Imposte indirette e atti di apporto di immobili in fondi immobiliari: considerazioni a margine di un recente arresto della Corte di Cassazione e della sua potenziale vis espansiva

Di Alessandro Giannelli -

(commento a/notes to Cass., sent. 5 febbraio 2024, n. 3218)

Abstract

L’atto pubblico di apporto di immobili (non prevalentemente locati) effettuato da un ente previdenziale non soggetto passivo IVA in un fondo immobiliare sconta l’imposta di registro in misura fissa (200 euro) in quanto, da un lato, la disciplina prevista per tali atti dall’art. 7 della Tabella allegata al D.P.R. n. 131/1986, per come richiamata dall’art. 9 D.L. n. 351/2001, non ha carattere di agevolazione, ma di disciplina strutturale, con conseguente inapplicabilità dell’art. 10, comma 4, D.Lgs. n. 23/2011, e dall’altro poiché gli apporti al fondo su sottoscrizione di quote non possono essere assimilati agli atti di trasferimento di diritti reali immobiliari soggetti ad imposta di registro proporzionale (9%) ai sensi dell’art. 1 della Tariffa, parte prima, allegata al D.P.R. n. 131/1986.

Indirect taxes and deeds of contribution of real estate properties into real estate funds: considerations on a recent decision of Supreme Court and on its potential extension to other cases – The notarial deed whereby real estate properties (not predominantly rented), executed by a pension scheme, and thus not subject to VAT, are contributed in a real estate investment fund is subject to registration tax on a lump sum basis (Eur 200) because, on the one hand, the rules provided for such deeds by art. 7 of the Table attached to Presidential Decree no. 131 of 1986, as referred to in art. 9 of Legislative Decree no. 351 of 2001, does not have the character of a tax relief, but of structural rule, with the consequent inapplicability of art. 10, paragraph 4, Legislative Decree no. 23/2011, and on the other hand, since contributions to the fund on subscription of units cannot be assimilated to the deeds of transfer of real estate rights subject to proportional registration tax (9%) as per art. 1 of the Tariff – part one – annexed to Presidential Decree no. 131 of 1986.

Sommario: 1. Introduzione. – 2. Il quadro normativo di riferimento e l’avversa posizione dell’Agenzia delle Entrate. – 3. La reazione della Cassazione e la conferma del regime previsto dall’art. 9 D.L. n. 351/2001 ai fini dell’imposta di registro. – 4. La portata espansiva dell’affermata natura non traslativa degli atti di apporto di immobili in fondi immobiliari. – 4.1. I profili IVA. – 4.2 L’imposta di registro e le imposte ipotecaria e catastale in caso di atti soggetti ad IVA. – 5. Conclusioni.

1. La Corte di Cassazione, con la sentenza in rassegna, interviene per la prima volta sull’applicazione dell’imposta di registro agli atti di apporto “fuori campo IVA” di immobili in fondi immobiliari confermando l’applicazione dell’art. 9 D.L. n. 351/2001 in base al quale tali atti non sono soggetti al tributo, fatta salva l’applicazione dell’imposta in misura fissa in caso di registrazione volontaria. Nel far ciò la Corte ha affermato due importanti principi: da un lato, che il predetto art. 9 non ha natura agevolativa non risultando, quindi, abrogato dall’art. 10, comma 4, D.Lgs. n. 23/2011; dall’altro, che gli atti di apporto non hanno natura traslativa essendo perciò in ogni caso esclusi dall’obbligo di registrazione.

Quanto stabilito dalla Corte appare meritevole di attenzione non soltanto per aver chiarito la portata sistematica dell’art. 9 D.L. n. 351/2001, ma anche, e forse soprattutto, per aver escluso la natura traslativa degli atti di apporto; tale presa di posizione mostra, infatti, un’indubbia portata espansiva che, come si cercherà di illustrare, travalica la specifica questione affrontata dalla Corte con la sentenza in rassegna.

2. In base al principio di alternatività tra IVA ed imposta di registro recato dall’art. 40 D.P.R. n. 131/1986 (TUR) e a quanto previsto dall’art. 1 della Tariffa, parte prima, TUR, gli atti a titolo oneroso traslativi o costitutivi della proprietà o di diritti reali di godimento di immobili sono in generale soggetti a registrazione con aliquota proporzionale del 9% (ovvero con la diversa aliquota applicabile a seconda dei casi) qualora l’atto sia “fuori campo IVA”, ad esempio per carenza del requisito soggettivo del tributo in capo all’apportante oppure qualora l’atto abbia ad oggetto terreni non edificabili, oggettivamente esclusi dal campo di applicazione dell’IVA ex art. 2, comma 3, lett. c), D.P.R. n. 633/1972) o, ancora, laddove l’atto riguardi immobili residenziali e sia esente IVA al ricorrere delle condizioni previste dall’art. 10, comma 1, n. 8-bis, D.P.R. n. 633/1972. Qualora, invece, l’atto abbia ad oggetto immobili strumentali, l’imposta di registro si applicherà comunque in misura fissa, sia che l’atto risulti esente o soggetto IVA (per rivalsa obbligatoria o per opzione) ex n. 8-ter del suddetto art. 10, risultando sempre dovute le imposte ipotecaria e catastale in misura proporzionale, sebbene laddove una delle parti sia un OICR immobiliare si applichino le aliquote ridotte rispettivamente all’1,5%, in luogo del 3% (art. 1-bis, Tariffa allegata al D.Lgs. n. 347/1990), e dello 0,5%, anziché dell’1% (art. 10, Tariffa allegata al D.Lgs. n. 347/1990), stante quanto previsto dall’art. 35, comma 10-ter, D.L. n. 223/2006 (nel caso in cui, invece, l’apporto di tale tipologia di fabbricati sia fuori campo IVA, per carenza del relativo requisito soggettivo, tornerà applicabile l’imposta di registro al 9% con imposte ipotecaria e catastale in misura fissa ex art. 10, comma 3, D.Lgs. n. 23/2011).

