Spunti in tema di imposizione di registro, disciplina del “prezzo-valore” e società semplici

Di Alessia Funari -

Abstract (*)

Nel saggio s’indaga un tema poco esplorato dalla dottrina e della giurisprudenza tributarie, oltre che – a quanto consta – non specificamente affrontato dalla prassi amministrativa, che riguarda la possibilità di applicare alle società semplici, soprattutto nel caso in cui tutti i soci siano persone fisiche, la disciplina del “prezzo-valore” ai fini dell’imposizione di registro, sul presupposto che essa non costituisce tecnicamente una agevolazione fiscale.

Considerations on registration tax, “price-value” regulation, and simple partnerships – The essay explores a topic that has been scarcely examined by tax doctrine and case law, and, as far as is known, has not been specifically addressed by administrative practice. This topic concerns the possibility of applying the “price-value” regulation to simple partnerships, particularly when all partners are individuals, for registration tax purposes, based on the premise that this regulation does not technically constitute a tax benefit.

Sommario: 1. La questione oggetto di disamina: premessa e distinzioni. – 2. Sulla ratio della limitazione della disciplina alle “persone fisiche che non agiscano nell’esercizio di attività commerciali, artistiche o professionali”. – 3. Sull’equiparabilità delle società semplici, soprattutto se i soci sono tutti individui, alle persone fisiche che non svolgono attività imprenditoriali o artistico-professionali. – 4. E in particolare delle società semplici di mero godimento immobiliare. – 5. La disciplina del “prezzo-valore” non è un’agevolazione fiscale in senso tecnico.

1. Sono molteplici le questioni giuridiche che hanno investito la disciplina del “prezzo-valore”, così come sono numerose le occasioni in cui la dottrina, la giurisprudenza e l’Amministrazione finanziaria si sono confrontante proponendo soluzioni interpretative (talvolta contrastanti) che, di volta in volta, hanno cercato di rimodulare il suo ambito operativo.

Le ragioni di tanto interesse vanno ascritte a diversi fattori, in primis la formulazione testuale della norma e la genericità del meccanismo applicativo.

In relazione al primo aspetto, una problematica ancora inesplorata concerne la possibilità per le società semplici di avvalersi di questo sistema di forfettizzazione della base imponibile.

A ben vedere, si tratta di una questione rilevante tanto sul piano teorico quanto su quello pratico, che può essere affrontato seguendo due differenti approcci.

Il primo, fondato su un ragionamento saldamente ancorato al mero dato testuale e alla natura agevolativa del “prezzo-valore”, conduce ad una soluzione di segno negativo: il riferimento normativo di cui l’art. 1, comma 497, L. n. 266/2005, alle sole “persone fisiche”, sarebbe da interpretare in senso restrittivo e osterebbe al riconoscimento del regime in esame nei confronti delle società di qualunque tipo, ivi comprese le società semplici. Il secondo, sostenuto e argomentato in questa sede, è assiso su ragioni di carattere sistematico che tengono conto non solo dell’evoluzione dell’istituto, ma anche del peculiare trattamento che l’ordinamento giuridico riserva alle società semplici, ivi compreso il comparto tributario.

Come si avrà modo di esporre nel prosieguo, questo secondo approccio mette in evidenza i motivi per i quali la prima posizione non può essere accolta e consente di addivenire ad una soluzione di segno positivo.

2. Come noto, l’art. 1, comma 497, L. n. 266/2005, in esame, stabilisce che, in deroga all’art. 43 D.P.R. n. 131/1986, «per le sole cessioni nei confronti di persone fisiche che non agiscano nell’esercizio di attività commerciali, artistiche o professionali, aventi ad oggetto immobili ad uso abitativo e relative pertinenze, all’atto della cessione e su richiesta della parte acquirente resa al notaio, la base imponibile ai fini delle imposte di registro, ipotecarie e catastali è costituita dal valore dell’immobile determinato ai sensi dell’articolo 52, commi 4 e 5, del citato testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 131 del 1986, indipendentemente dal corrispettivo pattuito indicato nell’atto».

