Sulla “regola di comodo” di progressiva dissolvenza dell’elemento soggettivo dell’illecito amministrativo tributario (a margine di una pregevole sentenza di merito)

Di Giovanna Petrillo -

(commento a/notes to Corte di Giustizia tributaria I grado Genova, sez. II, 9 maggio 2024)

Abstract

A fronte di una sorta di rischioso automatismo dell’irrogazione delle sanzioni amministrative in ogni ipotesi di violazione tributaria, le linee argomentative seguite nella pronuncia in commento sono degne di sicuro apprezzamento in quanto dedicano la giusta considerazione ai presupposti della responsabilità derivante dall’illecito tributario, con particolare riguardo all’elemento soggettivo, che costituisce al contempo il fondamento e il limite della punibilità. In tale prospettiva, rileva la necessità che la nozione di colpa si identifichi nella rimproverabilità soggettiva della condotta, al fine di scongiurare il pericolo che venga affermata una responsabilità di natura oggettiva del tutto esclusa dall’attuale impianto normativo del sistema sanzionatorio tributario. È pertanto auspicabile che sulla scorta dell’orientamento dei giudici genovesi, l’elemento soggettivo, in linea con il suo ruolo portante nella configurazione dell’illecito tributario, venga maggiormente valorizzato dal punto di vista applicativo, sia da parte dell’Amministrazione finanziaria, che sarebbe tenuta a rinunciare all’irrogazione delle sanzioni in ipotesi caratterizzate da un’evidente assenza di colpevolezza, sia ad opera del giudice tributario mediante una attenta valutazione del requisito della colpevolezza che, allo stato, risulta enfatizzato a livello normativo ma di fatto trascurato in un’ottica pratica.

Abstract

In the face of a sort of risky automatism of the imposition of administrative sanctions in every hypothesis of tax violation, the lines of argument followed in the ruling under comment are worthy of certain appreciation in that they devote due consideration to the prerequisites of liability arising from the tax tort, with particular regard to the subjective element, which constitutes both the foundation and the limit of punishability. In this perspective, it notes the need for the notion of guilt to be identified with the subjective reproachability of the conduct, in order to avert the danger of affirming a liability of an objective nature that is completely excluded from the current regulatory framework of the tax penalty system.

It is therefore to be hoped that on the basis of the orientation of the judges, the subjective element, in line with its load-bearing role in the configuration of the tax offence, will be more emphasized from the point of view of application, both by the financial administration, which would be obliged to renounce the imposition of sanctions in hypotheses characterized by a clear absence of culpability, and by the tax judge, through a careful evaluation of the requirement of culpability, which, at present, is emphasized at the normative level but in fact neglected in a practical perspective.

Sommario: 1. Premessa. – 2. Le pregnanti osservazioni sull’elemento soggettivo delle sanzioni amministrative tributarie. – 3. Il contributo della pronuncia all’individuazione di un modello di diligenza esigibile.

1. Con la sentenza in commento, la Corte di Giustizia tributaria di primo grado di Genova, sez. II, interviene su una questione di fondamentale importanza ossia il tema dell’elemento soggettivo richiesto per l’irrogazione delle sanzioni amministrative tributarie. La questione, sebbene di rilevanza centrale, non è stata sinora adeguatamente indagata in sede dottrinale e giurisprudenziale; ragione per cui, la sentenza in commento risulta meritevole di particolare attenzione ed interesse.

Al fine di meglio delineare i contenuti espressi nella pronuncia è opportuno rassegnare, di seguito, alcuni limitati profili relativi alla vicenda processuale trattata dai giudici tributari.

Segnatamente, la sentenza in commento interviene sull’impugnazione di un avviso di accertamento in cui si disconosceva nella sua validità una compensazione di credito di imposta IVA. Motivo centrale del contendere è l’interpretazione della portata dell’art. 10, comma 1, lett. a), n. 7), D.L. n. 78/2009. In particolare la condizione discussa in causa è il “visto di conformità” (detto “visto leggero”) da parte di professionista abilitato, requisito che la norma richiede per procedere alla richiamata compensazione ex art. 17 D.Lgs. n. 241/1997. Posto che, nel caso di specie, il professionista apponente il visto non risultava rispondere ai requisiti di legge (per omessa copertura assicurativa), l’Agenzia ritiene di aver correttamente operato nel senso dell’accertamento detto.

