Nuovo onere probatorio ed impatto sulla motivazione degli atti dell’Amministrazione finanziaria

Di Alessia Sbroiavacca -

Abstract (*)

Il contributo affronta il tema della motivazione degli atti dell’Amministrazione finanziaria nonché della prova della pretesa fiscale alla luce delle novelle normative che hanno interessato sia la ripartizione dell’onere probatorio, di cui al comma 5-bis dell’art. 7 D.Lgs. n. 546/1992, sia l’inclusione dei mezzi di prova tra gli elementi che devono essere indicati, a pena di annullabilità, negli atti impositivi ex art. 7, comma 1, L. n. 212/2000, come modificato dal D.Lgs. n. 219/2023. Per l’effetto, motivazione e prova degli atti si saldano e completano vicendevolmente e si aprono nuove riflessioni circa la portata e l’impatto di eventuali vizi attinenti tali profili. Nel dettaglio, il presente contributo intende ragionare, alla luce delle predette novelle normative, su alcune specifiche casistiche, quali la sorte degli atti motivati per relationem, la possibilità che la c.d. motivazione rafforzata dell’atto emesso successivamente ad una fase di contraddittorio preventivo sia ora effettiva e concreta, nonché l’opportunità di motivare separatamente, rispetto all’avviso di accertamento, l’eventuale irrogazione di sanzioni.

The new burden of proof and the impact on the motivation of thetax administration’s acts –The paper deals with the issue of the motivation of the acts of the Tax Administration and the proof of the tax claim in the light of the normative changes that have affected both the distribution of the burden of proof according to art. 7, paragraph 5-bis, Legislative Decree 546/1992, and the inclusion of the means of proof among the elements that must be indicated, under penalty of nullity, in the tax acts according to art. 7, paragraph 1, Law 212/2000, as amended by Legislative Decree 219/2023. To this effect, the motivation and the evidence of the acts weld and complement each other, and new considerations are opened up on the scope and the impact of possible deficiencies related to these profiles. Specifically, this contribution intends to reason, in the light of the aforementioned normative changes, on some specific cases, such as the fate of acts motivated per relationem, the possibility that the so-called enhanced motivation of the act, issued after a phase of prior cross-examination, is now effective and concrete, as well as the appropriateness of motivating separately, in relation to the notice of assessment, the possible imposition of penalties.

 

Sommario: 1. Premessa: motivazione e prova degli atti dell’Amministrazione finanziaria. – 2. La prova come parte integrante della motivazione degli atti dell’Amministrazione finanziaria. – 3. Quale sorte per gli atti motivati per relationem? – 4. Verso una effettiva motivazione rafforzata degli atti accertativi. – 5. Motivazione e prova degli atti di irrogazione delle sanzioni. – 6. Considerazioni conclusive.

1. Un elemento indefettibile degli atti dell’Amministrazione finanziaria è costituito dalla parte motiva, i.e. dall’illustrazione delle ragioni logico-giuridiche, delle norme asseritamente violate nonché della loro interpretazione, che sorreggono la pretesa fiscale dell’Ufficio. La motivazione degli atti accertativi, infatti, esplica una funzione determinante per il contribuente che ne è destinatario: attraverso di essa egli ha contezza di come la tesi accertativa dell’Ufficio sia stata sviluppata nonché di quali siano gli elementi (e, come si vedrà, di quali prove) su cui la ripresa fiscale si basa – in definitiva, del perché vi è stata una determinata quantificazione della maggiore imposta accertata.

L’importanza della motivazione degli atti dell’Amministrazione finanziaria spiega altresì perché ad essa sono dedicate diverse disposizioni, talune di carattere generale, talaltre di più stretta applicazione: tra le prime, si annovera l’art. 3 L. n. 241/1990, in base al quale «Ogni provvedimento amministrativo […] deve essere motivato. […] La motivazione deve indicare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’amministrazione, in relazione alle risultanze dell’istruttoria», nonché l’art. 7 L. n. 212/2000 (oggetto di recenti modifiche, su cui cfr. amplius infra); inoltre, le singole leggi d’imposta dispongono altresì specifiche previsioni (e contenuti) della parte motiva degli atti – cfr. a titolo esemplificativo l’art. 42 D.P.R n. 600/1973 quanto alle imposte sui redditi, l’art. 56, D.P.R. n. 633/1972 in ambito IVA, ecc. Tendenzialmente viene richiesto che l’atto di accertamento indichi in maniera specifica i fatti e le circostanze che hanno determinato la sua adozione e le disposizioni violate, i motivi che giustificano l’adozione di particolari metodologie accertative (si pensi all’accertamento induttivo) ovvero l’impiego di determinate presunzioni legali. Tali disposizioni assumono quindi massima rilevanza anche per il contribuente, poiché gli atti la cui parte motiva è deficitaria delle indicazioni prescritte ovvero è incoerente, contraddittoria o persino omessa, potranno essere annullati dal giudice se il vizio di motivazione è sollevato (dal contribuente) e accolto (dal giudice).

La motivazione, quindi, rappresenta un punto nodale degli atti dell’Amministrazione finanziaria e deve esporre in maniera chiara e precisa i presupposti che giustificano la pretesa impositiva, di cui deve essere chiaramente fornita opportuna dimostrazione (per un approfondimento, cfr. Lupi R., Motivazione e prova nell’accertamento tributario, con particolare riguardo alle imposte dirette e all’Iva, in Riv. dir. fin., 1987, 2, 274 ss., per cui «la motivazione degli accertamenti costituisce […] la principale esternazione del giudizio che ha condotto all’esistenza e alla misura del presupposto. Tale giudizio […] dev’essere […] suffragato da dimostrazioni adeguate»; Marcheselli A., Tributi, prova, motivazione e funzione amministrativa: tra maestri, supplenti, Stato di diritto e la variabile di cartone, in Riv. tel. dir. trib., 2022, 1, 536 ss.; id., Accertamenti tributari. Poteri del Fisco. Strategie del difensore, Milano, 2022, 1029 ss.).

Considerato infatti che la verifica circa la corretta applicazione della normativa tributaria assume connotati peculiari, poiché implica l’esame di circostanze economico-giuridiche e fattuali, la valutazione delle condotte tenute dai contribuenti ed, infine, la formulazione di un giudizio (di violazione o meno della disciplina fiscale) con riguardo ad eventi e situazioni temporalmente distanti dal momento in cui viene avviata l’istruttoria e rispetto ai quali si pone un concreto problema dimostrativo, ne consegue evidentemente – in un quadro siffatto – la massima rilevanza del concetto di prova, ossia quell’insieme di elementi fattuali, documentali, talora anche presuntivi, e via discorrendo necessari a ricostruire gli eventi passati ed in grado di dimostrare, in maniera oggettiva, il rispetto (o meno) della normativa tributaria.

Infatti, l’adeguata motivazione degli atti impositivi e sanzionatori consente al contribuente di comprendere il percorso logico-giuridico attraverso cui l’Amministrazione finanziaria è giunta a determinare la pretesa ivi indicata, così giustificandola; ed al tempo stesso è necessario che sia fornita la prova di tale pretesa, ossia «l’esistenza dei fatti materiali che fondano il diritto a vantare la pretesa contenuta nell’atto impositivo» (cfr. Carinci A., Revisione dello Statuto del contribuente tra ambizione e criticità, in il fisco, 2023, 37, 3468).

L’esibizione di prove a supporto della tesi difensiva del contribuente ovvero della tesi accertatrice propugnata dall’Amministrazione finanziaria gioca quindi un ruolo fondamentale nell’esame e verifica delle posizioni fiscali dei soggetti passivi: non è d’altra parte immaginabile l’adozione di atti accertativi a mezzo dei quali vengono pretese maggiori imposte (e irrogate le relative sanzioni) senza che sia fornita la prova (neanche in forza di presunzioni legali) di una condotta del contribuente contraria alle norme fiscali; così come la carenza di elementi probatori ovvero la presenza di indizi tra loro contraddittori non saranno sufficienti al fine di superare il successivo vaglio del giudice, poiché la violazione non potrà essere considerata dimostrata.

