IL PUNTO SU… La crisi della corporate income tax e la prospettiva della cash flow tax nel sistema di tassazione delle imprese
Di Loredana Carpentieri
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A. Negli ultimi decenni, la globalizzazione, la dematerializzazione dell’attività economia, l’internazionalizzazione dei processi produttivi e la digitalizzazione hanno indotto profonde modifiche nell’operatività delle imprese, particolarmente – ma non solo – di quelle caratterizzate da un’attività multinazionale.
Mentre i sistemi fiscali nazionali e le stesse regole di fiscalità internazionale facevano fatica ad inquadrare efficacemente i nuovi modelli di business, le imprese hanno rapidamente imparato ad operare “sopra” i territori degli Stati nazionali in assenza di una presenza fisica (o con una presenza fisica minimale) elaborando sofisticate pianificazioni fiscali volte allo shifting dei profitti verso giurisdizioni a bassa fiscalità o addirittura volte alla creazione di profitti “apolidi”. Destabilizzati dal nuovo contesto, gli Stati nazionali hanno esasperato la competizione fiscale e, per attrarre e trattenere gli investimenti, hanno operato sia sulle aliquote di tassazione del reddito d’impresa (con la corsa al ribasso delle stesse), sia sulle basi imponibili fino al punto di rinunciare a una quota delle stesse, consentendone l’erosione attraverso generose regole di deduzione.
Sono noti gli sforzi fatti dall’OCSE, con il progetto BEPS (Base erosion and profit shifting), per irrobustire i sistemi fiscali nei confronti dei fenomeni di profit shifting; così come è nota la direttiva GLoBE elaborata dall’Unione Europea e recentemente implementata negli Stati membri per contrastare l’allocazione delle attività d’impresa in giurisdizioni a bassa fiscalità e ripartire in modo più equo il gettito tra i diversi territori nei quali si producono i profitti d’impresa.
Un contesto economico e normativo così in movimento ha certamente contribuito ad ampliare la riflessione scientifica sull’efficacia e sui profili di debolezza delle tecniche e delle discipline normative attualmente in uso per assoggettare a tassazione i profitti delle imprese sia a livello domestico che internazionale.
A livello nazionale, molti studi recenti sono stati dedicati all’elaborazione di un sistema di tassazione del c.d. “Reddito Liquido” per le imprese (v. Versiglioni M., Il “reddito liquido”: lineamenti, argomento, esperimenti, in Riv. dir. trib., 2014, 6, I, 743 ss.; Id., Il reddito liquido come attuale indice di effettiva capacità contributiva, in Innovazione e diritto, 2014, 2, 139 ss.; Id., The Liquid Income Taxation System – A Proposal for Creating Economic Energy, in Bulletin for International Taxation, 2019, vol. 73, n. 9, 1 ss.; Id., Reddito liquido e imposta liquida. Riforma fiscale e modello logico dell’imposta, in Riv. tel. dir. trib., 2021, 1, 49 ss.), mentre, a livello internazionale, è stata diffusamente vagliata la possibilità di introdurre sistemi di cash flow tax (v., fra gli altri, Auerbach A. – Devereux M.P., Cash Flow Taxes in an International Setting, Said Business School Research Paper, February 2015; Devereux M.P. – Vella J., Implications of digitalization for international corporate tax reform, Oxford University Centre for Business Taxation, WP 17/07; Garnaut R. – Emerson C. – Finighan R. – Anthony S., Replacing Corporate Income Tax with a Cash Flow Tax, The Australian Economic Review, 2020, vol. 53, no. 4, 463 ss.; Bond S.R. – Devereux M.P., Cash Flow Taxes in an Open Economy, 2022, CEPR Discussion Paper 3401).
Seppur diverse, le due elaborazioni teoriche hanno come comune denominatore la possibilità di modificare l’oggetto della tassazione: dal reddito d’impresa, tradizionalmente determinato sulla base dei principi contabili e del principio della competenza economica – caratterizzato, quest’ultimo, da un sistema di regole piuttosto complesso e che alimenta sia i costi di adempimento per le imprese sia le possibili controversie di natura interpretativa con l’Amministrazione tributaria – si potrebbe passare alla tassazione sui flussi di cassa.
