Brevi considerazioni su “motivi specifici” di appello nel processo tributario e distinzione tra riproposizione “mera” e appello incidentale
Di Alberto Mula
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(commento a/notes to Cass. n. 3218/2024 e n. 3277/2023)
Abstract (*)
In ambito tributario, sul tema dei motivi specifici di appello, la giurisprudenza della Corte di Cassazione mostra un atteggiamento particolarmente indulgente. Si ritengono infatti rituali, a talune condizioni, anche atti di gravame confezionati mediante una riproposizione dei motivi già contenuti nel ricorso in primo grado o nella motivazione dell’atto impugnato. Più rigoroso, invece, l’approccio che, da qualche tempo, la Suprema Corte ha assunto nei confronti della parte vittoriosa sulla domanda, ma soccombente su talune questioni. In tal caso, infatti, si ritiene che per la devoluzione in appello di queste ultime sia necessario un appello incidentale e non sia sufficiente invece la mera riproposizione ex art. 56 D.Lgs. n. 546/1992. Sennonché, in materia tributaria, proprio la necessità di tracciare una distinzione tra questi due strumenti nasconde il rischio di addossare all’appellante incidentale (soccombente su questioni) oneri più stringenti di quelli ai quali è subordinata la ritualità dei motivi nell’ambito dell’appello principale.
Brief remarks about specific grounds for appeal in tax process and the distinction between “mere” re-proposal and incidental appeal – In the tax field, on the subject of specific grounds for appeal, the jurisprudence of the Supreme Court shows a particularly indulgent attitude. Indeed, even acts of appeal characterized by a restatement of the grounds already contained in the appeal at first instance or in the grounds of the administrative decision are considered ritual, under certain conditions. More rigorous, however, is the approach that the Supreme Court has taken in relation to the party which succeeds on the judicial request, although losing on certain issues. In this case, in fact, it is believed that a cross-appeal is necessary for the devolution of the latter to the judge of second instance, and instead, the mere reproposal of the issue under Article 56 of Legislative Decree 546/1992 is not sufficient. However, in tax matters, the need to draw a distinction between these two instruments conceals the risk of placing more stringent burdens on the cross-appellant (losing on some issues) than those to which the validity of the grounds in the main appeal is subject.
Sommario: 1. Premessa. – 2. L’orientamento della Suprema Corte sui “motivi specifici” in appello. – 3. L’orientamento della Suprema Corte in tema di distinzione tra appello incidentale (condizionato) e riproposizione. – 4. Riflessioni in ordine alla necessità di una applicazione cauta dell’orientamento relativo alla necessità dell’appello incidentale su questioni. – 5. Conclusioni.
1. Due recenti pronunce di legittimità – relative alle modalità di devoluzione in appello (e, in particolare, nel processo tributario) delle “questioni” già decise in primo grado – pur riproduttive di indirizzi ormai largamente prevalenti nella giurisprudenza di vertice, rischiano di condurre, a parere di chi scrive, a conclusioni tra loro scarsamente coerenti su temi che, invece, per la loro consonanza, richiederebbero analogia di soluzioni. Circostanza questa che si intende segnalare, vista la rilevanza (sul piano pratico, oltreché teorico) del tema in esame.
2. Con il primo dei due segnalati arresti (Cass. n. 3218/2024), la Suprema Corte ribadisce il proprio orientamento secondo cui, nel processo tributario, la previsione dell’art. 53 D.Lgs. n. 546/1992 (che condiziona l’ammissibilità del ricorso in appello alla presenza di “motivi specifici d’impugnazione”) non osta a che un atto di gravame possa essere confezionato mediante riproduzione dei motivi già contenuti nel ricorso in primo grado (se l’appellante è il contribuente, cfr. Cass. n. 20379/2017; n. 32838/2018) o nella motivazione dell’atto impugnato (se l’appellante è l’ufficio, Cass. n. 802/2011; n. 13007/2015; n. 16037/2017; n. 23532/2018; n. 1315/2018). Purché, beninteso, alla luce della “struttura” della sentenza appellata, le ragioni di critica alla stessa risultino evincibili, anche solo per implicito, dal confronto tra la motivazione e la riproduzione dei precedenti argomenti (sul tema si veda, Ginanneschi S., È inammissibile l’appello che si limita a riprodurre i motivi del ricorso introduttivo?, in Corr. trib., 2016, 46, 3561).