In tal senso la prova tributaria, prima ancora di interessare la fase processuale, è centrale già nel corso dell’attività di controllo e verifica che può sfociare nell’adozione di un atto pregiudizievole (in termini economico-patrimoniali) nei confronti del contribuente. Infatti, è necessario per l’Amministrazione finanziaria dimostrare – attraverso riscontri documentali, fattuali ovvero per presunzioni – che il contribuente verificato abbia commesso le violazioni contestate: in assenza di tale prova, la pretesa tributaria non potrà essere azionata, poiché di fatto sarebbe infondata. L’attività istruttoria svolta dall’Amministrazione finanziaria deve quindi essere preordinata al controllo della condotta del contribuente accertato e, al tempo stesso, alla raccolta di tutti quegli elementi probatori in grado di supportare la tesi accertativa.

Non a caso, infatti, in dottrina è stato opportunamente evidenziato che «la pubblica amministrazione, pur essendo titolare del potere tributario, deve dare a sé stessa la prova prima di adottare il provvedimento finale» (cfr. Allorio E., Diritto processuale tributario, Torino, 1969, 377. Tesi condivisa da Maffezzoni F., La prova nel processo tributario, in Boll. trib., 1977, 23, 1677. Più di recente, cfr. Glendi C., Applicabilità ai giudizi pendenti della nuova norma sull’onus probandi nel processo tributario – Primi esperimenti applicativi delle Corti di merito sulla regola finale del fatto incerto nel processo tributario riformato, in GT – Riv. giur. trib., 2023, 3, 258): nonostante spesse volte si discuta se la prova tributaria attenga alla (e debba essere esibita solo in occasione della) eventuale successiva fase processuale, non si può revocare in dubbio che l’Amministrazione finanziaria sia onerata dell’individuare, sin dall’inizio, quali prove sostengano la pretesa azionata con un determinato atto impositivo e, soprattutto, a verificarne la tenuta. Si tratta, in definitiva, di fare corretto uso dei poteri di indagine e verifica attribuitele dalla legge: l’adozione di un atto impositivo non può prescindere da un’istruttoria adeguata, che sia in grado di dimostrare, in maniera accurata, la fondatezza della pretesa, le cui prove dovranno essere esibite affinché il contribuente possa valutare quali successive azioni intraprendere (in proposito, cfr. Salvati A., Certezza, prevedibilità e controllo della motivazione negli atti di accertamento, in Riv. tel. dir. trib., 2022, 1, 142 ss.; cfr. altresì Marcheselli A., La prova tributaria, in Ragion Pratica, 2016, 2, 434 ss.).

2. Con le novelle normative succedutesi negli ultimi anni – si fa in particolare riferimento alla ripartizione dell’onere probatorio di cui all’art. 7, comma 5-bis, D.Lgs. n. 546/1992 ed alle modifiche intervenute in seno allo Statuto dei diritti del contribuente in tema di contenuto degli atti accertativi per effetto dei principi indicati dalla legge delega n. 111/2023 – il rapporto tra motivazione dell’atto accertativo e prova della pretesa fiscale appare più stretto ed integrato, dando pieno risalto all’interdipendenza fra tali elementi (cfr. Ficari V., Modifiche normative ed onere della prova tra procedimento e processo tributario, in Riv. dir. trib., 2023, 6, I, 603 ss.).

Di primo acchito potrebbe infatti ritenersi che la motivazione degli atti tributari e la prova della pretesa fiscale azionata a mezzo degli stessi siano da collocare su due distinti piani, tra loro correlati ma comunque operativamente autonomi: un atto impositivo non correttamente motivato sarà giudicato illegittimo mentre una ripresa fiscale priva di adeguato supporto probatorio sarà considerata infondata (pur se appropriatamente motivata).

Tale distinzione ha da sempre trovato supporto in un certo orientamento giurisprudenziale consolidatosi nel tempo, per cui sarebbe necessario discernere l’adeguatezza della motivazione dalla prova dei fatti su cui si fonda l’atto.

Nel dettaglio, è stato infatti sostenuto che la motivazione degli atti dell’Amministrazione finanziaria «ha la funzione di delimitare l’ambito delle contestazioni proponibili dall’Ufficio nel successivo giudizio di merito e di mettere il contribuente in grado di conoscere l’an ed il quantum della pretesa tributaria al fine di approntare una idonea difesa» mentre la prova «attiene al diverso piano del fondamento sostanziale della pretesa tributaria ed al suo accertamento in giudizio in presenza di specifiche contestazioni dello stesso» (cfr. tra la giurisprudenza più recente, Cass. civ., sez. V, ord., 2 marzo 2023, n. 6325 e, tra la giurisprudenza di merito, Corte di Giustizia tributaria di primo grado Puglia Lecce, sez. I, sent., 27 luglio 2023, n. 1283; in dottrina, sulla distinzione tra piano motivazione e piano probatorio degli atti, cfr. Lupi R., Motivazione e prova nell’accertamento tributario, con particolare riguardo alle imposte dirette e all’Iva, cit., 289 ss., il quale peraltro evidenzia la «funzione probatoria della motivazione», alludendo alla «necessità che essa contenga ogni prova di cui l’ufficio intende avvalersi»; in precedenza, cfr. Moschetti A., Avviso di accertamento tributario e garanzie del cittadino, in Dir. prat. trib., 1983, I, 917 e Gaffuri G.F., Considerazioni sull’accertamento tributario, in Riv. dir. fin., 1985, I, 551).

Per l’effetto, l’obbligo di motivazione degli atti impositivi o sanzionatori, attenendo alla sfera procedimentale, si riteneva assolto attraverso la mera enunciazione dei profili argomentativi della pretesa, i.e. la disamina della disciplina tributaria in ipotesi violata dal contribuente, l’interpretazione delle norme rilevanti, l’inquadramento dei fatti e delle circostanze, ecc.; per converso, la dimostrazione degli elementi che fondano e giustificano la pretesa avrebbe rilevanza solo in sede processuale, occasione ove ne fosse richiesta la produzione.

Sulla base di tale bipartizione nella portata della motivazione e della prova degli atti tributari, deriva l’affermazione giurisprudenziale per cui nell’accertamento delle imposte sui redditi «l’ente impositore non è tenuto ad indicare nella motivazione dell’accertamento le prove della pretesa» (cfr. Cass. civ., sez. V, sent., 12 maggio 2006, n. 11070; Cass. civ., sez. V, sent., 8 maggio 2006, n. 10555; Cass. civ., sez. V, sent., 8 maggio 2006, n. 10554; Cass. civ., sez. V, sent., 8 febbraio 2006, n. 2783; Cass. civ., sez. V, sent., 29 settembre 2005, n. 19120), apparentemente giustificata dal fatto che l’art. 42 D.P.R. n. 600/1973 non prescrive l’indicazione degli elementi probatori tra gli elementi essenziali dell’atto di accertamento, diversamente da quanto invece previsto in ambito IVA, ove l’art. 56 D.P.R. n. 633/1972 dispone invece l’inclusione di tali elementi negli atti accertativi (su tale differenza e le problematiche applicative che ne derivano, cfr. Carinci A., Revisione dello Statuto del contribuente tra ambizione e criticità, cit., 3467, per cui «In verità, a diversa conclusione bisognerebbe giungere in tema di IVA, dove l’art. 56, comma 2, D.P.R. n. 633/1972, prevede espressamente che “Negli avvisi relativi alle rettifiche di cui all’art. 54 devono essere indicati specificamente, a pena di nullità, […] i relativi elementi probatori”. Sennonché, anche qui la soluzione affermatasi nella pratica è la medesima, con la conseguenza che anche ai fini IVA non è richiesta l’indicazione delle prove nel corpo dell’avviso di accertamento»; cfr. altresì cfr. Antico G., Motivazione per relationem: ancora invocabile la prova di resistenza? in il fisco, 2024, 5, 453 ss.).