Previa contestazione della inidoneità del visto, ratione personae, il contribuente interpreta tuttavia la norma menzionata come subordinata all’art. 6, comma 5-bis, D.Lgs. n. 471/1997 ritenendo che, a fronte della reale esistenza del credito, il recupero e la sanzione, che verrebbero entrambi ad assumere carattere “punitivo”, non sarebbero applicabili in quanto sanzioni conseguenti a violazioni formali ed inoffensive, mentre il recupero potrebbe essere attuato solo in caso di irregolarità sostanziale.

Al contrario l’Agenzia, in controdeduzioni, insiste per l’efficacia sostanziale del visto e la legittimità del recupero di tributo e sanzioni.

Le parti contraddicono anche in ordine alla possibilità di ravvisare nel caso una colpa del contribuente idonea a sostenere l’applicazione delle sanzioni. In proposito l’Agenzia cita la sentenza della Corte di Cassazione n. 6939/17 (in materia di omessa dichiarazione per colpa del professionista) in base alla quale sarebbe il contribuente onerato della prova in merito all’assenza di colpa.

Ciò posto, in relazione alla tesi del carattere formale e innocuo della carenza di visto i giudici genovesi ritengono – pur considerando che il visto si limita a certificare la concreta esistenza del credito da opporre in compensazione, il che costituisce un’operazione inidonea a modificare o meno la reale sussistenza di tale posta, che esiste o meno a prescindere dal visto – che in rapporto alle imposte compensate, la sussistenza del visto è un elemento della fattispecie estintiva dell’obbligo di versarle e, conseguentemente, ha natura chiaramente sostanziale. In quest’ottica, il recupero del tributo è quindi la logica conseguenza della inidoneità del visto.

Merita invece un approfondimento la possibilità di rendere applicabili nella fattispecie in questione le sanzioni tributarie. In proposito, come riportato dai giudici di merito, l’Ufficio si riferisce al principio largamente reiterato (cfr. Cass. civ., sez. trib., 23 novembre 2020, n. 26554; Cass. civ., sez. trib., 13 settembre 2018, n. 22329; Cass civ., n. 6939/17 – citata dalla Agenzia – nonché Cass. civ., Sez. Un., 30 settembre 2009, n. 20930 – resa in ordine all’art. 3 L. n. 689/1981) per il quale in materia di sanzioni tributarie sarebbe necessaria solo la coscienza e volontà della violazione, dovendo in presenza di queste “presumersi la colpa”. Ed è proprio a questa affermazione che i giudici genovesi, rifuggendo da rischiosi automatismi, dedicano una serie di pregevoli rilievi.

2. È ben noto il progressivo percorso di omogeneizzazione dei principi e delle regole garantistiche propri della materia penale alle sanzioni amministrative tributarie qualificabili, come si dirà, in considerazione di tutta la loro disciplina ispirata ai principi di personalità e colpevolezza, come ‘criminal offences’ secondo i c.d. criteri ‘Engel’ (sulla definizione di sanzione amministrativa ‘punitiva’ intesa per identificare «[…] le misure afflittive che, per quanto applicate da organi di natura amministrativa e non giurisdizionale, sono attratte, per impulso degli impegni assunti a livello internazionale, nell’alveo protettivo delle principali garanzie riconosciute in ‘materia penale’, al di là della loro formale qualificazione giuridica» senza pretese di completezza si veda Simeoli D., Le sanzioni amministrative ‘punitive’ tra diritto costituzionale ed europeo, in Riv. reg. merc., 2022, 1, I, 47 ss.; Viganò F., Garanzie penalistiche e sanzioni amministrative, in Riv. it. dir. proc. pen., 2020, 4, 1775 ss.; e Goisis F., La tutela del cittadino nei confronti delle sanzioni amministrative tra diritto nazionale ed europeo, Torino, 2018).