Questo primo orientamento, a nostro avviso, risulta condivisibile, nei termini qui di seguito esposti.
I “motivi” in appello, come noto, consistono primariamente nell’identificazione delle “questioni” dalla cui soluzione discende, nella prospettiva dell’appellante, la diversa decisione in ordine alla domanda giudiziale. Essi riflettono, cioè, la necessità che l’appello, lungi dall’investire puramente e semplicemente della causa il secondo giudice, identifichi la ratio decidendi posta (o le rationes decidendi poste) a sostegno della decisione di primo grado e, con essa, le questioni dalla cui diversa soluzione può derivare un diverso esito della controversia.
La previsione, in altri termini, mira a sanzionare, con l’inammissibilità, quelle ipotesi in cui i motivi a base del gravame non sono in grado, neppure in astratto (e, cioè, nella prospettiva dell’appellante), di produrre una modificazione della decisione sulla domanda. Come nel caso in cui l’ufficio, di fronte ad una pronuncia di tardività dell’azione accertativa, abbia poi proposto appello ribadendo esclusivamente le questioni sostanziali contenute nella motivazione dell’accertamento. Per converso, se nell’atto di appello, a prescindere dalle espressioni utilizzate dall’appellante, emergono le questioni che si intendere devolvere al secondo giudice (pur se attraverso la riproduzione degli argomenti già esposti in prime cure) e dette questioni sono in grado di intercettare il “senso” della decisione, il giudizio in ordine alla “specificità” dei motivi può essere positivo, laddove le ragioni di censura emergano anche solo per “incompatibilità” tra motivazione e argomenti presenti nell’appello.
Del resto, persino in ambito civilistico, in cui si registra un maggior rigore nell’applicazione delle corrispondenti (e più stringenti) regole processuali, pur identificata nei motivi di appello la duplice funzione di “determinare i limiti della devoluzione” (cd. parte volitiva dei motivi), da una parte, e di “indicare le ragioni dell’appello”, dall’altra (c.d. parte argomentativa secondo il linguaggio della giurisprudenza, Cass., Sez. Un., n. 27199/2017), si ritiene che sia la prima quella di “importanza prevalente” rispetto alla seconda (così Luiso F.P., Appello nel diritto processuale civile, in Dig. disc. priv., sez. civ., vol. I, Torino, 1987, 367).
A ciò deve aggiungersi la minor rigidità che, su questo profilo, ha dimostrato – ormai tradizionalmente – la giurisprudenza tributaria rispetto a quella civilistica (probabilmente in ragione della natura pubblicistica del rapporto controverso, che ha da sempre costretto ogni emersione del principio dispositivo – di cui i motivi in appello costituiscono applicazione – entro margini più ristretti di quelli in cui esso si muove nel processo civile).
Del resto, anche sul piano normativo, la fase di appello per come disciplinata in seno al D.Lgs. n. 546/1992 è risultata per lo più impermeabile al processo di progressivo avvicinamento al modello impugnatorio che ha invece interessato – per effetto delle concorrenti spinte del legislatore, della giurisprudenza e della più moderna dottrina – la correlativa fase in ambito processualcivilistico (si veda, in proposito, Pistolesi F., L’appello nel processo tributario, Torino, 2002, passim, spec. 551, in cui si è ritenuto l’appello nel processo tributario ispirato comunque al modello del novum iudicium, pur a fronte di indirizzi nel settore del processo civile, prevalenti nel senso della sua rispondenza al modello della revisio prioris instantiae quando non anche addirittura ad un vero e proprio giudizio impugnatorio. A quest’ultimo proposito, si veda, ad esempio, Poli R., I limiti oggettivi delle impugnazioni ordinarie, Padova, 2002, passim, e più di recedente, Id., “Parte di sentenza” e formazione del giudicato interno, in Judicium, 2021, 115).
