LA FARMACIA DEI SANI, LABORATORIO DI IGIENE GIURIDICA – Intelligenza artificiale e tributi: alba di un nuovo mondo o folle volo oltre le Colonne d’Ercole?

Di Alberto Marcheselli -

Abstract (*)

Alcune riflessioni sulle opportunità e i rischi connessi all’utilizzo dell’intelligenza artificiale nell’accertamento e nel processo tributario.

Some reflections on the opportunities and risks associated with the use of artificial intelligence in the tax assessment and process.

1. Devo iniziare veicolando un mio senso l’inadeguatezza ad aprire questi lavori sia per l’altezza del panel dei relatori, sia per la complessità dell’argomento.

Perché aprire un Convegno di caratura internazionale in tema di intelligenza artificiale e diritto richiederebbe competenze da informatico, da filosofo del diritto e forse anche da sociologo. E non ho alcuna di queste. Ci vorrebbe uno chef – per usare una metafora della cucina – che ha girato il mondo e sono invece un modesto commis, forse neanche quello, di un ristorante di provincia. Ma ci provo comunque.

Innanzitutto, mi sembra di poter dire che la cosiddetta intelligenza artificiale – che altro non è anche l’applicazione di tecniche di automazione del linguaggio idonee a riprodurre gli esiti di un ragionamento – sia effettivamente potenzialmente, credo, anche senza enfasi, l’alba di una nuova era.

Mi sembra che possa essere – potenzialmente – qualcosa di simile all’effetto combinato nella storia dell’umanità, della combinazione dell’elettricità e del motore a scoppio, applicato, però, non al mondo fisico, ma al Logos. Cioè, mi viene da dire, se la scrittura è stata nell’evoluzione del Logos come l’invenzione della ruota, forse questo potrebbe essere il momento in cui si scopre e si mette in funzione l’equivalente dell’elettricità e del motore.

È un potenziale grande salto in avanti e, come ogni salto in avanti, evidentemente comporta opportunità e rischi.

2. Le opportunità sono evidenti: così come il motore e la ruota della mia metafora hanno eliminato gran parte del lavoro muscolare dell’uomo, l’intelligenza artificiale potrebbe e potrà probabilmente sgravare l’uomo da gran parte del “pensiero muscolare”. “Pensiero muscolare”, espressione in sé contraddittoria, ma icastica: il pensiero ripetitivo, la raccolta delle informazioni, i collegamenti di base. Probabilmente al di fuori forse, e auspicabilmente credo, dovrebbero restare le fasi creative, le fasi di ponderazione di valori e interessi, le decisioni complesse di apprezzamenti emotivi e psicologici.

Qualcosa del diritto sembra assorbito in questo concetto; qualcosa sembrerebbe intuitivamente no, o che sarebbe meglio di no.

Che cosa no? È già stato detto un po’ da tutte anche le indicazioni che sono state date nei saluti introduttivi: le attività di ponderazione, le decisioni complesse, l’attività probatoria, l’esame di un teste probabilmente non è bene che siano affidate a uno strumento di questo genere.

3. Però, più che le opportunità, mi sembra opportuno, a volo d’uccello, concentrarmi sui potenziali rischi.

Non per un atteggiamento – diciamo – neoluddista, non perché io voglia spaccare il telaio perché distrugge il lavoro dei tessitori.

Ritengo che il progresso sia inarrestabile.

Ma per dare o pensare insieme quelle che possono essere delle indicazioni per limitare la fase dei danni collaterali. Ogni nuova tecnologia e ogni sperimentazione comporta, evidentemente, delle vittime. Probabilmente è opportuno attivarsi per cercare di averne il meno possibile.

Una cautela che è una “profilassi”: un po’ come mettere le paratoie alle macchine, perché chi le maneggia non ci perda le mani – continuo nella metafora rispetto al progresso tecnologico, materiale.

E poi vengono due esempi: uno alto, molto alto; uno molto basso e molto sciocco, che uso spesso a questo proposito, di quelli che potrebbero essere i rischi.