Tuttavia, con riferimento agli apporti di immobili (e di diritti reali di godimento degli stessi) in fondi d’immobiliari sovviene il citato art. 9, comma 1, D.L. n. 351/2001 che estende a tale fattispecie il regime previsto dall’art. 7 della Tabella, TUR, operante in materia di fondi mobiliari, secondo cui gli atti relativi all’istituzione, alla sottoscrizione ed al rimborso delle quote di un fondo d’investimento, tra cui si annoverano pacificamente anche gli atti di apporto (Agenzia delle Entrate, circ. n. 47/E/2003, 30), non sono soggetti all’obbligo di registrazione – ferma restando, quindi, l’applicazione dell’imposta in misura fissa (200 euro) in caso di registrazione volontaria ai sensi dell’art. 11, Tariffa, parte prima, TUR che di fatto rappresenta la regola in quanto per ragioni di pubblicità immobiliare l’atto di apporto di immobili va stipulato in forma notarile. Tale regime viene, inoltre, esteso agli apporti di immobili (e diritti reali di godimento degli stessi) in SICAF immobiliari dall’art. 9, comma 1, D.Lgs. n. 44/2014.

Nel complesso, quindi, gli apporti di immobili in OICR immobiliari risultano di fatto soggetti all’imposta di registro soltanto in misura fissa fatta salva, in caso di immobili strumentali, l’applicazione delle già ricordate imposte ipotecaria e catastale in caso di apporto soggetto ad IVA ai sensi del citato art. 10, comma 8-ter, D.P.R. n. 633/1972 (infatti, l’art. 9 D.L. n. 351/2001 si riferisce esclusivamente all’imposta di registro).

Tale regime è stato però messo in discussione dall’Agenzia delle Entrate, dapprima con la Riposta ad interpello n. 954-826/2015 non pubblicata (ma citata nella circolare n. 16/2018 di Assoprevidenza) e più di recente con la Risposta n. 376/2021 secondo cui «in relazione all’apporto di immobili da parte di un fondo pensione ad un fondo immobiliare di tipo chiuso si ritiene applicabile l’imposta di registro, con le aliquote proporzionali stabilite dall’articolo 1, parte I, allegata al TUR, oltre che le imposte ipotecarie e catastali nella misura di euro 50 ciascuna». Ciò, in quanto, ad avviso dell’Agenzia l’art. 9, comma 1, D.L. n. 351/2001, in combinato disposto con l’art. 7 della Tabella allegata al TUR, avrebbe natura agevolativa risultando così abrogato, a far data dal 1° gennaio 2014, dal citato art. 10, comma 4, D.Lgs. n. 23/2011 recante la soppressione delle agevolazioni ed esenzioni in materia di imposta di registro relative agli atti a titolo oneroso, traslativi o costitutivi di diritti reali immobiliari.

Per completezza va però anche ricordato che secondo l’Agenzia delle Entrate, circ. n. 2/E/2014 (par. 9.6), la falcidia prevista dal predetto art. 10 non riguarderebbe il comma 1-bis dell’art. 8 D.L. n. 351/2001 secondo cui gli apporti in un fondo immobiliare aventi ad oggetto una pluralità di immobili (siano essi strumentali o abitativi) prevalentemente locati sono soggetti alle imposte di registro, ipotecaria e catastale in misura fissa, oltre che ad essere fuori campo IVA (tale disposizione si applica, inoltre, ex art. 38, comma 1, D.L. n. 78/2010 anche con riferimento agli omologhi apporti effettuati da enti pubblici e privati di previdenza obbligatoria). In tal caso, l’Agenzia ha chiarito che «il legislatore ha, infatti, inteso qualificare le operazioni in argomento, considerandole, sia ai fini dell’IVA che delle imposte di registro, ipotecarie e catastali quali conferimenti di azienda»; similmente, l’Agenzia, con la medesima circolare, ha altresì escluso che abbia natura agevolativa, non risultando così abrogata dal suddetto art. 10, la riduzione alla metà delle aliquote delle imposte ipotecaria e catastale prevista nel caso di apporto in un fondi immobiliare (o in una SICAF ai sensi dell’art. 9, comma 1, D.Lgs. n. 44/2014) di immobili strumentali dall’art. 35, comma 10-ter, D.L. n. 223/2006.

3. Con la sentenza n. 3218/2024 qui in rassegna, la Corte di Cassazione ha in toto smentito la suddetta posizione dell’Agenzia delle Entrate, confermando l’orientamento già in precedenza assunto dalla giurisprudenza di merito secondo cui, da un lato, l’art. 9 D.L. n. 351/2001 non ha natura agevolativa, e, dall’altro, l’atto di apporto in un fondo immobiliare non ha efficacia traslativa, risultando così comunque esclusa l’applicazione dell’imposta di registro, fatta salva la registrazione volontaria con tributo in misura fissa (Comm. trib. prov. Roma, sent. 18 gennaio 2018, n. 1699; Comm. trib. prov. Roma, sent. 16 dicembre 2018, n. 17486; Comm. trib. reg. Lazio, sent. 14 ottobre 2019, n. 5724; Comm. trib. prov. Roma, sent. 16 dicembre 2021, n. 14083). In particolare, secondo i giudici di legittimità la natura non agevolativa del predetto art. 9 deriva dalla sua “collocazione sistematica”, ossia all’interno del D.L. n. 351/2001 che, infatti, come correttamente osservato dalla Corte, «facendosi carico di regolamentare ogni aspetto fiscalmente rilevante correlato all’istituzione, alla dotazione, alla sottoscrizione e rimborso delle quote dei fondi comuni di investimento immobiliare – senza limitarsi alle sole imposte d’atto, ma considerando anche imposte sui redditi, IVA e proventi dei partecipanti – assurge a vero e proprio “statuto” fiscale complessivo dei fondi comuni immobiliari». Riprova di ciò, osserva infine la Corte, è che all’interno del D.L. n. 351/2001 il citato art. 9 risulta affiancato ad «altre disposizioni relative proprio all’imposta di registro ed ipocatastale, anch’esse sottese alla specificità dell’istituto ed alla necessità funzionale della predisposizione di un compendio impositivo suo proprio». Non a caso, osserva la Corte, tale regime era già stato previsto, quanto all’imposta di registro, dal comma 8 dell’art. 15 della L. n. 86/1994 rubricata «Istituzione e disciplina dei fondi comuni di investimento immobiliare chiusi».