Tutte considerazioni queste che, ad avviso di chi scrive, inducono ad un giudizio di sostanziale condivisione dell’orientamento in esame.
3. A maggior rigore, rispetto all’orientamento cui si è appena fatto riferimento, appare informato, invece, l’atteggiamento assunto dalla Suprema Corte (tra le ultime si veda Cass. n. 3277/2023) sul tema “simmetrico” delle modalità di devoluzione al giudice (anche tributario) di appello, delle questioni preliminari sulle quali la parte vittoriosa in primo grado sia risultata (virtualmente) soccombente.
In proposito, infatti, l’orientamento della giurisprudenza, fino a qualche tempo fa, era prevalentemente nel senso che la parte vittoriosa sulla domanda, per poter devolvere in appello questioni (“preliminari” o alternative) non accolte dal giudice di prime cure, potesse limitarsi a “riproporle” in secondo grado. Per esemplificare, quindi, in base a tale orientamento, il contribuente vittorioso in forza di un motivo di diritto sostanziale, ma che avesse visto respinta una censura afferente la tempestività dell’avviso di accertamento, poteva (e doveva), per devolvere quest’ultima al giudice di appello, provvedere alla sua “riproposizione” ex art. 56 D.Lgs. n. 546/1992.
Sennonché, ormai da qualche tempo, la Suprema Corte ha mutato indirizzo e precisato che, per investire il giudice di appello di tali questioni è necessaria (trattandosi di questioni affrontate e respinte in primo grado) una specifica censura da spendersi, ad opera dell’appellato, all’atto della costituzione in giudizio. In definitiva: è necessario un vero e proprio “appello incidentale”, non essendo sufficiente una riproposizione “mera” ex art. 56 D.Lgs. n. 546/1992 (in proposito, cfr. Cass., Sez. Un., n. 11799/2017 in ambito civile e, successivamente, Cass. n. 23786/2017 in ambito tributario, su cui Pistolesi F., La delimitazione dei confini fra riproposizione delle questioni non accolte ed appello incidentale nel processo tributario ed i relativi riflessi sulla nozione di interesse ad appellare, in Rass. trib., 2018, 1, 243. Sul tema, con specifico riferimento al processo tributario, si veda anche Fanni M. – Salvaneschi L., La problematica distinzione tra impugnazione incidentale e riproposizione devolutiva in appello di domande ed eccezioni dedotte in primo grado, in GT – Riv. giur. trib., 2017, 2, 147. Ribadisce, in materia tributaria, il principio, da ultimo Cass. n. 3277/2023, che ha affermato la necessità di un appello incidentale – e, cioè, di una specifica censura – anche nei confronti di decisioni implicite di rigetto).
Il tema – che può essere qui solo accennato – è rilevantissimo sul piano teorico, riguardando i fondamenti della teoria del processo civile (e, cioè, le nozioni di soccombenza, di interesse a impugnare, e – infine – di giudicato).
Premesso che, naturalmente, il confine tra appello incidentale e riproposizione delle questioni “non accolte” è tracciato dal concetto di soccombenza, il problema è – in sintesi – se quest’ultima vada a tal fine riferita alle “domande” (come si ritiene in base all’impostazione tradizionale) ovvero, a monte, alle “questioni” (come ritiene oggi la giurisprudenza più recente). E, cioè, se sia “capo” (o “parte”) di sentenza (idoneo, se non impugnato – anche in via incidentale per l’appunto – a passare in giudicato, ai sensi dell’art. 329, comma 2, c.p.c.) solo quello che, per l’appunto, decide su “domande” o anche quello che riguarda, all’“interno” di ciascuna di queste ultime, singole “questioni”.
