Riforma tributaria: gli inadempimenti formali possono ancora determinare la decadenza dai benefici fiscali?
Di Giuseppe Ingrao
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Abstract (*)
La legge delega di riforma fiscale n. 111/2023 prevede tra i criteri direttivi in tema riordino dei procedimenti tributari – e segnatamente all’art. 16, comma 1, lett. c) – quello di escludere la decadenza da benefìci fiscali nel caso di inadempimenti formali o di minore gravità. Il D.Lgs. n. 1/2024 contiene una norma che si ricollega a tale criterio direttivo, ma il ristretto campo di applicazione lascia nell’incertezza alcune situazioni che potevano avere una chiara risoluzione nel senso auspicato dalla riforma.
Tax reform: can formal obligations failures still cause the exclusion of tax benefits? – The tax reform enabling law n. 111/2023 provides among the directive criteria regarding the reorganization of tax proceedings – and in particular in art. 16, paragraph 1, letter c) – to exclude the forfeiture of tax benefits in the case of formal or minor breaches. Legislative decree no. 1/2024 contains a rule that is linked to the directive criterion, but the limited field of application leaves in uncertainty some situations that could have had a clear resolution in the sense desired by the reform.
Sommario: 1. Premessa. – 2. Il rapporto tra il criterio direttivo della legge delega di riforma tributaria e la disciplina della “remissione in bonis”. – 3. Ipotesi di disconoscimento di benefici fiscali per inadempimenti formali: agevolazioni IMU e omessa presentazione della dichiarazione; detrazioni IRPEF per lavori di riqualificazione energetica e omessa comunicazione all’ENEA. – 4. Le incertezze sul valore precettivo dei criteri direttivi sufficientemente precisi contenuti nella legge delega n. 111/2023. – 5. Osservazioni conclusive.
1. Il D.Lgs. n. 1/2024, intitolato “Razionalizzazione e semplificazione delle norme in materia di adempimenti tributari”, all’art. 13, contiene una disposizione con cui si dà attuazione al criterio direttivo previsto dall’art. 16, comma 1, lett. c), della legge delega per la riforma tributaria n. 111/2023, riguardante l’esclusione della decadenza da benefici fiscali in caso di violazioni formali o di minore gravità; criterio previsto per «migliorare o riequilibrare la posizione del contribuente rispetto all’Amministrazione finanziaria», come si afferma nella relazione al provvedimento.
Il decreto attuativo citato statuisce che «La mancata indicazione dei crediti di imposta derivanti da agevolazioni concesse agli operatori economici nelle dichiarazioni annuali, se spettanti, non comporta la decadenza dal beneficio». È evidente che il legislatore delegato si sia “concentrato” su una specifica questione, meritevole certamente di attenzione, connessa appunto alla mancata indicazione dei crediti di imposta in dichiarazione, che non comporterà d’ora in avanti la decadenza dal beneficio fiscale; la formulazione della norma tralascia, però, in modo discutibile, altre ipotesi per le quali l’inosservanza dell’adempimento formale potrebbe comportare – secondo la tesi del Fisco – la perdita del beneficio fiscale.
La relazione allo schema di decreto attuativo, Atto del Governo n. 93, datata 27 novembre 2023, afferma che «Tale disposizione recepisce un principio già affermato in sede di risposte ad interpello fornite dall’Amministrazione finanziaria (Agenzia delle Entrate, risposta a interpello n. 396 del 9 giugno 2021), nonché dalla giurisprudenza di legittimità». Non si fa, quindi, un espresso riferimento al criterio direttivo contenuto nel comma 1, lett. c), dell’art. 16 L. n. 111/2023, come se la disposizione fosse frutto di una iniziativa del Governo, “coperta” dal più generale principio di razionalizzazione e semplificazione dei procedimenti.
