Ancora sulla nuova nozione di credito inesistente e non spettante

Di Giovanni Girelli -

Abstract (*)

Nel saggio si analizza il testo definitivo del decreto sanzioni nella parte riguardante le nozioni di credito inesistente e non spettante, di cui rimangono ancora non efficacemente scolpiti i tratti differenziali.

A further reflection on tax credits that do not exist or are not due – The final text of the decree on sanctions still does not effectively define the difference between the notion of tax credits that do not exist or are not due.

 

Sommario: 1. L’indebita compensazione da crediti inesistenti e non spettanti secondo il testo definitivo del “decreto sanzioni”. – 2. L’operato definitorio del legislatore delegato va apprezzato per il credito inesistente ma non per quello non spettante.

1. La versione definitiva del decreto legislativo sulla revisione del sistema sanzionatorio tributario viene a riformulare la nozione di credito inesistente e di credito non spettante imponendo così di dover tornare su quanto è stato già oggetto di recente riflessione sulla base dello schema del detto decreto (cfr. Girelli G., Riflessioni sulla disciplina dei crediti d’imposta non spettanti ed inesistenti nello schema di decreto sulle sanzioni, in questa Rivista, 2024, 1 e pubblicato online il 25 maggio 2024, www.rivistadirittotributario.it)[1].

Rispetto allo schema di decreto legislativo, difatti, il legislatore delegato viene adesso a suddividere la nozione di credito d’imposta inesistente in due species aggiungendo l’esplicito riferimento alle condotte fraudolente e riscrive la tripartita definizione di credito d’imposta non spettante.

Partendo dal primo, vengono considerati inesistenti sia i crediti per i quali mancano, in tutto o in parte, i requisiti oggettivi o soggettivi specificamente indicati nella disciplina normativa di riferimento, sia i crediti per i quali i requisiti oggettivi e soggettivi appena citati risultino oggetto di rappresentazioni fraudolente, attuate con documenti materialmente o ideologicamente falsi, simulazioni o artifici. Rispetto allo schema di decreto, ai fini di qualificare la fattispecie illecita individuata dalla norma, è condivisibilmente introdotta la distinzione tra crediti inesistenti c.d. “ordinari o semplici” e c.d. “fraudolenti”. Tale differenziazione era prima valorizzata solo dalla disposizione finalizzata alla determinazione della sanzione, ove la fraudolenza assumeva carattere di aggravante speciale per il profilo quantitativo sanzionatorio. In sede di disciplina della violazione penalmente rilevante, la condotta fraudolente rimane, però, quale caratterizzazione di mera aggravante, come già nel provvisorio impianto normativo penalistico, in quanto la compensazione del credito “fraudolento” determina l’aggravante della pena inflitta per la compensazione del credito inesistente “ordinario”. Infatti, alla violazione connotata da fraudolenza non è ascritta una propria autonoma fattispecie di reato con relativa pena come, al contrario, avviene in sede di delitti dichiarativi.

Il testo normativo definitivo appare comunque nel complesso meglio coordinato tra la parte classificatoria e la parte di irrogazione della sanzione.

Il legislatore delegato rimodella, poi, anche la classificazione del credito d’imposta non spettante indicando esplicitamente tre casistiche: 1) il credito d’imposta utilizzato in violazione delle modalità di utilizzo previste dalle leggi vigenti ovvero, per la relativa eccedenza, quello fruito in misura superiore a quella prevista; 2) il credito che, pur in presenza dei requisiti soggettivi e oggettivi specificamente indicati nella disciplina normativa di riferimento, è fondato su fatti non rientranti nella disciplina attributiva del credito per difetto di ulteriori elementi o particolari qualità richiesti ai fini del riconoscimento del credito stesso; 3) infine, il credito utilizzato in difetto dei prescritti adempimenti amministrativi espressamente previsti a pena di decadenza. È, altresì, specificato che la sanzione pecuniaria proporzionale disposta per le tre appena esposte fattispecie si applichi anche quando il credito è utilizzato in difetto dei prescritti adempimenti amministrativi, seppur non previsti a pena di decadenza, e la violazione non sia rimossa entro il termine di presentazione della dichiarazione annuale o, in assenza di una dichiarazione, entro un anno dalla sua commissione. Al contrario, si applica la sanzione amministrativa pari a 250 euro quando i crediti vengono utilizzati in compensazione in difetto dei prescritti adempimenti amministrativi di carattere strumentale, sempre che gli stessi non siano previsti a pena di decadenza e la violazione sia rimossa entro il termine di presentazione della dichiarazione annuale o, in assenza di una dichiarazione, entro un anno dalla sua commissione.

