La pubblicità dell’udienza nel processo tributario tra vecchie questioni di legittimità costituzionale e rinnovate istanze di digitalizzazione

Di Lucrezia Caramia -

Abstract (*)

Le sentenze che si annotano affrontano le conseguenze derivanti dalla trattazione con rito camerale delle controversie tributarie nel giudizio di appello, nonostante la rituale richiesta di discussione in pubblica udienza, giungendo a conclusioni interpretative immotivatamente antitetiche.

Publicity of the hearing in tax trial between old questions of constitutional legitimacy and renewed requests for digitalization – The judgments under review examine the consequences of hearing tax disputes in council chamber in appeal proceedings, despite the usual request for discussion in publicity hearing, reaching to unjustifiably antithetical interpretative conclusions.

Sommario: 1. Premessa. – 2. Il doppio rito di trattazione delle controversie tributarie: l’eccezionalità della pubblica udienza al vaglio della Consulta. – 2.1. L’udienza a distanza durante lo stato di emergenza da Covid-19 e le novità di cui al riformato D.Lgs. n. 546/1992. – 3. Oralità e diritto ad essere ascoltati nel processo tributario. – 3.1. Termini e forme di presentazione dell’istanza di pubblica udienza. – 4. Note conclusive.


1.
Con le due decisioni in commento, la Corte di Cassazione esamina un’importante questione riguardante il regime di trattazione delle controversie tributarie, giungendo a conclusioni interpretative discordanti. Più nel dettaglio, la Corte in entrambi i casi è chiamata a decidere se la sentenza emessa dai giudici di appello in Camera di consiglio anziché in pubblica udienza, come richiesto da una delle parti nelle forme e nei termini previsti dall’art. 27 D.L. 28 ottobre 2020, n. 137 sia automaticamente nulla ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. per violazione del diritto di difesa ed irregolare costituzione del contraddittorio. La normativa applicabile ratione temporis è, appunto, quella di cui all’art. 27 D.L. n. 137/2020, recante “Misure urgenti relative allo svolgimento del processo tributario” in epoca pandemica, secondo cui le udienze tributarie dovevano svolgersi mediante trattazione camerale sulla base degli atti, salva la facoltà di una delle parti di “insistere” per la trattazione in pubblica udienza, con istanza da notificare almeno due giorni liberi prima della data stabilita per la trattazione.

In entrambe le fattispecie, i contribuenti presentavano rituale istanza, procedendo, onde evitare possibili decadenze, al successivo deposito delle memorie conclusionali, invero, previste dal medesimo art. 27 cit., nella precipua ipotesi in cui non fosse stato possibile effettuare la discussione da remoto. Così, i giudici di appello consideravano la mancata reiterazione della istanza come una rinuncia tacita alla trattazione in pubblica udienza, decidendo sulla base degli atti. Viene in entrambi i casi eccepita la nullità della sentenza derivante da error in procedendo per violazione dell’art. 27 D.L. n. 137/2020 (come pure dell’art. 33 D.Lgs. n. 546/1992), nonché per violazione del diritto di difesa di cui all’art. 24 Cost.

Con la sentenza n. 28100/2023, la suprema Corte non dubita della automatica nullità della sentenza emanata nel giudizio di appello a seguito di trattazione con rito camerale nonostante la rituale richiesta di discussione in pubblica udienza; diversamente, secondo quanto deciso sei mesi dopo con sentenza n. 10574/2024, affinché possa configurarsi una lesione del diritto di difesa occorrerebbe valutare se la mancata discussione orale abbia effettivamente impedito alla parte di esporre al meglio la propria linea difensiva.

Tali decisioni offrono l’occasione per tornare sul tema delle conseguenze derivanti dalla trattazione delle controversie tributarie nel giudizio di appello con rito camerale nonostante la rituale richiesta di discussione in pubblica udienza, anche alla luce dei perduranti profili di illegittimità costituzionale dell’art. 33 D.Lgs. n. 546/1992, nella parte in cui subordina la pubblica udienza alla “facoltà” delle parti (affrontati, da ultimo, dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 73/2022). Peraltro, la tematica appare di stretta attualità se si considerano le novità recate dal D.Lgs. n. 220/2023, in attuazione della delega conferita al Governo per la riforma fiscale con l’art. 19, comma 1, lett. b), L. n. 111/2023, che spingono verso «un ampliamento e un potenziamento della informatizzazione» del processo tributario al fine di renderlo sempre meno in presenza e più telematico. Viene difatti introdotto l’art. 34-bis D.Lgs. n. 546/1992, con cui si prevede che la discussione dell’udienza da remoto possa essere richiesta anche da una sola delle parti costituite, con istanza da notificare alle altre parti, fermo restando il diritto di queste ultime di partecipare in presenza.