Come si diceva, in base all’impostazione tradizionale (che si fa risalire a Chiovenda G., Principi di diritto processuale civile, Napoli, 1980, Ristampa, 906 ss. e che pare ancora prevalente nella letteratura processualtributaria, cfr. per tutti Basilavecchia M., Funzione impositiva e forme di tutela, Torino, 2018, 167; Russo P., Manuale di diritto tributario. Il processo tributario, Milano, 2013, 304), l’idoneità al giudicato è attributo della porzione della sentenza di prime cure con cui si assegna il bene della vita dedotto in giudizio (e non già dell’articolazione delle relative ragioni). Sicché, è solo in relazione alla domanda (e indipendentemente dalle ragioni della relativa decisione) che può determinarsi effettivamente la soccombenza e così l’interesse ad impugnare. Di qui, la conclusione che la riproposizione “mera”, ex art. 56 D.Lgs. n. 546/1992, sia sufficiente non solo in relazione alle questioni (così come alle domande) assorbite (ciò che è pacifico), ma anche con riguardo a quelle che risultino respinte nell’ambito di una pronuncia di accoglimento della domanda (per ragioni, ovviamente, diverse da quelle non condivise in sentenza) (in proposito, si veda, ad esempio, Garbagnati E., Questioni pregiudiziali – dir. proc. civ., in Enc. dir., XXXVIII, Milano, 1987, 75 ove anche la distinzione tra capo della sentenza ai fini del giudizio di appello – identificato, come si diceva, nel capo di domanda – e ai fini del ricorso per cassazione, identificato nella decisione su questioni).
A fianco a questa dottrina tradizionale, si è fatta strada da tempo – ed è ormai prevalente in ambito processualcivilistico – un’impostazione che riconnette il capo (o parte) di sentenza e il concetto di soccombenza (e, con esse, l’idoneità al giudicato) alle singole questioni. Da questa impostazione – che non è limitata al profilo che ci occupa ma è più rilevante e più estesa (si pensi all’orientamento in tema di giudicato esterno in tema di imposte periodiche, su cui Cass., Sez. Un., n. 13916/2006 e, più in generale, nel processo civile, si veda Dalfino D., Questioni di diritto e giudicato, contributo allo studio dell’accertamento delle fattispecie preliminari, Torino, 2008, passim), discende, tra l’altro che, in caso di soccombenza (virtuale) su singole questioni, per impedire il passaggio in giudicato del relativo capo di sentenza, sia necessaria comunque la proposizione di un appello incidentale (il quale non potrà che essere condizionato, pena la carenza di interesse ad impugnare, all’accoglimento dell’impugnazione principale).
Questa diversa – e più nuova – impostazione ha una duplice ricaduta pratica.
Da un lato, la già riferita necessità – insita nell’appello e, invece, neppure concepibile in relazione alla riproposizione – che la devoluzione sia condizionata alla spendita di una specifica ragione di critica alla sfavorevole soluzione che (anche implicitamente) il primo giudice abbia dato ad una certa questione.
Dall’altro, il regime decadenziale al quale sono soggetti i due strumenti. Tanto è senz’altro vero quanto al processo civile (come si vedrà di qui a poco) e potrebbe rischiare di esserlo anche nel processo tributario, considerato che, prima facie, e salvo quanto si dirà in seguito, ai sensi dell’art. 56 D.Lgs. n. 546/1992, la mera riproposizione potrebbe apparire svincolata dal rigido termine – di sessanta giorni dalla notificazione dell’appello principale – previsto per la proposizione dell’appello incidentale ai sensi degli artt. 54 e 23 D.Lgs. n. 546/1992.