In effetti, se uno dei principali problemi dei sistemi fiscali nazionali nasce dalla possibilità che le imprese allochino strumentalmente i loro profitti in giurisdizioni a bassa fiscalità (profit shifting e conseguente base erosion), per le Amministrazioni fiscali la soluzione più semplice ed efficiente sembrerebbe essere non quella di “rincorrere” l’allocazione del reddito tra le diverse giurisdizioni, bensì quella di tassare direttamente le risorse finanziarie che scorrono nelle casse delle imprese, ossia il cash-flow.
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B. In linea generale, un regime di cassa “puro” prevede che i ricavi siano inclusi nell’imponibile in ragione di quanto effettivamente incassato; simmetricamente, che i costi di produzione siano immediatamente deducibili in base a quanto effettivamente pagato, incluse le immobilizzazioni materiali e immateriali (i cui costi, in un regime di tassazione per competenza, sono invece tipicamente dedotti, attraverso la procedura dell’ammortamento, lungo tutto l’arco della vita utile del bene). Seguendo tale impostazione, la base imponibile della cash flow tax dovrebbe, per analogia, prendere in considerazione gli stessi fattori cui si guardava per il noto formulary apportionment della CCCTB: cioè i ricavi derivanti dalle vendite di beni e servizi al netto dei costi per retribuzioni e delle spese per asset materiali e immateriali (immediatamente dedotti, come già osservato, senza più procedere agli ammortamenti). In un sistema di cash flow verrebbero tassate solo le transazioni reali mentre sarebbero ignorate quelle finanziarie: la conseguente indeducibilità degli interessi passivi da finanziamento eliminerebbe, per le imprese, gli incentivi fiscali a finanziarsi a debito. Voci meramente contabili come ammortamenti, svalutazioni, accantonamenti e rimanenze non avrebbero più rilevanza; analogamente, potrebbe essere rimosso il doppio binario contabile-fiscale (per le differenze rispetto al sistema di tassazione del c.d. Reddito liquido, si rinvia agli scritti sopra citati di Versiglioni M.).
I vantaggi dell’introduzione di una cash flow tax non si esaurirebbero, dunque, nella più immediata e sicura determinazione della base imponibile (i flussi di cassa sembrano, al tempo stesso, più facili da rintracciare e più difficili da manipolare degli utili); la cash flow tax eliminerebbe le distorsioni che favoriscono artificialmente il debito rispetto al capitale, gli investimenti a breve termine rispetto a quelli a lungo termine, le imprese consolidate e di grandi dimensioni rispetto a quelle piccole e nuove, gli investimenti convenzionali rispetto a quelli innovativi. Si alleggerirebbero gli oneri di compliance legati alle classiche modalità di determinazione dell’imposta sul reddito d’impresa; si chiuderebbero le scappatoie dell’evasione fiscale internazionale; l’effetto di incentivo sugli investimenti e il timing della tassazione sarebbero di stimolo al superamento di fasi economiche di recessione.
Sotto questo profilo, la transizione verso un’imposta sui flussi di cassa potrebbe essere considerata anche un’efficiente risposta alle eventuali crisi di liquidità delle imprese (si pensi a quanto accaduto in tempi recenti prima con l’emergenza sanitaria da Covid e poi con il conflitto tra la Russia e l’Ucraina) e, più in generale, a tutti i casi in cui l’impresa non riesca a riscuotere crediti, anche rilevanti, nell’esercizio di competenza: in questi casi, la cash flow tax assicurerebbe ai contribuenti la possibilità di corrispondere l’imposta in base alle reali risorse a disposizione. Senza dunque rischiare di colpire una manifestazione economica meramente fittizia, e la deducibilità immediata della spesa per investimenti si tradurrebbe in un incentivo sistematico agli investimenti (in tale senso v. anche Garnaut R. – Emerson C. – Finighan R. – Anthony S., Replacing Corporate Income Tax with a Cash Flow Tax, cit.; per approfondimento sul possibile impatto della transizione verso un’imposta sui flussi di cassa sul sistema delle imprese non finanziarie in Italia, cfr. Carpentieri L. – Ceriani V., Proposte per una riforma fiscale sostenibile, in Astrid Rassegna, 2020, 8).