Tale impostazione è stata oggetto di critiche dalla dottrina e, a seguito delle recenti riforme che hanno interessato proprio il profilo del contenuto degli atti impositivi e sanzionatori, può dirsi che siffatta distinzione è oggi verosimilmente destinata ad affievolirsi (in proposito, cfr. Melis G., Una visione d’insieme delle modifiche allo Statuto dei diritti del contribuente: i principi del procedimento tributario, in il fisco, 2024, 3, 221, il quale osserva che «l’indicazione delle prove costituisce parte integrante della motivazione poiché l’onere della prova ricade sull’Ufficio, sicché non sarebbe neanche immaginabile una motivazione che facesse riferimento alla concreta situazione di fatto che ne sta alla base, senza valutare il materiale probatorio raccolto e senza trarne le dovute conseguenze»).

Invero, già prima delle novità apportate dalla riforma avviata nel 2023 – di cui si dirà a breve – la dottrina aveva opportunamente evidenziato come fosse inopportuno scollegare il piano motivazionale da quello probatorio, poiché la dimostrazione della fondatezza della pretesa che l’Ufficio vuole azionare è a tutti gli effetti un elemento imprescindibile della motivazione degli atti tributari (sul tema, cfr. Vanz G., Osservazioni critiche sull’orientamento della Cassazione in tema di motivazione e prova dell’accertamento tributario, in Giur. impr., 2000, 757 ss.; Russo P., Problemi della prova nel processo tributario, in Rass. trib., 2000, 2, 379-380; Gallo F., Motivazione e prova nell’accertamento tributario, in Rass. trib., 2001, 4, 1088 ss., per cui «non si vede come possa essere verificata l’esistenza di tali condizioni (motivazione completa dell’atto) se non mediante una motivazione che dia conto delle pregresse risultanze istruttorie e perciò sia formulata anche in termini di specifica evidenziazione probatoria»; in precedenza, cfr. D’Amati N., voce Accertamento tributario (avviso di) in appendice al NNDDI). Ed un tanto vale sia nella prospettiva dell’Ufficio, sia in quella del contribuente: l’Ufficio dispone infatti di vasti poteri di controllo ed indagine e il loro corretto impiego altro non può tradursi che nella verifica della posizione del contribuente e nella raccolta degli elementi probatori che giustificano la ripresa a tassazione, i quali devono quindi sussistere ed essere palesati già nell’atto a mezzo del quale si intende recuperare certe imposte; d’altra parte il contribuente, destinatario dell’atto impositivo, deve conoscere non solo i ragionamenti effettuati dall’Ufficio (ad esempio, l’interpretazione delle disposizioni in ipotesi violate) ma anche le prove su cui è maturato il convincimento accertativo. E tali prove devono essere necessariamente indicate ed esibite già nell’atto di accertamento per la semplice ragione che, se così non fosse, gli sarebbe evidentemente preclusa la possibilità di una completa difesa.

In effetti è evidente che separare in due binari il profilo motivazionale e l’onere probatorio – richiedendo al momento dell’adozione di un atto impositivo la sola soddisfazione del primo – può determinare evidenti distorsioni e arrecare evidente pregiudizio al contribuente accertato: quest’ultimo non avrebbe di fatto una piena conoscenza degli elementi valutati dall’Ufficio, il quale peraltro potrebbe anche raccoglierli (e non solo esibirli) successivamente, nel corso del contenzioso (sul rischio di alterazione dell’equilibrio delle armi, cfr. Cipolla G.M., [voce] Prova [diritto tributario], Dig. disc. priv., sez. comm., 2008, 730 ss.).

Cosicché non può che salutarsi con favore i recenti interventi sul tema che, come anticipato, sono intervenuti su vari profili che incidono nel rapporto tra motivazione e prova degli atti tributari. Il comma 5-bis, di cui all’art. 7 D.Lgs. n. 546/1992, rappresenta un primo passo nell’anzidetta direzione, individuando nell’Amministrazione finanziaria il soggetto sul quale grava l’onere probatorio circa la sussistenza e fondatezza degli elementi che sorreggono la pretesa fiscale e disponendo che il giudice fondi la propria decisione sugli elementi di prova forniti in giudizio i quali, nel caso siano contraddittori, non puntuali né circostanziati, insufficienti ovvero incoerenti con la normativa tributaria sostanziale, condurranno al necessario annullamento dell’atto (cfr. su tali profili, ex multis, in dottrina: Caimi C. – Pardini N., Nuova disciplina dell’onere della prova: la riscoperta del passato per un futuro più giusto, in Corr. trib., 2023, 1, 66; Glendi C., Onere della prova o regola finale del fatto incerto nel processo tributario riformato, GT – Riv. giur. trib., 2023, 6, 473 ss.; Marcheselli A., Onere della prova, orecchio assoluto, riforma della giustizia tributaria e auspicabile de profundis per le c.d. presunzioni giurisprudenziali, in Riv. tel. dir. trib., 2022, 2, 1059 ss.; Melis G., Su di un trittico di questioni di carattere generale relative al nuovo comma 5-bis dell’art. 7 D.Lgs. 546/1992: profili temporali, rapporto con l’art. 2697 c.c. ed estensione del principio di vicinanza alla prova, in Riv. tel. dir. trib., 2023, 1, 211 ss.; Muleo S., Onere della prova, disponibilità e valutazione delle prove nel processo tributario rivisitato, in Carinci A. – Pistolesi F., a cura di, La riforma della giustizia e del processo tributario, Milano, 2022; Russo P., Problemi in tema di prova nel processo tributario dopo la riforma della giustizia tributaria, in Riv. tel. dir. trib., 2022, 2, 1013 ss.).

Per quanto poi nello specifico concerne il contenuto degli atti, la legge delega n. 111/2023 aveva richiesto di «rafforzare l’obbligo di motivazione degli atti impositivi, anche mediante l’indicazione delle prove su cui si fonda la pretesa» (cfr. art. 4, comma 1, lett. a), L. n. 111/2023): tale obiettivo ha trovato realizzazione nel novellato art. 7, comma 1, L. n. 212/2000 – come modificato dall’art. 1, comma 1, lett. f), D.Lgs. n. 219/2023 -, il quale ora invero dispone che «Gli atti dell’amministrazione finanziaria [] sono motivati, a pena di annullabilità, indicando specificamente i presupposti, i mezzi di prova e le ragioni giuridiche su cui si fonda la decisione». Di conseguenza, gli atti impositivi e sanzionatori adottati dall’Amministrazione finanziaria devono attualmente indicare in maniera dettagliata, nella parte motiva, anche le prove raccolte a sostegno della tesi accertativa, dovendosi – in loro mancanza – procedere all’annullamento dell’atto, la cui pretesa non sarà quindi considerata né motivata né provata (cfr. Muleo S., Il nuovo obbligo di motivazione degli atti tributari ovvero dell’impatto delle modifiche di testo e contesto, in Riv. tel. dir. trib., 2024, 1 e pubblicato online il 13 aprile 2024, www.rivistadirittotributario.it).

L’assetto delineato esplicita quindi l’ingresso dei mezzi di prova tra gli elementi fondamentali della motivazione degli atti, la cui presenza è ora indefettibile ed è da annoverare a tutti gli effetti tra i requisiti di legittimità degli atti impositivi: si può quindi ritenere che sia stata raggiunta una piena osmosi tra prova procedimentale e prova processuale, non passibile di successiva modifica, integrazione o sostituzione ex art. 7, comma 1-bis, L. n. 212/2000, introdotto dall’art. 1, comma 1, lett. f), n. 3, D.Lgs. n. 219/2023, poiché con il nuovo assetto «ciò che fa prova nel processo deve far prova anche nel procedimento e viceversa. […] Diventa quindi anacronistico insistere sulla distinzione tra motivazione e prova, separando fase amministrativa da quella giudiziale» (cfr. Deotto D. – Lovecchio L., L’Amministrazione prova in giudizio i rilievi contenuti nell’atto impugnato, in il fisco, 2022, 39, 3717; nel medesimo senso cfr. altresì Coppola P., Prova e valutazione del relativo onere nel processo, in Dir. prat. trib., 2023, 1, 168 e Contrino A. – Della Valle E., Marcheselli A. – Marello E. – Marini G. – Paparella F. (a cura di), La giustizia tributaria, Milano, 2024, 112 ss.).