4. A nostro avviso, quest’ultimo orientamento, del quale non si intende discutere le basi teoriche (peraltro condivise dalla più moderna letteratura processualcivilistica) – dovrà essere applicato, quanto meno in materia tributaria, con grande cautela per non incorrere nel paradosso di richiedere all’appellante incidentale (soccombente su questioni) oneri più stringenti di quelli richiesti all’appellante principale (soccombente sulla domanda).
In proposito, è ovvio che, anche in ipotesi di soccombenza (teorica), spetterà al giudice di appello verificare se, nelle difese della parte appellata, sia rintracciabile una ragione di critica sufficientemente specifica al capo di sentenza con cui si è decisa sfavorevolmente una questione, senza che, in tale ricognizione, possa aver rilievo la qualificazione attribuita dalla stessa parte appellata allo strumento di devoluzione utilizzato.
Sarà quindi (anche qui) decisivo verificare se, nel concreto del “fatto processuale”, la mera reiterazione delle ragioni già illustrate in primo grado, e non accolte espressamente dai primi giudici, possa essere considerata una “censura” tale da integrare gli estremi di un “appello” (incidentale). In tale valutazione – ed è questo il senso di queste note – non potrà certo utilizzarsi, nell’ambito del processo tributario, un criterio di valutazione diverso da quello (più benevolo) applicato per l’appellante principale. Ciò che potrebbe condurre, perlomeno in alcuni casi, ad una maggior “flessibilità” della distinzione.
In altri termini, della maggior flessibilità dimostrata dalla giurisprudenza tributaria sul tema dei motivi specifici, dovrà tenersi conto a nostro avviso anche ai fini dell’applicazione concreta di questo secondo orientamento. E tanto al fine di evitare che, con l’intento di distinguere la mera riproposizione dall’appello incidentale, si finisca per automaticamente qualificare nell’ambito della prima (con conseguente inidoneità alla devoluzione) la riproduzione di argomenti già esposti in primo grado. Riproduzione che, invece, alla luce di quanto si è detto, potrebbe superare la valutazione di specificità dei motivi ai fini della proposizione dell’appello principale. In altri termini ancora, è evidente che, dal minor rigore dimostrato dalla giurisprudenza di legittimità su quest’ultimo tema non può che discendere il medesimo approccio anche quanto alla valutazione circa la specificità delle censure spese in caso di soccombenza su questioni.
Il rischio che l’orientamento in esame possa prestarsi ad applicazioni eccessivamente rigorose, del resto, è dimostrato, a nostro avviso, dalla seconda delle sentenze che qui si commentano (Cass. n. 3277/2023). In quella sede, infatti, interpretato il silenzio del primo giudice su un profilo (asseritamente) preliminare alla stregua di una decisione implicita di rigetto, si è ritenuto che la riproduzione della relativa questione, per come già testualmente esposta in prime cure, non sarebbe stata idonea ad integrare gli estremi di un “appello incidentale”, vista l’assenza di una ragione di critica, nelle difese della parte appellata, nei confronti di detto capo (implicito) di sentenza.
Ebbene, questa soluzione, a nostro avviso, si scontra innanzitutto con le gravi incertezze connesse all’accertamento di una decisione implicita di rigetto, trattandosi di nozione dai confini assai indefiniti alla luce tanto della difficoltà di rinvenire un rapporto di “naturale” antecedenza logica tra più questioni (tutte) di merito quanto dell’eventualità che il giudice opti per la decisione di una questione logicamente successiva in base al criterio della “ragione più liquida” (sul tema Biavati P., Appunti sulla struttura della decisione e l’ordine delle questioni, in Riv. trim. dir.proc. civ., 2009, 4, 1301 ss., da ultimo, Villa A., La graduazione delle questioni di merito, Torino, 2023, passim, cui si rinvia per ulteriori indicazioni bibliografiche). Ma, soprattutto, la soluzione fatta propria dalla riferita pronuncia appare, a nostro avviso, viziata dal tentativo di esigere una ragione specifica di censura a fronte di un capo di sentenza implicito (e, cioè, di fatto, assente). Circostanza questa incongrua nel giudizio di appello, stante la sua natura sostitutiva che non ammette (salve le ipotesi di cui all’art. 59 D.Lgs. 546/1992), censure di vero e proprio annullamento finalizzate alla rimessione al primo giudice (imponendo correlativamente, e in ogni caso, la spendita di soli motivi di diritto sostanziale).