Preso atto di ciò, è ipotizzabile che il decreto attuativo n. 1/2024 non abbia tenuto conto del criterio direttivo di cui sopra, ma si sia limitato a risolvere una questione, di una certa rilevanza, su cui la giurisprudenza di legittimità, si era espressa in senso favorevole al mantenimento del diritto al beneficio fiscale, escludendo le altre ipotesi in cui la stessa giurisprudenza di legittimità si era pronunciata, invece, con evidenti forzature, a favore del Fisco, come nei casi che illustreremo in avanti relativi alla perdita dell’agevolazione IMU per l’omessa presentazione della dichiarazione, ovvero al disconoscimento del credito d’imposta per riqualificazione energetica degli immobili, per il mancato o tardivo invio della comunicazione all’ENEA. Queste ultime fattispecie potevano, invero, essere risolte in senso favorevole al contribuente, dando piena attuazione al criterio direttivo della delega.
L’impressione che si ha, quindi, è che il decreto n. 1/2024, quanto meno per questo profilo, si sia preoccupato di recepire indirizzi giurisprudenziali favorevoli al Fisco, in modo da metterli al riparo da ipotetici revirement interpretativi, piuttosto che di dare una compiuta attuazione alla volontà espressa nella legge delega.
L’intenzione da parte del MEF (che notoriamente ha rivestito un ruolo importante nella fase dell’attuazione della delega) di non “cedere il campo” sugli inadempimenti formali poteva, peraltro, essere dedotta dall’interpretazione fornita dall’Agenzia delle Entrate in merito alla sanatoria prevista dalla Legge di Bilancio 2023. L’art. 1, comma 166, L. n. 197/2022, dispone che «Le irregolarità, le infrazioni e l’inosservanza di obblighi o adempimenti, di natura formale, che non rilevano sulla determinazione della base imponibile ai fini delle imposte sui redditi, dell’imposta sul valore aggiunto e dell’imposta regionale sulle attività produttive e sul pagamento di tali tributi, commesse fino al 31 ottobre 2022, possono essere regolarizzate mediante il versamento di una somma pari a euro 200 per ciascun periodo d’imposta cui si riferiscono le violazioni». La circolare n. 2/E/2023 afferma che «sono escluse dalla sanatoria le comunicazioni necessarie a perfezionare l’accesso ad agevolazioni fiscali».
2. Orbene, la restrizione/omissione operata dal legislatore delegato rispetto alle scelte fatte in sede di approvazione della legge delega potrebbe giustificarsi per esigenze di coordinamento della nuova disciplina con la c.d. remissione in bonis, di cui all’art. 2, comma 1, D.L. n. 16/2012, secondo cui il contribuente che abbia i requisiti sostanziali richiesti dalla norma agevolativa di riferimento, qualora ponga in essere l’adempimento formale ivi previsto entro i termini per la presentazione della prima dichiarazione utile, e qualora versi contestualmente una somma pari alla sanzione residuale minima prevista dall’art. 11 D.Lgs. n. 471/1997, può godere del beneficio fiscale.
Posto che la mancata attuazione dell’adempimento formale previsto dalla legge è sanabile nei termini predetti, si è presumibilmente paventato il rischio che l’attuazione del criterio direttivo indicato dalla legge delega n. 111/2023 avrebbe svuotato di contenuto precettivo la normativa sulla remissione in bonis. Il mancato assolvimento dell’adempimento formale sarebbe divenuto, cioè, sempre irrilevante nella prospettiva di godere del beneficio fiscale, senza la necessità di attuare tardivamente l’adempimento e di versare la sanzione fissa di 250 euro.
Detta preoccupazione, tuttavia, poteva essere scongiurata. Ed invero, anche se si fosse data piena attuazione al criterio direttivo della delega – semplicemente ribadendo nel decreto attuativo l’impossibilità di esclusione della decadenza dai benefici fiscali nel caso di inadempimenti formali o di minore gravità – sarebbero rimasti stati spazi di operatività della disciplina sulla remissione in bonis. Quest’ultima sarebbe, infatti, stata applicabile nei casi in cui l’adempimento formale omesso è previsto, a pena di decadenza, dalla legge che istituisce il beneficio fiscale; mentre, nelle ipotesi in cui l’adempimento formale non è previsto dalla legge a pena di decadenza, avrebbe potuto evocarsi la disposizione prevista dalla riforma tributaria, per giungere alla conclusione della spettanza del beneficio nonostante l’omissione.