Ciò posto, per la Cassazione la portata non agevolativa del suddetto art. 9 trova un’ulteriore, e conclusiva, conferma nel fatto che per la Corte l’atto di apporto non ha efficacia traslativa (del diritto di proprietà o di altro diritto reale sull’immobile). Per sostenere tale tesi i giudici di legittimità richiamano in primis quanto già affermato nella propria precedente sentenza n. 16605/2010 (in senso conforme si veda, tra le altre, anche la sentenza n. 12062/2019) secondo cui i fondi d’investimento sono privi di soggettività in quanto incapaci di autodeterminare in modo significativo le proprie scelte, giacché privi di una struttura organizzativa minima di rilevanza anche esterna. Ebbene, poiché secondo la Corte non può darsi un patrimonio senza titolare, la soluzione che meglio rende conto del particolare status del fondo è quella di attribuire la proprietà sostanziale dei relativi beni ai quotisti, lasciando quella formale in capo alla SGR di cui il fondo costituisce, pertanto, patrimonio separato. Di conseguenza, visto che per la Corte la proprietà sostanziale dei beni del fondo rimane in capo all’apportante, poi divenuto quotista, ne conclude che «gli apporti al fondo su sottoscrizione di quote non possono essere assimilati agli atti di trasferimento di diritti reali immobiliari previsti dall’art. 1 della Tariffa – parte prima – allegata al d.P.R. n. 131 del 1986» (si veda al riguardo anche la Risposta n. 124/2020 dell’Agenzia delle Entrate con cui è stata affermata, sul presupposto che i fondi costituiscono un patrimonio separato della SGR, la complessiva neutralità ai fini IVA della sostituzione di SGR nella gestione del medesimo fondo). Pertanto, la portata non agevolativa dell’art. 9 D.L. n. 351/2001 risulta ulteriormente confermata in quanto tale disposizione assumerebbe una valenza meramente dichiarativa di quanto implicitamente già ricavabile dal sistema.

Quanto così affermato dalla Corte deve però poter valere anche per gli apporti nei confronti delle SICAF, anche se non espressamente considerati dai giudici, visto che, come ricordato, l’art. 9 D.Lgs. n. 44/2014 ha esteso il regime dell’art. 9 D.L. n. 351/2001 anche alle SICAF. Sarebbe, peraltro, del tutto illogico, essendo la SICAF un OICR al pari del fondo, ritenere che l’apporto sia in un caso, e non nell’altro, privo di efficacia traslativa. Per limitarci al piano fiscale si giungerebbe, infatti, a delle conclusioni aberranti in quanto, a prescindere dall’art. 9 D.L. n. 351/2001, il medesimo atto risulterebbe escluso dall’obbligo di registrazione se eseguito nei confronti di un fondo e soggetto, invece, a tale obbligo laddove realizzato in favori di una SICAF – risultando così, peraltro, indebolita, nel caso delle SICAF, la natura non agevolativa del predetto art. 9. Tuttavia, seguendo pedissequamente il ragionamento della Corte si dovrebbe giungere proprio a tale, illogica, conclusione. Infatti, se, come sostenuto dalla Cassazione, la valenza non traslativa dell’apporto in fondi immobiliari deriva, in ultima analisi, dalla loro carenza di soggettività, allora, il medesimo atto eseguito nei confronti di una SICAF, essendo quest’ultima senza dubbio dotata di soggettività, dovrebbe reputarsi con efficacia traslativa.

A ben vedere però la valenza non traslativa dell’atto di apporto dipende dalla natura meramente “strumentale” del conseguente trasferimento di proprietà e pare così giustificabile, come si cercherà di illustrare, su basi indipendenti da quelle considerate dalla Cassazione, evitando così di cadere nella predetta aporia. A confermare la necessità di un diverso approccio è anche il fatto che la carenza di soggettività dei fondi affermata dalla Corte è stata oggetto di forti critiche in dottrina e non rappresenta perciò, in ogni caso, una solida base per giustificare la valenza non traslativa dell’atto di apporto.

Con riferimento a tale ultimo aspetto è stato in primis rilevato che alla base dell’impostazione seguita dalla Cassazione vi sarebbe una confusione tra il concetto di “capacità giuridica”, a cui tradizionalmente si riconduce l’esistenza di un soggetto nel senso di centro di imputazione di diritti e doveri, con quello di “capacità di agire” che, individua, invece, soltanto una qualità del soggetto, ossia la sua idoneità a porre in essere atti giuridici e dunque di autodeterminarsi (si veda in tal senso Amadio G., I fondi comuni di investimento: soggetti o oggetti di diritto?, in Lezioni di diritto civile, Torino, 2014, 386 nonché Basile P., La soggettività dei fondi comuni di investimento: appunti a margine della pronuncia del tribunale di Milano, in Riv. dir. banc., 2017, ottobre/dicembre, 125). Ai fondi d’investimento dovrebbe così essere riconosciuta una forma, seppur minimale, di soggettività come affermato dal Tribunale di Milano, sent. 10 giugno 2010, n. 7232 secondo cui gli OICR, pur essendo gestiti da un soggetto terzo, ossia la SGR, sono comunque assunti dal Legislatore come idonei ad essere in prima persona titolari di diritti e doveri in ragione del regime di separazione patrimoniale che li contraddistingue e, in particolare, per il fatto: (i) che ai sensi dell’art. 36, comma 6, TUF, il fondo risponde con il proprio patrimonio delle obbligazioni contratte dalla SGR per suo conto; (ii) che l’art. 6, commi 1 e 7, L. n. 183/2011, relativo alle dismissioni dei beni immobili pubblici, riferisce al fondo (e non alla SGR) la capacità di acquistare detti beni; (iii) che l’art. 57, comma 6-bis, TUF dispone che i fondi comuni possono essere assoggettati ad una procedura di liquidazione indipendentemente dalla SGR che li gestisce.