Per l’effetto, gli elementi di prova dovranno essere necessariamente acquisiti durante la fase istruttoria e dovranno altresì essere puntualmente indicati nell’atto impositivo, nonché ad esso allegati – con indubbio giovamento sia per l’Ufficio sia per il contribuente: il primo, infatti, dovendo acquisire ed esibire le prove a fondamento della propria tesi già nell’atto impositivo, avrà modo sin da subito di valutare l’interesse, la convenienza e la tenuta della pretesa fiscale; il secondo, specularmente, avrà piena contezza degli elementi probatori in mano dell’Ufficio e, pertanto, potrà compiere le proprie scelte difensive (nel senso di coltivare o meno l’impugnazione) in maniera più ragionata ed equilibrata, senza timore di attendersi sorprese durante l’eventuale fase contenziosa. La produzione di elementi probatori convincenti, sufficienti e puntuali farà infatti sì che il contribuente opterà per una definizione in acquiescenza della pretesa; al contrario, in mancanza di prove coerenti ed univoche sarà interesse dell’Ufficio non procedere all’emissione dell’atto, pena un suo inevitabile annullamento in sede processuale.

L’acclarata integrazione tra motivazione e prova degli atti dell’Amministrazione finanziaria assume specifico rilievo se si considera che, nella prassi, spesse volte accade che l’Ufficio confezioni degli atti solo prima facie motivati e tale aspetto, in virtù delle novelle normative, può diventare rilevante ai fini della valutazione circa l’assolvimento (o meno) dell’onere probatorio posto a suo carico.

Un tanto può accadere, a titolo esemplificativo, quando la motivazione dell’atto adottato rinvii ad altri atti precedenti – anche notificati ad ulteriori soggetti – il cui contenuto magari non è riprodotto per l’intero o per la parte essenziale o non vengono prodotti gli allegati della precedente indagine; ovvero ancora quando non viene dato conto delle risultanze della fase di contraddittorio preventivo in una necessaria motivazione rafforzata, la quale appare formalmente resa ma senza in realtà indicare (e quindi, provare) l’inconsistenza delle deduzioni difensive del contribuente. Senza contare tutti i casi relativi all’irrogazione di sanzioni le quali, nella stragrande maggioranza dei casi (per non dire nella totalità) sono applicate in via automatica – quando la sanzione è collegata ad un tributo evaso – ovvero i relativi atti di contestazione recano un mero elenco delle norme sanzionatrici applicate, ma senza addurre riferimenti circostanziati alla (i.e. le prove della) presunta violazione commessa dal contribuente.

Si tratta di casistiche alquanto comuni rispetto alle quali vi è da chiedersi se atti così “motivati” soddisfino l’onere probatorio che grava sull’Amministrazione finanziaria ovvero se per quest’ultima sia ora necessario attrezzarsi modificando la propria prassi operativa.

Come si avrà modo di argomentare infra, si ritiene che il primo quesito debba risolversi negativamente ed il secondo in maniera positiva, posto che le novelle disposizioni (i.e. art. 7, comma 5-bis, D.Lgs. n. 546/1992 e art. 7, comma 1, L. n. 212/2000) ora richiedono che i fatti costitutivi della pretesa impositiva ovvero sanzionatoria siano puntualmente dimostrati già nell’atto impositivo/sanzionatorio ed un tanto si rifletta nella motivazione degli atti dell’Amministrazione finanziaria: la prova, quindi, deve essere presente ab origine, non solo prodotta in sede contenziosa. Un tanto, chiaramente, apre altresì a nuove censure che potranno essere sollevate dai contribuenti destinatari di atti sotto tale profilo eventualmente viziati, sulle quali il giudice dovrà esprimersi tenendo in mente i canoni di puntualità, coerenza, non contraddittorietà ecc. previsti proprio dal citato comma 5-bis.

3. Una prima casistica da analizzare concerne l’adozione di atti motivati per relationem, ossia di atti impositivi il cui obbligo motivazionale è assolto mediante rinvio ad altri atti già emessi, dalla stessa Agenzia delle Entrate ovvero anche dalla Guardia di Finanza, nei confronti del medesimo contribuente ovvero anche nei confronti di altri soggetti terzi.

Questa seconda fattispecie di motivazione per relationem è tipicamente più comune, poiché spesso capita che durante delle indagini effettuate nei confronti di un contribuente emergano indizi e sospetti di un’evasione cui hanno partecipato suoi fornitori o clienti ed in generale soggetti terzi che intrattengono rapporti con il contribuente verificato: cosicché, una volta redatto l’atto conclusivo della verifica fiscale nei confronti del “primo” contribuente (spesso un PVC della Guardia di Finanza), esso costituisce la base per l’accertamento da effettuarsi nei confronti del “secondo” contribuente.

In tali casistiche, la motivazione dell’atto impositivo notificato al “secondo” contribuente ben può fare riferimento alla precedente verifica effettuata dei confronti dell’altro soggetto; tuttavia, poiché non è detto che tale “secondo” contribuente sia a conoscenza delle indagini precedentemente condotte né delle relative risultanze, la motivazione per rinvio sarà considerata validamente assolta ove siano adottate particolari garanzie.

Nello specifico, sinora il riferimento normativo era individuato nell’art. 42, comma 2, D.P.R. n. 600/1973, in base al quale «se la motivazione fa riferimento ad un altro atto non conosciuto né ricevuto dal contribuente, questo deve essere allegato all’atto che lo richiama salvo che quest’ultimo non ne riproduca il contenuto essenziale», cui si è recentemente aggiunto anche il novello art. 7, comma 1, L. n. 212/2000, così come modificato dall’art. 1, comma 1, lett. f), n. 2, D.Lgs. n. 219/2023, il quale dispone che «se nella motivazione si fa riferimento ad un altro atto, che non è già stato portato a conoscenza dell’interessato, lo stesso è allegato all’atto che lo richiama, salvo che quest’ultimo non ne riproduca il contenuto essenziale e la motivazione indica espressamente le ragioni per le quali i dati e gli elementi contenuti nell’atto richiamato si ritengono sussistenti e fondati». Il grado di tutela nei confronti del soggetto che si vede notificare un atto motivato per rinvio è quindi sicuramente incrementato per effetto delle recenti modifiche normative, posto che, nel caso in cui l’atto richiamato non fosse già nella sua sfera di conoscenza, l’Amministrazione finanziaria dovrà ora non solo allegare l’atto per intero ovvero riprodurne il contenuto essenziale ma altresì specificarne la rilevanza in relazione alla posizione fiscale del “secondo” contribuente. In particolare, il riferimento all’esistenza di dati ed elementi “sussistenti e fondati” – a ben vedere – non fa altro che imporre uno specifico onere probatorio in capo all’Amministrazione finanziaria (facendo da collante con il citato comma 5-bis), per cui non sarà più possibile limitarsi ad un generico richiamo a precedenti atti, bensì sarà necessario dimostrare in che modo le due fattispecie siano tra loro collegate.

L’elemento probatorio diventa quindi parte integrante della motivazione dell’atto impositivo. In questo modo dovrebbe essere possibile superare quell’impasse per cui, a fronte di atti motivati per rinvio, il contribuente destinatario rimaneva “spiazzato” non essendo immediatamente comprensibile il nesso tra l’atto richiamato e l’atto impositivo notificatogli: ora tale connessione dovrà essere dimostrata dall’Amministrazione finanziaria.