L’ammontare delle sanzioni amministrative, dunque, appare ragionevolmente congegnato dal punto di vista sistematico sul criterio della proporzionalità e della relazione con le altre violazioni tributarie. Rimane, invece, non comprensibile l’inciso di cui al comma 4-bis dell’art. 13 D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, riguardante la compensazione dei crediti non spettanti che potrebbe rendere del tutto vana l’opera di riordino svolta. Infatti, viene specificato che le sanzioni predette si applichino per l’utilizzo dei crediti non spettanti «salvo diverse disposizioni speciali». Tale precisazione va considerata, invero, irragionevole sotto due basilari profili. Innanzitutto, perde così di senso lo sforzo legislativo di realizzare tale nuovo compiuto sistema sanzionatorio se poi si prevede espressamente l’eventuale applicazione di norme speciali nello stesso ambito. Del resto, sono state proprio la disorganicità ed incoerenza della normativa di settore che hanno dato causa alla novella. L’esplicita apertura a interventi legislativi speciali conduce al rischio concreto di tornare ad una disciplina disorganica e foriera di trattamenti discriminatori. Inoltre, la disposizione qui criticata non ha comunque utilità effettiva in quanto il suo precetto è già proprio delle regole sui rapporti tra norma generale e speciale, atteso che quest’ultima si occupa sempre in via esclusiva della fattispecie a cui si riferisce.

2. Ebbene, apprezzabile, come detto, è l’integrazione avvenuta per la definizione di credito inesistente. Va considerata, difatti, del tutto appropriata la distinzione tra credito inesistente c.d. “ordinario o semplice” e credito inesistente c.d. “fraudolento”, ossia per il quale i requisiti oggettivi e soggettivi previsti dalla disciplina normativa di riferimento sono oggetto di rappresentazioni fraudolente, attuate con documenti materialmente o ideologicamente falsi, simulazione o artifici. La categoria dei crediti inesistenti, infatti, non può essere classificata – e il suo indebito utilizzo punito – secondo una sola matrice. Un ambito proprio, difatti, necessitano i casi connotati da fraudolenza, un altro quelli ove il contribuente ha intrapreso un’iniziativa e posto in essere una determinata condotta priva di alcun intento frodatorio, ma tale iniziativa e condotta – o per errore interpretativo o per carenza documentale – sono ritenute ex post quali inidonee ad assicurare la conformità alla legge del credito d’imposta utilizzato in compensazione. Quindi bene è scritto il decreto in merito alla netta classificazione dell’inesistenza connotata da fraudolenza così da determinare due diverse categorie di violazioni.

Per quanto riguarda, poi, il credito inesistente c.d. “ordinario” è degna di nota la previsione secondo cui la contestazione sull’avvenuta indebita compensazione debba basarsi in modo specifico sulla disciplina normativa di riferimento: è necessario riferirsi puntualmente alla legge istitutiva del credito d’imposta per sindacare la deficienza dei requisiti che, invece, avrebbe dovuto presentare il credito compensato per poter essere considerato legittimamente acquisito. Questo è un importante passo in avanti in quanto tale esplicita riserva non era presente nella disciplina previgente. Oggi, pertanto, non devono sussistere esitazioni nel ritenere illegittimi i rilievi dell’Amministrazione finanziaria fondati su fonti non solo extra normative ma pure se essi trovano origine dal dato positivo qualora esso non sia direttamente afferente al credito disconosciuto.