Secondo un diverso orientamento, invece, anche laddove la soggettività del fondo venisse esclusa, ritenendo di dover assumere una nozione “piena” di soggetto (ossia inclusiva della capacità di agire), non sarebbe in ogni caso vero, diversamente da quanto ipotizzato dalla Corte, che l’ordinamento non ammette patrimoni senza titolari e che sia perciò necessario individuare nella SGR il proprietario formale dei beni del fondo (e nei quotisti i relativi proprietari sostanziali). La dottrina ha, infatti, da tempo elaborato il concetto di “patrimoni senza soggetto” proprio per rendere conto di quei casi – come quello dell’eredità giacente (a cui in altre circostanze proprio la Corte di Cassazione (Sez. Un., sent. n. 6070/2013) si è riferita in termini di “patrimonio adespota” (i.e. senza titolare) – in cui il patrimonio, pur non avendo un dominus ai sensi dell’art. 832 c.c., in quanto separato da quello di ogni altro ente, non si degrada a res nullius essendo ab origine destinato ad un soggetto – l’erede nel caso dell’eredità giacente – e in ragione di ciò medio tempore gestito, in regime di segregazione, da un apposito soggetto – il curatore per tornare all’esempio dell’eredità – ad esclusivo vantaggio e tutela proprio di detto soggetto – cioè l’erede riferendoci al caso dell’eredità giacente (Capozzi G., Successioni e Donazioni, Milano, 2008, 94; Lupoi M., Trusts, Milano, 2001, 567, nota 8). In altri termini si tratta di prendere atto dell’esistenza di casi rispetto ai quali «ciò che preme all’ordinamento non è che i patrimoni abbiano un titolare, ma che essi abbiamo un gestore, in modo tale, in ultima istanza, da mantenerli funzionali agli interessi per i quali sono conservati» (Iacumin L., I fondi comuni d’investimento. Diritto sostanziale e processo, Trieste, 2020, 78). Su tali basi i fondi d’investimento dovrebbero essere concepiti come dei “patrimoni senza soggetto” in quanto, seppur “patrimoni autonomi” (da qualsiasi soggetto, siano essi i quotisti o la SGR), sono comunque destinati in via esclusiva all’attività (di gestione) della SGR svolta beneficio dei quotisti (sul punto si veda Amadio G., cit., 390 ss.; Colaiori R., La destinazione intrasoggettiva di beni immobili nel sistema dei Fondi Comuni d’investimento, in Rivista del Notariato, 2014, 1, 11 ss.; Costi R., Il mercato mobiliare, Torino, 2013, 198; Ferri jr G., Patrimonio e gestione. Spunti per una ricostruzione sistematica dei fondi comuni d’investimento, in Riv. dir. comm., 1992, 1/2, 67; Ferro Luzzi P., Un problema di metodo: la “natura giuridica” dei fondi comuni di investimento [a proposito di Cass. 15 luglio 2010, n. 16605], in Riv. soc., 2012, 4, 754; Ghigi C., Separazione patrimoniale e fondi comuni di investimento, in Giur. comm., 2011, 5, 1146; Iacumin L., cit., 190, 206 e 211; Scano A.D., Fondi comini immobiliare e imputazione degli effetti dell’attività di investimento, in Giur. comm., 2011, 5, 1133.

