Diritto punitivo tributario: residualità applicativa del ne bis in idem e rapporti fra processi

Di Alessandro Giovannini -

Abstract (*)

Nel saggio si analizzano specificamente le relazioni fra processo penale e processo tributario e le nuove cause di esclusione della punibilità e le attenuanti alla luce del principio di proporzionalità, nel contesto dei nuovi rapporti fra sistema sanzionatorio amministrativo e sistema penale sostanziale e processuale alla luce del D.Lgs. n. 87/2024.

 

Criminal tax law: residual application of ne bis in idem and relations between proceedings – The work focuses on the relationships between criminal proceedings and the tax process, on the new causes for the exclusion of punishability and on the mitigating circumstances, in light of the proportionality, in the context of new relationships between the administrative sanctioning system and the substantive and procedural penal system in the light of Legislative Decree no. 87 of 2024.

 

Sommario: 1 L’integrazione della proporzionalità con regole diverse da quelle della specialità e del ne bis in idem. – 2. L’estensione, con limiti, della sospensione dell’esecuzione della sanzione amministrativa agli enti con o senza personalità giuridica. – 3. L’efficacia della sentenza penale d’assoluzione nel processo tributario. – 3.1. La centralità del passaggio dalla “identità dei mezzi di prova” alla “identità del fatto materiale” e l’irrilevanza della la “specialità” probatoria del procedimento tributario. – 3.2. Sulla possibile autosufficienza del sistema processuale tributario dopo la recente riforma in tema di prova. – 3.3. La rilevanza, solo eventuale, della sentenza tributaria nel processo penale ai fini della prova del fatto. – 4. Le cause di estinzione dei reati, le circostanze attenuanti, la speciale tenuità del fatto e le comunicazioni fra P.M. e Agenzia: la proporzionalità “premiale”.

1. Come ho detto in un precedente intervento pubblicato su questa Rivista (Sui rapporti fra principio di proporzionalità, ne bis in idem e specialità nel riformato sistema punitivo tributario, 2024, 1 pubblicato online il 20 luglio 2024, www.rivistadirittotributario.it), nel contesto dei nuovi rapporti fra sistema sanzionatorio amministrativo e sistema penale sostanziale e processuale forgiati dal D.Lgs. n. 87/2024, il principio di proporzionalità è il nuovo direttore d’orchestra e l’identità materiale del fatto è il nuovo spartito, nel quale campeggiano le note della specialità del divieto del bis in idem, analizzati nel precedente intervento, ma anche dell’efficacia delle sentenze in altri processi e della resipiscenza del trasgressore.

Temi, questi, che mi propongo di analizzare adesso giacché legati fra di loro da un inchiostro specifico, quello della materialità, e non più o non soltanto dall’inchiostro delle qualificazioni formali.

La principale direttrice seguita dal riformatore per realizzare l’obiettivo è stata quella di sfrangiare il principio di proporzionalità, così da introdurlo in plurimi istituti.

A questo proposito la legge delega, oltre al riferimento generale al ne bis in idem, del quale si è già parlato, dettava ulteriori criteri direttivi. La lettera a), n. 3, secondo alinea, e la lettera b), n. 2, del primo comma dell’art. 20 si occupavano, proprio, del rapporto fra procedimento amministrativo e processo penale.

E infatti, per la prima disposizione il Governo avrebbe dovuto adeguare i «profili processuali e sostanziali connessi alle ipotesi di non punibilità e di applicazione di circostanze attenuanti all’effettiva durata dei piani di estinzione dei debiti tributari, anche nella fase antecedente all’esercizio dell’azione penale»; per l’altra disposizione avrebbe dovuto «attribuire specifico rilievo alle definizioni raggiunte in sede amministrativa e giudiziaria ai fini della valutazione della rilevanza penale del fatto». E poi il primo alinea della lettera a), n. 3, si preoccupava di stabilire che, «nei casi di sentenza irrevocabile di assoluzione perché il fatto non sussiste o l’imputato non lo ha commesso, i fatti materiali accertati in sede dibattimentale facciano stato nel processo tributario quanto all’accertamento dei fatti medesimi» in coerenza con i principi generali dell’ordinamento.

Il decreto delegato recepisce queste indicazioni in una pluralità di disposizioni, come detto, ma in tutte esprime la medesima esigenza: fare della comunanza del fatto marteriale cerniera fra procedimenti e processi, anche per incentivare il trasgressore ad emendare il comportamento tenuto in violazione del dovere contributivo.

2. Nella scia di quanto or ora osservato, la disposizione sulla quella è opportuno inizialmente soffermarsi è quella contenuta nell’art. 21 D.Lgs. n. 74/2000.

