L’evoluzione della fiscalità del Terzo settore a completamento della categoria giuridica: dalle questioni sulla commercialità delle operazioni alle erogazioni liberali in favore degli ETS

Di Maria Assunta Icolari -

Abstract (*)

Il contributo che parte dalle evoluzioni importanti subite dalla fiscalità del Terzo Settore negli anni in rapporto ai principi di sussidiarietà, di capacità contributiva e a quelli unionali, si ferma ad osservare alcune questioni problematiche degne di nota. Consapevoli di aver solo accennato l’iscrizione nel Runts da parte degli enti no profit stranieri e le nuove tipologie di ente di terzo settore, quali gli enti filantropici o quelli sull’economia sociale (una particolare species di matrice europea), la disamina esplora l’intreccio da sempre esistente fra le operazioni degli ETS no profit e quelle for profit, fiscalmente connotato dall’insuperabile distinzione fra operazioni commerciali e non commerciali. Nell’ottica di facilitare attraverso la disciplina fiscale la realizzazione di una categoria unitaria che, realizzando attività di interesse generale, aspira a diventare anche un’altra forma di contribuzione, altri aspetti importanti dell’indagine attengono al versante del finanziamento degli ETS.

The evolution of the taxation of the Third Sector to complete the legal category: from questions on the commercialization of operations to donations in favor of the ETS – The contribution that starts from the important evolutions undergone by the taxation of the Third Sector over the years in relation to the principles of subsidiarity, ability to pay and those of the Union, stops to observe some problematic issues worthy of note. Aware of having only mentioned the registration in the Runts of foreign non-profit bodies and the new types of third sector bodies, such as philanthropic bodies or those on the social economy (a particular species of European origin), the examination explores the the intertwining that has always existed between the operations of non-profit and for-profit ETS, fiscally characterized by the insurmountable distinction between commercial and non-commercial operations. With a view to facilitating, through fiscal discipline, the creation of a unitary category which, by carrying out activities of general interest, also aspires to become another form of contribution, other important aspects of the investigation concern the ETS financing side.

Sommario: 1. Introduzione. – 2. La defiscalizzazione delle associazioni sportive dilettantistiche e il Terzo Settore. – 3. La disciplina fiscale delle erogazioni liberali in favore degli ETS. – 4. Il trattamento tributario degli apporti dei soci fondatori nelle Fondazioni ETS. – 5. La qualifica fiscale delle operazioni degli ETS e i vincoli europei. – 6. Conclusioni.