 

2. Prima di affrontare la specifica questione risolta dalle sentenze che si annotano, appare utile la ricostruzione del quadro normativo in cui si inseriscono le disposizioni relative alla trattazione delle controversie tributarie.

Ante riforma del 1992, l’udienza nel processo tributario era disciplinata dagli artt. 20 e 39 D.P.R. n. 636/1972. Dinanzi alla Commissione tributaria centrale la discussione orale non era ammessa e la decisione avveniva in Camera di consiglio; per le Commissioni (ora Corti di Giustizia tributaria) di primo e di secondo grado, pur applicandosi le disposizioni del Libro I del c.p.c., si prevedeva una discussione orale con successiva decisione da adottare in Camera di consiglio. L’art. 39, infatti, escludeva espressamente l’applicabilità dell’art. 128 c.p.c. – che disciplina la regola della pubblicità dell’udienza nel processo civile – nel rito tributario, prevedendo quale ordinaria forma di trattazione, la Camera di consiglio (sull’assetto antecedente al D.Lgs. n. 546/1992, si rinvia a Micheli G.A., Corso di diritto tributario, Torino, 1989, 272 ss.; Russo P., Il nuovo processo tributario, Milano, 1974, passim; Tesauro F., Lineamenti del processo tributario, Rimini, 1991, 56; Glendi C., L’oggetto del processo tributario, Padova, 1984, 19 ss.).

L’attuale disciplina del processo tributario prende le mosse dalla delega disposta dall’art. 30 L. n. 413/1991 ed è contenuta nei decreti legislativi 31 dicembre 1992, nn. 545 e 546 concernenti, rispettivamente, l’ordinamento degli organi speciali di giurisdizione tributaria ed il processo tributario. Le direttive fondamentali del legislatore delegante prevedevano «l’adeguamento delle norme del processo tributario a quelle del codice del processo civile», in quanto corpo organico e compiuto di disciplina processuale.

Sicché, l’art. 33, comma 1, D.Lgs. n. 546/1992, prevede, quale modalità ordinaria di svolgimento dell’udienza, la Camera di consiglio, salvo che «almeno una delle parti non abbia chiesto la discussione in pubblica udienza, con apposita istanza da depositare nella segreteria e notificare alle altre parti costituite entro il termine di cui all’art. 32, comma 2». Sussistono, pertanto, due riti di trattazione: quello camerale, che si attiva generalmente, e quello pubblico, su facoltà anche di una sola parte. L’attuale impostazione dell’art. 33 è stata ritenuta conforme al favor legislatoris per ragioni di speditezza del procedimento ed economia processuale, nonché per la natura eminentemente documentale del processo tributario (v. Marinello A., Trattazione della controversia in camera di consiglio, in Tesauro F., a cura di, Codice commentato del processo tributario, Milano, 2016, 543 ss.; Emone D., La trattazione della controversia, in Marcheselli A., a cura di, Contenzioso tributario, Milano, 2021, 686 ss.). Purtuttavia, l’aver previsto come principio generale la trattazione della causa in Camera di consiglio ha sollevato notevoli dubbi di legittimità costituzionale (sul tema, cfr. Moschetti F., Profili costituzionali del nuovo processo tributario, in Riv. dir. trib., 1994, I, 837 ss.; Cantillo M., Il nuovo processo tributario all’esame della Corte Costituzionale: osservazioni minime su tre importanti decisioni, in Rass. trib., 1998, 3, 645 ss.; Porcaro G., Problematiche in materia di istanza di discussione in pubblica udienza, in Corr. trib., 1999, 1039 ss.; Tesauro F., Giusto processo e processo tributario, in Rass. trib., 2006, 1, 35; Cipolla G.M., Revirements giurisprudenziali e profili di legittimità costituzionale nel doppio rito di trattazione del processo tributario, in Rass. trib., 2006, 6, 2081 ss.): la pubblica udienza, infatti, è lasciata alla volontà delle parti, «quasi che la pubblicità non avesse un significato che investe interessi pubblici riguardanti addirittura l’aspetto solidaristico del dovere tributario». Appare nota, in tal senso, la posizione della Corte costituzionale la quale, con sentenza n. 212/1986, individua nella pubblica udienza «normale guarentigia di una retta amministrazione della giustizia, anche in ordinamenti non ispirati a principi di libertà ed eguaglianza»: la pubblicità delle udienze, infatti, risulta implicitamente prescritta dal sistema costituzionale italiano quale conseguenza necessaria del fondamento democratico del potere giurisdizionale, esercitato, ai sensi dell’art. 101 della Carta costituzionale, in nome del popolo. In tale occasione, la Corte esaminò, per la prima volta, la costituzionalità delle norme che nel sistema del 1972 escludevano la pubblicità delle udienze; la Consulta dichiarò infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 39, D.P.R. n. 636/1972 poiché l’esclusione della pubblicità delle udienze trovava giustificazione nella natura amministrativa delle Commissioni tributarie: alla stessa Corte appariva evidente che, una volta abbandonata tale idea, anche il principio secondo cui le udienze dinanzi alle Commissioni tributarie di primo e di secondo grado potevano non essere pubbliche avrebbe dovuto essere abbandonato.