Una soluzione non troppo lontana dalla tassazione sul cash flow, ma agganciata ai dati delle fatturazioni, era stata prospettata, per le persone fisiche titolari di partita IVA, nell’audizione presso la VI Commissione finanze della Camera dei deputati resa il 14 settembre 2020 dal Direttore dell’Agenzia delle Entrate Ernesto Maria Ruffini e ribadita nella successiva audizione dell’11 gennaio 2021 in tema di riforma dell’IRPEF.
A ben guardare, il sistema illustrato dal direttore Ruffini – nel prefigurare una possibile riforma delle modalità di determinazione e di versamento dell’IRPEF per gli operatori economici – si agganciava non ai dati bancari, ma ai dati IVA e alla fatturazione elettronica e, dunque, ci riportava a un tertium genus: a un sistema che, in realtà, non era né́ cassa né competenza, dato che – come noto – la data di emissione della fattura non necessariamente coincide con la data di incasso del corrispettivo.
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C. Naturalmente, come ogni cambiamento nelle modalità di tassazione, il passaggio ad un regime di cash flow tax evidenzierebbe, soprattutto nella fase di transizione, alcune criticità. Nella pratica, soprattutto per le imprese meno strutturate, l’accertamento della data dei movimenti di cassa potrebbe risultare meno semplice del previsto.
Una particolare criticità dei regimi di cash flow potrebbe emergere anche per effetto della prevista immediata deducibilità degli investimenti: tale deducibilità, se da un lato comporterebbe un incentivo alla pianificazione fiscale dell’investimento certamente più forte rispetto a un sistema che concede la deducibilità dei costi di investimento per quote di ammortamento, dall’altro lato determinerebbe, nei primi anni di avvio di un’eventuale riforma, non solo una significativa contrazione del gettito (che potrebbe essere mitigata prevedendo un periodo di transizione più o meno lungo) ma anche l’emersione di perdite fiscalmente riconosciute e potenzialmente consistenti, al punto da dover riconoscere il rimborso del credito fiscale corrispondente o prevedere un meccanismo di riporto delle perdite indicizzato con un appropriato tasso di interesse (per eventuali approfondimenti, v. Auerbach A. – Devereux M.P. – Keen M. – Simpson H., Taxing Corporate Income, in Mirlees J. et al, eds., Dimensions of Tax Design: The Mirlees Review, Oxford University Press, 2010, 837-893). Inoltre, mentre nel tradizionale regime di tassazione dei redditi di impresa, il possesso del bene di investimento deve permanere per tutta la durata del periodo di ammortamento fiscale, in un regime di tassazione per flussi di cassa non sarebbe più così; dunque, occorrerebbe fare i conti con il rischio di eventuali acquisti di beni realizzati al solo scopo di godere dell’immediata e integrale deduzione del costo per poi essere dismessi subito dopo (simili comportamenti potrebbero comunque essere evitati subordinando l’integrale deducibilità della spesa a un periodo minimo di detenzione del bene: cfr.: OECD, Fundamental Reform of Corporate Income Tax, OECD Tax Policy Studies, no. 16, Paris, 2007, cap. 3).
Last but non least, occorrerebbe riflettere sugli effetti dell’implementazione di una cash flow tax in un’economia aperta alla competizione fiscale internazionale.
Nella sua originaria formulazione (nel rapporto Meade del 1978) la cash flow tax era stata concepita come un’imposta sui flussi di cassa dei produttori nazionali (un’imposta “basata sull’origine”). Ma se in un’economia chiusa la particolare struttura di una tale cash flow tax è neutra rispetto alle scelte reali e finanziarie delle imprese, in un’economia aperta la cash flow tax all’origine – come la tradizionale imposta sui profitti – risulta vulnerabile rispetto alla competizione fiscale internazionale e all’erosione delle basi imponibili per effetto delle scelte di localizzazione internazionale del profitto ad opera delle imprese multinazionali.
Dunque, nel contesto internazionale, la cash flow tax all’origine potrebbe distorcere le decisioni imprenditoriali, incentivando le imprese ad allocare la produzione o la residenza fiscale in Paesi a bassa fiscalità.