D’altra parte, e venendo alla seconda delle ricadute applicative già accennate al paragrafo precedente (quella “temporale”), essa è tanto meno rilevante di quella “strutturale” alla quale si è fatto cenno.
Infatti, allo stato della giurisprudenza (si veda in proposito, Trivellin M., I termini per la riproposizione in appello delle questioni “non accolte” nel processo tributario, in Riv. dir. trib., 2024, 3, I, 261), nel processo tributario (diversamente che nel rito civile) appare ormai prevalente l’orientamento, già suggerito da autorevole dottrina (Russo P., Manuale di diritto tributario, Il processo tributario, Milano 2013, 305), e a nostro avviso condivisibile, secondo cui il termine di sessanta giorni dalla notifica dell’appello principale, previsto dagli artt. 54 e 23 D.Lgs. n. 546/1992 per la costituzione dell’appellato, dovrà essere rispettato non solo per la proposizione, ad opera di quest’ultimo, dell’appello incidentale, ma altresì per la riproposizione delle questioni assorbite che si intenda mantenere acquisite alla dinamica processuale (così Cass. n. 485/2022; n. 10098/2021; n. 28963/2020; Cass. n. 26830/2014; Cass. n. 17950/2012).
Nell’ambito del processo civile, invece, la riproposizione di domande e questioni ex art. 346 c.p.c. è subordinata ad un termine diverso – e meno stringente – rispetto a quello relativo all’appello incidentale. Infatti, se quest’ultimo, come noto, va proposto, ex art. 343 c.p.c., nella comparsa di risposta tempestivamente depositata non oltre venti giorni prima rispetto all’udienza di comparizione, la riproposizione può avvenire invece, secondo la giurisprudenza, nel «primo atto difensivo e comunque non oltre la prima udienza» Cass., Sez. Un. n. 7940/2019). Muta quindi, in ragione dello strumento, anche il regime decadenziale. Non invece nel processo tributario, in cui, ripetesi, i termini decadenziali, secondo l’ormai prevalente giurisprudenza di legittimità, finiscono per coincidere. Sicché, anche sotto questo profilo, l’esigenza del rispetto di una diversa tempistica (prevista per l’appello incidentale) non pare in alcun modo rilevante.
5. Le riflessioni condotte pongono in evidenza come, dietro la rigida contrapposizione tra riproposizione e appello incidentale, se non cautamente applicata, possa nascondersi il rischio di addossare all’appellante incidentale soccombente su questioni oneri più stringenti di quelli ai quali è subordinata la ritualità dei motivi nell’ambito dell’appello principale. Rischio questo tanto più rilevante nel processo tributario in cui la giurisprudenza di legittimità, ormai tradizionalmente, si è dimostrata particolarmente indulgente nella valutazione del requisito di specificità dei motivi (complice, probabilmente, anche una sorta di indifferenza, negli ultimi anni, della normativa sull’appello nel processo tributario alle molteplici evoluzioni registratesi in sede civile).
Naturalmente, e in conclusione, v’è da domandarsi se detto approccio meno rigoroso quanto alla valutazione circa la specificità dei motivi persisterà anche in futuro, pur a fronte delle ultime modifiche normative che, precludendo la produzione dei documenti nuovi in appello, prefigurano un maggiore avvicinamento dell’appello tributario a quello civile.