Su tali presupposti, la Corte, consolidatasi l’opinione dottrinale e l’orientamento giurisprudenziale circa il carattere giurisdizionale dei processi tributari (Corte cost., sentenza 23 aprile 1998, n. 141, con la nota sentenza 16 febbraio 1989, n. 50, dichiarò costituzionalmente illegittimo l’art. 39, comma 1, D.P.R. n. 636/1972, nella parte in cui escludeva l’applicabilità ai giudizi dinanzi alle Commissioni tributarie di primo e di secondo grado dell’art. 128 c.p.c.; i Giudici ribadirono l’importanza della discussione in pubblica udienza volta precipuamente ad assicurare «il controllo dell’opinione pubblica su tutte le manifestazioni della sovranità statale». Peraltro, tale principio, oltre a costituire «espressione di civiltà giuridica», ammette specifiche deroghe soltanto in relazione a particolari procedimenti ed in presenza di una obiettiva e razionale giustificazione: a nulla rileva, specifica la Corte, nella materia tributaria, il contrapposto interesse del contribuente alla “riservatezza”, posto che «l’imposizione tributaria è soggetta al canone della trasparenza, i cui effetti riguardano anche la generalità dei cittadini, nonché i principi di universalità ed uguaglianza» così da escludere che la posizione del contribuente possa considerarsi come esclusivamente personale e svincolata da nessi intersoggettivi.

Se quanto affermato dalla Consulta è condiviso, non si comprende l’opportunità di rimettere all’arbitrio delle parti in causa la tutela di un interesse pubblicistico di tale tenore (In tal senso, v. Consolo C., Dal contenzioso al processo tributario, Milano, 1992, 125 ss.; Moschetti F., Profili costituzionali del nuovo processo tributario, cit., 837 ss.; Tesauro F., Giusto processo e processo tributario, cit., 11 ss.). Tuttavia, nuovamente interpellato, il giudice delle leggi ha dichiarato l’infondatezza della questione sollevata con riferimento all’art. 33 D.Lgs. n. 546/1992, nella parte in cui subordina la pubblica udienza alla richiesta delle parti; la Corte, con la sentenza n. 260/1998, nonché, di recente, con la sentenza n. 73/2022, non ha ritenuto irragionevole e in contrasto con il diritto di difesa di cui all’art. 24 Cost. l’onere imposto alle parti interessate a chiedere la pubblica udienza, di depositare una apposita istanza in segreteria e di notificarla alle altre parti entro un breve termine decadenziale. La pubblicità dell’udienza, specifica la Corte, non è esclusa, come nella previgente disciplina, bensì condizionata ad un atto di parte.

I due riti di trattazione, pertanto, coesistono e il principio di trasparenza risulta sufficientemente garantito in caso di rito camerale, in quanto gli atti di causa soggiacciono ad adeguate forme di pubblicità risultando accessibili a chiunque vi abbia interesse. Da ultimo, viene ribadita la preferenza per il rito camerale, il quale favorisce elementi ben determinati quali la natura documentale del processo tributario nonché le dimensioni ingenti del contenzioso.