3. La questione qui esaminata, come accennato, ha notevoli ricadute applicative. Si cita ad esempio il caso del disconoscimento dell’agevolazione IMU per gli enti non commerciali sugli immobili utilizzati per finalità istituzionali, qualora non sia stata presentata la dichiarazione originaria/annuale. Sul punto è intervenuta l’ordinanza di Cassazione n. 37385/2022, la quale ha ritenuto legittima la richiesta del tributo da parte dell’Ente impositore su immobili istituzionali non dichiarati, affermando che «il principio della decadenza da un beneficio fiscale in assenza del compimento diun onere di comunicazione espressamente previsto dalla legge è del resto un principio generale del diritto tributario (Cass. n. 21465/2020; Cass. n. 5190/2022)».
La tesi interpretativa affermata dalla Cassazione, a nostro avviso, equipara in modo discutibile, le ipotesi in cui l’adempimento formale sia previsto dalla legge a pena di decadenza, con quelli in cui la norma istitutiva del beneficio non preveda alcuna conseguenza per il mancato adempimento formale. Con riguardo alla fattispecie esaminata dalla Cassazione, le norme che dispongono l’esenzione IMU (art. 1, comma 759, L. n. 160/2019, e art. 7, comma 1, lett. i), D.Lgs. n. 504/1992) e le disposizioni sulla dichiarazione Imu degli enti non commerciali (art. 1, comma 769, L. n. 160/2019), non prevedono che la mancata presentazione della dichiarazione determini la perdita del diritto all’agevolazione.
La mancata presentazione della dichiarazione – dalla quale non deriva alcun obbligo di versamento dell’imposta trattandosi di immobili che godono dell’esenzione – espone il contribuente esclusivamente al pagamento della sanzione in misura fissa di 50 euro (art. 1, comma 775, L. n. 160/2019), ma non certo al disconoscimento dell’agevolazione.
Si può citare, ancora, il caso altrettanto rilevante del disconoscimento delle detrazioni fiscali per spese di riqualificazione energetica degli immobili, in caso di mancato invio della comunicazione di fine lavori all’ENEA. L’orientamento più recente della giurisprudenza (Cass., 30 maggio 2024, n. 15178) afferma, richiamando una precedente pronuncia del giudice di legittimità, che «L’omessa preventiva comunicazione all’Enea dell’elenco delle spese di riqualificazione energetica è causa di decadenza dal beneficio, in quanto tale adempimento ha lo scopo di impedire eventuali frodi, consentendo di verificare che i lavori, in quanto diretti a salvaguardare l’ambiente risparmiando energia, siano meritevoli dei vantaggi fiscali, così realizzando, in conformità ai principi costituzionali, un ragionevole bilanciamento tra la libertà di iniziativa economica privata, la tutela dell’ambiente e la tutela delle entrate dello Stato» (Cass. n. 34151/2022).
Questa affermazione è ampiamente discutibile, in quanto l’ENEA non svolge alcuna attività di controllo in merito all’effettiva tipologia di lavori eseguiti (attività che resta di appannaggio dell’Agenzia delle Entrate), ma acquisisce le comunicazioni per obiettivi “limitati” al monitoraggio e alla valutazione del risparmio energetico complessivamente conseguito grazie agli interventi eseguiti dai contribuenti. D’altra parte, non esiste una norma che prevede il potere per i dipendenti di tale ente di accedere negli immobili ove vengono effettuati i lavori oggetto di agevolazione, al fine di svolgere una verifica. L’ENEA, quindi, con la sua attività non “scopre” condotte fraudolente del contribuente, consistenti nel fare apparire (mediante la descrizione in fattura) come meritevoli spese che invece non hanno nulla a che fare con quelle agevolate. Il Fisco può, invece, controllare ed accertare che si tratta di fatture per operazioni effettivamente svolte nei termini indicati nella descrizione.