Sugli scopi perseguiti con questa disposizione si sono già scritti contributi di notevole interesse (v. per tutti: Basilavecchia M., L’accertamento del valore di mercato degli immobili, in Corr. trib., 2007, 3, 195 ss.; Consiglio Nazionale Notariato, Studio n. 116/2005/T); mentre, ai fini che qui interessano, è di fondamentale importanza chiedersi perché il legislatore abbia sentito il bisogno di specificare che il cessionario dev’essere una persona fisica che non agisce nell’esercizio di un’attività commerciale, artistica o professionale, mentre si è intenzionalmente disinteressato della qualità del cedente.

Senza anticipare le conclusioni, è plausibile che la ragione risieda nell’esigenza di garantire la continuità del valore imponibile degli immobili quando – e solo se – circolano nel regime d’imposizione del registro (e delle ipocatastali), evitando un salto di imponibile in caso di cessione che dovesse determinare il passaggio al regime dell’IVA.

A conforto di questa ipotesi valgano le seguenti considerazioni.

Se il cedente agisce nell’esercizio di impresa, arte o professione, nulla questio: la disposizione in esame è radicalmente inapplicabile per una ragione che sta a monte dei requisiti in essa descritti e insito nel sistema tributario, e cioè l’assoggettamento di tale cessione a IVA. Diversamente, se il cedente non è soggetto IVA e non aliena in tale veste (rectius, la cessione non è soggetta a imposizione sul valore aggiunto) si apre la strada per il regime impositivo di registro “catastizzato”, che è previsto dalla disposizione de qua.

E infatti, nessun salto di imponibile si verifica, né può verificarsi, quando (e fino a quando) anche il cessionario è un soggetto estraneo al “mondo IVA”, dal momento che il bene immobile circola e continua a circolare col sistema del prezzo-valore. Per contro, si determina un salto in presenza di un cessionario soggetto passivo IVA, atteso che l’applicazione in tale ipotesi di questo criterio comporterebbe la fuoriuscita del bene dal regime impositivo del registro al “valore catastale” e l’ingresso nel regime IVA con circolazione (successiva) a “valore di mercato”.

Dato questo quadro appare evidente che la specificazione “persone fisiche che non agiscano nell’esercizio di attività commerciali, artistiche o professionali” sia stata inserita per evitare un simile effetto e che il suo scopo sia specificamente quello di escludere dal regime in discorso tutti – e soltanto – le persone fisiche che agiscono nella veste di imprenditori, artisti o professionisti, e per i quali la qualità di soggetto passivo ai fini IVA è solo eventuale.

Rebus sic stantibus, sono due i corollari che se ne ricavano: lo spartiacque tra chi può fruire del regime in esame e chi ne risulta invece escluso è rappresentato dalla veste nella quale il cessionario agisce (“esercizio di attività commerciali, artistiche o professionali”), e non invece dalle sue caratteristiche subiettive (persona fisica o società), con la conseguenza che la delineata ratio risulta compatibile con il riconoscimento del prezzo-valore anche in capo alle società semplici (e, per simmetria, anche a tutti gli enti che non svolgono attività commerciale, come ad esempio le fondazioni, le associazioni, le Onlus, ecc.).

3. La disciplina fiscale delle società semplici si caratterizza per la sua spiccata peculiarità rispetto a quella delle altre forme societarie, ivi comprese quelle di natura personale.