Le conclusioni della Consulta, seppure ben argomentate, non risultano unanimemente condivise: come ricordato da attenta dottrina, la pubblicità delle udienze, in piena attuazione del principio di trasparenza, non è garantita soltanto dalla pubblicità degli atti e dalla motivazione della sentenza ma, ancor prima, dalla facoltà dei terzi di assistere al dibattimento. Tale esigenza ordinamentale è richiamata dall’art. 6, par. 1, della Convenzione, 4 novembre 1950 per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU) il quale distingue il diritto di ogni persona ad «un’equa e pubblica udienza» (primo periodo), dal dovere per il giudice di rendere la sentenza «pubblicamente» (secondo periodo) (sull’applicabilità dell’art. 6 della Convenzione al rapporto tributario si rinvia, ex multis, a Gallo F., Verso un “giusto processo” tributario, in Rass. trib., 2003, 1, 11 ss.; Russo P., Il giusto processo tributario, in Rass. trib., 2004, 1, 11 ss.; Uricchio A.F., Atti e poteri del giudice tributario tra principi del “giusto processo” ed estensione della giurisdizione tributaria, Bari, 2007, 11 ss.; Del Federico L., I principi europei della Convenzione europea dei diritti dell’uomo in materia tributaria, in Aa.Vv., Studi in onore di Enrico De Mita, Napoli, 2012, 253 ss.; Della Valle E., Il giusto processo tributario. La giurisprudenza della C.EDU, in Rass. trib., 2013, 2, 435 ss.; Marcheselli A. – Dominici R., Giustizia tributaria e diritti fondamentali. Giusto tributo, giusto procedimento, giusto processo, Torino, 2016, 169 ss.; Marcheselli A., Il giusto processo tributario europeo. Efficienza e giustizia nel diritto finanziario d’Europa, Milano, 2016). In tale prospettiva, il rispetto del principio di pubblicità garantito ex post con l’emissione della sentenza dall’adeguata motivazione, non esaurisce quelle forme di pubblicità da apprestare ex ante come, appunto, la pubblicità dell’udienza. Si tratta, in definitiva, di un interesse pubblico che riflette appieno l’essenza solidaristica del dovere tributario e che non dovrebbe dipendere da una mera scelta discrezionale operata dalle parti.

2.1. Le delicate questioni correlate alle modalità di svolgimento delle udienze dinanzi alle Corti di Giustizia di primo e di secondo grado sono riaffiorate durante il periodo pandemico da Covid-19.

Il legislatore italiano, dopo la dichiarazione dello stato di emergenza, è intervenuto anche in materia di giustizia tributaria: prima, con misure volte a sospendere i termini processuali, poi, con la previsione di modalità alternative per lo svolgimento delle pubbliche udienze ai sensi del comma 7, dell’art. 83 D.L. n. 18/2020: esso attribuiva ai capi degli Uffici giudiziari la possibilità di adottare misure organizzative volte a consentire collegamenti da remoto individuati e regolati con Provvedimento del direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati del Ministero della Giustizia, «al fine di evitare assembramenti all’interno dell’ufficio giudiziario e contatti ravvicinati tra le persone».

Tale disposizione ha provocato non poca confusione tra gli operatori del diritto, anzitutto per la mancanza nella norma di un preciso riferimento alla materia tributaria: soltanto con l’art. 135, comma 2, D.L. n. 34/2020, è prevista espressamente la possibilità di partecipazione a distanza all’udienza pubblica anche nel processo tributario, a condizione che una delle parti processuali ne facesse esplicita richiesta nel ricorso o nel primo atto difensivo.

In tale contesto, occorre ricordare la preesistenza, al di fuori della legislazione “emergenziale”, di una norma che disciplinava già l’udienza pubblica tributaria a distanza (art. 16, comma 4, D.L. n. 119/2018) e che non necessitava di un decreto presidenziale per essere attuata, bensì di un provvedimento del Direttore generale delle finanze, da emanare sentito il Consiglio di Presidenza della Giustizia tributaria e l’Agenzia per l’Italia Digitale. Le attese regole tecnico-operative sono state adottate circa due anni dopo l’emanazione della norma delegante, con il provvedimento del MEF, 11 novembre 2020, n. 46 il quale forniva, in quel momento, una soluzione alla spiacevole querelle relativa allo svolgimento dei processi tributari nel periodo pandemico, sorta a seguito dell’approvazione dell’art. 27 D.L. n. 137/2020.

Tale disposizione disciplinava specificamente, per la prima volta, le modalità di celebrazione delle udienze tributarie durante l’emergenza sanitaria: il primo comma prevedeva, come ordinaria modalità per celebrare le udienze pubbliche, nonché le Camere di consiglio, la trattazione in collegamento da remoto, previamente autorizzata da ciascun presidente di Corte di Giustizia tributaria di primo e di secondo grado. A creare non poche perplessità, è intervenuto il secondo comma, ai sensi del quale «in alternativa alla discussione con collegamento da remoto, le controversie fissate per la trattazione in udienza pubblica, passano in decisione sulla base degli atti». In altri termini, nell’eventualità in cui il collegamento da remoto, per ragioni anche imputabili all’Ufficio giudiziario, non fosse stato praticabile o non fosse stato voluto da una delle parti, la decisione sarebbe stata presa sulla base degli atti.