In aggiunta a ciò, va rimarcato che la sentenza 30 maggio 2024, n. 1578, non si cura di attenzionare un ulteriore e più recente precedente della giurisprudenza di legittimità, e segnatamente Cass., 21 marzo 2024, n. 7657, che, con un’argomentazione ben sviluppata e corredata di ampi riferimenti alla precedente giurisprudenza di segno opposto, è giunta alla conclusione dell’illegittimità del disconoscimento della detrazione IRPEF nel caso di tardiva presentazione della comunicazione all’ENEA. Con detta pronuncia, i giudici hanno operato un revirement rispetto alla precedente sentenza del 2022, evidenziando che la normativa sull’ecobonus dispone che i soggetti che intendono avvalersi della detrazione IRPEF sono tenuti a trasmettere all’ENEA i dati relativi ai lavori eseguiti, senza che sia stabilita alcuna comminatoria espressa di decadenza. L’omessa o tardiva comunicazione all’ENEA non è sufficiente a determinare un’ipotesi di decadenza, che deve tassativamente evincersi quanto meno in via d’interpretazione sistematica della normativa primaria e secondaria in ragione della finalità per la quale l’adempimento è prescritto.
In definitiva, il criterio direttivo contenuto nell’art. 16, comma 1, lett. c), della legge delega n. 111/2023, ove correttamente attuato dal legislatore delegato avrebbe consentito di risolvere in modo favorevole al contribuente i casi segnalati.
4. A questo punto occorre chiedersi se sia possibile assegnare valore precettivo al criterio direttivo della delega.
La questione è molto dibattuta, anche se in prevalenza sembra che questa possibilità sia preclusa. Vi sono, tuttavia, spazi che possono condurre ad una conclusione positiva.
Rileviamo, innanzitutto, che non ci troviamo in una situazione cui la legge delega dispone espressamente l’immediata efficacia dei principi e criteri direttivi, né tanto meno nel caso di una legge delega che contiene, oltre ai principi e criteri direttivi finalizzati ad orientare l’attività normativa del Governo, anche disposizioni che regolano direttamente la materia disciplinata. Pertanto, la strada da percorrere è quella di verificare se, in base a valutazioni ermeneutiche, sia possibile assegnare valore precettivo ai criteri direttivi contenuti nella legge di delega.
Il tema è stato oggetto di una approfondita disamina della dottrina costituzionalista, della giurisprudenza costituzionale e della giurisprudenza di legittimità, ove si è giunti a conclusioni non univoche.
Negli studi di diritto costituzionale, risulta prevalente l’impostazione – risalente a Crisafulli – secondo cui i principi e i criteri direttivi sono norme che hanno come solo destinatario il Governo e pertanto non possono fornire una diretta regolamentazione dei casi della vita, anche se le disposizioni contengono norme niente affatto programmatiche, perché rivolte a disciplinare esse stesse certe materie.
La dottrina ha, peraltro, contestato il richiamo all’esperienza europea per sostenere la possibilità dell’immediata applicazione in chiave regolatrice di norme che necessitano di una successiva fase di attuazione. Come è noto, le Direttive UE sono norme che contengono prescrizioni indeterminate che vincolano gli Stati al loro recepimento e quindi sono prive di effetti diretti; la Corte di Giustizia UE (per tutte cfr. 26 ottobre 2006, C-317/05) ha, tuttavia, affermato la possibilità di produrre effetti diretti dopo il decorso dei termini assegnati per l’attuazione, qualora le statuizioni normative possiedano contenuti dettagliati sufficientemente chiari e precisi, nonché non sottoposti ad alcuna condizione (c.d. direttive self executing). In questa misura, la dottrina ha rimarcato che, mentre le Direttive devono essere obbligatoriamente recepite dagli Stati membri e l’efficacia diretta pone rimedio a situazioni di difforme trattamento di cittadini, le leggi delega si limitano ad autorizzare il Governo all’esercizio di una funzione normativa primaria, la cui mancata adozione può comportare solo responsabilità politica dell’Esecutivo nei confronti delle Camere (Paladin L., Le fonti del diritto italiano, Bologna, 1996; Zagrebelsky G., Manuale di diritto costituzionale. Il sistema della fonti del diritto, I, Torino, 1992).