1. Con l’autorizzazione comunitaria in dirittura di arrivo, per cui il nuovo regime di vantaggio insieme a quello dell’IVA dovrebbero entrare in vigore dal 2026, e dopo il completamento della disciplina del Terzo Settore, ad opera della L. n. 104/2024 (da ultimo Ficari V. – Riccardelli N., Manuale del terzo settore, Milano, 2024 passim), si rende necessario analizzare le forme organizzative neutrali rispetto allo scopo di lucro e con esse la fiscalità per la sussidiarietà (Gallo F., L’applicazione del principio di sussidiarietà tra crisi del disegno federalista e tutela del bene comune, in Rass. trib., 2014, 2, 209 ss.; Gianoncelli S., Fiscalità di impresa e utilità sociale, Torino, 2013, passim; sia consentito anche Icolari M.A., Sussidiarietà orizzontale e diritto tributario: profili problematici, in Rass. trib., 2009, 5, 1387 ss.; Perrone A., Sussidiarietà e fiscalità: un nuovo modo di concepire il concorso alle spese pubbliche, in Riv. dir. trib., 2017, 4, I, 437 ss.; Giorgi S., La fiscalità della cultura: il paesaggio dimenticato ed il ruolo della sussidiarietà. Spunti per un cambio di prospettiva, in Riv. trim. dir. trib., 2016, 4, 854 ss.). Premessa l’esistenza di un regime fiscale di favore già da prima della riforma costituzionale del 2001, per cui l’introduzione del comma 4 dell’art. 118 Cost. (sussidiarietà orizzontale) rappresenta solo una sorta di legittimazione verso quelle forme di finanziamento diretto o di non imposizione disposte per attività connotate da scopi meritevoli, da anni la tassazione rappresenta l’ago della bilancia nel riconoscimento di questi enti caratterizzati dallo scopo diverso dalla ripartizione degli utili fra i soci. Ciò, poiché, nonostante l’incremento registrato negli ultimi tempi, la libertà delle formule giuridiche non sempre ha favorito quel processo di trasformazione che coinvolge lo Stato e la società, in base al quale da una cittadinanza dell’impresa o societaria si sta passando verso la cittadinanza sociale. E non solo, se in materia tributaria il trattamento differenziato di operazioni di utilità sociale può essere riletto come la manifestazione promozionale avanzata del prelievo, anche in virtù dell’equiparazione all’art. 74 TUIR (poiché le formazioni sociali affiancano l’apparato pubblico nello svolgimento di attività di interesse generale) l’assenza di un’espressa definizione civilistica e dall’altro lato – sinora – dell’autorizzazione della Commissione europea sulle misure che possono integrare aiuti di Stato non consente di apprezzare appieno il ruolo degli ETS. Per cui dopo aver superato quell’iniziale ritrosia ad affidare lo svolgimento di attività di interesse generale a privati organizzati che non agiscono per il profitto, il dato che il Terzo Settore stia acquisendo un ruolo strategico nel realizzare gli obiettivi sussidiari, impone sia la questione del diritto del Terzo Settore che quella non meno importante di impostare un regime tributario delle operazioni svolte da tali soggetti in conformità con i principi europei.

Consapevoli che dal passaggio da Onlus, categoria solo tributaria, a ente non profit, dove la qualifica avviene in base al modello organizzativo, la fiscalità diviene un segmento, pur se sempre fondamentale, di una rivoluzione culturale che attribuisce il valore personalista allo Stato di diritto, senza l’autorizzazione della Commissione europea e, quindi, l’entrata di nuovi istituti e di nuovi criteri di qualificazione fiscale delle attività di interesse generale, il regime transitorio avrebbe rischiato di cristallizzarsi1. Ed in tale contesto, nell’antica sovrapposizione del no profit agli enti non commerciali, fonte sinora di innumerevoli contenziosi, la disciplina esistente avvantaggia sia quegli enti non commerciali che, pur avendo abbandonato la defiscalizzazione per contrarietà con i principi europei, svolgono attività commerciale che gli enti commerciali con prevalente attività non commerciale. Questi ultimi, infatti, possono confluire sulla formula dell’impresa sociale; per quelli che invece non svolgono nessuna attività commerciale il vantaggio sta nel continuare la loro attività senza entrare nel Runts. Nonostante l’assenza di una forma giuridica unitaria, una volta compreso il loro contributo positivo nella società e nell’economia per implementare tale modello in cui gli enti in parola rappresentano una “nuova e indiretta forma di concorso alle spese pubbliche” incentrata sulla loro capacità economica, occorre una disciplina fiscale ad hoc in sintonia con le norme sovranazionali ma anche con la riforma fiscale in atto e, più in generale, con i principi fondanti il diritto tributario.