4. Ciò posto, quel che entrambe le posizioni appena considerate evidenziano è che sia che si attribuisca o meno soggettività al fondo in quanto tale, l’asse portante della relativa disciplina positiva è rappresentato dal principio della “separazione patrimoniale” e dall’assoggettamento dei beni apportati all’attività di gestione della SGR svolta ad esclusivo beneficio dei quotisti – così come ben testimoniato, in particolare, dalle stesse definizioni di “fondo d’investimento” e di “OICR” recate, rispettivamente, dalle lett. j) e k) dell’art. 1, comma 1, TUF, e dall’art. 36, comma 4, del medesimo Testo Unico. Pertanto, gli effetti dell’atto di apporto non andrebbero misurati in termini di scissione tra proprietà formale in capo alla SGR e proprietà sostanziale in capo ai quotisti, ma valorizzando la natura meramente “strumentale” della proprietà conseguita dalla SGR, ossia spostando l’attenzione dal piano del “soggetto” (cioè della titolarità dei beni del fondo) a quello dell’“attività” (ossia dello scopo a cui tali beni sono destinati); si dovrebbe in tal senso affermare che «l’ “apporto” … è atto, negozio, ad effetto c.d. reale, … col quale non tanto si trasferisce da un soggetto all’altro la proprietà, … quanto viene fatto cessare sul bene, la cosa oggetto del diritto, l’applicazione della disciplina della proprietà, cioè la facoltà del titolare: “…di godere e disporre … delle cose in modo pieno ed esclusivo …, sostituita da una disciplina nella quale il bene è nel suo valore strumentale allo svolgimento di un’attività di gestione diretta ad un risultato nell’interesse dei partecipanti» (Ferro Luzzi P., cit., 755; si veda anche Colaiori R., cit., 15-16 secondo cui per effetto dell’apporto «si constata un passaggio di titolarità da un soggetto ad uno scopo» nonché Ferri Jr G., Soggettività giuridica e autonomia patrimoniale nei fondi comuni di investimento, in Orizzonti del Diritto Commerciale, 2015, 3, 1 ss., e Rescio G.A., L’apporto a fondo immobiliare, in Diritto della Banca e del Mercato Finanziario, 2012, 461 ss. Ragionando in questi termini si ottiene, inoltre, l’ulteriore vantaggio di non attribuire in nessun senso (né formale né sostanziale) la proprietà dei beni del fondo alla SGR o ai quotisti, conclusione chiaramente inconciliabile con il regime di separazione patrimoniale previsto dall’art. 36, comma 4, TUF e, quindi, come più correttamente affermato in altra sede dalla Cassazione (sent. n. 10990/2003) il rapporto tra quotisti e fondo non andrebbe ricostruito in termini di proprietà sostanziale dei primi verso i beni del secondo, vantando i quotisti «soltanto un diritto di credito, rappresentato dall’obbligo della società d’investimento di gestire il fondo e di restituirgli il valore delle quote di partecipazione» (Cass. sent. n. 10990/2003; su tale aspetto si veda, in dottrina, Ferro Luzzi P., cit., 757; Lemma V., Autonomia dei fondi comuni di investimento e regolazione della gestione collettiva ciel risparmio, in Banca, borsa, titoli di credito, 2011, 4, 427-428; si veda anche Amadio G., cit., 382 per il quale, valorizzando quanto previsto dall’art. 36, comma 6, TUF, secondo cui la SGR verso i risparmiatori, cioè i quotisti, assume gli obblighi e le responsabilità del mandatorio, lo schema di riferimento sarebbe, in ultima analisi, quello del mandato senza rappresentanza, benché la SGR non agisca secondo le istruzioni impartite da quello che sarebbe il mandante, ossia il quotista).

Su queste basi la posizione assunta dalla Corte di Cassazione nella sentenza qui in rassegna dovrebbe essere più correttamente ricostruita mettendo da parte il rinvio posto dalla stessa Corte alla (carenza di) soggettività del fondo (in tal senso Annunziata F., Gli organismi di investimento collettivo del risparmio (OICR): fattispecie e forme, Milano, 2017, 131; nonché Amadio G., cit., 395 secondo cui «ai fini perseguiti dalla normativa di settore [sottrarre i beni costituiti in fondo all’aggressione dei creditori sociali e quelli particolari degli investitori] la soggettivizzazione si rivela ultronea: il sistema conosce oggi indici positivi di separazione patrimoniale, che nulla hanno a che vedere con le esigenze che giustificherebbero la soggettivizzazione stessa»; per le ricadute di tale impostazione ai fini della pubblicità immobiliare si veda, Consiglio Nazionale del Notariato, Studio n. 90-2012/I, Fondi comuni immobiliari, SGR e trascrizione, 2012). Andrebbe, invece, valorizzata la diversa affermazione dei giudici secondo cui «pur nella indubbia diversità di fattispecie, non mancano punti di contatto con l’ipotesi che si verifica nel caso di dotazione-conferimento di diritti immobiliari in trust». Infatti, richiamando la propria recente giurisprudenza sui trust (ex multis Cass. n. 6080/2023, n. 29507/2020, n. 8082/2020 e n. 31445/18), i punti di contatto cui si riferisce la Corte non guardano ad un’asserita comune assenza di soggettività tra fondo e trust, ma si riferiscono proprio al piano dell’attività, ossia al fatto che «qualora i beni ed i diritti non siano attribuiti all’avente causa in modo stabile, definitivo e con la pienezza delle prerogative dominicali, essendo egli [il trustee, NdA] tenuto solo ad amministrarli ed a strumentalmente disporne nell’interesse altrui, in regime di segregazione patrimoniale, non può dirsi realizzato un effettivo trasferimento di ricchezza (non potendosi questo individuare nella sola apposizione del vincolo), così da integrare un indice di maggiore forza economica e capacità contributiva». È così solo al momento della successiva assegnazione dei beni in trust ai relativi beneficiari che per la Cassazione si realizza un evento traslativo (si veda Supino S., La tassazione indiretta dei trust nella giurisprudenza di legittimità: un ritorno al passato o uno sguardo al futuro?, in Trust e Attività Fiduciarie, 2020, 11, 678; in senso conforme si veda anche l’Agenzia delle Entrate, circ. n. 34/E/2022, 32 con cui sono state superate le precedenti circ. n. 48/E/2007, parr. 5.2, 5.3 e 5.5 e circ. n. 3/E/2008, par. 5.4.2; da ultimo anche il Legislatore, con l’art. 1 della bozza di decreto in materia di riforma dell’imposta di donazione, prevista dall’art. 10 della legge delega n. 111/2023, ha fatto propria tale impostazione disponendo, in via generale, che in caso di assegnazione di beni al trustee l’imposta di donazione si applica soltanto nel successivo istante del trasferimento dei beni e diritti a favore dei beneficiari e solo in via opzionale al momento della costituzione dell’assegnazione al trustee).

In conclusione, quindi, la tesi della Cassazione circa l’efficacia non traslativa dell’apporto può essere più correttamente ricostruita scollegandola dalla questione della (assenza di) soggettività del fondo, e ricollegandola, invece, al fatto, comune anche al caso delle SICAF in quanto OICR, della natura meramente strumentale della proprietà conseguita sui beni ricevuti per apporto che, infatti, per effetto di tale atto, vengono separati dalla sfera dominicale del dante causa per essere “funzionalizzati” all’attività della SGR che, tuttavia, non ne diventa proprietaria in senso pieno, operando in modo vincolato, ossia secondo i limiti posti dal regolamento del fondo e dalla legge ad esclusivo beneficio dei quotisti, e, quindi, senza le prerogative del dominus che individuano il contenuto del diritto di proprietà ex art. 832 c.c. Pertanto, anche all’apporto eseguito nei confronti di una SICAF deve attribuirsi un’efficacia non traslativa e, quindi, anche in tal caso deve valere quanto affermato nella sentenza in rassegna circa l’esclusione dall’obbligo di registrazione per gli atti di apporto di immobili verso fondi immobiliari.