L’orientamento della giurisprudenza costituzionale – che emerge in particolare dalla sentenza n. 224/1990 – si è, invece, assestato su una posizione in parte differente. I giudici delle leggi hanno chiarito che «Sotto il profilo formale le legge delega è il prodotto di un procedimento di legiferazione ordinaria a sé stante e in sé compiuto e, pertanto, non è legata ai decreti legislativi da un vincolo strutturale che possa indurre a collocarla, rispetto a questi ultimi entro una medesima e unitaria fattispecie procedimentale. Sotto il profilo del contenuto, essa è un vero e proprio atto normativo, nel senso che è un atto diretto a porre con efficacia erga omnes norme legislative costitutive dell’ordinamento». Si aggiunge poi che i principi e criteri direttivi presentano nella prassi una fenomenologia estremamente variegata, che oscilla da ipotesi in cui la legge delega pone finalità dai confini molto ampi e sostanzialmente lasciate alla discrezionalità del legislatore delegato a ipotesi in cui la stessa legge fissa principi a basso livello di astrattezza, ove non si può negare che la legge di delegazione possa contenere un principio di disciplina sostanziale della materia o una regolamentazione parziale. In questa prospettiva, «decisivo è il particolare contenuto normativo dei principi e criteri direttivi di volta in volta considerati, nel senso che non può escludersi che, in ragione del loro grado di determinatezza e di inequivocità, ricorrano ipotesi normative sufficientementeprecise».
Secondo la Corte costituzionale, quindi, la legge di delega può, in casi limitati, esplicare effetti oltre i rapporti tra Parlamento e Governo, apprezzandosi anche quale fonte direttamente produttiva di norme finalizzate a regolare rapporti giuridici.
La giurisprudenza di legittimità risulta in linea con la conclusione della prevalente dottrina: si è affermato, infatti, che la scelta di utilizzare lo strumento della legge di delega esprimerebbe l’intenzione del Parlamento di non approntare una disciplina compiuta della materia da regolare, e di riservare al Governo il compito di delineare in concreto i confini dei principi e criteri direttivi; d’altra parte, se il legislatore avesse voluto dare immediata efficacia alle disposizioni da emanare, lo avrebbe detto lui stesso. In questa prospettiva, «la legge delega ha come unico destinatario il Governo e i principi fissati ivi fissati sono privi di un autonomo vigore normativi e rimangono inefficaci nel caso in cui il Governo non abbia provveduto ad esercitare la delega di cui era stato investito». La legge delega non si trasforma in legge ordinaria, neppure se specifica in tutti i dettagli il contenuto delle norme positive da inserire nell’ordinamento; ciò in quanto i criteri di identificazione della normativa di delega e dei decreti delegati sono esclusivamente formali e non sostanziali (Cass. n. 455/2004 e in precedenza Cass. n. 2883/1992 e Cass. n. 1708/1975).
Nonostante le prospettate incertezze circa la possibilità di giungere ad un’applicazione immediata dei criteri direttivi di una legge delega, e tenendo conto che le “aperture” della Corte costituzionale possono rappresentare una reazione al fatto che una elevata percentuale di leggi di delega resta integralmente o parzialmente inattuata, ci limitiamo in conclusione a verificare se “a monte” il criterio direttivo di cui all’art. 16, comma 1, lett. c) – secondo cui il legislatore delegato, nella prospettiva della semplificazione degli adempimenti tributari, deve fissare l’esclusione della decadenza da benefici fiscali in caso di violazioni formali o di minore gravità – presenta i requisiti di determinatezza e inequivocabilità evocati dalla Corte costituzionale per una sua immediata applicabilità. Ove così non fosse, infatti, non avrebbe senso nemmeno discutere del valore direttamente precettivo, potendosi esclusivamente ragionare in termini di valenza sul piano ermeneutico: la legge delega, infatti, non si estingue per la sua mancata attuazione nei tempi previsti, bensì resta viva con riferimento ai principi e ai criteri direttivi da essa forgiati, i quali potranno essere certamente evocati quali parametri interpretativi delle norme precettive dell’ordinamento.