Quello che recupero da una fonte molto alta – e recupero abitualmente da questa fonte molto alta – è il Fedro di Platone.

Nel Fedro, Platone fa dire dal Faraone del dialogo, all’inventore della scrittura che è di fronte a lui, che la scrittura avrà l’effetto di produrre l’oblio. Le anime di coloro che la utilizzeranno si fideranno della scrittura, si abitueranno a ricordare dal di fuori e non dal di dentro. Il Faraone dice che in questo modo l’inventore della scrittura procura ai suoi discepoli l’apparenza, ma non la verità della sapienza. Perché, certo ascolteranno molte cose, crederanno di essere conoscitori di molte cose, perché molte cose sapranno citare, ma in realtà non le sapranno e sarà ben difficile discorrere con essi, perché saranno diventati portatori di opinioni e non sapienti. Cioè, nel Fedro c’era qualcuno che era preoccupato della scrittura e diceva: “Ebbene, ma diventeremo tutti sostanzialmente un po’ presuntuosi e un po’ ignoranti”.

È evidente che questa preoccupazione noi potremmo trasportarla pari pari dalla scrittura all’intelligenza artificiale (passando attraverso il mondo social, la cosiddetta infosfera).

Dico subito che io sono – nella mia modestia – mediamente più ottimista del Faraone di Platone e del resto lo era anche Platone, perché Platone i suoi dialoghi li scrisse, non li lasciò soltanto alla tradizione orale.

Sono più ottimista, ancorché un poco preoccupato, comunque.

Mi sembra che un caveat debba essere fatto perché mi sembra di vedere una grossa differenza tra scrittura e informatica. La scrittura è un meccanismo trasparente, diretto, prodotto dall’uomo. L’intelligenza artificiale è un qualcosa che nasce dall’uomo, ma se ne distacca rapidamente un po’ come l’astronauta di “2001 Odissea nello spazio” quando si stacca dall’astronave. È il risultato di un meccanismo – algoritmo o quel che è – che è oscuro, o se non è oscuro lo diventa rapidamente, perché rapidamente viene dimenticato.

La scrittura, la creo. Alla intelligenza artificiale mi viene da pensare che si tenda più ad affidarsi. Cioè, mi sembra che ci sia un confine un po’ più vicino – nell’intelligenza artificiale – del passaggio tra ragione e fede, cioè credere a qualcosa, sperando che non sia un credo quia absurdum, ma comunque credendo un qualcosa che poi non controllo, a differenza della scrittura.

Il secondo esempio, molto sciocco, veramente molto banale, nasce da una delle mie prime esperienze da utente ferroviario alle prese con l’informatica. Tanti anni fa io volevo prendere un biglietto per un paese che si chiamava Saint Pierre, e la biglietteria si rifiutava di farmi il biglietto sostenendo che la località di Saint Pierre non esistesse. Io opponevo: “guardi, esiste, esiste anche perché ci ho una casa, e spero nel frattempo di non essere stato espropriato”. E la risposta era: “non è nel computer; non è nel computer, non le posso fare il biglietto”. Non è nel computer, [quindi] non esiste. Ecco, il Direttore dell’Agenzia Ruffini diceva: c’è sempre il controllo umano. Anche lì c’era il controllo umano perché si poteva fare un biglietto digitando il nome della stazione, ma non riuscii a farmelo fare. Riuscii a farlo fare in automatico, dicendo: “Scusi, ma forse tra Saint e Pierre c’è mica un trattino?” Inserendo il trattino, magicamente, il paese è tornato ad esistere.

Questo per dire che c’è un rischio immanente. E dove voglio arrivare? Voglio arrivare a una banalità, cioè a una caratteristica fondamentale delle macchine: perché nelle macchine, nelle macchine di elaborazione, non è solo importante, è importantissimo, ovviamente, come funzionano gli ingranaggi, e molta attenzione dovrà essere dedicata come funziona l’ingranaggio informatico. L’algoritmo, o quel che è, dovrebbe essere affidabile, preciso, trasparente: questo è un problema ed è un’esigenza.