Così ripristinata la parità tra SICAF e fondi d’investimento è ora possibile indagare l’eventuale portata espansiva della sentenza in commento.

4.1 È noto come ai fini IVA il concetto interno di “cessione di beni” sia ricollegato, stante quanto previsto dall’art. 2, comma 1, D.P.R. n. 633/72, ad un requisito giuridico di tipo formale individuato negli atti a titolo oneroso che importano il trasferimento o la costituzione del diritto di proprietà ovvero di diritti reali di godimento su beni di ogni genere – ferme restando una serie di assimilazione ed esclusioni espressamente previste, rispettivamente, ai commi 2 e 3 del medesimo art. 2. Tuttavia, se si segue il principio enunciato dalla Corte di Cassazione, circa il fatto che sul piano sostanziale l’atto di apporto non ha valenza traslativa del diritto di proprietà, e si tiene altresì presente che sul predetto art. 2 è comunque destinato a prevalere l’art. 14, comma 1, della Direttiva IVA secondo cui «costituisce «cessione di beni» il trasferimento del potere di disporre di un bene materiale come proprietario» e che per la Cassazione «la SGR non può disporre a proprio piacimento degli immobili», se ne dovrebbe ricavare che in caso di apporto in un OICR non si realizza una cessione di beni ancorché la proprietà dei beni apportati passi formalmente in capo alla SGR; ciò risulterebbe, inoltre, avvalorato dalla costante giurisprudenza della Corte di Giustizia europea secondo cui ai fini IVA il concetto di cessione di beni «comprende qualsiasi operazione di trasferimento di un bene materiale effettuata da una parte che autorizza l’altra a disporre di fatto di tale bene come se ne fosse il proprietario» (C-320/88, par. 9; nello stesso senso, ex multis: C-185/01, par. 32; C-255/02, par. 51, C-354/03, par. 39; C-435/03, par. 35, C-223/03, parr. 42-43, C-111/05, C-88/09 e C-235/18).

Tuttavia, la questione appare più sottile. Va, infatti, rilevato che anche a voler seguire pedissequamente quanto affermato dalla Cassazione nella sentenza in rassegna, per effetto dell’apporto, da un lato, il quotista perde ogni potere di disporre sui beni apportati, e dall’altro, la SGR guadagna una forma di potere di disporre dei medesimi che presenta notevoli punti di contatto con il potere tipico del proprietario: ad esempio, la SGR può locare o vendere, così come ristrutturare e cambiare destinazione a, gli immobili del fondo senza alcuna autorizzazione da parte del quotista; né, peraltro, il “godimento” di detti beni da parte della SGR, per conto del fondo da essa gestito, può dirsi costitutivamente subordinato ad una forma di “riscatto” o “gradimento” da parte del quotista. Riprova di ciò è che, per conto del fondo ricevente, la SGR sopporta anche i rischi connessi alla disponibilità dell’immobile come se ne fosse la proprietaria – basti in tal senso evidenziare che, una volta effettuato l’apporto, non è più il quotista a rispondere con il suo patrimonio, ad es., del perimento di quanto apportato, ovvero dell’insolvenza del conduttore in caso di locazione di detto immobile, ma, stante quanto previsto dall’art. 36, comma 4, TUF, risponde soltanto la SGR con il patrimonio (separato) dell’OICR gestito (tale principio è stato di recente ribadito dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 16285/2024 che ha escluso la responsabilità della SGR per le obbligazioni del fondo da essa gestito anche laddove quest’ultimo sia stato liquidato e dunque non sia più esistente).

Ai fini IVA non pare, quindi, possa essere presa alla lettera la ricordata affermazione – invero un po’ grossolana – della Corte di Cassazione secondo cui «la SGR non può disporre a proprio piacimento degli immobili» che, invece, va intesa nel senso della presenza di alcuni vincoli in capo all’attività della SGR, viceversa non presenti in capo al proprietario ex art. 832 c.c., ma che comunque non svuotano di discrezionalità il potere gestorio della SGR (non può in tal senso celarsi una certa tensione, in realtà soltanto apparente, con la generale tesi della non traslatività dell’atto di apporto affermata dalla Corte con riferimento all’imposta di registro; tensione che, tuttavia, può superarsi sol si consideri l’impianto formalistico di tale imposta che, diversamente dall’IVA, richiede necessariamente il verificarsi di un vero e proprio trasferimento del diritto di proprietà ex art. 832 c.c., e non soltanto della situazione di fatto relativa al potere di disporre del bene come proprietario e, quindi, secondo uno schema equiparabile al più al “possesso” ex art. 1140 c.c. dell’immobile il cui trasferimento esula, infatti, dal campo di applicazione dell’art. 1, Tariffa, parte prima, TUR).

Pertanto, l’atto di apporto, pur non avendo efficacia traslativa sul piano dei diritti reali, realizzerebbe comunque il trasferimento di un potere di disporre sul bene (dall’apportane/quotista alla SGR per conto del fondo ricevente) sufficiente a che, ai fini IVA, risulti integrata una cessione di beni ai sensi dell’art. 14, comma 1, Direttiva IVA.