Nonostante l’insindacabile diritto delle parti di chiedere la discussione in pubblica udienza garantita in tempi pandemici – come detto – dal collegamento da remoto, con tale soluzione il legislatore ha di fatto inciso sul precario equilibrio che si era raggiunto, seppure a fatica, in merito alla scelta legislativa (di cui all’art. 33 D.Lgs. n. 546/1992) di rimettere alla decisione delle parti l’attuazione di quel controllo dell’opinione pubblica su tutte le manifestazioni della sovranità statale (Viotto A., Criticità sullo svolgimento dei giudizi tributari nel periodo dell’emergenza sanitaria alla luce dell’art. 27 del “decreto ristori”, in Contrino A. – Farri F., a cura di, Pandemia da “Covid-19” e sistema tributario. Problematiche dell’emergenza, misure di sostegno e politiche fiscali, Pisa, 2021, 270 ss.; Treglia N., Il processo tributario durante l’emergenza sanitaria da Covid-19, in Garofalo D. – Grippa C. – Pagano R. – Pardolesi P. – Rinaldi A., a cura di, II simposio dei dottorandi. “L’impatto della pandemia da Covid-19: recessione, resilienza e ripresa”, Taranto, 2021, 259 ss.).

Sul punto si è di recente espressa la suprema Corte: la mancata celebrazione della pubblica udienza mediante collegamento audiovisivo, a causa di problemi di collegamento di uno dei componenti il Collegio giudicante, determina obbligatoriamente la sospensione dell’udienza e, nel caso in cui sia impossibile ripristinare il collegamento, il rinvio della stessa; inoltre, l’eventuale sentenza emessa nell’udienza camerale divenuta non partecipata a causa delle difficoltà di connessione citate, è da considerarsi irrimediabilmente nulla per violazione del diritto di difesa delle parti private della possibilità di esporre oralmente le proprie difese conclusive nel corso della discussione (Cass., ord. 21 agosto 2023, n. 24904 con nota di Ferrari C. – Schillaci S., Nulla la sentenza a seguito di trattazione in Camera di consiglio senza tener conto dell’istanza per l’udienza a distanza, in il fisco, 2023, 38, 3631 ss.).

L’udienza a distanza, in un’ottica di digitalizzazione della giustizia tributaria, è stata rafforzata, nel rispetto di quanto previsto nella delega fiscale, dalla novella apportata dal D.Lgs. n. 220/2023: secondo il neo art. 34-bis D.Lgs. n. 546/1992 la partecipazione alle pubbliche udienze e alle Camere di consiglio, può avvenire a distanza mediante collegamento audiovisivo tra l’aula di udienza e il luogo del collegamento da remoto del contribuente, del difensore, dell’Ufficio impositore e dei soggetti della riscossione, nonché dei giudici tributari e del personale amministrativo delle Corti di Giustizia tributaria; la discussione della causa da remoto può essere richiesta anche da una sola delle parti costituite nel processo, diversamente da quanto previsto dalla L. n. 130/2022 che richiedeva la formulazione della richiesta di trattazione a distanza da tutte la parti costituite nel processo. Resta impregiudicata la possibilità di ciascuna parte di discutere in presenza, limitando così la partecipazione a distanza alla sola parte richiedente.

Sul punto occorre osservare come l’udienza da remoto, introdotta dallo sviluppo della tecnologia, potrebbe costituire, per un verso, un indubbio vantaggio per le parti che non sono tenute a raggiungere fisicamente la sede della Corte di Giustizia tributaria. Per un altro verso, però, proprio questa ‘despazializzazione’ della giustizia rende più problematica la gestione del contraddittorio nel processo, della dialettica tra le parti e il giudice caratterizzati da un naturale quanto essenziale coinvolgimento emotivo che arricchisce di strumenti la difesa delle parti (cfr. D’Ayala Valva F., L’affievolito diritto ad essere ascoltato in un giusto processo tributario, in GT – Riv. giur. trib., 2022, 2, 179 ss.). Da ultimo, emergono ulteriori aspetti se si considera l’udienza da remoto come una modalità di svolgimento della udienza pubblica prevista dall’art. 34 D. Lgs. n. 546/1992: difatti, l’udienza a distanza, da una parte, non può considerarsi propriamente pubblica, alla luce della oggettiva impossibilità per le parti non processuali di parteciparvi; dall’altra, quando le parti non possono presenziare personalmente, la partecipazione in videoconferenza all’udienza ben potrebbe costituire un rafforzamento del diritto ad un giusto processo, come stabilito dall’art. 47 Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, purché venga garantita la partecipazione attiva delle parti (sul punto si v., di recente, la decisione della Corte di Giustizia UE, 4 luglio 2024, C-760/22 che ha affrontato la questione dell’uso della videoconferenza nei processi penali).