4. Ma c’è anche un altro problema, che interessa forse molto più direttamente noi tributaristi ed è quello del cosiddetto data entry, di cosa inserisco nella macchina. Gli ingegneri usano dire: garbage in, garbage out; inserisci spazzatura e avrai spazzatura come prodotto.

Bisogna stare molto attenti a cosa si inserisce e qui la mia preoccupazione da tributarista aumenta un pochettino. Perché? Perché, indipendentemente da tutto quello che è il problema – che è enorme ed è grande – della bontà degli ingranaggi, indipendentemente da quando sia furbo, scafato, preciso, esatto ed efficiente l’algoritmo, io mi domando: “Ma siamo in grado di inserire del materiale buono nella macchina?” Io ho dei dubbi. Ho dei dubbi perché – lo dico molto direttamente – il diritto tributario non è un diritto qualitativamente buono. É un diritto qualitativamente cattivo. È cattivo perché è contingente, non per colpa di nessuno, naturalmente, ma è contingente, è figlio del gettito, è scritto di fretta e continuamente modificato. È scritto con mano malferma, con pessimo inchiostro e sull’acqua ed è un diritto a cui, per queste ragioni, manca, a differenza che altre materie, e manca gravemente, una solida dogmatica. Lo dico con molta chiarezza: non ci sono ancora nel diritto tributario, o almeno non ci sono ancora così solide, le categorie concettuali della dogmatica tradizionale di altre materie. Non ci sono categorie solide come quelle del diritto civile (gli elementi dell’obbligazione del contratto, della responsabilità civile); non ci sono gli elementi costitutivi della dogmatica del diritto penale (l’elemento soggettivo, la causalità). Siamo ancora a uno stato un po’ gassoso.

Basta pensare, per fare solo un esempio, entrando solo un pochettino nel tecnico, ai continui – e incredibili per chi sia cultore di qualsiasi altra materia – sbandamenti tra i due concetti di onere della prova e prova, che vengono continuamente confusi nella nostra materia, quando sono cose che appartengono addirittura a galassie diverse (l’onere della prova come regola residuale di giudizio, la prova come cosa ed elemento del giudizio di fatto). Basta pensare al dilagare nella nostra materia del concetto di “inesistenza”, che è usato in spregio alle più elementari categorie del diritto civile. Basterebbe conoscere il diritto romano per rendersi conto di quanto si vada distante nel maneggiare questi oggetti concettuali e ciò in nome della pretesa specialità del diritto tributario, contro la quale io combatto una personale, modesta ma indefessa, guerra.

Vi è una specialità del diritto tributario, che ha un senso, a mio avviso, ed è il fatto che il diritto tributario dovrebbe avere una dogmatica autonoma, che peraltro fatica a intravedersi tra le nebbie. Invece, la specialità del diritto tributario viene invece intesa in tutt’altro modo: il diritto tributario è speciale, quindi nel diritto tributario si può fare qualsiasi cosa, perché non si applicano le regole proprie di altri rami del diritto, anche – mi consentirete un’altra incursione in un oggetto concreto – anche, per esempio, dire che un socio di una società di capitali può essere tassato su un costo non inerente sostenuto da società, che è come dire che l’amministratore va in vacanza con i soldi della società e quello è un reddito dei soci che sono stati derubati. Ecco, credo che solo nel diritto tributario, in spregio alla logica e alle categorie concettuali, si possa arrivare a tanto. Quindi è particolarmente pericoloso infilare questo nella macchina, perché mi sembra di infilare un buco nero dentro una macchina moltiplicatrice.

 5. Cosa si potrebbe fare e cosa si dovrebbe fare, a mio avviso.

Una cosa, credo, piuttosto ambiziosa e tutt’altro che facile – ma il fatto che non sia facile non credo che sia una ragione per non dirlo – forse non è neanche realistico quello che sto per dire – ma non è detto che uno non debba dire ciò che è buono solo perché non è a portata di mano: secondo me – l’ho già detto e lo ripeto – in questa operazione bisognerebbe seguire le orme – anche qui ricorro a un riferimento decisamente piuttosto alto – bisognerebbe ripercorrere le orme di Giustiniano.