Tale conclusione può ritenersi a contrariis ulteriormente confermata da quanto affermato dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea con la sentenza Mydibel del 27 marzo 2019, causa C-201/18. In particolare, il caso affrontato dalla Corte riguardava un’operazione di sale & lease back in cui una società belga costituiva in favore di una società di leasing il diritto di enfiteusi su propri immobili strumentali con contestuale stipula di un leasing immobiliare di durata quindicennale avente ad oggetto i medesimi immobili gravati di enfiteusi, con opzione di acquisto alla scadenza. Ebbene, la Corte di Giustizia ha escluso che vi fosse stata una cessione di beni in favore della società di leasing poiché, in virtù di specifiche clausole contrattuali, da un lato, quest’ultima era inibita dalla possibilità di rivendere a terzi il bene retrolocato al cedente del medesimo e, dall’altro, quest’ultimo, quale utilizzatore del bene in forma di locazione, continuava a sopportare la maggior parte dei rischi e dei benefici tipici della proprietà legale del bene; di conseguenza ad avviso della Corte di Giustizia il potere di disporre del bene come proprietario continuava a sussistere in capo all’utilizzatore non potendosi, perciò, ravvisare l’effettuazione di una cessione di beni, ma “soltanto” una complessiva prestazione di servizi, peraltro avente causa finanziaria. Ai principi della suddetta sentenza Mydibel si è, peraltro, di recente allineata anche l’Agenzia delle Entrate con la ris. n. 3/E/2023 e con la Risposta ad interpello n. 206/2023 che ha così recepito, superando il proprio precedente orientamento (si veda circ. min. n. 2182000 nonché le circ. n. 90/E/2001 e n. 38/E/2010) quanto già stabilito in conformità ai principi indicati dai giudici unionali dalla Corte di Cassazione con le sent. n. 11023/2021, n. 18333/2021 e n. 17710/2021 (con riferimento, invece, al caso in cui, a fronte di un contratto di leasing, deve comunque ravvisarsi una cessione di beni si veda Corte di Giustizia, causa C-164/16, nonché Cass., sent. n. 20951/2015 e n. 12457/2019 e in particolare l’ord. n. 37727/2021 della Corte di Cassazione (in dottrina, tra gli altri, Corso R. – Maspes P., La cessione c’è o non c’è? L’amletico caso dell’IVA sulla cessione del bene oggetto di sale and lease back, in il fisco, 2021, 4, 3813; Iaselli G., Ambito applicativo del regime di esenzione IVA previsto per le operazioni finanziarie, in GT Riv. giur. trib., 2022, 6, 518 e Romano C. – Conti D., La causa in concreto quale limite al potere di riqualificazione dei contratti: il sale and rent back, in Corr. trib., 2022, 7, 669 ss.).

4.2 Chiarito che il principio affermato dalla Corte non dovrebbe comportare la fuoriuscita degli atti di apporto dal campo di applicazione dell’IVA, va parimenti osservato che, a ben vedere, la portata di tale principio non pare limitata al solo caso degli atti di apporto “fuori campo IVA” espressamente affrontato nella sentenza in rassegna. Se, infatti, l’atto di apporto non assume, in generale, efficacia traslativa ai fini dell’imposta di registro, come espressamente e condivisibilmente affermato, per le ragioni già esaminate, dalla Cassazione con la sentenza in rassegna, ciò deve valere anche in caso di apporto da parte di un soggetto passivo IVA di immobili residenziali in regime di esenzione ex art. 10, comma 1, n. 8-bis), D.P.R. n. 633/1972 e, quindi non risulterebbe applicabile l’imposta con l’aliquota del 9%. Per la stessa ragione deve altresì escludersi l’applicazione delle imposte ipotecaria e catastale proporzionali all’atto di apporto di un immobile strumentale, sia esso esente o soggetto ad IVA ai sensi dell’art. 10, n. 8-ter), D.P.R. n. 633/1972. Infatti, per effetto dell’art. 1-bis della Tariffa allegata al D.Lgs. n. 347/1990, per quanto riguarda l’imposta ipotecaria, e dell’art. 10 del medesimo decreto rispetto all’imposta catastale, sono soggetti a prelievo in misura proporzionale soltanto gli atti, per quanto qui d’interesse, che importano il trasferimento della proprietà di immobili strumentali (o la costituzione o il trasferimenti di diritti immobiliari sugli stessi) di cui all’art. 10, comma 1, n. 8-ter, D.P.R. n. 633/1972 (Falsitta G., Manuale di Diritto Tributario. Parte Speciale. Il Sistema delle Imposte in Italia, 2014, Padova, 927-928). Pertanto, anche in questo caso, dalla non traslatività agli effetti dell’art. 832 c.c. dell’atto di apporto segue l’applicabilità soltanto in misura fissa delle imposte ipotecaria e catastale. Non a caso proprio su tali basi la Corte di Cassazione (ex multis, Cass. n. 6080/23, par. 2.4) è giunta ala medesima conclusione con riferimento agli atti di assegnazione di fabbricati strumentali in favore del trustee; esito a cui, peraltro, si è allineata anche l’Agenzia delle Entrate con la circ. n. 34/E/2022, 39 (si veda anche, su presupposti analoghi, la conferma da parte dell’Agenzia delle Entrate, con la Risposta ad interpello n. 18/2019, delle imposte ipotecaria e catastale fisse ai trasferimenti di immobili nell’ambito di cartolarizzazioni ex art. 7.1, L. n. 130/1999).