Brevemente, e senza alcuna pretesa di esaustività, basti solo ricordare che le società semplici, oltre a non poter svolgere alcuna attività imprenditoriale per espressa previsione normativa, non sono neppure obbligate all’obbligo di tenuta dei libri, delle scritture contabili (art. 6, comma 4, D.P.R. n. 600/1973), alla redazione del bilancio civilistico e determinano il proprio reddito imponibile, ai sensi dell’art. 8, comma 1, TUIR, quale sommatoria delle singole categorie di reddito di cui all’art. 6 TUIR (meno quella dei redditi di impresa, salvo il caso eccezionale di superamento dei limiti previsti dall’art. 32 TUIR), al netto degli oneri deducibili e con esclusione dei redditi assoggettati a ritenuta alla fonte a titolo di imposta o di imposta sostitutiva e dei redditi esenti. I redditi prodotti, più specificatamente, sono qualificati in ragione della loro fonte di produzione, quindi in analogia a quanto accade per le persone fisiche non imprenditori. Oltre ciò, in forza del principio di trasparenza, detti redditi sono imputati – questo al pari delle s.n.c. e delle s.a.s. – direttamente in capo ai soci nel periodo d’imposta di produzione, indipendente dalla percezione e in proporzione alle rispettive quote di partecipazione (in generale sul tema, Zagà S., Le società semplici. Disciplina reddituale e forme di trasparenza fiscale, Milano, 2023, passim; Id., Determinazione, imputazione e tassazione dei redditi delle società semplici, in Preite F. – Busi C.A., a cura di, Trattato delle società di persone, 2015, 3085 ss.; Boria P., Il principio di trasparenza nella imposizione delle società di persone, Milano, 1996, passim; Villani M. – Villani A., Tassazione della società semplice, in Preite F., a cura di, La società semplice, Milano, 2023, 721 ss.).

Tali società, in buona sostanza, «non costituiscono autonomo soggetto passivo d’imposta, ma sono assunti alla stregua di centri di riferimento» (Corte cost., 17 settembre 2020, n. 201) per gli aspetti procedimentali di attuazione del prelievo (rectius, obbligo di dichiarazione ma non di liquidazione della relativa imposta, accertamento ed eventuale contenzioso), tant’è che in dottrina si parla propriamente di «una soggettività strumentale, configurabile soltanto agli effetti del procedimento impositivo ed esclusa, invece, relativamente alla titolarità dell’obbligazione tributaria» (v. Granelli A. E., Profili fiscali delle associazioni non riconosciute e delle società semplici, in Boll. trib., 1988, 85).

Già da queste osservazioni si evince che, per il diritto tributario, si ha una sostanziale “inscindibilità” della società semplice rispetto alle persone. Emblematiche, sul punto, sono anche le numerose pronunce di legittimità ove si riconosce che «nelle società di persone, l’unificazione della collettività dei soci (che si manifesta con l’attribuzione alla società di un nome, di una sede, di un’amministrazione e di una rappresentanza) e l’autonomia patrimoniale del complesso dei beni destinati alla realizzazione degli scopi sociali (che si riflette nell’insensibilità più o meno assoluta, di fronte alle vicende dei soci e nell’ordine, più o meno rigoroso, imposto ai creditori sociali nella scelta dei beni da aggredire) costituiscono un congegno giuridico volto a consentire alla pluralità (dei soci) una unitarietà di forme di azione e non valgono anche a dissolvere tale pluralità, nell’unicità esclusiva di un “ens tertium”» (cfr. Cass. civ., Sez. Un., 4 giugno 2008, n. 14815; ugualmente v. Cass. civ., 20 novembre 2023, n. 32120; Cass. civ., 5 aprile 2006 n. 7886; Cass. civ., 12 marzo 1994, n. 2430).

Se si calano queste considerazioni nel caso di specie risulta che le società semplici costituite tra persone fisiche-non imprenditori sono, in tutto e per tutto, equiparabili soggettivamente alle persone fisiche che non svolgono attività imprenditoriali o artistico-professionali.

4. Peraltro, con specifico riferimento alle società semplici il cui oggetto sociale si sostanzia nella gestione e nella valorizzazione di immobili, vi è un ulteriore elemento di matrice squisitamente fiscale che sospinge nella direzione della perfetta equiparazione tra persone fisiche non imprenditori e società semplici: si tratta dell’art. 29 L. n. 449/1997 (successivamente reiterato: cfr. art. 13, commi 1 e 3, L. n. 28/1999; art. 3, commi 7, 8 e 10, L. n. 448/2001, n. 448; art. 2, comma 1, D.L. n. 282/2002) (sul punto: Consiglio nazionale Notariato, Studio n. 92-2016/T, Trasformazione di società commerciale immobiliare in società semplice – Problematiche fiscali, est. Raponi F.).