Infatti, una delle principali criticità (e sfide) per il contribuente destinatario di un atto motivato per rinvio ad un altro atto non già conosciuto è sempre consistita nel valutare la “bontà” delle conclusioni formulate dall’Agenzia delle Entrate, soprattutto a causa della diffusissima prassi per cui l’Ufficio quasi sempre opta non per l’allegazione completa dell’atto “generatore” bensì per la mera riproduzione del contenuto ritenuto essenziale. E non a caso si impiega il termine “ritenuto”, poiché è chiaro che può essere variamente opinabile discernere tra ciò che è essenziale e ciò che non lo è: se l’atto richiamato non è mai stato notificato al “secondo” contribuente, egli non ha modo di valutare che cosa sia stato effettivamente trasposto (a suo sfavore) e che cosa sia stato tralasciato – potenzialmente a suo favore.

Una prassi, questa, come detto molto diffusa e che costringe i contribuenti a defatiganti tentativi di accesso agli atti dell’Amministrazione finanziaria, nel tentativo di recuperare quanto di più completo possibile al fine di inquadrare gli elementi in possesso dell’Ufficio e quindi valutare quale strategia difensiva assumere, sempre tenendo a mente il rispetto dei termini per la presentazione del ricorso, che nel frattempo trascorrono.

Per la verità, sul punto è intravedibile un possibile miglioramento: la legge delega per la riforma fiscale aveva infatti prescritto di modificare lo Statuto dei diritti del contribuente inserendo «una disciplina generale del diritto di accesso agli atti del procedimento tributario» (cfr. art. 4, comma 1, lett. e), L. n. 111/2023), sì da conformarsi all’orientamento della Corte di Giustizia in proposito. Invero, la disciplina di accesso agli atti amministrativi è contenuta all’art. 24 L. n. 241/1990, il quale tuttavia ne esclude l’applicabilità per i procedimenti tributari e sulla legittimità di tale previsione è intervenuto a più riprese il Consiglio di Stato, sia con riferimento agli atti infra-procedimentali (cfr. Cons. Stato, sez. VI, sent., 4 maggio 2021, n. 3492) che esattivi (cfr. Cons. Stato, Ad. Plen., sent., 14 marzo 2022, n. 4), rilevandone l’incoerenza rispetto all’orientamento della Corte di Giustizia. Quest’ultima, infatti, ha a più riprese evidenziato che «nei procedimenti amministrativi relativi alla verifica e alla determinazione della base imponibile dei tributi armonizzati, il soggetto passivo deve avere la possibilità di ricevere in comunicazione, su sua richiesta, le informazioni e i documenti contenuti nel fascicolo amministrativo e presi in considerazione dalla Pubblica Autorità al fine di adottare la sua decisione, a meno che non vi siano obiettivi di interesse generale che giustifichino la restrizione dell’accesso» (cfr. Corte di Giustizia UE, 4 giugno 2020, SC C.F. S.r.l., C-430/19, par. 31; Id., 16 ottobre 2019, Glencore Agriculture Hungary, C-189/18, par. 51 ss.; Id., 9 novembre 2017, Ispas, C-298/16, par. nn. 32 e 39. Tra tali obiettivi di interesse generale la giurisprudenza interna ha ad esempio individuato la riservatezza del terzo e l’effettività dell’azione repressiva dell’Amministrazione, cfr. in proposito, Corte di Giustizia tributaria di secondo grado Lombardia Brescia, sez. XXV, sent., 11 maggio 2023, n. 1664. In dottrina, sul diritto di accesso agli atti nella prospettiva della giurisprudenza europea, cfr. Caminale E., La [doppia] motivazione per relationem dell’avviso di accertamento e la mancata allegazione di atti e documenti non conosciuti dal contribuente: brevi riflessioni sulla normativa e la giurisprudenza nazionale ed eurounitaria, in Riv. tel. dir. trib., 2022, 1, 139 ss.).

L’indirizzo della legge delega in realtà non è stato recepito in toto, nel senso di affermare un vero e proprio diritto di accesso agli atti dell’Ufficio in capo al contribuente, ma è stato inserito un inciso a tal proposito del diritto in accesso nella più generale novella disposizione di cui all’art. 6-bis L. n. 212/2000, rubricata “Principio del contraddittorio”, introdotto dall’art. 1, comma 1, lett. e), D.Lgs. n. 219/2023 (tra i primi commenti al disegno di legge delega proponente tale principio, cfr. Melis G., Il contraddittorio procedimentale nella riforma fiscale: un balzo in avanti verso il “giusto procedimento tributario”, in il fisco, 2023, 14, 1318; Viotto A., Il contraddittorio endoprocedimentale nella legge delega per la riforma fiscale, in Riv. tel. dir. trib., 2023, 2, 578 ss.).

Invero il comma 3 del citato art. 6-bis prevede che «per consentire il contraddittorio, l’amministrazione finanziaria comunica al contribuente, con modalità idonee a garantirne la conoscibilità, lo schema di atto di cui al comma 1, assegnando un termine non inferiore a sessanta giorni per consentirgli eventuali controdeduzioni ovvero, su richiesta, per accedere ed estrarre copia degli atti del fascicolo»: seppure non si tratti di una “disciplina generale”, come richiesto dalla legge delega, e probabilmente difetti di qualche aspetto applicativo e sia riscontrabile qualche criticità (a titolo esemplificativo, in dottrina già qualche Autore si è chiesto se a fronte del novello art. 6-bis, comma 3, L. n. 212/2000 sia ora possibile «ipotizzare un onere particolare del contribuente che, potendo accedere agli atti, non si è preoccupato di recuperare quelli richiamati nell’atto impositivo», cfr. Carinci A., Revisione dello Statuto del contribuente tra ambizione e criticità, cit., 3469; critico altresì Marcheselli A., Bianco, rosso e verdone. Luci, ombre e mezzetinte a tre quarti della attuazione della riforma fiscale: contraddittorio, motivazione e onere della prova, in Riv. tel. dir. trib., 2024, 1 e pubblicato online il 14 aprile 2024, www.rivistadirittotributario.it), essa rappresenta in ogni caso un decisivo passo avanti rispetto al passato.

In ogni caso, resta il fatto che il diritto (o onere di) accesso agli atti spettante in capo al contribuente può manifestare una propria utilità nel consentire la comprensione della motivazione della pretesa fiscale, ma tale aspetto non fa chiaramente venire meno l’obbligo motivazionale e probatorio in primis posto a carico dell’Amministrazione finanziaria. Il contribuente cioè potrà – finalmente – vedersi riconosciuto il diritto di accesso agli atti dell’Ufficio, come ad esempio quelli cui rinvia la motivazione dell’atto impositivo notificatogli, ma è chiaro che già quest’ultimo dovrà essere completo, preciso e puntuale in proposito, pena una violazione dell’art. 7, comma 1, L. n. 212/2000 e dell’art. 7, comma 5-bis, D.Lgs. n. 546/1992.

Anche la giurisprudenza più recente conferma l’intensificarsi di un orientamento più restrittivo circa la portata probatoria della motivazione per relationem.

Di particolare rilevanza è una recente pronuncia dei Supremi Giudici, resa ad esito di un ricorso per cassazione proposto dall’Agenzia delle Entrate ed articolato su vari motivi, tra cui proprio uno relativo all’asserito corretto assolvimento dell’onere probatorio attraverso l’adozione di un atto accertativo motivato per rinvio ad un PVC, il quale tuttavia non era stato prodotto per l’intero. In tale occasione, infatti, la Corte di Cassazione ha rigettato il motivo di ricorso proposto dall’Agenzia delle Entrate, rilevando come «la mancata completa allegazione del processo verbale di constatazione e degli allegati non ha consentito alla ricorrente [n.d.a.: all’Agenzia delle Entrate] di esercitare adeguatamente il proprio onere di prova, cioè di supportare con adeguati elementi di prova le prospettazioni contenute nell’atto impositivo» (cfr. Cass. civ., sez. V, ord., 2 marzo 2023, n. 6325. La decisione continua affermando che «il fatto che l’accertamento sia stato basato sugli elementi del processo verbale di constatazione e che questo sia stato precedentemente reso noto al contribuente, circostanza valorizzata dalla ricorrente, vale a renderlo “perfetto” sotto il profilo della sua motivazione, ma non è sufficiente a dare dimostrazione dei fatti costitutivi della pretesa tributaria che “non può prescindere dalla produzione in giudizio del processo verbale di constatazione” (Cass. civ., 30 dicembre 2020, n. 29878)»). Quindi l’allegazione degli atti cui l’Ufficio richiama rappresenta un elemento fondamentale al fine di ritenere provata una pretesa impositiva motivata per rinvio: tant’è che, in un caso antitetico ove invece era stato prodotto sia il PVC redatto dalla Guardia di Finanza sia i principali allegati, la pretesa è stata considerata provata proprio alla luce di tali circostanze (cfr. Corte di Giustizia tributaria di secondo grado Lombardia Milano, sez. XX, sent., 13 luglio 2023, n. 2223).