Confermata nell’art. 20 la scelta del “doppio binario”, perseguendo l’obiettivo di realizzare fin dall’avvio dei procedimenti una connessione fra di essi il più possibile stringente, il legislatore della riforma ha esteso la sospensione dell’esecuzione dell’obbligazione relativa alla sanzione pecuniaria agli enti con o senza personalità giuridica – sospensione già prevista ma soltanto per le persone fisiche – fino a quando non sia intervenuta una sentenza di assoluzione o di proscioglimento ovvero un provvedimento di archiviazione. Ne ha tuttavia limitato l’applicazione alle ipotesi in cui a carico degli enti stessi sia configurabile una sanzione amministrativa dipendente da reato ai sensi dell’art. 25-quinquiesdecies L. n. 231/2001.

Su questa disposizione lo stesso legislatore ha innestato le ulteriori regole, perseguendo sempre lo scopo di garantire, nel rispetto del principio di proporzionalità, il miglior coordinamento possibile fra procedimenti e processi ed eliminare la duplicazione quanto meno della risposta punitiva anche a carico degli enti.

3. La prima previsione che s’incontra su questo cammino, che primeggia anche per importanza sistematica, è il nuovo art. 21-bis D.Lgs. n. 74/2000.

Per il suo primo comma la sentenza irrevocabile di assoluzione perché il fatto non sussiste o l’imputato non lo ha commesso, pronunciata in seguito al dibattimento nei confronti del medesimo soggetto e sugli stessi fatti materiali oggetto di valutazione nel processo tributario, ha, in questo, efficacia di giudicato in ogni stato e grado, quanto ai fatti medesimi.

A mente del suo secondo comma, la sentenza penale può essere depositata anche nel giudizio di Cassazione nei quindici giorni precedenti all’udienza o all’adunanza in camera di consiglio.

Infine, per il terzo comma, la sentenza irrevocabile di assoluzione per insussistenza del fatto produce effetti anche nei confronti della persona fisica nell’interesse della quale ha agito il dipendente o il rappresentante, ovvero nei confronti dell’ente e della società nell’interesse dei quali ha agito il rappresentante o l’amministratore, anche di fatto, nonché nei confronti dei loro soci e associati.

L’ambito applicativo e il contenuto di queste disposizioni, che in parte si ispirano all’art. 12 L. n. 516/1982, si possono riassumere in questi termini.

Anzitutto la sentenza di assoluzione deve essere irrevocabile e adottata ai sensi del primo comma dell’art. 530 c.p.p., similmente, del resto, a quanto già previsto dall’art. 652 c.p.p. Solo un’assoluzione così pronunciata, infatti, garantisce un accertamento “pieno” dell’inesistenza dei fatti nella loro materialità, ovvero l’estraneità dell’imputato dagli stessi, in modo da ricondurre ad essa, sentenza, gli effetti espansivi del giudicato (per approfondimenti sulla struttura del giudizio proprio della sentenza penale pronunciata ai sensi del primo comma dell’art. 530 c.p.p., v. Pressacco L., Contributo allo studio della sentenza penale, Torino, 2023, 49 ss.).

In parole diverse, se le prove utilizzate nel processo penale, comprese le presunzioni semplici di cui fa parola l’art. 192, comma 2, del codice di rito, sono in grado, per la loro capacità rappresentativa e per le garanzie assicurate dall’istruttoria e dal dibattimento, di rendere certa l’insussistenza dei fatti ripresi nella loro materialità, oppure l’inesistenza del nesso soggettivo tra questi e l’imputato, neppure il presupposto d’imposta accertato in via amministrativa si può ritenere esistente: manca il fatto materiale e dunque al presupposto d’imposta difetta l’elemento costitutivo.

Ecco perché gli effetti della pronuncia di assoluzione si possono espandere nel giudizio di Cassazione ed ecco perché l’espansione può operare, limitatamente all’accertamento dell’inesistenza dei fatti, nei confronti degli enti e società, ovvero dei soci e associati. Il principio è sempre lo stesso, come si vedrà anche nelle prossime pagine: l’accertamento dell’inesistenza dei fatti materiali rende impossibile assegnare agli stessi funzione costitutiva del presupposto d’imposta.