3. Chiarito il quadro normativo di riferimento, occorre ora soffermarsi sulla premessa che le sentenze in commento sembrano condividere: la pubblica udienza quale momento essenziale all’esercizio del diritto di difesa.

In effetti, nel processo tributario è prevista un’unica udienza destinata ad esaurire l’intera trattazione: tra il deposito del ricorso e la trattazione della controversia non si svolge una fase istruttoria particolarmente articolata come, invece, avviene nel processo civile, sebbene l’accertamento dei fatti abbia una rilevanza almeno analoga a quella degli altri giudizi. In tale contesto, l’udienza pubblica di cui all’art. 34 D.Lgs. n. 546/1992, rappresenta il principale, se non l’unico, momento di confronto tra le parti del processo dinanzi al collegio che dovrà assumere la decisione sui fatti e sulle questioni oggetto della controversia.

L’udienza pubblica è articolata in due fasi distinte: in primis, «il relatore espone al collegio i fatti e le questioni della controversia»; in seguito alla relazione, «il presidente ammette le parti presenti alla discussione». L’esposizione dei fatti e delle questioni da parte del giudice relatore in pubblica udienza, oltre a rendere edotti gli altri membri del collegio, permette alle parti di verificare che il thema decidendum sia stato correttamente individuato in virtù del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato ai sensi dell’art. 112 c.p.c., nonché del principio della domanda di cui agli artt. 99 ss. c.p.c. L’oralità, quale valore sotteso alla pubblicità dell’udienza di cui all’art. 34 D.Lgs. n. 546/1992, assurge a presidio della collegialità della decisione.

Esaurita la relazione della causa e le formalità preliminari, le parti presenti sono ammesse alla discussione: la discussione è svolta dal difensore tecnico delle parti, le quali sono ammesse a turno a esporre oralmente le ragioni delle loro richieste, le quali devono attenersi ai motivi e alle domande già formulate. In sede di udienza di discussione non possono essere fatte valere nuove eccezioni di rito o di merito non rilevabili d’ufficio dal giudice (v. Paparella F., I poteri istruttori del giudice tributario, in Della Valle E. – Ficari V. – Marini G., a cura di, Il Processo Tributario, Padova, 2008, 203 ss.; Fransoni G., Preclusioni processuali, rilevabilità d’ufficio e giusto processo, in Rass. trib., 2013, 2, 449 ss.), così come è esclusa alle parti la possibilità di richiedere di essere autorizzate a chiamare in causa terzi ex art. 14, comma 3, eccezion fatta per l’ipotesi in cui il relativo interesse sia sopravvenuto in ragione delle difese di controparte. L’oralità della discussione restituisce dunque alle parti l’autentica funzione del processo, ossia quella di ‘vincere’ dimostrando al collegio giudicante la fondatezza delle proprie argomentazioni. La pubblicità dell’udienza mira, quindi, anche a garantire il contraddittorio tra le parti di cui all’art. 111, comma 2, Cost., con un effettivo controllo sulle attività e sugli atti delle altre parti, attraverso un meccanismo di conoscenza degli stessi, possibilità di replica e di controprova.

 

3.1. Come ampiamente anticipato, affinché la controversia venga trattata in pubblica udienza, è necessario che almeno una delle parti costituite notifichi alle altre parti e depositi in segreteria un’apposita istanza, entro il termine perentorio di dieci giorni liberi prima della data di trattazione.

In un primo momento, il riferimento contenuto nella norma in commento alle “parti costituite” aveva condotto l’Amministrazione finanziaria (v. circ. min. 18 dicembre 1996, n. 291) e parte della dottrina (cfr. Glendi C., Problematiche costituzionali ed interpretative sulla pubblica udienza, in Corr. trib., 1998, 45, 3367 ss.) a ritenere valida la presentazione dell’istanza solo in un momento successivo alla costituzione delle parti; ugualmente, il richiamo alla “apposita istanza” aveva inizialmente portato ad escludere la richiesta, seppure espressa e specifica, in altri atti processuali. Simili orientamenti, eccessivamente rigorosi, risultano pacificamente superati: attualmente dottrina e giurisprudenza (v. Corte cost., sent. 23 aprile 1998, n. 141 nonché Cass., sent. 11 maggio 2009, n. 10678 con nota di Beccalli C., La richiesta di discussione in pubblica udienza, in il fisco, 2009, 25, 4102 ss.) ammettono la possibilità di inserire l’istanza di trattazione in pubblica udienza in altri atti processuali – ivi incluso il ricorso introduttivo – anche in attuazione del generale principio di libertà delle forme degli atti processuali, alla duplice condizione che essi risultino notificati alle altre parti costituite e siano depositati presso la segreteria della Corte entro il termine stabilito dall’art. 33, comma 1, D.Lgs. n. 546/1992.