Nello stesso senso anche la giurisprudenza di merito: dall’esame di alcune recenti pronunce emerge infatti che ove gli atti impugnati siano motivati per rinvio e manchi la completa riproduzione degli atti cui si rinvia ovvero essi non siano allegati e prodotti, l’atto impugnato debba essere annullato per violazione dell’onere probatorio sussistente in capo all’Amministrazione finanziaria.

Così, ad esempio, è stato deciso: in un caso di impugnazione di un avviso di accertamento IVA basato su un PVC della Guardia di Finanza, non riprodotto né allegato (cfr. Corte di Giustizia tributaria di primo grado Emilia-Romagna Reggio Emilia, sez. I, sent., 31 ottobre 2023, n. 208: «posto che il pvc della G. di F. a sua volta richiamato dagli atti impugnati non riproduce né riporta in allegato i documenti a supporto degli elementi d’indagine richiamati nello stesso e negli stessi, ciò in palese violazione del disposto dello Statuto del Contribuente come interpretato dalla costante giurisprudenza della Suprema Corte ne consegue l’illegittimità degli atti impugnati; conseguenze tanto più condivisibili dopo il forte monito che è giunto a questo Giudice dal Legislatore, in punto di corretta applicazione dell’onere della prova; infatti con la novella introdotta dall’art. 6 L. n. 130 del 2022 è stato aggiunto all’articolo 7 del D.Lgs. n. 546 del 1992, il comma 5 bis»); in un altro caso di impugnazione di plurimi avvisi di accertamento ai fini IRPEF, IVA ed IRAP, emessi a seguito di un PVC della Guardia di Finanza a carico di un soggetto terzo diverso dal contribuente ricorrente e dal quale emergevano indizi di evasione a suo carico che sarebbero stati provati da intercettazioni e dichiarazioni di terze, tuttavia mai confluite negli atti impugnati né prodotte in giudizio (cfr. Corte di Giustizia tributaria di primo grado Emilia-Romagna Reggio Emilia, sez. I, sent., 4 ottobre 2023, n. 187: «Le doglianze del Ricorrente sono fondate; l’Agenzia, a sostegno dei propri assunti, richiama una serie di intercettazioni e di dichiarazioni di terzi, non note alla Ricorrente né d’altronde, quanto meno in parte conoscibili, in quanto tutt’ora coperte da segreto istruttorio, di cui dice di riportare il contenuto essenziale; ma non le riporta per esteso né indica in quale luogo, pagina, paragrafo, del PCV le stesse sarebbero riportate con ciò venendo meno ad un suo preciso onere. […] Ora posto che il pvc della G. di F. a sua volta richiamato dagli atti impugnati non riproduce né riporta in allegato tutti i documenti a supporto degli elementi d’indagine richiamati nello stesso e negli stessi, ciò in palese violazione del disposto dello Statuto del Contribuente come interpretato dalla costante giurisprudenza della Suprema Corte ne consegue l’illegittimità degli atti impugnati ;conseguenze tanto più condivisibili dopo il forte monito che è giunto a questo Giudice dal Legislatore, in punto di corretta applicazione dell’onere della prova; infatti con la novella introdotta dall’art.6 L. n. 130 del 2022 è stato aggiunto all’articolo 7 del D.Lgs. n. 546 del 1992, il comma 5 bis»); ancora, in un caso di impugnazione di una cartella di pagamento relativa alla maggiore IVA derivante dall’imposta sugli intrattenimenti a fronte di una segnalazione effettuata dall’Agenzia delle Dogane, la quale non era stata tuttavia allegata all’atto impugnato, comprimendo il diritto di difesa del contribuente (cfr. Corte di Giustizia tributaria di secondo grado Liguria Genova, sez. II, sent., 16 dicembre 2022, n. 942: “La circostanza, ripetuta in appello, che il Contribuente avrebbe potuto ricostruire e supporre il contenuto delle basi di calcolo dell’irregolarità contestata dall’Ufficio, anche senza la (pacifica) assenza dell’atto dell’Agenzia delle Dogane, non sana – come già motivato dalla CTP – l’originaria invalidità dell’atto A.E. Né l’Ufficio appellante chiarisce il percorso logico giuridico che – semplicemente e immediatamente – avrebbe consentito al Contribuente di conoscere il dato ignoto, contenuto nel documento mancante. Si può aggiungere, sul punto, anche alla luce delle nuove disposizioni della riforma del processo tributario (art. 7, comma 5-bis, del D.Lgs. n. 546 del 1992) che – come e più di prima – l’onere della prova dell’esistenza dei presupposti impositivi e della loro piena conoscenza è posta a onere dell’Ufficio”). Viceversa, i giudici di merito non hanno rilevato motivi di annullabilità, per vizi attinenti all’onere probatorio, di quegli atti pur motivati per relationem ma nei quali vengono dedotti tutti gli elementi necessari a provare la pretesa (cfr. Corte di Giustizia tributaria di secondo grado Lombardia Brescia, sez. XXV, sent., 11 maggio 2023, n. 166).

Anche alla luce dell’orientamento giurisprudenziale che va formandosi, è possibile quindi immaginare che la motivazione per relationem degli atti impositivi sarà probabilmente destinata a sparire, almeno per come sinora l’abbiamo sperimentata e conosciuta. Infatti, l’onere probatorio posto dal comma 5-bis e la necessità di dimostrare come e perché quanto affermato nell’atto cui si rinvia sia rilevante nel caso concreto (come richiesto dal novellato Statuto dei diritti del contribuente), faranno sì che, presumibilmente, l’Amministrazione finanziaria in via prudenziale procederà a confezionare atti impositivi più completi possibili. Un tanto significa che probabilmente tali atti non recheranno più un mero richiamo ad altri atti precedenti, bensì dovranno indicare una puntuale dimostrazione della prova della pretesa, ad esempio riproducendo il contenuto per l’intero ed allegando tutti i documenti a tal fine necessari, illustrando il nesso tra l’atto di accertamento “generatore” e quello emesso a cascata. Il tutto chiaramente per evitare di incorrere in successive censure di infondatezza dell’atto motivato per rinvio.

4. Un altro aspetto del rapporto tra motivazione degli atti impositivi e prova della pretesa tributaria da sondare alla luce delle novelle normative che hanno interessato la ripartizione dell’onere probatorio tra Amministrazione finanziaria e contribuente ed il contenuto probatorio degli atti accertativi concerne l’obbligo di motivazione rafforzata degli atti dell’Ufficio e, nello specifico, se disattendere siffatto dovere possa comportare l’annullamento dell’atto per carenza della prova della pretesa.