Ciò posto, in senso contrario a quanto sin qui osservato circa la generale vis espansiva della sentenza in rassegna ai fini delle imposte d’atto, potrebbe obiettarsi che ai sensi del comma 1-bis dell’art. 8 D.L. n. 351/2001 soltanto il caso specifico dell’apporto di una pluralità di immobili prevalentemente locati costituisce un’operazione “fuori campo IVA” e soggetta all’imposta di registro, ipotecaria e catastale in misura fissa – stante la sua equiparazione ex lege ad un conferimento d’azienda che, come noto, è oggettivamente fuori campo IVA ex art. 2, comma 3, lett. b), D.P.R. n. 633/1972 (si veda in proposito Agenzia delle Entrate, circ. 19 giugno 2006, n. 22/E, par. 2.2). Ragionando a contrariis, se ne dovrebbe, quindi, ricavare che sul piano generale l’atto di apporto dovrebbe intendersi con effetto traslativo per il Legislatore e, quindi, di per sé soggetto ad IVA e alle imposte d’atto proporzionali, ove dovute. Diversamente, il regime recato dal predetto comma 1-bis non sarebbe stato necessario. Rimane, tuttavia, il fatto, come osservato dal Notariato, che «pare davvero arduo configurare un diritto unitariamente inteso esercitabile sui beni facenti parte del fondo, e qualificarlo in termini di proprietà. Ancora più ardito riconoscerne in capo alla SGR il soggetto titolare» (si veda Consiglio Nazionale del Notariato, Studio n. 90-2012/I, cit., passim e la dottrina riportata alla relativa nota 25); ciò in quanto, da un lato, la facoltà di gestione della SGR, essendo, come visto, vincolata e predeterminata, “si configura, in definitiva, in termini di ufficio” e, dall’altro, sul piano economico, il corrispettivo degli atti di disposizione sui beni del fondo e i conseguenti frutti della gestione spettano non alla SGR ma ai quotisti, mancando così gli elementi essenziale del contenuto dominicale che definisce il diritto di proprietà ai sensi dell’art. 832 c.c.

Ad ogni modo, se si sposa la tesi della generale valenza non traslativa dell’atto di apporto ai fini delle imposte indirette diverse dall’IVA, un ulteriore profilo di portata espansiva della sentenza in rassegna potrebbe rinvenirsi nel caso dei trasferimenti di immobili nei confronti di veicoli di cartolarizzazione immobiliare ex art. 7.2 L. n. 130/1999. Infatti, tali veicoli hanno un “potere” di gestione degli immobili acquisiti che potrebbe ritenersi anche più limitato rispetto alla SGR, pur continuando a rimanere rilevante ai fini IVA (Agenzia delle Entrate, Risposte ad Interpello n. 18/2019 e n. 132/2021), potendo tradursi – come osservato da parte della dottrina – soltanto in una gestione conservativa (che non potrebbe, ad es., sfociare in un cambio di destinazione dell’immobile per sfruttare un diverso impiego imprenditoriale) e non speculativa degli stessi (si veda al riguardo Restelli E.R., Le frontiere mobili della cartolarizzazione, in Banca, borsa, titoli di credito, 2020, 6, 945-946). In tal caso, quindi, tanto più dovrebbe ravvisarsi il mancato trasferimento del diritto di proprietà, dovendosi perciò ammettere in via generalizzata l’applicazione delle imposte di registro, ipotecaria e catastale in misura fissa e non soltanto, quindi, come ritenuto dall’Agenzia delle Entrate con la Risposta n. 132/2021, nel solo caso degli acquisti da parte delle società d’appoggio del veicolo di cartolarizzazione, cosiddette “Reoco”, espressamente previsti dal comma 4-bis dell’art. 7.1, L. n. 130/1999).

5. Tirando le fila delle riflessioni sin qui svolte, la sentenza n. 3218/2024 della Corte di Cassazione, con cui è stata confermata l’esclusione dell’obbligo di registrazione per gli atti di apporto “fuori campo IVA” di immobili in fondi immobiliari ai sensi dell’art. 9 D.L. n. 351/2001, merita di essere attentamente considerata, soprattutto per la sua vis espansiva. La Corte non si è, infatti, limitata a sancire l’inapplicabilità dell’art. 10, comma 4, D.Lgs. n. 23/2011 rilevando la portata strutturale, e quindi non agevolativa, del predetto art. 9 rispetto al regime impositivo dei fondi immobiliari. I giudici di legittimità si sono spinti oltre escludendo che gli atti di apporto abbiamo una valenza traslativa restando così fuori dall’applicazione dell’imposta di registro per ragioni di carattere generale. Come si è cercato di argomentare l’affermato principio della non traslatività dell’apporto risulta, per certi versi, ben più importante rispetto a quello circa la natura non agevolativa del suddetto art. 9 mostrando una portata espansiva all’insegna di una generale neutralità fiscale ai fini delle imposte indirette diverse dall’IVA e anche con riferimento a fattispecie diverse da quelle degli OICR immobiliari (sia nella forma contrattuale dei fondi che societaria delle SICAF), come i veicoli di cartolarizzazione immobiliare. Esito che, peraltro, dovrebbe ritenersi del tutto ragionevole se si considera che gli OICR, così come i veicoli di cartolarizzazione, sono, in ultima analisi, degli intermediari che operano sul mercato di riferimento per conto dei relativi “beneficiari”, e che, quindi, proprio per tale ragione detengono immobili in via soltanto strumentale, con la conseguenza, come evidenziato in altri ambiti dalla dottrina, che il relativo regime fiscale dovrebbe risultare il più possibile neutrale rispetto all’alternativa dell’investimento immobiliare diretto (Thuronyi V., Tax Law Design and Drafting, vol. II, Washington, 1998, 2 e 6-7; Da Silva B., Granting Tax Treaty Benefits to Collective Investment Vehicles: A Review of the OECD Report and the 2010 Amendments to the Model Tax Convention, in Intertax, 2011, 4, 196; Rodriguez Daniels M.I., Limitation on Benefits and (non-)Collective Investment Vehicles, in Blum D.W. – Seiler M., a cura di, Preventing Treaty Abuse, Vienna, 2016, 255-256).

(*) Il saggio è stato sottoposto a double blind peer review con valutazione positiva. Esso confluirà nel fascicolo n. 2/2024 (semestrale) della Rivista telematica di diritto tributario.

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