Si tratta, in particolare, della disposizione che favoriva la trasformazione in società semplici delle società in nome collettivo, in accomandita semplice, a responsabilità limitata, per azioni e in accomandita per azioni (i.e. delle società “commerciali”), aventi per oggetto esclusivo o principale la gestione di beni sociali (immobili e mobili) iscritti in pubblici registri e non utilizzati come beni strumentali nell’attività propria dell’impresa (per ulteriori approfondimenti, Lupetti M.C., Se siano ammissibili società semplici di mero godimento, in Le Società, 2009, 8, 1026 ss.; sulle società di mero godimento v. Antonini M. – Giannantonio G., La società semplice quale strumento per la gestione del patrimonio immobiliare, in Giannantonio G.A. – Massarotto S., a cura di, La società semplice, Milano, 2022, 149 ss.; De Torres A. – Simonetti P., Le società immobiliari, in Preite F., a cura di, La società semplice, Milano, 2023, 625 ss.; Consiglio nazionale Notariato, Studio n. 73-2016/I, L'”eretica” società semplice di mero godimento immobiliare: riflessioni, est. Baralis G.; Id., Studio 69-2016/I, Dalla società civile alla società semplice di mero godimento, est. Spada; Id. Studio 52-2015/I, Oggetto sociale: società semplice, acquisto di immobili e partecipazioni sociali, est. Paolini A. – Ruotolo A.; Id., Studio 92-2016/T, Trasformazione di società commerciale immobiliare in società semplice – problematiche fiscali, est. Raponi F.).

A seguito della sua entrata in vigore, tanto la giurisprudenza quanto la dottrina hanno evidenziato che l’incentivo in esame ha legittimato l’esistenza di una categoria di società semplici che: (i) possono avere ad oggetto principale o esclusivo la gestione di beni immobili (così Corte d’Appello di Trieste, 23 dicembre 1999, in Società, 2000, 9, 1105 ss., con commento di Bertolissi M. – Romagnoli G. – Salafia V. – Vincenti U., Società immobiliari e comunioni di godimento ex art. 19, L. 449/97: Diritto eccezionale o eccesso di poter legislativo?; ugualmente, Trib. Milano, 10 dicembre 2004, n. 14048; v. anche Cass. civ., Sez. Un., 25 luglio 2022, n. 23051; rilevante è Cognasso O., La trasformazione delle società, in Schlesinger P., diretto da, Commentario al codice civile, Milano, 1990, 52 ss.); e che (ii) il legislatore fiscale ha “disegnato” un tipo di società, inquadrata nel tipo di semplice, la cui causa è quella della comunione e cioè il godimento diretto o indiretto di immobili (Consiglio nazionale Notariato, Studio n. 4256/2003, Una nuova società semplice: la società immobiliare di mero godimento e la società semplice di mero godimento in genere, est. Baralis G., 683 ss.), tipologia che, a ben vedere, non è affatto riconducibile alla nozione generale di ente societario prevista dall’art. 2247 c.c. (il quale, come noto, postula «l’esercizio in comune di una attività economica»), bensì ad un negozio da cui si origina una peculiare forma di comunione di godimento.

In relazione a questa fattispecie – e sotto il profilo tributario – si assiste, dunque e sostanzialmente, a una vera e propria eliminazione della “barriera” rappresentata dallo schermo societario e della connessa autonomia tra soci e società, di talché le persone fisiche de facto assumono direttamente la contitolarità dei beni immobili acquisiti “in società”.

Del resto, era proprio questo lo scopo che il legislatore si era prefisso scegliendo di incentivare la suddetta trasformazione, ammettendo per tale via la stipulazione di negozi apparentemente societari ma (causa l’assenza di attività economica) aventi sostanzialmente a oggetto il mero godimento di immobili (sia pure disciplinato, quanto ai profili dinamici, dalle disposizioni sulla società semplice).

In definitiva, l’opzione in esame «può essere vista come un tentativo di conciliare l’emersione della responsabilità ed il coinvolgimento di chi indirettamente [persone fisiche] beneficia della ricchezza non destinata ad un’attività di creazione di beni o servizi con l’aspirazione a conservare un vincolo di relativa indisponibilità per fini personali per favorire un eventuale futuro esercizio d’impresa» (così, ancora, Bertolissi M. – Romagnoli G. – Salafia V. – Vincenti U., op. cit.).