L’istanza di trattazione non richiede di essere motivata, né è riconosciuto alcun

potere discrezionale al giudice adìto il quale, in presenza di apposita richiesta, è tenuto a disporre la trattazione orale. Si evidenzia inoltre come l’indebito rifiuto da parte del giudice di discutere la causa in pubblica udienza comporti la nullità di tutti gli atti successivamente compiuti, compresa la sentenza (v. Cass., sent. n. 10678/2009, con nota di Beccalli C., La richiesta di discussione in pubblica udienza, cit., nonché, Bafile C., Il nuovo processo tributario, Padova, 1994, 167; Marinello A., Trattazione della controversia in camera di consiglio, cit., 539).

Di tal guisa, la rituale proposizione dell’istanza rende doverosa la discussione anche in assenza di una delle due parti, senza che un elemento fattuale possa determinare una lesione del diritto al contraddittorio. Diversamente, nell’eventualità di assenza di tutte le parti, occorre valutare l’applicazione dell’art. 181 c.p.c., che sanziona l’inattività delle parti nel processo civile prevedendo, in caso di mancata comparizione all’udienza, la cancellazione della causa dal ruolo.

Sia la notifica sia il deposito dell’istanza devono avvenire prima del decorso di dieci giorni liberi antecedenti l’udienza di trattazione: in merito a tale onere, occorre chiarire alcune problematiche che tale normativa ha sollevato nel corso del tempo. In particolare, il Giudice si è più volte trovato dinanzi all’ipotesi in cui l’istanza di discussione in pubblica udienza era stata regolarmente notificata alla controparte, ma la stessa non risultava depositata presso la segreteria della Corte di Giustizia tributaria: appare pacifica l’irrilevanza, in tale situazione, dell’omesso deposito dell’istanza, qualora la controparte non si sia opposta alla discussione, stante il fatto che la disciplina positiva non riconnette alcuna conseguenza “negativa” alla omissione in questione.

Pari validità deve essere riconosciuta all’atto notificato a parti non costituite, nonché all’istanza proposta in epoca antecedente alla fissazione dell’udienza di trattazione, trattandosi di circostanze che non ledono, finanche rafforzano, il diritto di difesa delle parti.

Da ultimo, occorre considerare le conseguenze derivanti dall’omessa o irrituale presentazione dell’istanza di trattazione in pubblica udienza: in linea generale, l’irritualità dell’istanza, conseguente ad inosservanza del termine, ovvero a difetto o a tardività della notificazione, implica l’inammissibilità della stessa; ciò determina l’invalidità della eventuale discussione in pubblica udienza e della sentenza resa dalla Corte. Purtuttavia, è ritenuta valida la decisione assunta in pubblica udienza, nonostante l’irrituale od omessa proposizione della relativa istanza, qualora le parti abbiano partecipato all’udienza senza sollevare alcuna specifica contestazione in merito a tale richiesta.

4. Il cuore del problema sul quale le sentenze si sono espresse è riassunto nell’interrogativo se la sentenza emessa dai giudici di appello in Camera di consiglio anziché in pubblica udienza, come richiesto da una delle parti nelle forme e nei termini previsti dalla normativa vigente, sia automaticamente nulla ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. per violazione del diritto di difesa ed irregolare costituzione del contraddittorio, oppure se detta nullità presupponga l’accertamento anche di un pregiudizio concreto.

Sul punto, l’organo nomofilattico del nostro Paese si è espresso in maniera discordante a distanza di pochi mesi: secondo la prima pronuncia, qualora la causa in appello sia trattata con rito camerale nonostante la rituale richiesta di discussione in pubblica udienza, la sentenza resa dai giudici è automaticamente nulla poiché l’impossibilità dei difensori delle parti di esercitare con completezza il diritto di difesa, anche oralmente, costituisce «di per sé un vulnus al principio del contraddittorio e una violazione del diritto di difesa».