Come noto, con la locuzione “motivazione rafforzata” si fa riferimento ad un onere motivazionale più pregnante per l’Amministrazione finanziaria, alla quale è richiesto di specificare le ragioni per cui le difese svolte dal contribuente (osservazioni difensive, documenti prodotti, ecc.) prima dell’emissione dell’avviso di accertamento non siano idonee a superare le contestazioni che l’Ufficio intende sollevare. In tal senso, nel confezionare l’avviso di accertamento – successivo ad una fase di contraddittorio – l’Ufficio dovrebbe quindi argomentare e dimostrare l’inconsistenza della tesi difensiva del contribuente, pena l’illegittimità dell’atto, poiché in tal caso il provvedimento «non sarebbe formulato in modo da consentire la verifica della effettiva valutazione di tutte le circostanze del caso: non sarebbe possibile controllare, in altre parole, l’adeguatezza dell’esercizio del potere, rispetto alla funzione» (cfr. Marcheselli A., Contraddittorio con il contribuente e oneri di motivazione dell’ufficio, dai coefficienti presuntivi agli studi di settore, in Giur. It., 2008, 6, 1560; Id., Giustizia tributaria e diritti fondamentali, Torino, 2016, 238 ss. per cui «la motivazione dell’atto di accertamento deve essere integrata anche sotto il profilo probatorio, e anche con le ragioni per le quali sono state disattese le eventuali contestazioni sollevate dal contribuente in sede di contraddittorio»).

Originariamente l’obbligo di motivazione rafforzata era specificatamente previsto solo in alcune ipotesi, ossia ad esito delle memorie difensive presentate dal contribuente successivamente alla consegna del PVC ex art. 12, comma 7, L. n. 212/2000, nella versione vigente fino al 16 dicembre 2023 (nel dettagli, la norma disponeva che «Nel rispetto del principio di cooperazione tra amministrazione e contribuente, dopo il rilascio della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo, il contribuente può comunicare entro sessanta giorni osservazioni e richieste che sono valutate dagli uffici impositori»; nella pratica, tuttavia, l’obbligo di valutazione delle osservazioni difensive del contribuente è stato spesso svalutato dalla giurisprudenza, per la quale tale valutazione potrebbe essere anche solo implicita, cfr. Cass. civ., sez. V, ord., 1° giugno 2021, n. 15184; Cass. civ., sez. V, sent., 24 febbraio 2016, n. 3583; Cass. civ., sez. V, sent., 20 aprile 2016, n. 7896. Come si osserverà infra, a seguito delle modifiche introdotte dal D.Lgs. n. 219/2023, la questione ora è destinata a mutare significativamente, nel senso che le controdeduzioni rispetto alle memorie difensive del contribuente dovranno specificatamente indicare i motivi del rigetto); in seguito ai chiarimenti forniti in risposta alla richiesta dell’Ufficio nell’ambito di contestazioni di presunta elusività ex art. 10-bis, comma 8, L. n. 212/2000; ovvero in occasione delle memorie presentate a seguito di apposito invito a comparire per l’instaurazione del procedimento di accertamento con adesione ex art. 5-ter, comma 3, D.Lgs. n. 218/1997, recentemente abrogato per effetto dell’art. 1, comma 1, lett. c), D.Lgs. n. 13/2024, il quale trova applicazione con riferimento agli atti emessi dal 30 aprile 2024.

Anche l’ambito di operatività della motivazione rafforzata è stato interessato da recenti modifiche normative, le quali ne hanno ampliato lo spettro applicativo, sì da rendere tale obbligo effettivamente generalizzato ogni qual volta vi sia un contraddittorio preventivo tra contribuente e Amministrazione finanziaria. L’intervento si è reso necessario a causa di una deriva giurisprudenziale per cui, in assenza di una sanzione di nullità (annullabilità) dell’atto, l’obbligo di motivazione rafforzata era di fatto riconosciuto (ossia la violazione veniva riscontrata) solo in casi limite, come quando l’Amministrazione finanziaria stessa ammetteva, negli atti di accertamento, di non aver proprio considerato le deduzioni difensive svolte dal contribuente nella fase endoprocedimentale (cfr. a titolo esemplificativo Cass. civ., sez. VI – 5, ord., 2 luglio 2018, n. 17210 e Cass. civ., sez. VI – 5, ord., 15 novembre 2018, n. 29487).

Cosicché nell’ambito della legge delega per la riforma fiscale del 2023 è stato espressamente demandato di prevedere «l’obbligo da parte dell’ente impositore di motivare espressamente sulle osservazioni formulate dal contribuente» ex art. 17, comma 1, lett. b), n. 3, L. n. 111/2023, così «generalizzando la c.d. “motivazione rafforzata” attualmente prevista solo per talune limitate fattispecie» (cfr. delega al Governo per la riforma fiscale, A.C. 1038-75-A, 6.07.2023, 122).

Il principio è stato quindi trasfuso in una rilevante modifica dello Statuto dei diritti del contribuente, ove è stato inserito il già citato art. 6-bis, rubricato “Principio del contraddittorio”: in particolare, il comma 4 della citata novella stabilisce che «L’atto adottato all’esito del contraddittorio tiene conto delle osservazioni del contribuente ed è motivato con riferimento a quelle che l’Amministrazione ritiene di non accogliere»; poiché a seguito dell’aggiunta normativa in parola ora tutti gli atti autonomamente impugnabili emessi dall’Amministrazione finanziaria devono essere preceduti da una fase di contraddittorio preventivo con il contribuente – fatta eccezione per gli atti automatizzati, di pronta liquidazione e di controllo formale delle liquidazioni -, di fatto tutti gli atti impositivi eventualmente emessi a seguito di tale fase endoprocedimentale sono soggetti all’obbligo di motivazione rafforzata.

La portata della novella è di estrema rilevanza, poiché ora non solo è previsto, in via generale, che gli atti impositivi debbano dar conto dell’esito della fase di contraddittorio preventivo tra contribuente e Amministrazione finanziaria, ma è altresì posto uno specifico onere in capo a quest’ultima, la quale dovrà esporre in maniera chiara e precisa le considerazioni che ha effettuato e che l’hanno portata a rigettare gli argomenti difensivi. Il che, pertanto, significa provare perché la tesi promossa dal contribuente non merita accoglimento (e sia quindi legittimo e fondato l’avviso di accertamento emesso).

Ancora una volta, quindi, motivazione e prova della pretesa fiscale si saldano tra loro: l’atto non sarà viziato sotto il profilo motivazionale o probatorio in presenza di una motivazione rafforzata che sia effettiva, ossia che dia conto delle osservazioni difensive del contribuente e fornisca la prova dell’argomentare dell’Amministrazione finanziaria in preciso riferimento all’esito del contraddittorio endoprocedimentale. Per converso, il difetto di motivazione rafforzata – per assenza della stessa ovvero per mancato esame delle deduzioni difensive del contribuente ed esposizione delle relative controdeduzioni – si traduce in una violazione dell’onere probatorio di cui agli artt. 7, comma 5-bis, D.Lgs. n. 546/1992 e 7, comma 1, L. n. 212/2000.

Già in qualche caso esaminato dai giudici tributari è stata evidenziata la connessione di questi profili: in un recente caso ove, a seguito di un PVC e di apposite memorie difensive presentate del contribuente, l’Agenzia delle Entrate dichiarava di averle valutate ma non dimostrava in maniera puntuale quali elementi le consentissero di affermare l’irrilevanza delle difese del contribuente, i giudici hanno giustappunto annullato l’atto impositivo, rilevando che «anche la prova processuale fornita dall’Amministrazione finanziaria deve ritenersi insufficiente ed inidonea» (cfr. Corte di Giustizia tributaria di primo grado Lazio Latina, sez. II, sent., 27 giugno 2023, n. 599: «Nel caso in esame, l’Amministrazione finanziaria si è appiattita sulle argomentazioni svolte in sede di verifica, riportate poi nella motivazione dell’avviso di accertamento e, di fronte alle considerazioni svolte dal Consorzio corroborate dalla documentazione prodotta nel presente giudizio, non ha dato ulteriore prova in giudizio del proprio argomentare»).

In definitiva, anche per quanto concerne il profilo in esame deve osservarsi che i recenti interventi normativi avranno un significativo impatto sull’attività dell’Amministrazione finanziaria, poiché un difetto di motivazione potrà tradursi in una mancata prova della fondatezza dell’atto.

5. Sul tema del rapporto tra motivazione e prova degli atti dell’Amministrazione finanziaria risulta ancora interessante soffermarsi sul caso specifico degli atti di irrogazione delle sanzioni.