Alla luce dell’analisi logico-sistematica svolta, sembra ammissibile sostenere che il sintagma “persone fisiche” debba essere interpretato nel senso di “soggetti privati”, ossia di persone fisiche e non, che operano al di fuori dell’esercizio d’impresa, di arti e professioni, cioè diversi dai soggetti passivi ai fini IVA.

Ancora di più se si considera che la disciplina dell’ambito soggettivo di applicazione dell’IVA e dell’imposta di registro non utilizza mai il termine “persone fisiche”, bensì “soggetti passivi”, quindi persone fisiche e non.

5. Si potrebbe obiettare che, nonostante la sostenibilità della ricostruzione prospettata, l’inapplicabilità della norma alle società semplici ben potrebbe farsi discendere dalla sua natura agevolativa, in ossequio al mantra giurisprudenziale secondo cui le norme eccezionali, al cui interno rientrano quelle agevolative, sarebbero di stretta interpretazione,

Una simile obiezione non coglierebbe nel segno.

E infatti, il meccanismo del prezzo-valore non è un’agevolazione, quanto piuttosto un criterio di determinazione della base imponibile, come ben evidenziano la risposta scritta pubblicata il 27 dicembre 2013 nell’allegato al bollettino in Commissione VI (Finanze) 5-01523 avente ad oggetto la richiesta di chiarimenti interpretativi ordine all’art. 10, comma 4, D.Lgs. n. 23/2011 e la circ. 21 febbraio 2014, n. 2/E (come ampiamente osservato da Cannizzaro S., Meccanismo “prezzo valore” e sua evoluzione: impatto sistematico nell’assetto del tributo di registro. Il caso degli atti giudiziari, in Riv. dir. trib., 2024, 1, II, 32 ss.).

In particolare, a seguito della richiesta rivolta al Ministro dell’Economia e delle Finanze di «chiarire quali siano le esenzioni e le agevolazioni tributarie da considerarsi soppresse a decorrere dal 2014, [e] in tale ambito se debba ritenersi soppresso anche l’articolo 1, comma 497, della legge n. 266 del 2005», è stato affermato che il prezzo-valore «si presenta come un sistema forfettario di determinazione della base imponibile e, quindi, non può essere ricondotto tra le previsioni di esenzioni o di agevolazioni cui fa riferimento l’articolo 10, comma 4, del citato decreto legislativo n. 23 del 2011».

In tale senso è stato in modo particolare chiarito che «tale disciplina [del prezzo-valore] che concretizza un sistema forfettario di determinazione della base imponibile non può essere ricondotta nell’ambito delle previsioni agevolative in termini di riduzione di aliquote, di imposte fisse o di esenzione dall’imposta di registro, cui deve intendersi riferito l’articolo 10, comma 4, del decreto e pertanto, la sua applicazione risulta confermata anche per gli atti stipulati in data successiva al 1° gennaio 2014».

Ciò è assorbente di ogni altra considerazione.

Merita, in ogni caso, di essere evidenziato che, secondo autorevolissima dottrina, anche le disposizioni che prevedono agevolazioni in senso tecnico non devono considerarsi sempre e necessariamente eccezionali, ben potendo essere espressione di un’esigenza di ordine generale, con la conseguenza di poter essere suscettibili di integrazione analogica o interpretazione estensiva (cfr. Falsitta G., Manuale di Diritto Tributario. Parte Generale, Milano, 2017, 201 ss., ma v. anche La Rosa S., Sul concetto di «primo impianto di stabilimento industriale» e sull’interpretazione delle esenzioni, in Riv. dir. fin. sc. fin, 1967, II, 403 ss., laddove sostiene che l’estensione analogica delle norme agevolative, ove possibile, «lungi dal ledere i principi del diritto tributario, possono risultare necessarie ai fini del coerente perseguimento delle scelte politiche alle quali si ispirano»; in giurisprudenza, v. Cass. civ., 15 novembre 2017, n. 27016, commentata da Fedele A., La Cassazione e l’interpretazione delle norme di agevolazione tributaria: primi segnali di un nuovo orientamento?, in Riv. tel. dir. trib., 2018, 2, 5 ss.).