Coerentemente con quanto appena osservato, a conclusione diversa si deve giungere per le sentenze pronunciate ai sensi del secondo e terzo comma dell’art. 530 del codice di rito (e anche per quelle conseguenti a riti alternativi e abbreviati). Il motivo è speculare a quello legittimante l’estensione degli effetti della sentenza riconducibile al primo comma: quelle del comma 2 e comma 3, seppure di assoluzione, non si radicano su ricostruzioni sufficienti o sufficientemente esaustive dei fatti materiali e dunque non esprimono un accertamento dotato di un livello di verosimiglianza, almeno sulla carta, tale da poter essere ripreso a verità processuale incontrovertibile sull’inesistenza dei fatti stessi, a tal punto affidabile da elevarla ad unica valevole per il diritto.

3.1. Le modifiche strutturali di grande rilievo introdotte dall’art. 21-bis impongono alcune precisazioni ulteriori sui rapporti fra processi.

La prima riguarda la relazione fra la nuova norma e l’art. 654 c.p.p., che condiziona l’efficacia della sentenza penale in altri processi all’assenza in questi di limitazioni probatorie («… purché la legge civile non ponga limitazioni alla prova della posizione soggettiva controversa…»).

Sebbene la legge processuale tributaria ora ammetta la testimonianza assunta in forma scritta, la legge delega taglia alla radice ogni eventuale discussione sulla limitazione posta dall’art. 654 c.p.p., modificando il criterio di riferimento: non l’identità dei mezzi di prova, ma l’identità del fatto materiale per come accertato in esito al dibattimento. Sicché, in termini formali, facendo applicazione dei criteri sulla successione delle leggi nel tempo e in specie di quello “lex specialis posterior derogat priori generali”, il discorso si potrebbe ritenere già concluso.

Ma al di là di quest’ultima considerazione, dal sapore formale, il cambiamento sostanziale di criterio – da “identità dei mezzi di prova” a “identità del fatto materiale” – si fonda sulla convinzione che il processo penale possieda i migliori “requisiti” di cui storicamente l’ordinamento possa disporre per la ricostruzione della materialità dei fatti (pur non arrivando a questa conclusione, è fortemente critico sul sistema originario del “doppio binario”, Basilavecchia M., No man’s land. La giustizia tributaria verso la Costituzione, Milano, 2023, 65 ss.).

Ora, per contrastare quest’impostazione e depotenziare la forza innovativa dell’art. 21-bis non sarebbe convincente obiettare che la legge delega, richiedendo alla riforma di porsi “in coerenza con i principi generali dell’ordinamento”, avrebbe imposto di rispettare la “specialità” probatoria del procedimento tributario siccome contrappuntato da prove ed indizi non ammessi nel processo penale.

Un’obiezione siffatta, pur suggestiva, sarebbe infondata per più motivi.

Il primo è schiettamente teorico: il diritto tributario – e quindi anche il rapporto obbligatorio d’imposta per il quale il diritto tributario è composto – non costituisce un corpo separato dagli altri rami dell’ordinamento e la sua (asserita) specialità non ne legittima affatto l’isolamento, specialmente nel “contesto” del realismo giuridico, per come fin qui proposto e rapidamente ricordato nel precedente scritto.

Il secondo motivo è d’ordine costituzionale. Il principio fondativo dell’obbligazione d’imposta è fissato dall’art. 53, comma 1, della Costituzione ed è a questo che occorre riferirsi per intendere correttamente l’inciso: “in coerenza con i principi generali dell’ordinamento”. Con l’art. 53, d’altra parte, l’effettività e la realità del presupposto sono divenute requisiti strutturali della nozione di capacità contributiva. Sicché anche in forza di questi è senz’altro da escludere che si possa considerare tassabile una ricchezza basata su fatti inesistenti giacché così accertati per il tramite del giudizio reputato il più attendibile fra quelli previsti dall’ordinamento.

La tassazione – questo è il nocciolo del discorso – si deve sempre approssimare alla capacità contributiva ricostruita il più conformemente possibile alla realtà storica. E allora, l’inesistenza del fatto materiale accertata con un procedimento istruttorio e dibattimentale e con un corredo di mezzi probatori in grado di garantire la migliore verifica possibile della corrispondenza del fatto processuale alla sua storicità, elide di per sé il fondamento del dovere contributivo.

Non si dice, intendiamoci, che il processo penale sia sempre in grado di fotografare la realtà con precisione millimetrica anche quando utilizza prove “piene”, così da fare emergere indiscutibilmente la “verità” storica: il fenomeno della “sentenza ingiusta” ne è la dimostrazione più lampante. Si dice, piuttosto, che, pur con possibilità di errore, il processo penale rimane il sistema storicamente più accreditato per accertare gli accadimenti materiali controversi, consentendo alla ricostruzione conseguente di raggiungere un livello di verosimiglianza tale da poter essere ragionevolmente considerata come la sola rilevante per il diritto, giacché la migliore possibile nel momento storico dato.