Orbene, la rilevanza della cosiddetta colpevolezza in ambito punitivo tributario non penale rappresenta una fra le principali conseguenze della riforma delineata dal D.Lgs. n. 472/1997 tesa appunto a conformare – in un’ottica di superamento della L. n. 4/1929 che si era progressivamente venuta a risolvere in un sistema ispirato ad un criterio di mera responsabilità oggettiva – la disciplina generale dell’illecito tributario (non penale) al modello del reato (sui principi fondanti la legislazione del 1997, cfr. Giovannini A., Sui principi del nuovo sistema sanzionatorio non penale in materia tributaria, in Dir. prat. trib., 1997, 1196 ss.; Del Federico L., Introduzione alla riforma delle sanzioni amministrative tributarie: i principi sostanziali del d.lgs. n. 472/1997, in Riv. dir. trib., 1999, 2, I, 107 ss., nonché, in particolare sul principio di personalità, Batistoni Ferrara F., Principio di personalità: elemento soggettivo e responsabilità del contribuente, in Dir. prat. trib., 1999, 5, I, 1509 ss.; Del Federico L., Il principio di personalità, in Tabet G., a cura di, La riforma delle sanzioni amministrative tributarie, Torino, 2000, 11 ss., e Id., Sanzioni proprie e sanzioni improprie, in Giovannini A. – Di Martino A. – Marzaduri E., cura di, Trattato diritto sanzionatorio tributario, Tomo II, Milano, 2016, 1317; Cordeiro Guerra R., Il principio di personalità, in Trattato diritto sanzionatorio tributario, cit., II, 1439 ss. Da ultimo Alfano R., Sanzioni amministrative tributarie e tutela del contribuente, Napoli, 2020).

Proprio in considerazione della estraneità alla sanzione amministrativa di una funzione compensativa e della personalizzazione che la struttura dell’illecito amministrativo tributario di cui al D.Lgs. n. 472/1997 prevede, si è, come noto, affermato che: (i) l’autore della violazione debba essere capace di intendere e di volere (art. 4 D.Lgs. n. 472/1997); (ii) la condotta illecita realizzata debba essere cosciente e volontaria; (iii) la violazione debba essere commessa con dolo o quanto meno con colpa (art. 5, comma 1, D.Lgs. n. 472/1997); (iv) la sanzione non debba essere applicata allorquando l’autore della violazione sia incolpevole. Sempre nel solco di queste direttrici si registrano altresì, più di recente, gli interventi complessivi di riforma del sistema sanzionatorio tributario previsti in attuazione dalla legge delega n.111/2023, che, nel loro complesso, concorrono sia a rendere più proporzionato l’impianto delle sanzioni connesse alle violazioni tributarie che a revisionare i rapporti tra processo penale e processo tributario con riguardo al principio del ne bis in idem.

In questo contesto, l’aver espressamente riconosciuto nella coscienza e volontarietà della condotta dolosa o colposa il presupposto della responsabilità sanzionatoria costituisce un’importante innovazione dell’ordinamento tributario: da elemento tendenzialmente ininfluente nel sistema previgente, l’elemento soggettivo è diventato un elemento essenziale per il configurarsi stesso dell’illecito tributario, in assenza del quale la sola condotta antigiuridica non è sufficiente ad integrare il presupposto per l’irrogazione della sanzione.

Pertanto, è qui utile rammentare quali siano i confini dell’elemento psicologico dell’illecito tributario disciplinato dal D.Lgs. n. 472/1997. L’art. 5 D.Lgs. n. 472/1997 – analogamente a quanto prescritto dalla L. n. 689/1981 in materia di violazioni amministrative differenti da quelle tributarie – prevede che il soggetto attivo debba porre in essere la condotta (indifferentemente) con colpa o con dolo. Nella loro definizione le sanzioni in discorso risultano pertanto determinate sulla base dei classici presupposti dell’art. 133 c.p., dell’entità della colpa e gravità del dolo oltre che in considerazione dell’entità del vantaggio ottenuto risultando del tutto assenti nella disciplina parametri correlati con l’attività di indagine che è risultata necessaria.