Giustiniano rispettò quattro condizioni nel fare la sua opera di codificazione.

In primo luogo, fu un’operazione fatta da sapienti. Giustiniano prese, per fare la sua codificazione, i migliori giuristi del suo tempo, non degli informatici, non degli scoliasti, non della gente veloce a scrivere i volumi, ma della gente che aveva sapienza.

In secondo luogo, questa operazione deve essere del tutto trasparente. Facendo un altro riferimento – riferimento tra l’altro molto caro al Direttore dell’Agenzia delle Entrate – tutti gli atti per esempio dell’Assemblea Costituente sono pubblici: sono moltissimi volumi, ma è un’operazione che deve essere tutta, trasparente e non opaca, non coperta. Deve essere pubblicamente discussa e pubblica.

In terzo luogo, è un’operazione, questa, che deve essere fatta in modo tale da assicurare una piena rappresentatività democratica ed equidistanza dalle parti. Io non riesco a capire come si possa accettare che l’elaborazione delle banche dati sia fatta – con tutta la fiducia che si può avere, evidentemente, e che io personalmente ho – soltanto da una parte del processo, da una parte del rapporto. È evidente che il pericolo, solo il pericolo, ma anche solo l’apparenza di non indipendenza è un pericolo. Il pericolo mi evoca immagini un po’ da Metropolis di Fritz Lang, dove c’era la persona che muoveva la macchina e girava la ruota.

In quarto luogo – e questa è la cosa più politicamente scorretta che posso dire, più fuori moda che posso dire, ma che dico con orgoglio, consapevole che chiaramente non avrà nessuna possibilità di realizzazione: questa è un’operazione che, per essere buona, dovrebbe essere lenta. Vado contro a quella che è tutta la tendenza del momento, dove siamo tutti figli della rapidità, ma un’operazione di questo genere dovrebbe essere fatta in maniera metabolizzante i concetti e, quindi, in maniera non rapida.

6. Infine, i rischi. Quali sono i rischi: sono quelli che già ho detto. Io potrei rievocare, intravedere in maniera forse un po’ immaginifica, addirittura qualche rischio rispetto all’art. 23 della Costituzione.

Perché a me sembra che, sul piano sociologico, certo, non formale, queste cose mettono addirittura a rischio il comando della legge. Certo l’obiezione me la immagino: si tratta di meccanismi predittivi, si tratta di riassunti e a decidere sono sempre gli uomini, a operare sono sempre gli uomini. Ma io personalmente studio la giurisprudenza della cassazione da ormai circa quindici anni, e vedo i danni che fa nell’automazione del pensiero già solo il fatto di fare copia e incolla: è un potentissimo sostitutivo del pensiero critico.

I fisici dicevano che l’elemento fondante dell’universo è l’idrogeno. Frank Zappa un po’ provocatoriamente diceva che aveva il dubbio che l’elemento fondamentale fondante l’universo fosse la stupidità, in quanto più diffusa dell’idrogeno. Io assegnerei un certo ruolo anche alla pigrizia. La pigrizia come fonte del diritto applicata alle modalità informatiche, anche solo banale e copia incolla, non mi sembra che debba essere trascurata.

Poi – e vado a concludere – mi sembra che ci sia, se ci spostiamo dal punto di vista dell’applicazione e dell’attività giurisdizionale, l’art. 101 della Costituzione. La giustizia è amministrata in nome del popolo, il che implica controllo e trasparenza democratica nel processo decisionale. Ma se questo, già adesso che finisce in un copia incolla, è a rischio, dentro una macchina potrebbe esserlo molto di più. E questo credo che valga anche per l’attività amministrativa, perché anche l’attività amministrativa richiede controllo sociale, oltre che giurisdizionale, il che implica un grandissimo sforzo verso la trasparenza.

(*) Questa undicesima puntata della Farmacia dei Sani è la trascrizione dell’intervento dell’Autore al Convegno internazionale “L’intelligenza artificiale nell’accertamento e nel processo tributario”, Università di Genova, 25 giugno 2024.

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