Ecco perché la specialità probatoria del procedimento amministrativo deve cedere il passo alla “pienezza” accertativa e alla “pienezza” qualitativa delle prove confluite nella sentenza d’assoluzione.

Anzi, è proprio quando l’accertamento tributario è claudicante, specie se la ricostruzione rappresentata nell’atto impositivo è sorretta da presunzioni c.d. semplicissime, che l’approfondimento valutativo compiuto nel processo penale deve guidare la ricostruzione storica dei fatti sui quali si radica il presupposto d’imposta.

3.2. Certo, si potrebbe ulteriormente obiettare che le presunzioni “semplicissime” sono ordinate solo alla ricostruzione dell’ammontare del maggior reddito accertato o del maggior volume d’affari e che anche quando utilizzate, come spesso accade, seppure impropriamente, per ricostruire i fatti sui quali si fonda il presupposto impositivo, possono essere considerate insufficienti ai fini probatori dal giudice tributario alla luce dell’art. 7, comma 5-bis, D.Lgs. n. 546/1992, oppure attraverso l’acquisizione delle dichiarazioni testimoniali scritte.

Dunque, il sistema processuale tributario si potrebbe già ritenere autosufficiente, non bisognoso di “supporti” esterni, e per questo motivo se ne dovrebbe garantire l’autonomia (prima delle recentissime riforme, cfr. Perrone A., Fatto fiscale e fatto penale, Bari, 2012, e Schiavolin R., L’utilizzazione fiscale delle risultanze penali, Milano, 1994).

Neppure un’osservazione siffatta sarebbe però convincente.

Il fatto che il comma 5-bis dell’art. 7 imponga all’Amministrazione la dimostrazione dei fatti con un corredo probatorio di particolare robustezza, unitamente alla possibilità per il contribuente di chiedere l’assunzione di testimonianze, se per un verso avvicina i due processi quanto al livello di attendibilità dei risultati ricostruttivi, non è ancora in grado di superare le differenze strutturali fra gli stessi (per approfondimenti sul comma 5-bis sia consentito rinviare al mio saggio, Sulla presunzione di onestà del contribuente e sulle prove, in Riv. trim. dir. trib., 2023, 2, 327 ss., e in www.giustiziainsieme.it).

Anche senza voler considerare l’assenza di professionalità del giudice speciale e la sua formazione spesso lontana da quella giuridica, almeno fino a quando la riforma introdotta dalla L. n. 130/2022 non sarà stata applicata, per convincersi della distanza profonda che ancora vi è fra i due riti è sufficiente pensare alla mancanza, in quello tributario, della fase istruttoria e alla sinteticità della fase dibattimentale, peraltro solo eventuale.

Quello che semmai occorrerebbe invocare, indipendentemente dai riflessi penali degli accadimenti, dovrebbe essere una riforma strutturale del processo speciale in ragione della centralità dei diritti della persona, compresi i diritti di libertà, che in esso vengono in considerazione. Ma fino a quando questo non avverrà, rimarrebbe ingiustificabile, proprio alla luce di quei diritti e di quelle libertà, una tassazione che ponesse a base del presupposto fatti materiali accertati incontrovertibilmente come inesistenti in esito ad altro processo dotato di caratteristiche strutturali e di standard qualitativi assai più elevati di quelli del processo tributario.

In conclusione, se s’intendesse provare a svuotare in via interpretativa la nuova disposizione e si volesse continuare a sostenere la scelta di collegare al medesimo fatto materiale effetti giuridici di segno diverso o perfino opposti, la contraddizione che si insinuerebbe nel sistema non produrrebbe conseguenze soltanto processuali, ma riverberebbe sul piano costituzionale, con riguardo vuoi al primo comma dell’art. 53, vuoi all’art. 3 Cost., ovvero e più precisamente al canone della razionalità normativa dal quale discendono i vincoli di coerenza e non contraddittorietà delle qualificazioni dei fatti e degli effetti giuridici.

3.3. Che le cose stiano nei termini appena illustrati lo dimostra il nuovo comma 1-bis dell’art. 20 per il quale le sentenze rese nel processo tributario divenute irrevocabili aventi ad oggetto violazioni derivanti dai medesimi fatti per cui è stata esercitata l’azione penale, possono essere acquisiti nel processo penale ai fini della prova del fatto.

La citata disposizione dimostra, per così dire, a contrario, come sia proprio il legislatore a collocare su piani diversi gli accertamenti risultanti dalla sentenza penale e quelli risultanti dalla sentenza tributaria: vincolanti i primi, con la forza del giudicato, liberamente valutabili dal giudice, i secondi.