Invero, sin dall’entrata in vigore del D.Lgs. n. 472/1997, sia l’Agenzia delle Entrate (in sede di irrogazione delle sanzioni) che la giurisprudenza hanno decisamente smussato la rilevanza sistematica della colpevolezza in ambito punitivo amministrativo rendendola meno centrale di quanto la stessa trama normativa possa lasciare intendere. La sanzione amministrativa, infatti, è stata intesa alla stregua di un riflesso automatico del recupero impositivo con la conseguenza che il profilo della colpevolezza, principale applicazione ed elemento qualificante della personalità della sanzione amministrativa tributaria, ne è risultato chiaramente trascurato (in tal senso Di Siena M., In tema di elemento psicologico dell’illecito amministrativo tributario: le linee guida [svalutative] della Corte di Cassazione, in Riv. tel. dir. trib., 2019, 2, 364 ss.).

In particolare, è stato sostenuto che in materia di sanzioni tributarie sarebbe necessaria solo la coscienza e volontà della violazione dovendo in presenza di queste “presumersi la colpa”. Riguardo a questa affermazione che se presa alla lettera risulta certamente scorretta, i giudici di merito nella pronuncia che si annota hanno effettuato una serie di pregevoli considerazioni che contribuiscono a conferire un ruolo centrale al requisito della colpevolezza dell’agente che allo stato risulta, come detto, enfatizzato a livello normativo ma di fatto negletto in un’ottica pratica.

Nello specifico i giudici di merito rilevano che la lettura della legge sembra ancorare chiaramente la punibilità al dato minimo della sussistenza della colpa (scusa l’errore incolpevole, mentre l’errore colpevole è il vero caso di “punizione contravvenzionale ed amministrativa a titolo di colpa”). Anche la giurisprudenza tributaria già citata, continua ad argomentare la Corte, ritiene necessaria la sussistenza della colpa, ma insiste sulla “presunzione” al fine di sottolineare l’assenza di prova contraria.

Da tanto discenderebbe la tanto detestabile “regola di comodo” di sostanziale destinazione all’irrilevanza dell’elemento soggettivo. Invero, sottolineano puntualmente i giudici, in tema di rapporto psicologico dell’agente col fatto tipico la “presunzione” di ricostruzione giurisprudenziale nulla aggiunge alla logica più elementare e quindi si può anche ritenere sussistente.

Vero è, infatti, che le norme sanzionate amministrativamente, come quelle tributarie, sono quasi sempre fattispecie costruite sulla mera descrizione di un’azione vietata o imposta. Da tanto consegue che essendo vietata un’azione è difficile immaginare un’ipotesi in cui il divieto venga violato senza colpa, ed anche senza dolo, una volta riconosciuto che l’azione sia cosciente e volontaria.

Tanto premesso, nel settore di maggior effettivo interesse, ossia in quello dell’errore, la necessità della colpa è ben chiaramente ammessa e la relativa dimensione probatoria risulta il vero nodo da sciogliere.

Superato ogni superficiale richiamo alla “irrilevanza della colpa” i giudici si interrogano allora sulla possibilità di aderire alla ricostruzione della fattispecie dell’errore di fatto in termini di eccezione di parte ed in che misura.

In definitiva, si evidenzia, ove voglia accogliersi la tesi della “presunzione di colpa”, occorre comunque ricordare che la stessa non ha un fondamento normativo, ma un fondamento logico. In questo contesto, l’errore non può che essere dedotto da chi erra posto che lo stato di errore non può essere conosciuto da altri. In verità, si chiarisce, talvolta è la stessa evidenza dei fatti accertati a lasciare intendere l’errore, tuttavia il senso del riferimento al “divieto di rilevazione d’ufficio” andrebbe inteso come un richiamo all’esigenza che il soggetto in errore acquisisca questa evidenza incentrando su di essa il contraddittorio. Da questa esigenza, deriva, osservano puntualmente i giudici, più un onere di ragionevole allegazione, che di prova. Completando il percorso motivazionale della pronuncia, si afferma poi che pur volendo passare dall’onere di ragionevole allegazione a quello di prova, può ritenersi, per quanto concerne l’ipotesi dell’errore di fatto, quale scusante in ambito tributario, che il contribuente, che allega tale errore, possa fornirne la dimostrazione anche con lo strumento delle presunzioni ed anche sulla base degli atti di causa, senza dover necessariamente apportare un aliquid novi.