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D. Proprio questa criticità ha indotto taluni studiosi a ripensare all’imposta sui flussi di cassa, basandola non più sull’allocazione della produzione o sulla residenza dell’impresa (elementi altamente “manipolabili”) ma sulla destinazione, cioè sulla localizzazione dei consumatori (fattore molto meno manipolabile).
La Destination Based Cash Flow Tax (DBCFT) deriva dalla combinazione di due componenti: la cash flow tax come sopra descritta e i Border Adjustment, cioè le regole che si applicano sui beni in entrata o in uscita da un paese analogamente al regime IVA: il cash flow realizzato sulle esportazioni non sarebbe assoggettato ad imposta, mentre verrebbero tassate le importazioni.
La motivazione della DBCFT è evidente: tassare i profitti d’impresa non nel luogo dove vengono generati (alla produzione) o dove ha sede l’impresa (residenza), bensì in un luogo relativamente meno mobile e soprattutto meno manipolabile dall’impresa, cioè a “destinazione” nel luogo in cui si trovano i consumatori dei beni o dei servizi (per approfondimenti, v. Bond S.R. – Devereux M.P., Cash flow taxes in an open economy, Centre for Economic Policy Research Discussion Paper Series, 2002, Discussion Paper 3401; Auerbach A. – Devereux M.P. – Keen M. – Vella J., Destination-Based Cash Flow Taxation, Oxford University Centre for Business Taxation, 2017, WP 17/01; Devereux M.P. – De La Feira R., Designing and Implementing a Destination-Based Corporate Tax, Oxford University Centre for Business Taxation, 2014, WP 14/07).
Nell’attuale contesto economico la DBCFT è considerata in letteratura una delle opzioni migliori; non a caso la stessa proposta di direttiva sulla “tassazione delle società che hanno una presenza digitale significativa” attribuiva rilievo allo Stato di localizzazione del mercato, quale nuovo criterio di collegamento territoriale diverso dalla presenza fisica (cfr. Bond S.R. – Devereux M.P., Cash flow taxes in an open economy, cit.,; Auerbach A. – Devereux M.P. – Keen M. – Vella J., cit.,; Devereux M.P. – De La Feira R., cit.).
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E. I vantaggi di una cash flow “destination based” potrebbero essere molteplici: oltre a quelli già ricordati (piena e immediata deducibilità degli investimenti; assenza di distorsioni sulle scelte di finanziamento delle imprese, posto che la tassazione avverrebbe sulle transazioni reali e ignorerebbe quelle finanziarie; eliminazione degli incentivi a manipolare i prezzi di trasferimento, vista l’irrilevanza delle transazioni infragruppo), l’eliminazione della residenza dell’impresa quale fattore determinante dell’imponibilità fiscale, con la conseguente eliminazione dell’incentivo agli spostamenti di residenza strumentali ai fini fiscali.
Dal punto di vista economico, pertanto, la DBCFT sembra rappresentare un’imposizione più efficiente sia rispetto al sistema attuale sia rispetto alla cash flow tax all’origine in quanto meno distorsiva sia rispetto alle scelte di finanziamento che a quelle di localizzazione.
Per effetto del Border Adjustment, cioè delle regole che si applicano sui beni che entrano o escono da un paese, come già detto il cash flow realizzato sulle esportazioni non sarebbe assoggettato a imposta – in sostanza, la vendita all’estero sarebbe “tax free” – mentre verrebbero tassate le importazioni. Quindi la cash flow tax si rivelerebbe un volano straordinario per il rilancio delle esportazioni, e contemporaneamente un “dissuasore” alle importazioni.
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F. D’altro canto, è indiscutibile che l’adozione della DBCFT presenterebbe significativi problemi applicativi sia dal punto di vista amministrativo che legale, principalmente dovuti al mutamento radicale rispetto al sistema attualmente in vigore.