La seconda decisione, invece, sposa l’orientamento minoritario secondo il quale l’omessa fissazione nel giudizio di appello dell’udienza di discussione orale, pur ritualmente richiesta dalla parte, non comporta necessariamente la nullità della sentenza per violazione del diritto di difesa: ciò in quanto il denunciato error in procedendo non tutela l’interesse all’astratta regolarità dell’attività giudiziaria, ma garantisce unicamente l’eliminazione del pregiudizio subito dal diritto di difesa della parte. La discussione della controversia nel giudizio di appello svolge, secondo tale impostazione, la sola funzione di illustrare le posizioni già assunte e le tesi già svolte nei precedenti atti difensivi. Sicché, per configurare una lesione del diritto di difesa «non basta affermare, genericamente, che la mancata discussione ha impedito al ricorrente di esporre meglio la propria linea difensiva, essendo al contrario necessario indicare quali siano gli specifici aspetti che la discussione avrebbe consentito di evidenziare o di approfondire, colmando lacune e integrando gli argomenti ed i rilievi già contenuti nei precedenti atti difensivi» (in tal senso, Cass., sent. 10 febbraio 2006, n. 2948 con nota critica di Cipolla G.M., Revirements giurisprudenziali e profili di legittimità costituzionale nel doppio rito di trattazione del processo tributario, in Rass. trib., 2006, 6, 2081 ss.; nonché più di recente, Cass., sent. 27 novembre 2017, n. 28229 e 10 dicembre 2020, n. 28188 queste ultime citate in motivazione). Simili argomentazioni sembrano muoversi nel solco di quanto stabilito dalla Corte di Giustizia UE, sentenza 3 luglio 2014, cause riunite C-129/13 e C-130/13 Kamino International Logistics, modellando in capo al contribuente la medesima “prova di resistenza”, non più in ambito procedimentale ma in sede giurisdizionale: il riferimento è, nel dettaglio, al punto 79 della sentenza, ove si legge «la violazione dei diritti di difesa, e in particolare del diritto di essere sentiti, determina l’annullamento del provvedimento adottato al termine del procedimento di cui trattasi soltanto se, in mancanza di tale irregolarità, tale procedimento avrebbe potuto comportare un risultato diverso» (sul tema si rinvia a Marcheselli A., Il contraddittorio va sempre applicato ma la sua omissione non può eccepirsi in modo pretestuoso, in Corr. trib., 2014, 3, 2536 ss.; Iaia R., I confini di illegittimità del provvedimento lesivo del diritto europeo al contraddittorio preliminare, in GT – Riv. giur. trib., 2014, 11, 838 ss.)

Tra le due tesi, se ben si interpreta il pensiero del giudice delle leggi (v. par. 2.) e l’orientamento giurisprudenziale maggioritario di legittimità (v., tra le tante, Cass., 23 aprile 2001, n. 5986; Cass., 15 luglio 2001, n. 10099; Cass., 26 ottobre 2005, n. 20852; Cass., 15 marzo 2006, n. 5658; Cass., 11 maggio 2009, n. 10678; Cass. 16 dicembre 2011, n. 27162; Cass., ord. 29 gennaio 2016, n. 1786; nonché, da ultimo, Cass., 24 gennaio 2023, sent. n. 2067 citata in motivazione), quella da condividere non può che essere la prima.

La pubblicità delle udienze nel processo tributario può considerarsi un diritto disponibile delle parti risultando, al contempo, un diritto che, se esercitato, non tollera alcuna limitazione: la richiesta di pubblica udienza, infatti, produce i suoi effetti automaticamente, senza la necessità di alcun provvedimento di accoglimento dell’istanza da parte del giudice, che la legge, appunto, non prevede (cfr. Basilavecchia M., Funzione impositiva e forme di tutela. Lezioni sul processo tributario, Torino, 2018, 103). Alla richiesta della parte di “essere ascoltata” corrisponde, dunque, l’obbligo del giudice di sentirla anche nel giudizio di appello (in senso conforme, Cipolla G.M., Revirements giurisprudenziali e profili di legittimità costituzionale nel doppio rito di trattazione del processo tributario, cit., 2092).

Del resto, i valori sottesi alla pubblicità dell’udienza restano fermi sia in primo che in secondo grado come peraltro specificato dall’art. 24 Cost., che garantisce il diritto di difesa «in ogni stato e grado del procedimento». Lo svolgimento del processo in appello è, difatti, disciplinato sul modello del giudizio di prima istanza: per quanto qui di interesse, tutte le norme della Sezione terza del capo primo D.Lgs. n. 456/1992 sulla trattazione della controversia (artt. da 30 a 35), si applicano al procedimento di secondo grado. In definitiva, applicandosi in appello anche l’art. 33, comma 1, qualsiasi distinzione tra il procedimento posto dinanzi alla Corte di Giustizia di primo grado e quello innanzi alla Corte di Giustizia di secondo grado risulterebbe contra legem, oltreché assolutamente priva di giustificazione.

(*) Il saggio è stato sottoposto a double blind peer review con valutazione positiva. Esso confluirà nel fascicolo n. 2/2024 (semestrale) della Rivista telematica di diritto tributario.

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