E questa diversità si spiega non solo perché nel processo penale possono essere utilizzate bensì le presunzioni qualificate (art. 192 c.p.), ma non elementi puramente indiziari o le c.d. presunzioni semplicissime come mezzi di prova, ma anche perché quello tributario continua ad essere un processo privo dei connotati istruttori e dibattimentali che invece caratterizzano il procedimento penale. Menomazione che unitamente, ad oggi, alla mancata professionalità del giudice e alla sua dubbia terzietà, depotenzia la sentenza del giudice tributario in punto di attendibilità ricostruttiva dei fatti.

4. Il principio di proporzionalità, il nostro direttore d’orchestra, osservato dalla prospettiva del coordinamento fra procedimenti raggiunge, finalmente, le cause di estinzione dei reati, le circostanze attenuanti e la speciale tenuta del fatto. Il comportamento resipiscente del trasgressore sul fatto materiale che integra la violazione amministrativa e quella penale, comporta l’abbandono o la mitigazione della risposta penale e dunque l’attuazione del principio di proporzionalità con istituti che implicano l’azione positiva del trasgressore stesso.

Una proporzionalità che si può definire “premiale” perché dissocia la repressione e la sua misura dal fatto e dalla condotta originaria, per associarle al successivo comportamento di rimozione degli effetti del fatto stesso o addirittura alla sua rimozione (giuridica), permettendo di non considerarlo come fatto illecito ai fini dell’integrazione del reato.

Senza scendere in un’analisi dettagliata delle singole disposizioni, rispondono alla logica della proporzionalità “premiale” i novellati artt. 10-bis e 10-ter sui reati di omesso versamento delle ritenute certificate e dell’imposta sul valore aggiunto dovuta in base alla dichiarazione. La scelta dell’autore della violazione di avviare un piano di rateizzazione dei debiti successivamente alla commissione del fatto non solo rende possibile l’applicazione della causa di non punibilità di cui all’art. 13, oppure l’applicazione delle attenuanti previste dall’art. 13-bis, ma determina perfino la non integrazione della fattispecie di reato se la condotta di rimozione degli effetti della violazione è avviata entro un termine “breve”.

Rispondono alla logica dell’integrazione dei procedimenti anche le nuove previsioni contenute negli articoli appena richiamati: l’art. 13 sulla causa di non punibilità e l’art. 13-bis sulla circostanza attenuante. L’estinzione del debito ovvero la sua rateizzazione prima della dichiarazione di apertura del dibattimento (art. 13) o entro la sua chiusura (art. 13-bis), con termini aggiuntivi concessi all’imputato per completare l’adempimento, determinano l’abbandono o la mitigazione della pena, lasciando alla mano amministrativa il compito di attuare o completare la coercizione di carattere sanzionatorio.

Da un diverso ma speculare punto di vista, il coordinamento fra procedimenti è ora assicurato anche dai novellati art. 129 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale e art. 32 del D.P.R. n. 600/1973. Il pubblico ministero dovrà dare notizia alla competente direzione provinciale dell’Agenzia delle entrate dell’imputazione di uno dei reati previsti dal D.Lgs. n. 74/2000 e l’Agenzia, dal canto suo, ricevuta la comunicazione, dovrà risponde senza ritardo, trasmettendo anche al competente comando della Guardia di Finanza l’attestazione relativa allo stato di definizione della violazione tributaria.

La previsione maggiormente significativa, tuttavia, e che forse più di altre dimostra come la proporzionalità “intrinseca” ed “estrinseca” alla pena, di cui si è parlato nel precedente contributo, siano ormai facce inseparabili del principio, è quella del nuovo comma 3-ter dell’art. 13 dedicato alle condizioni di non punibilità per particolare tenuità del fatto.

Da questa disposizione emerge con chiarezza come la resipiscenza del trasgressore possa determinare l’abbandono dell’esercizio del potere punitivo penale per fatti che, depotenziati del loro disvalore sociale ed economico (proporzionalità intrinseca), trovano comunque nella sanzione amministrativa una risposta ugualmente afflittiva (proporzionalità estrinseca). Il fatto continua a portare il timbro penalistico, ma giacché privato del disvalore “aggiuntivo” proprio della reazione penale, cede il passo alla parallela ed esclusiva reazione amministrativistica.

(*) Estratto della relazione svolta dall’A. al Convegno di Studi “La riforma delle sanzioni tributarie”, svoltosi a Firenze il 21 giugno 2024 e organizzato dall’Università di Firenze, Dipartimento di Scienze Giuridiche, e dall’Università di Siena, Dipartimento di Studi Aziendali e Giuridici.

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