La DBCFT avrebbe in primis bisogno di una implementazione a livello globale, poiché una cash flow tax che fosse adottata solo in un numero limitato di paesi (o addirittura in uno soltanto) si risolverebbe in una distorsione a vantaggio del Paese o dei Paesi che la adottassero: indipendentemente dal livello dell’aliquota, si determinerebbe infatti un incentivo a trasferire attività dai paesi in cui permane un regime d’imposta all’origine verso il paese che ha adottato la DBCFT, allo scopo di beneficiare della deducibilità immediata degli investimenti e dell’esenzione sulla produzione esportata dovuta al border adjustments. L’adozione della DBCFT da parte di un singolo paese sarebbe considerata una riforma fiscale “aggressiva”, in grado di aggravare il problema del base erosion and profit shifting nei paesi che non l’avessero adottata, a vantaggio del paese che l’avesse adottata (cfr. Devereux M.P. – Auerbach A.J. – Keen M. – Oosterhuis P. – Schon W. – Vella J., Taxing Profits in a Global Economy, A Report of the Oxford International Tax Group, Oxford University Press, 2021).
Altro tema da considerare: molto probabilmente la DBCFT non sarebbe riconosciuta a livello delle vigenti convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni; dunque, gli altri Stati potrebbero considerarla come non accreditabile a fronte della loro imposta sugli utili (cfr. Collier R. – Devereux M.P., The Destination-Based Cash Flow Tax and Double Tax Treaties, Oxford University Centre for Business Taxation, 2017, WP 17/06). Un analogo problema di compatibilità potrebbe porsi nel contesto dei vigenti accordi commerciali multilaterali (WTO) per effetto dei cross border adjustments operati dalla DBCFT (sul tema, Grinberg I., A Destination-Based Cash Flow Tax Can Be Structured to Comply with World Trade Organization Rules, in National Tax Journal, 2017, 70.4, 803-18).
Da ultimo, occorre sottolineare che la strada per la DBCFT non sembra in linea con le nuove logiche della tassazione del reddito d’impresa portate avanti dall’Inclusive Framework promosso dall’OCSE e dal Two Pillars Approach, presentato quale approccio esclusivo alla riforma della fiscalità internazionale attraverso un processo che non solo incoraggia i Paesi a parteciparvi ma include anche disposizioni che spingono all’adesione i Paesi più riluttanti.
D’altra parte, com’è stato osservato (v. Auerbach A. – Burch R.D., Consumption-Based Taxation in an International Setting Testimony before the Tax Subcommittee of the Committee on Ways and Means, U.S. House of Representatives, December 6, 2023), lo stesso approccio dei due Pillar non è esente da problemi e potrebbe anche fallire nonostante la sua adozione europea: con il Pillar Two, disciplina estremamente complessa, si cerca ancora di tassare il reddito in base a dove viene guadagnato, soluzione piuttosto complessa nell’attuale economia globale, basata su catene di approvvigionamento internazionali e sull’ampio utilizzo di beni immateriali; ancor più probabile sembra poi il fallimento del Pillar One, che riporterebbe probabilmente in vita quell’imposta sui servizi digitali che proprio il Pillar One avrebbe dovuto sostituire.
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
Auerbach A. – Burch R.D., Consumption-Based Taxation in an International Setting Testimony before the Tax Subcommittee of the Committee on Ways and Means, U.S. House of Representatives, December 6, 2023
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Auerbach A. – Devereux M.P. – Keen M. – Vella J., Destination-Based Cash Flow Taxation, Oxford University Centre for Business Taxation, 2017, WP 17/01
Auerbach A. – Devereux M.P., Cash Flow Taxes in an International Setting, Said Business School Research Paper, February 2015
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Bond S.R. – Devereux M.P., Cash flow taxes in an open economy, Centre for Economic Policy Research Discussion Paper Series, 2002, Discussion Paper 3401
Carpentieri L. – Ceriani V., Proposte per una riforma fiscale sostenibile, in Astrid Rassegna, 2020, 8
Collier R. – Devereux M.P., The Destination-Based Cash Flow Tax and Double Tax Treaties, Oxford University Centre for Business Taxation, 2017, WP 17/06
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Versiglioni M., The Liquid Income Taxation System – A Proposal for Creating Economic Energy, in Bulletin for International Taxation, 2019, vol. 73, n. 9, 1 ss.
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