In definitiva, è compito dell’interprete «distinguere le norme agevolative eccezionali (insuscettibili di interpretazione analogica) dalle norme agevolative inquadrabili in ‘principi-limite’ del sistema tributario, suscettibili di interpretazione analogica» (così Moschetti F. – Zennaro R., Agevolazioni fiscali, in Digesto, IV ed., Torino, 1988, 84 ss.; v. anche Moschetti F., Le esenzioni fiscali come “norme limite suscettibili di interpretazione analogica”, in Giur. it., 1976, I, 153 ss.; Id., Problemi di legittimità costituzionale e principi interpretativi in tema di agevolazioni tributarie, in Rass. trib., 1986, 355 ss.).

6. Da ultimo, occorre esaminare per completezza la sentenza del 23 gennaio 2014, n. 6, con la quale la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 1, comma 497, L. n. 2006/2005, nella parte in cui non consentiva l’applicazione del meccanismo in esame all’acquisto di immobili abitativi operati in sede di espropriazione forzata o a seguito di pubblico incanto (per ulteriori approfondimenti v. Cannizzaro S., La Corte costituzionale interviene sul “prezzo valore” e ne estende il campo di applicazione, in GT – Riv. giur. dir. trib., 2014, 6, 489 ss.).

Nell’argomentare i motivi per i quali si è reso necessario estendere la disciplina del prezzo-valore anche alle cessioni di immobili abitativi operate in sede di espropriazione forzata o asta pubblica, il giudice delle leggi ha affermato che «la mera differenziazione del contesto acquisitivo del bene non è dunque sufficiente a giustificare la discriminazione di due fattispecie caratterizzate da una sostanziale omogeneità (sentenze n. 328 del 1983, n. 156 del 1976 e n. 39 del 1970), in particolare, con riguardo all’esclusività del diritto potestativo concesso all’acquirente in libero mercato».

Parafrasando, quindi, l’estensione del regime a ipotesi diverse da quelle originariamente contemplate è sostanzialmente dipesa dalla necessità di adottare un criterio uniforme di determinazione della base imponibile in relazione a fattispecie che presentavano le stesse caratteristiche oggettive. Ad ulteriore conforto è possibile richiamare le sentenze n. 328/1983, n. 156/1976 e n. 39/1970, ove la questione di legittimità concerneva l’estensione dell’ambito di applicazione di talune previsioni inerenti alla determinazione della base imponibile, in forza della disparità di trattamento tra fattispecie omogenee che le norme indubbiate venivano a creare, non invece l’estensione del regime per identità di ratio. E non deve indurre in errore interpretativo l’inciso in cui si afferma che il prezzo-valore esprime «anche un’evidente valenza agevolativa, laddove consente al contribuente di non scegliere immancabilmente, tra i diversi criteri di determinazione della base imponibile, quello fondato sul valore “tabellare”»: invero, appurate le ragioni poste a fondamento della decisione, appare evidente che la Consulta abbia messo in evidenza non la natura derogatoria del sistema opzionale, quanto piuttosto il vantaggio discendente dalla sua applicazione.

Tirando le somme, e in conclusione, per i contribuenti che non sono soggetti passivi IVA il prezzo-valore è, in sostanza, il principale regime per la determinazione della base imponibile nei casi di trasferimento di immobili abitativi – sempre che, chiaramente, si realizzi di pari passo la revisione delle rendite catastali –, mentre il criterio del valore venale o del corrispettivo assume un ruolo residuale, essendo applicabile solo a seguito del mancato esercizio dell’opzione e qualora siano inferiori al valore determinato su base catastale.

Tale opzione si configura come una manifestazione di volontà al pari di quelle che il contribuente formula in sede di dichiarazione tributaria e ai fini della determinazione del reddito, oppure in tutti i casi di tassazione sostitutiva.

(*) Il saggio è stato sottoposto a double blind peer review con valutazione positiva. Esso confluirà nel fascicolo n. 2/2024 (semestrale) della Rivista telematica di diritto tributario.

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