L’apertura in tal verso dell’onere tributario, ex art. 53 Cost., è invero particolarmente sentita in un momento in cui la crisi economica ha determinato la discriminazione orizzontale dei redditi tassati a causa anche della mancanza di nuove fonti tassabili, aumentando in tal modo le diseguaglianze e per cui, nonostante i motivati dissensi, l’esaltazione del ruolo dell’autonomia delle formazioni sociali è felicemente accolta anche dalla nostra Corte Costituzionale. A tal riguardo, si possono richiamare le sentenze della Consulta nn. 72 e 191 del 2022 le quali hanno legittimato le attività di interesse generale svolte senza fini di lucro dagli ETS, in quanto tali enti nel realizzare la cura dell’interesse collettivo si muovono in un ambiente che “non è monopolio dell’istituzione pubblica ma coinvolge anche altri paradigmi”. Prese ad esempio per obiettare la mancata considerazione di un sistema pluralista che vuole instaurare rapporti paritari fra diversi centri di riferimento di interessi, sia pubblici sia privati, in un regime di collaborazione e non di competizione a quanti invece sostengono che l’art. 23 Cost. consenta la prestazione in luogo del pagamento solo per i tributi paracommutativi (Perrone A., Sussidiarietà orizzontale e fiscalità: un efficace strumento per la salvaguardia del patrimonio culturale, storico ed artistico, in Cordeiro Guerra R. – Pace A. – Verrigni C. – Viotto A., a cura di, Finanza pubblica e misure tributarie per il patrimonio culturale. Prime riflessioni, Torino, 2019, 429 ss.), tali pronunce rivelano l’apertura della Corte all’autonomia relazionale, ma anche la portata unificante del codice del Terzo Settore (CTS).

A tal riguardo, pur senza annullare le diversità specifiche dei distinti modelli organizzativi, in attesa di defiscalizzare gli utili destinati allo svolgimento dell’attività statutaria o a incremento del patrimonio e dei nuovi titoli di solidarietà, è intenzione di questa disamina evidenziare i punti di forza ma anche quelli di debolezza della disciplina fiscale degli ETS. Tutto ciò al fine di superare il contesto ostile alla riforma ed evitare quindi che l’attività sussidiaria si realizzi in modo disorganico o che, peggio, si paralizzi. Pertanto l’analisi, dopo l’avvento del Terzo Settore nel mondo sportivo (da sempre emblema della defiscalizzazione), si sofferma a illustrare l’antica e irrisolta problematica della distinzione fiscale tra attività commerciale e non commerciale.

2. L’indagine della disciplina fiscale del Terzo Settore attraverso la defiscalizzazione parte dal mondo sportivo, senza tralasciare gli aspetti fondamentali se le associazioni sportive dilettantistiche debbano essere considerate dentro o fuori il perimetro degli ETS e della necessità di una sua riforma organica, a maggior ragione ora che il nodo dell’autorizzazione comunitaria sta per sciogliersi (Letizia L., La tassazione delle attività sportive dilettantistiche, Torino, 2023, passim). Premesso che un aspetto decisorio importante è quello dei controlli, sulla scelta di rientrare o meno nella categoria un ruolo rilevante lo assumono i proventi ricavati dalle attività esercitate, soprattutto da quelle di sponsorizzazione, in quanto le associazioni sportive dilettantistiche restano APS quando i relativi introiti, pur avendo superato la soglia prescritta, vengono impiegati in attività di interesse generale inerenti lo sport (si pensi ad esempio a quelle attività sportive previste come attività di recupero nelle carceri). Prima di entrare nella complessa descrizione del regime delle Asd, in virtù anche del mancato obbligo di iscrizione sia nel Runts, sia nel registro del Coni (da ultimo v., Corte di Cassazione, ord. 29 luglio 2024, n. 21190), il confronto, con la formula giuridica scelta in base al regime fiscale richiama il tema di fondo del rapporto tra il diritto tributario e lo sport. In altri termini, il riferimento è la costituzionalizzazione dello sport anche per il tramite di un regime tributario agevolato o per meglio dire attraverso la dimensione promozionale del Fisco che, in tal modo, contribuisce alla crescita della persona umana.

Invero, in un momento di particolare sofferenza della potestà impositiva per cui il prelievo è sempre più sostituito da regimi premiali, la consapevolezza che noi siamo anche corpo ci conduce a valutare anche in termini economici il benessere che lo sport apporta, garantendo la realizzazione di interessi costituzionalmente protetti attraverso agevolazioni che ai sensi degli artt. 3 e 53 Cost. sono giustificate dalla riduzione della spesa sanitaria che si materializzi attraverso uno stile di vita sano e corretto. Affinché tale sanzione positiva si realizzi occorre però il varo di una disciplina organica della fiscalità dello sport.

