quella europea che quella nazionale, riduce invece tale termine a 30 giorni.
L’Agenzia delle Dogane, intervenuta sul tema, ha già avuto modo di chiarire, facendo leva sul principio di specialità enunciato dalla relazione illustrativa al D.Lgs. n. 219/2023 e sul primato del diritto europeo su quello nazionale, che il più lungo termine di 60 giorni ex art. 6-bis non può trovare applicazione in materia doganale (circ. Agenzia Dogane e Monopoli, 17 gennaio 2024, n. 2).
D’altro canto, si tratta di una distinzione che trova il proprio fondamento nella differente funzione assolta dai dazi doganali.
Le imposte domestiche tradizionali (IRPEF, IRES, imposta di registro, ecc.) hanno quale principale obiettivo il reperimento delle risorse finanziarie volte a finanziare il bilancio statale. Ciò significa, quindi, che l’attività di accertamento e recupero delle imposte deve trovare un punto di equilibrio fra necessità di consentire al contribuente di valutare le contestazioni avanzate dall’ente impositore e tutela dell’efficacia e della celerità dell’azione amministrativa.
I dazi doganali, seppur anch’essi inseriti nel contesto delle risorse finanziarie, presentano però anche una accentuata funzione extra-tributaria essendo essi importanti strumenti regolatori del commercio internazionale. Obiettivo, questo, che riveste, importanza quasi prevalente rispetto alla funzione finanziaria. In quest’ottica, la dinamica dei controlli e, quindi, dell’accertamento deve altresì evitare rallentamenti o ostacoli al commercio internazionale derivanti da un eccessivo appesantimento degli obblighi di tipo procedimentale ivi incluso, quindi, il diritto al contraddittorio per il quale si giustifica quindi una “compressione” temporale (v., in tale senso, Farrell J.F., The interface of international trade law and taxation: defining the role of the Wto, Amsterdam, 2013).
Un ulteriore aspetto che merita di essere esaminato concerne l’atto al quale le disposizioni di legge attribuiscono il compito di dare avvio alla fase di contraddittorio. Difatti, mentre il nuovo art. 6-bis affida tale compito ad uno “schema d’atto”, la normativa doganale menziona esclusivamente un “verbale delle operazioni compiute” (verbale di constatazione nel proposto nuovo art. 42) o, attenendoci al dato testuale del CDU, una “comunicazione”.
Vi è da chiedersi se le due locuzioni comportino differenze sul piano pratico. A tale interrogativo pare possibile fornire risposta positiva.
Il concetto di schema d’atto sembra individuare un provvedimento già in elevato stato di avanzamento; un atto, insomma, ancora in versione provvisoria, ma che già esprime, seppur per sommi capi, il generale convincimento dell’Amministrazione procedente.
Il riferimento al verbale di constatazione (o alla più generica “comunicazione” della normativa europea) denota invece una situazione ancora in corso di analisi e per la quale, in teoria, l’Ufficio non ha ancora raggiunto il proprio convincimento.
Sembrerebbe quindi possibile affermare che il contraddittorio doganale valorizzi maggiormente il suo ruolo endoprocedimentale coinvolgendo il contribuente già in un momento antecedente alla formazione della contestazione definitiva.
Da ultimo, vale la pena soffermarsi sulle conseguenze derivanti dalla violazione del contraddittorio. L’art. 6-bis è oggi chiaro nello stabilire che la violazione del diritto al contraddittorio nei casi in cui lo stesso è previsto (e non derogato) determina la annullabilità dell’atto. La normativa doganale, al contrario, non solo nulla prevede in materia, ma, valorizzando l’interpretazione giurisprudenziale europea, sembrerebbe invertire la situazione previgente prevedere un trattamento deteriore proprio per questo tributo armonizzato.
Nel silenzio della legge, e valorizzando a pieno quella specialità del diritto doganale menzionata dalla relazione illustrativa, si dovrebbero ritenere applicabile le sole disposizioni contenute nel TULD e nel CDU così come interpretate dalla giurisprudenza europea.
Ebbene, a tal riguardo, la Cassazione, accogliendo quanto rilevato a partire dalla sentenza Kamino, subordina ancora oggi l’annullabilità dell’atto alla previa prova di resistenza (Cass., 11 giugno 2010, n. 14105; Cass., 15 marzo 2013, n. 6621; Cass., 2 luglio 2014, n. 15032; Cass., 8 gennaio 2019, n. 218; Cass., 5 febbraio 2020, n. 2612).
Si tratta di una conclusione certamente inaccettabile. Se l’obiettivo del legislatore della riforma è quello di introdurre un contraddittorio generalizzato volto, tra l’altro, a superare quella disparità di trattamento fra tributi armonizzati e non armonizzati, appare quantomeno illogico continuare a richiedere la prova di resistenza solo per i primi.
Conseguentemente, ferma la specialità del diritto doganale, si deve ritenere che, anche in questo caso, la sola violazione del diritto al contraddittorio debba comportare, di per sé, l’annullabilità dell’atto.
(*) Il saggio è stato sottoposto a double blind peer review con valutazione positiva. Esso confluirà nel fascicolo n. 2/2024 (semestrale) della Rivista telematica di diritto tributario.
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