Nell’apprezzabile intento di fornire un inquadramento quanto più possibile compiuto dei profili indagati, viene altresì osservato che ove l’errore sia sul “precetto tributario” la prova da dare, ovvero la ragionevole allegazione, non riguarderebbero il mero errore, ma l’errore determinato dalle speciali cause previste (cfr. Cass. civ., sez. II, 29 marzo 2024 , n. 8588 in materia di sanzioni amministrative ordinarie). Viene qui, dunque, solo lambita la complessa ed articolata tematica relativa alla possibilità per il giudice tributario di intervenire motu proprio per la disapplicazione della sanzione in caso di incertezza normativa. A favore della soluzione affermativa rileverebbe, fra le molteplici ragioni, proprio la natura afflittiva della sanzione tributaria, la cui autonomia concettuale dal tributo è ampiamente affermata (Cass., 6 aprile 2022, n. 11111). In estrema sintesi, in linea con quanto avviene nella materia penale, non pare che possano esserci preclusioni all’accertamento anche officioso dell’elemento soggettivo della sanzione, così come non pare che il giudice penale potrebbe esimersi, indipendentemente da allegazioni delle parti, dal verificare se l’imputato abbia tenuto un atteggiamento psicologico rimproverabile in termini di colpa o dolo ( in tal senso per una serie di più ampie e pertinenti considerazioni, si veda Tortorelli M., L’incertezza interpretativa della norma e la disapplicazione della sanzione tributaria fra principio della domanda e potere officioso del giudice, in Riv. tel. dir. trib., 2024, 2, pubblicato online il 9 luglio 2024, www.rivistadirittotributario.it, il quale conclude nel senso che ferma l’immanenza del principio di proporzionalità e la natura afflittiva della sanzione tributaria, si dovrebbe privilegiare l’opzione interpretativa dell’intervento d’ufficio del giudice, inteso quale forma ordinaria di ripudio della collettività verso una sanzione afflittiva, ma sproporzionata che colpisce il singolo individuo).

Fermo quanto esposto, i giudici concludono per l’esclusione della colpa ed il conseguente annullamento dell’accertamento in punto di sanzioni.

In definitiva, in un contesto connotato da una significativa sottovalutazione della colpevolezza e dalla vaghezza dei limiti della prova negativa richiesta al presunto autore della violazione, l’iter argomentativo seguito nella sentenza in esame non può che lasciarsi complessivamente apprezzare. Emerge infatti in maniera nitida che l’elemento soggettivo, quale fatto costitutivo indefettibile della responsabilità, deve essere positivamente accertato. Né soprattutto, nei termini rappresentati, può presumersi la colpevolezza.

3. Come detto, segnando una inversione di rotta rispetto al sistema previgente che configurava una sorta di accessorietà, sotto il profilo soggettivo, tra il rapporto tributario e quello tributario sanzionatorio, con conseguente sostanziale mancanza di responsabilità in capo all’autore materiale dell’illecito, la disciplina vigente, dettata sul modello penalistico, rende invece espressamente applicabili alle sanzioni tributarie gli schemi interpretativi elaborati dalla giurisprudenza penale in tema di elemento soggettivo.

Da tanto consegue che la punibilità per le violazioni tributarie postula innanzitutto che l’azione o l’omissione siano coscienti e volontarie ed altresì colpevoli, e cioè che si possa rimproverare all’agente di avere tenuto un comportamento, se non necessariamente doloso, quanto meno negligente.

Tirando le fila del discorso, stante la natura “penale” delle sanzioni amministrative tributarie nel significato proprio del diritto internazionale e costituzionale, dovrebbe imporsi in via generale l’applicazione del fondamentale principio garantistico di presunzione di non colpevolezza così come sancito dalla giurisprudenza europea sulla base dell’art. 48, par. 1, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea («Ogni imputato è considerato innocente fino a quando la sua colpevolezza non sia stata legalmente provata») nonché dell’art. 6, par. 2, della CEDU («Ogni persona accusata di un reato è presunta innocente fino a quando la sua colpevolezza non sia stata legalmente accertata»). Orbene, se si ritiene che alle fattispecie sanzionatorie ‘punitive’ si applichi la presunzione di non colpevolezza, ne discende – quale corollario applicativo – che esse siano assoggettate al rigoroso standard probatorio dell’oltre ogni ragionevole dubbio (in tema per puntuali considerazioni si veda Marcheselli A., Imposta evasa, profitto del reato tributario, il mito del doppio binario della prova tra penale e amministrativo e le nuove frontiere del profitto confiscabile, in Riv. tel. dir. trib., 2024, 1, 372 ss.).