Finora, infatti, il fenomeno sportivo risulta caratterizzato da una molteplicità di interventi legislativi molto diversi fra loro, non coordinati con il codice del Terzo Settore. Anzi di sovente abbiamo assistito solo alla trasmigrazione di alcune nozioni da tale codice alla disciplina delle associazioni sportive dilettantistiche. Un esempio è il caso dell’esonero dalla trasmissione di taluni adempimenti formali, valida esclusivamente per gli enti iscritti nel registro degli enti sportivi dilettantistici o nel Runts. In generale le associazioni sportive dilettantistiche sono disciplinate dalla L. n. 398/1991 (a seguito dell’autorizzazione comunitaria per quelle che opteranno di entrare nel Terzo Settore tale legge sarà abrogata implicitamente dalla disciplina dell’art. 86 CTS), normativa che provvede alla qualifica fiscale delle associazioni e delle società sportive senza fine di lucro, pur senza contemplare la doppia qualifica. A tale legge che stabilisce l’impianto si affiancano poi la riforma dell’ordinamento sportivo entrata in vigore nel 2021 e quella del Terzo Settore, oggetto precipuo di attenzione di questa indagine. Riforme che insieme alla procedura di infrazione avviata ai danni dell’Italia dalla Commissione europea, che ha fissato il 1° gennaio 2025 come data per modificare il regime fiscale di tantissime entrate degli enti sportivi, quali i corrispettivi specifici versati dai tesserati e dagli associati (dopo la procedura di infrazione 2008 del 2010 per cui l’UE riteneva la loro disciplina in contrasto con l’art. 4, par. 1 della Direttiva 2006/112/CE, dal 1° gennaio 2025 saranno attratti nel campo IVA ed in particolare saranno ritenuti operazioni esenti anche in virtù dell’art. 132 della Direttiva IVA) rendono ancor più complesso il rapporto giuridico fiscale tra sport e terzo settore. Prima di entrare nel vivo delle diverse questioni problematiche derivanti dalla mancanza della doppia qualifica, per cui dei provvedimenti sono validi solo per le associazioni sportive altri per quelle iscritte anche come Terzo Settore, va rilevato che con la riforma della disciplina dello sport si è registrato sia uno scollamento tra le attività principali e quelle collaterali, con queste ultime che ricalcano la definizione data già dalla disciplina del Terzo Settore, che un disallineamento relativamente alla normativa tributaria. Fiscalmente superabile attraverso un’apertura alle attività connesse dove l’elemento discriminante per il regime agevolato è come sono organizzate e a chi sono rivolte tali prestazioni, per cui si perde il beneficio fiscale del regime forfettario quando sono in favore dei terzi che non esercitino attività sportiva (si pensi all’associazione sportiva dilettantistica che al suo interno vende abbigliamento sportivo a tutti, attività commerciale con lucro ripartito, oppure che ha un servizio di buvette organizzata come ristorante per tutti e non come attività che, seppur commerciale, destina i proventi agli associati), a seguito di un’altra infrazione comunitaria il legislatore tributario ha separato il campo fra associazioni sportive dilettantistiche e società sportive. In base a tale distinzione solo le associazioni sportive dilettantistiche possono essere definite enti non profit (al pari degli enti non commerciali la disciplina che le informa è quella dell’art. 148, comma 3, TUIR per le imposte dirette, che de-commercializza ai fini IRES una serie di attività, e fino al 1° gennaio 2025 dell’art 4 della disciplina IVA) mentre le società sportive dilettantistiche sono enti commerciali, pur quando senza scopo di lucro. In tale circostanza queste ultime sono soggette al regime IVA tradizionale, sovvertendo in tal modo il tentativo approntato dalla legge del 2002 di assoggettare allo stesso regime IVA le due distinte formazioni sportive. Pur se mitigato da forme di semplificazione per quelle associazioni sportive dilettantistiche che esercitano interamente o quasi esclusivamente attività esenti, per quanto concerne l’applicazione dell’IVA, la sovrapposizione di due norme in vigore e un’altra che a breve sarà vigente rende il tutto ancora più complicato e bisognoso di un vero coordinamento normativo tra la riforma del Terzo Settore e quella dello sport2. Infine, per avere un sistema che valorizzi il rapporto duplice tra enti del terzo settore e enti sportivi è quindi l’effettivo esercizio di un’attività senza fine di lucro e il rispetto della trasparenza, anche dei finanziamenti, che deve orientare il passaggio dalla doppia qualifica all’applicazione ad ampio raggio dell’art. 86 del codice del Terzo Settore (da ultimo, Cass. civ., sez. trib., ord. 3 gennaio 2025, n. 60).