(*) Il saggio è stato sottoposto a double blind peer review con valutazione positiva. Esso confluirà nel fascicolo n. 2/2024 (semestrale) della Rivista telematica di diritto tributario.
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE:
Basilavecchia M., Funzione impositiva e forme di tutela, Torino, 2018, 167
Biavati P., Appunti sulla struttura della decisione e l’ordine delle questioni, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2009, 4, 1301 ss.
Dalfino D., Questioni di diritto e giudicato, contributo allo studio dell’accertamento delle fattispecie preliminari, Torino, 2008
Fanni M. – Salvaneschi L., La problematica distinzione tra impugnazione incidentale e riproposizione devolutiva in appello di domande ed eccezioni dedotte in primo grado, in GT –Riv. giur. trib., 2017, 2, 147 ss.
Garbagnati E., Questioni pregiudiziali – dir. proc. civ., in Enc. dir., XXXVIII, Milano, 1987, 75 ss.
Ginanneschi S., È inammissibile l’appello che si limita a riprodurre i motivi del ricorso introduttivo?, in Corr. trib., 2016, 46, 3561 ss.
Luiso F.P., Appello nel diritto processuale civile, in Dig. disc. priv., sez. civ., vol. I, Torino, 1987, 367
Pistolesi F., La delimitazione dei confini fra riproposizione delle questioni non accolte ed appello incidentale nel processo tributario ed i relativi riflessi sulla nozione di interesse ad appellare, in Rass. trib., 2018, 1, 243 ss.
Poli R., I limiti oggettivi delle impugnazioni ordinarie, Padova, 2002, passim
Poli R.,“Parte di sentenza” e formazione del giudicato interno, in Judicium, 2021, 2, 115 ss.
Russo P., Manuale di diritto tributario. Il processo tributario, Milano, 2013, 304
Trivellin M., I termini per la riproposizione in appello delle questioni “non accolte” nel processo tributario, in Riv. dir. trib., 2024, 3, I, 261ss.
Villa A., La graduazione delle questioni di merito, Torino, 2023
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Diritti degli interessati
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1. L’interessato ha diritto di ottenere la conferma dell’esistenza o meno di dati personali che lo riguardano, anche se non ancora registrati, e la loro comunicazione in forma intelligibile.
2. L’interessato ha diritto di ottenere informazioni:
a) sull’origine dei dati personali;
b) sulle finalità e modalità del trattamento;
c) sulla logica applicata in caso di trattamento effettuato con l’ausilio di strumenti elettronici;
d) sugli estremi identificativi del titolare, dei responsabili e del rappresentante designato ai sensi dell’articolo 5, comma 2;
e) sui soggetti o delle categorie di soggetti ai quali i dati personali possono essere comunicati o che possono venirne a conoscenza in qualità di rappresentante designato nel territorio dello Stato, di responsabili o incaricati.
3. L’interessato ha diritto di ottenere:
a) l’aggiornamento, la rettificazione ovvero, quando vi ha interesse, l’integrazione dei dati;
b) la cancellazione, la trasformazione in forma anonima o il blocco dei dati trattati in violazione di legge, compresi quelli di cui non è necessaria la conservazione in relazione agli scopi per i quali i dati sono stati raccolti o successivamente trattati;
c) l’attestazione che le operazioni di cui alle lettere a) e b) sono state portate a conoscenza, anche per quanto riguarda il loro contenuto, di coloro ai quali i dati sono stati comunicati o diffusi, eccettuato il caso in cui tale adempimento si rivela impossibile o comporta un impiego di mezzi manifestamente sproporzionato rispetto al diritto tutelato.
4. L’interessato ha diritto di opporsi, in tutto o in parte:
a) per motivi legittimi al trattamento dei dati personali che lo riguardano, ancorché pertinenti allo scopo della raccolta;
b) al trattamento di dati personali che lo riguardano a fini di invio di materiale pubblicitario o di vendita diretta o per il compimento di ricerche di mercato o di comunicazione commerciale.
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