La formulazione testuale del citato criterio, invero, non lascia margini di incertezza circa la latitudine della sua portata: non vi sono concetti da riempire di contenuto e quindi margini di valutazione discrezionale per la sua attuazione. La “densità descrittiva” del criterio direttivo fa sì che la legge di delega si sia spinta sino al punto di predeterminare il contenuto del decreto delegato (sulla legittimità di tali scelte cfr. Corte cost. n. 106/1962). Ed invero, l’espressione “violazioni formali o diminore gravità” è di per sé evocativa di tutte quelle violazioni che non arrecano pregiudizio all’esercizio dell’azione di controllo e non incidono sulla determinazione della base imponibile, dell’imposta e sul versamento del tributo, secondo quanto dispongono l’art. 10 L. n. 212/2000 e l’art. 6, comma 5-bis, D.Lgs. n. 472/1997. Il D.Lgs. n. 1/2024 – si ribadisce – avrebbe dovuto semplicemente replicare la formulazione testuale del criterio direttivo.
Per rafforzare quanto qui notato, basta paragonare, a titolo esemplificativo, il qui esaminato criterio direttivo di cui all’art. 16, comma 1, lett. c), L n. 111/2023, con quello di cui alla successiva lett. e), cioè, «semplificare la modulistica prescritta per l’adempimento degli obblighi dichiarativi e di versamento» per rendersi conto che il primo non necessita di alcuna ulteriore specificazione in sede di attuazione, mentre il secondo impone un intervento del legislatore delegato con cui si determinino in concreto i margini di semplificazione della dichiarazione tributaria e del versamento delle imposte.
5. Mettendo da parte il tema dell’efficacia diretta dei criteri direttivi della legge delega, possiamo, in conclusione, evidenziare che, nella misura in cui ci si propone di riportare il rapporto Fisco-contribuente su binari di civiltà giuridica, non solo bisogna perseguire sino in fondo la strada della semplificazione degli adempimenti formali, limitandoli a ciò che è strettamente indispensabile nella prospettiva del controllo fiscale degli Uffici, ma anche occorre abbandonare l’idea di prevedere la decadenza dai benefici fiscali per il mancato rispetto di quegli adempimenti formali che per varie ragioni si ritiene di mantenere in vita. Non si deve trascurare il fatto che i benefici fiscali, e in particolare le agevolazioni che determinano un’esclusione totale o parziale del versamento del tributo su fatti teoricamente espressivi di forza economica, sono previsti dalla legge al precipuo fine di perseguire interessi meritevoli di tutela, al punto tale da ridimensionare il dovere di contribuzione alla spesa pubblica ex art. 53 Cost.
Tenuto conto di ciò, la previsione di una sanzione in misura fissa per la mancata o tardiva osservanza dell’adempimento formale può rappresentare la giusta prospettiva verso cui indirizzare la reazione dell’ordinamento giuridico per siffatte violazioni, senza mettere più in discussione la spettanza del regime agevolato per tutti quei contribuenti che possiedono i requisiti sostanziali previsti dalla legge di agevolazione. D’altra parte, sia la normativa sulla “remissione in bonis”, sia la legge delega di riforma tributaria 2023, depongono in tal senso.
(*) Il saggio è stato sottoposto a double blind peer review con valutazione positiva. Esso confluirà nel fascicolo n. 2/2024 (semestrale) della Rivista telematica di diritto tributario.
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
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Grossi P., Premesse per uno studio sistematico delle fonti del diritto, Torino, 2008
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