3. Nel quadro della riforma uno degli elementi su cui il nuovo codice del Terzo Settore si è ampiamente soffermato sono gli strumenti premiali. Sinora poco conosciuti, insieme al trattamento fiscale delle contribuzioni effettuate dai soci fondatori come dotazione iniziale della Fondazione e alla disciplina dei fondi di intermediazione filantropica (DAF), assai diffusi negli Stati Uniti e da poco anche in Italia, la disamina delle norme legate alle donazioni e alle erogazioni liberali richiede un confronto tra la disciplina introdotta dal nuovo codice del Terzo Settore con quella contenuta nelle altre norme settoriali. Premessa l’esistenza di un panorama molto variegato e che il sostrato della riforma è quello di razionalizzare i trattamenti fiscali delle varie forme presenti, incoraggiando in tal modo investimenti, quali quelli utili a favorire l’economia circolare (equiparando ad esempio la donazione di un cesto alimentare, quindi una donazione in natura, a quella dello stesso valore in denaro), attualmente è l’art. 83 D.Lgs. n. 117/2017 a statuire sia che i donatori possono essere sia persone fisiche che giuridiche, sia la categoria dei beni donabili. Per quest’ultimo caso l’articolo appena citato ha previsto anche i criteri da utilizzare per individuare il valore ai fini della detrazione/deduzione (quest’ultima incide sulla base imponibile alla stregua di un costo) quando non si tratti di erogazione in denaro3. L’equiparazione fra la donazione di un bene e quelle di denaro è, invero, frutto della riforma del 2017; l’impianto normativo precedente, infatti, comprendeva sette forme di detrazione parziale dal reddito delle persone fisiche delle erogazioni concesse a enti non profit, distinte in base alla natura del soggetto beneficiario e all’attività concretamente svolta. Un altro profilo interessante della nuova disciplina è poi la differenziazione tra le erogazioni effettuate da persone fisiche e dalle persone giuridiche. In particolare, il secondo comma dell’art. 83 prevede che se l’erogazione è compiuta da persone fisiche si può scegliere se fruire della detrazione o, in alternativa, della deduzione fiscale, che è prevista nel limite del 10% del reddito dichiarato (l’eventuale eccedenza può essere dedotta dal reddito dei periodi d’imposta successivi, ma non oltre il quarto, fino a concorrenza del suo ammontare), quando il soggetto che effettua l’erogazione liberale è una società o un ente è possibile beneficiare della sola deduzione. Per le imprese, oltre all’equiparazione tra erogazioni di beni e erogazioni di denaro, la riforma presenta l’ulteriore possibilità di avvalersi oltre che dell’art. 83 CTS anche della legge Gadda o legge antisprechi4. Nella descrizione delle erogazioni liberali a favore degli ETS, dopo che la riforma del 5 per mille ha prescritto nuovi termini e nuovi adempimenti per assicurare la trasparenza, un aspetto che va sicuramente segnalato per quelli che potranno essere i risvolti problematici proprio con riferimento al finanziamento è sicuramente quello dell’attuazione del regionalismo differenziato, ad opera della L. n. 86/2024.