Come noto, le sanzioni amministrative tributarie possono essere irrogate dall’Ufficio contestualmente all’avviso di accertamento a mezzo del quale si recuperano maggiori imposte ex art. 17 D.Lgs. n. 472/1997 ovvero seguendo la procedura ordinaria prescritta dall’art. 16 D.Lgs. n. 472/1997, avviata dalla notifica dell’atto di contestazione (di solito per sanzioni non collegate al tributo). In entrambi i casi è posto un preciso onere motivazionale in capo all’Ufficio: nel caso di irrogazione immediata, infatti, le sanzioni sono irrogate «con atto contestuale all’avviso di accertamento o di rettifica, motivato a pena di nullità» ex art. 17, comma 1, D.Lgs. n. 472/1997; qualora sia impiegata la procedura ordinaria, l’art. 16, comma 2, D.Lgs. n. 472/1997 richiede che «l’ufficio o l’ente notifica atto di contestazione con indicazione, a pena di nullità, dei fatti attribuiti al trasgressore, degli elementi probatori, delle norme applicate, dei criteri che ritiene di seguire per la determinazione delle sanzioni e della loro entità nonché dei minimi edittali previsti dalla legge per le singole violazioni».

Purtuttavia, nella pratica non è infrequente che la pretesa sanzionatoria sia irrogata in maniera del tutto automatica, senza cioè che tale pretesa sia accompagnata da una specifica e circostanziata motivazione, che dovrebbe riguardare, ad esempio, l’entità e la gradazione delle sanzioni comminate al contribuente, come pure la dimostrazione di una condotta colpevole ovvero la ricerca dell’esistenza o meno di esimenti (ed in caso affermativo, la loro diretta applicazione già nell’atto accertativo).

Un tanto accade per certo ogniqualvolta la sanzione è collegata al tributo evaso ed è irrogata nel medesimo atto: in tali casi, infatti, l’onere motivazionale è considerato dalla giurisprudenza assolto per relationem rispetto a quanto prospettato con riferimento ai tributi contestati ed ai fatti ivi narrati (cfr. Cass., sez. V, ord. 4 maggio 2021, n. 11610, per cui «in tema di sanzioni amministrative tributarie, nel caso in cui la sanzione, collegata al tributo cui si riferisce, sia irrogata – ai sensi del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 17 (Irrogazione immediata) – con atto contestuale all’avviso di accertamento o di rettifica, essa è da intendersi motivata per relationem alla pretesa fiscale che sia definita nei suoi elementi essenziali, sì da giustificare la sanzione per essa irrogata e contenuta nel medesimo atto»), nonostante nella quasi totalità dei casi manchi qualsivoglia riferimento ad aspetti di notevole rilevanza, quali la prova della colpevolezza ovvero i criteri di determinazione delle sanzioni irrogate – senza contare che non vi è alcun accenno a possibili cause di disapplicazione delle sanzioni. Infatti l’orientamento giurisprudenziale è consolidato nel ritenere che solo nel caso di irrogazione tramite la procedura ordinaria di cui all’art. 16 D.Lgs. n. 472/1997 l’atto di contestazione debba essere specificatamente motivato (cfr., tra le pronunce più recenti, Cass. civ., sez. V, sent., 27 luglio 2023, n. 22911: «in tema di sanzioni amministrative tributarie, l’obbligo di motivazione dell’atto di contestazione della sanzione collegata al tributo, imposto dal D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 16, comma 2, opera soltanto quando essa sia irrogata con atto separato e non contestualmente e unitamente all’atto di accertamento o di rettifica, in quanto, in quest’ultimo caso, viene assolto “per relationem” se la pretesa fiscale è definita nei suoi elementi essenziali»; cfr. altresì Cass. civ., sez. V, ord., 21 febbraio 2022, n. 5509, per cui «Se è vero, infatti, che del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 16, il comma 2 prevede, a pena di nullità, la necessità della motivazione dell’atto di contestazione, è pur vero che tale requisito di validità opera quando le sanzioni vengono irrogate con atto separato e non quando le stesse siano irrogate contestualmente e unitamente all’accertamento del maggior reddito rispetto a quello dichiarato e contestato»).

Siffatti orientamenti sono ora suscettibili di riforma.

Infatti l’art. 7, comma 5-bis, D.Lgs. n. 546/1992 prevede che anche l’irrogazione delle sanzioni debba essere oggetto di puntuale prova da parte dell’Amministrazione finanziaria, disponendo che il giudice proceda all’annullamento dell’atto impugnato qualora quanto argomentato (e dimostrato) dall’Ufficio non sia sufficiente a dimostrare, in maniera circostanziata e puntuale, «le ragioni oggettive su cui si fondano la pretesa impositiva e l’irrogazione delle sanzioni».

Ne discende che, nel caso di sanzioni irrogate contestualmente alla pretesa impositiva, l’Amministrazione finanziaria dovrà dar prova non solo del presupposto impositivo, ma anche della pretesa sanzionatoria. È chiaramente possibile che, al fine di soddisfare tale onere probatorio, gli Uffici optino per un mero richiamo di quanto sostenuto con riferimento alla pretesa impositiva, di fatto traslando il supporto probatorio dal comparto impositivo a quello sanzionatorio; nondimeno, tuttavia, le prescrizioni di cui all’art. 7, comma 5-bis, D.Lgs. n. 546/1992 e dell’art. 7, comma 1, L. n. 212/2000 offrono nuove prospettive di censure di tali atti, che potrebbe essere opportuno sollevare qualora l’applicazione delle sanzioni avvenga sostanzialmente in automatico.

6. Il tema della prova e della conseguente ripartizione dell’onere probatorio tra contribuente e Amministrazione finanziaria rappresenta uno degli aspetti centrali nella valutazione della fondatezza degli atti di accertamento adottati dagli Uffici, nonché nella prospettiva di elaborare le strategie difensive qualora il contribuente scelga di opporvisi adendo il giudice tributario.

Le novelle normative susseguitesi alla L. n. 130/2022 ed alla riforma fiscale del 2023 conferiscono un nuovo quadro operativo all’Amministrazione finanziaria: al fine di adottare atti legittimi sotto il profilo probatorio, sarà d’ora in poi necessario raccogliere tutti gli elementi probatori nel corso dell’attività istruttoria e darne specifico conto negli atti impositivi o sanzionatori poi adottati. In assenza di tali indicazioni, infatti, i contribuenti potranno censurare gli atti dogliendosi della carenza probatoria che, in tale ottica, diventa un nuovo (o meglio, più robusto) profilo di illegittimità degli atti degli Uffici. L’Amministrazione finanziaria dovrebbe cioè evitare di svolgere indagini superficiali o carenti sotto il profilo probatorio, notificando atti palesemente infondati, sì costringendo il contribuente ad una defatigante attività difensiva e ingolfando la magistratura tributaria (cfr. Cass. civ., sez. V, sent., [data ud. 7 luglio 2022], 21 settembre 2022, n. 27554, ove viene osservato che è necessario che «l’ente impositore abbia già raccolto prove in sede d’accertamento, senza le quali non potrebbe certo sostenere la fondatezza della sua pretesa, le cui ragioni vanno dunque ancorate ad elementi che convincano, essa per prima, della legittimità dell’obbligazione fiscale del contribuente»).

Per l’effetto, quanto alla motivazione degli atti impositivi e sanzionatori ci si può attendere che l’Ufficio presti maggiore attenzione ad una precisa indicazione degli elementi probatori su cui intende fondare la propria tesi e che, nell’adottare atti motivati per relationem, palesi sin da subito tutto quanto già in suo possesso e proveniente dalla precedente istruttoria, soprattutto se svolta presso soggetti diversi dal destinatario dell’atto.

(*)  Il saggio è stato sottoposto a double blind peer review con valutazione positiva. Esso confluirà nel fascicolo n. 2/2024 (semestrale) della Rivista telematica di diritto tributario.

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