Infatti, rispetto al credito “fraudolento” ove l’indagine risulta semplificata dal riscontro dell’artificiosità della condotta, che può trovare ausilio probatorio anche nell’utilizzo delle presunzioni purché fondate su elementi oggettivi, è proprio per la fattispecie del credito inesistente “ordinario” che quanto previsto dal decreto risulta particolarmente importante. La individuazione del credito inesistente “ordinario” può di sovente essere foriera di dubbi interpretativi cagionati anche dalla varietà di tipologie di crediti d’imposta presenti nel nostro ordinamento. Grazie alla novella, però, se si vuole correttamente contestare l’inesistenza del credito, diviene adesso decisivo ben focalizzare i parametri strutturali della figura del credito così come tipizzata dal legislatore. Risulta allora esclusivamente dirimente la perimetrazione degli elementi legislativamente affermati quali idonei ad assumere natura costitutiva e che vanno distinti da quelli da considerare di carattere meramente accessorio, proprio perché non rilevano ai fini del motivo individuato dal legislatore per concedere il credito. Questi ultimi, però, per essere ritenuti irrilevanti ai fini qualificatori, non devono in alcuna maniera impattare sul prescritto processo di formazione del credito voluto dalla legge, atteso che è tale processo che rispecchia e pone in esecuzione la ratio concessoria della posizione creditoria attribuita al privato. Per requisito oggettivo e/o soggettivo del credito si deve intendere, quindi, quell’elemento (o quegli elementi) fattuale e/o giuridico che le disposizioni fiscali di riferimento pongono alla fonte e a causa della concessione del credito da spendere in compensazione o, comunque, come requisito essenziale a pena di decadenza del riconoscimento del credito stesso. Pertanto, in deficienza di tale elemento, al momento dell’utilizzo del credito in compensazione, momento in cui il credito assume la propria rilevanza impositiva atteso che determina l’elisione del debito del privato, il credito va qualificato come inesistente perché carente, appunto, della condizione che secondo il legislatore consente il formarsi e il mantenimento “in vita” – e, quindi, l’esistenza – del credito stesso.

In ultima analisi, nelle ipotesi ove il contribuente si sottragga o violi un obbligo previsto dalla legge, che sancisca determinate azioni per la formazione della posizione creditoria o prescriva limitazioni finalizzate al mantenimento dei parametri per poterne beneficiare, l’azione di indebita compensazione va sanzionata considerando i caratteri dell’inesistenza. Del resto, proprio perché il credito fiscale trova origine nella legge, il privato non è autorizzato ad allontanarsi per costituire la posizione creditoria dal percorso tracciato dalla norma istitutiva del credito. Qui siamo ben lontani dai crediti di diritto privato ove la eventuale difformità – piccola o grande – rispetto a quanto pattuito dalle parti non determina necessariamente il venir meno del diritto di credito ma può causare la mera rideterminazione di esso sulla base della difformità tra il risultato finale della prestazione e l’originario accordo. In campo fiscale, invece, non vi è tale possibilità atteso che se il comportamento del privato non è del tutto conforme alla disciplina istitutiva è chiaro che la ratio della norma non è rispettata e, quindi, non sussiste motivo per concedere il credito[2].