Ai fini della nostra indagine questo passaggio logico è di fondamentale importanza per registrare il drastico disallineamento dai fondamentali principi richiamati di quegli orientamenti giurisprudenziali che notoriamente svuotano l’elemento soggettivo dell’illecito.

In maniera convincente, invece, nell’iter argomentativo seguito nella pronuncia annotata, ci si sofferma sulla diligenza, prudenza e perizia esigibile. I giudici, in quest’ottica, si interrogano sulla possibilità o meno per il contribuente di rendersi conto che il visto era apposto da soggetto sprovvisto dei requisiti. Nel caso in esame, è risultato con chiarezza dagli atti che la stessa Amministrazione fiscale si è avveduta del difetto dei requisiti in capo al professionista apponente il visto solo nel 2021, mentre la perdita del requisito assicurativo risaliva al 2016 e la compensazione in questione al 2017. Già questo semplice dato, si osserva, dimostra, all’evidenza, che non si poteva certo pretendere dalla società contribuente una diligenza superiore a quella del fisco stesso nel verificare la sussistenza dei requisiti.

A fronte di questi rilievi non può che apprezzarsi lo sforzo motivazionale che si evince dalla pronuncia teso all’individuazione del modello di diligenza richiesta, elemento totalmente trascurato dietro la formula “la colpa si presume” (diffusamente su questo profilo, Marcheselli A., Considerazioni eterodosse sull’elemento soggettivo delle sanzioni tributarie. Responsabilità oggettiva, gestione del rischio, intelligenza artificiale, deontologia professionale ed etica del profitto, in Riv. tel. dir. trib., 2021, 1, 235 ss.).

Nel caso di specie, facendo di regola le parti affidamento sulle dichiarazioni dei professionisti in ordine alle rispettive abilitazioni e limitandosi all’esame del contesto rassicurante in cui il professionista opera, la verifica del normale operato del professionista ha esaurito l’onere del cliente siccome bonus pater familias (è questa la diligenza richiesta) non vedendosi come la società ricorrente potesse sospettare il difetto di copertura assicurativa del professionista che invece fu naturalmente rilevato dall’Amministrazione destinataria del visto. In effetti, la tesi seguita risolve in modo proporzionato il tema della responsabilità quanto all’atteggiamento soggettivo: il soggetto non avrebbe potuto essere consapevole neanche se avesse usato la esigibile diligenza.

Viene pertanto ribadita l’assoluta pertinenza del principio di colpevolezza al sistema degli illeciti amministrativi tributari sgomberando il campo dagli equivoci che hanno consentito alle interpretazioni tese a relegare in una zona d’ombra il principio in parola di consolidarsi nel formante giurisprudenziale interno.

Si auspica, pertanto, che gli snodi motivazionali della sentenza in commento, rappresentando un importante ‘tassello garantistico’ per arginare la sproporzionata supremazia riconosciuta all’ente impositore nell’utilizzo della leva sanzionatoria, possano positivamente incidere su quegli orientamenti giurisprudenziali che continuano a considerare l’elemento soggettivo dell’illecito sostanzialmente recessivo.

Sotto il profilo delle garanzie, sempre al netto delle differenze funzionali, che legittimano un’azione sinergica ma differenziata dei due paradigmi (amministrativo e penale) di controllo sociale dei comportamenti indesiderati, non possono, infatti, in alcun modo ammettersi deficit o scorciatoie nella riconduzione dei criteri imputativi al principio di personalità/colpevolezza. Diversamente ragionando si aprirebbe un vulnus nell’applicazione dei richiamati principi che rischia in sostanza di tradursi nell’ammissibilità di pure e semplici forme di responsabilità oggettiva.

(*) Il saggio è stato sottoposto a double blind peer review con valutazione positiva. Esso confluirà nel fascicolo n. 2/2024 (semestrale) della Rivista telematica di diritto tributario.

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

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Marcheselli A., Imposta evasa, profitto del reato tributario, il mito del doppio binario della prova tra penale e amministrativo e le nuove frontiere del profitto confiscabile, in Riv. tel. dir. trib., 2024, 1, 372 ss.

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