Passando, poi, alla definizione di credito non spettante va rilevato che l’operato normativo non può essere considerato quale adeguato punto di approdo per la sistematizzazione della materia. In particolare, desta perplessità la fattispecie individuata sub n. 2 della lett. g-quinquies) del comma 1 dell’art. 1 D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74. Quanto tipizzato, difatti, non solo risulta inidoneo a superare le difficoltà sino ad oggi incontrate dall’interprete nel distinguere tra credito inesistente e non spettante, ma addirittura – forse – rende ancora più indeterminata la linea di demarcazione tra le due diverse tipologie di violazioni. Se, invero, si può ritenere pacifico che un credito risulti non spettante se utilizzato in misura superiore a quella stabilita (ipotesi sub n. 1 della citata lett. g-quinquies) o in difetto degli adempimenti amministrativi normativamente prescritti a pena di decadenza (ipotesi sub n. 3 della citata lett. g-quinquies), è assai complesso accertare – ai fini di affermare che il credito sia meramente non spettante ma non inesistente – quali possano essere i fatti non rientranti nella disciplina attributiva del credito per difetto di ulteriori elementi o particolari qualità imposte dalla disposizione istitutiva del credito ma che, comunque, non assurgano a requisiti soggettivi e oggettivi indicati nella disciplina normativa di riferimento. Ed infatti, al di fuori delle ipotesi fraudolente, è difficile comprendere la precisa differenziazione tra crediti non spettanti, perché «pur in presenza dei requisiti soggettivi e oggettivi specificamente indicati nella disciplina normativa di riferimento, sono fondati su fatti non rientranti nella disciplina attributiva del credito per difetto di ulteriori elementi o particolari qualità richiesti ai fini del riconoscimento del credito» e crediti inesistenti, «per i quali mancano, in tutto o in parte, i requisiti oggettivi o soggettivi specificamente indicati nella disciplina normativa di riferimento». Quindi, sulla base di queste dizioni, non è affatto agevole scolpire la qualificazione – di inesistente o non spettante – per il credito indebitamente compensato derivante da costi regolarmente sostenuti e attività effettivamente svolte. Il richiamo ai fini distintivi ad ulteriori elementi o qualità comunque stabiliti dalla normativa di riferimento non è risolutivo per assicurare chiarezza interpretativa[3]. In buona sostanza il tratto di demarcazione scritto dal legislatore per le due fattispecie appare troppo sottile. Del tutto probabilmente in sede applicativa vi saranno casi che potranno essere fondatamente considerati afferenti sia alla sfera dell’inesistenza, sia a quella della non spettanza a seconda della valutazione effettuata dal singolo interprete circa la decisività dell’elemento deficitario rispetto a quanto prescritto dalle disposizioni sul credito. Se, dunque, il fine del legislatore era di restringere senza incertezze il perimetro dell’inesistenza, tanto da voler allocare i casi a cui intendeva riferirsi con la formulazione predetta nell’alveo della più mite violazione di compensazione di credito non spettante, allora detto obiettivo non pare essere stato raggiunto.

In ogni caso la configurazione di credito non spettante, oltre ad apparire non soddisfacente per quanto già detto, non risulta condivisibile neanche sotto il punto di vista di come è stata ontologicamente costruita. Essa, invero, non risulta confacente al concetto di mera “non spettanza”, che deve avere quale presupposto la piena “esistenza” del credito. Non è convincente voler ascrivere alla categoria del credito non spettante l’ipotesi in cui il contribuente abbia per l’iter di costituzione del credito sostanzialmente seguito quanto prescritto dalle norme, ma all’esito del controllo amministrativo il credito sia contestato in quanto il risultato ottenuto dal contribuente, e che è alla base dell’attribuzione del medesimo credito, risulti deficitario di una o più particolari qualità (ad esempio, la novità per i crediti ricerca e sviluppo). Il legislatore, difatti, non avrebbe dovuto individuare le specificazioni di cui al citato n. 2 della lett. g-quinquies per evitare che l’interprete possa classificare quale inesistente il credito modellato non in completa aderenza alla normativa fiscale di riferimento. Infatti, se quanto realizzato dal privato non è del tutto corrispondente al tipo legislativo, sia se tale deficienza è ascrivibile ad un elemento costitutivo, sia se il credito è fondato su fatti non rientranti nella disciplina attributiva del credito stesso per difetto di ulteriori elementi o qualità richiesti ai fini del riconoscimento di esso, comunque la fattispecie non rispetta la volontà legislativa all’origine della concessione e, quindi, la affermata posizione creditoria va qualificata quale inesistente, proprio perché, si è già detto, essa non riflette quanto dettato dalla normativa fiscale. Naturalmente in tale ipotesi non rientrano gli elementi meramente accessori, di cui è stato fatto cenno, poiché questi non vanno valutati ai fini qualificatori del credito in quanto avulsi dalle ragioni per cui esso è stato voluto dalla legge.

In conclusione, il legislatore delegato, una volta posto nel perimetro dell’inesistenza tutte quelle ipotesi che involgono gli elementi rilevanti per la normativa fiscale ai fini della concessione del credito, avrebbe dovuto configurare il credito non spettante solo per le ipotesi ove esso, pur del tutto conforme alla normativa di settore, sia poi compensato in violazione delle modalità di utilizzo previste dalle leggi vigenti, nonché nell’ipotesi ove il credito venga utilizzato in difetto degli adempimenti amministrativi normativamente prescritti a pena di decadenza. Quindi, è “non spettante” il credito non utilizzabile in compensazione perché non consente il mero atto di elisione, così come quest’ultimo è configurato nei tempi e nelle modalità dal legislatore fiscale. In altre parole, la non spettanza andava correlata alla esclusiva inidoneità procedurale compensativa, atteso che il credito di tal guisa deve essere pienamente in linea con il dettato normativo circa la sua formazione e successiva esistenza. Del pari, se, invece, sussistono deficienze più gravi, in quanto non puramente connesse al procedimento formale di estinzione, ma radicate al dettato normativo disciplinante il credito stesso, allora la posizione creditoria è da considerarsi inesistente perché, appunto, non è conforme – in tutto o in parte – al tipo legislativo e non semplicemente alle regole procedurali sul suo utilizzo in compensazione. Questa è l’unica via per assicurare chiarezza, certezza e solidità applicativa alla normativa di contrasto alla indebita compensazione che ha suscitato così tante problematiche.

Se si condividessero tali conclusive riflessioni, sarebbe, peraltro, anche assai semplice adattare ad esse il testo vigente: basterebbe cancellare il n. 2 della lett. g-quinquies del comma 1 dell’art. 1 D.Lgs. n. 74/2000. Il disposto normativo superstite risulterebbe, difatti, in linea con quanto qui proposto dal punto di vista qualificatorio.

(*) Il saggio è stato sottoposto a double blind peer review con valutazione positiva. Esso confluirà nel fascicolo n. 2/2024 (semestrale) della Rivista telematica di diritto tributario.

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[1] A tale riguardo si precisa che il presente contributo dà per conosciuto il precedente. Infatti, quanto qui esposto è il risultato della sola analisi delle integrazioni apportate in sede di stesura del testo definitivo delle disposizioni in commento.

[2] Naturalmente con quanto espresso nel testo non si intende sostenere che il credito d’imposta non possa essere oggetto di mere rettifiche in diminuzione di carattere meramente quantitativo e, dunque, esso debba sempre disconosciuto integralmente, ma si vuole sottolineare la necessaria completa conformità del programma di costituzione del credito attuato dal privato con il modello legislativo. Rettifiche quantitative vi possono, infatti, essere ad esempio pensando al credito d’imposta “Formazione 4.0” qualora il contribuente abbia computato erroneamente in eccesso le ore di formazione fruite dai dipendenti. Qui il credito maturato sarà rideterminato in relazione alle ore di lezione effettivamente acquisite.

[3] A titolo esemplificativo, si pensi al già richiamato credito d’imposta “Formazione 4.0” che impone che, ai fini del riconoscimento del credito d’imposta, l’effettivo sostenimento delle spese ammissibili e la corrispondenza delle stesse alla documentazione contabile predisposta dall’impresa devono risultare da apposita certificazione rilasciata dal soggetto incaricato della revisione legale dei conti. Ebbene, anche nel nuovo quadro normativo non pare chiaro se il difetto di tale certificazione debba far ritenere inesistente il credito d’imposta ai sensi dell’art. 1, comma 1, lett. g-quater), D.Lgs. n. 74/2000 o se, invece, debba farlo semplicemente considerare non spettante ai sensi della successiva lett. g-quinquies), n. 2) della medesima norma. Allo stesso modo si pensi al credito d’imposta per attività di ricerca e sviluppo e alla necessità che debba essere soddisfatto il requisito della novità per potervi accedere, ovvero al credito d’imposta sui nuovi investimenti nel caso in cui il bene agevolato non entri in funzione entro un determinato periodo: in tali fattispecie, difatti, il credito d’imposta indebitamente fruito non potrebbe qualificarsi sia come credito non spettante per mancanza “di specifici elementi o particolari qualità”, sia come credito inesistente per assenza dei “presupposti costitutivi”?

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