4. Delineata la disciplina fiscale delle erogazioni liberali in favore degli ETS occorre ora soffermarsi su uno dei fondamenti della questione: se i benefici fiscali sinora descritti trovino applicazione indistintamente a tutti i donatori oppure se siano escluse le erogazioni liberali effettuate dai membri stessi di un ETS. Il dubbio deriva dalla mancanza di terzietà del donante rispetto all’ente. Non a caso tale soggetto intrattiene con l’ente in questione un rapporto giuridico che discende dall’atto costitutivo e dalla posizione di fondatore, membro o associato. Il tema negli anni ha assunto una particolare rilevanza da interessare di sovente l’Agenzia delle Entrate dando vita, soprattutto nel caso delle fondazioni, ad una prassi consolidata per cui se tali erogazioni sono destinate al perseguimento degli scopi istituzionali dell’ente non saranno assoggettate alle imposte dirette, ai sensi dell’art. 88, comma 4, TUIR, se al contrario, servono per coprire i costi di gestione, devono essere tassate5. In merito, in passato, con l’interpello n. 255/2019 l’Amministrazione finanziaria si era pronunciata sulla deducibilità dei versamenti effettuati dai soci di una fondazione di natura commerciale, chiarendo come nell’ambito degli enti commerciali (soggetti all’art. 73, comma 1, lett. b), TUIR), il c.d. principio di “simmetria fiscale” impedisce al socio che effettui una contribuzione al fondo di dotazione dell’ente no profit di vedersi riconosciuto il diritto alla deduzione. Secondo l’Amministrazione affinché il soggetto erogatore possa beneficiare delle detrazioni o deduzioni, la sua contribuzione deve essere stata eseguita per mero spirito di liberalità, al netto di operazioni sinallagmatiche. In altri termini, all’arricchimento dell’ente non deve corrispondere alcuna utilità in capo al donante6. Sulla stessa linea, più di recente l’Agenzia delle Entrate, nel corso di un incontro con la stampa specializzata, tenutosi il 1° febbraio 2024, nel tornare sull’interpretazione della norma ha escluso dal suo perimetro applicativo le erogazioni rese dai soci in favore del fondo di dotazione di una fondazione, giacché non sono qualificabili come donazioni, in quanto finalizzate a dotare l’ente del patrimonio necessario al perseguimento dello scopo. Il ragionamento dell’Amministrazione finanziaria, partendo dal dato che elementi costitutivi della liberalità sono: l’arricchimento del destinatario, la gratuità e l’assenza di un obbligo o dovere in forma sinallagmatica, è stato quello di comparare la fattispecie con tali presupposti. Occorre, quindi, verificare se un atto di assegnazione di dotazione iniziale all’ente fondazionale da parte dei fondatori comporti un arricchimento patrimoniale per il soggetto che ne risulta destinatario; e se, dunque, costui possa qualificarsi rispetto ad esso come un beneficiario. Sul punto autorevole dottrina ha osservato come per la fondazione sia essenziale la dotazione di un patrimonio, destinato a consentirle la realizzazione delle proprie finalità, per cui è necessario che il fondatore – o anche i terzi – pongano in essere un atto, in forza del quale si spogliano gratuitamente, in modo definitivo e irrevocabile, della proprietà di beni in favore della fondazione, ciò attraverso l’atto di dotazione. Espressivo del vincolo di destinazione degli stessi al perseguimento dello scopo indicato dal fondatore, come chiarito dalla Cassazione nella sentenza n. 16409/2017, «l’effetto della dotazione dell’ente trova la sua autonoma giustificazione causale non nello spirito di liberalità del fondatore, quanto nella destinazione di beni per lo svolgimento, in forma organizzata, dello scopo statutario. L’atto di dotazione trova, cioè, la sua causa nel negozio di fondazione, rappresentandone un elemento inscindibile ed imprescindibile, né la volontà di destinare i beni allo scopo della fondazione può distinguersi dalla volontà di creare l’ente». Premessa la necessità di valorizzare la connotazione liberale anche nella prospettiva del disponente, da questo angolo di visuale spetta all’interprete far rientrare nel perimetro di applicazione della norma relativa alla costituzione di un ETS, ai fini del regime agevolato, tutte quelle erogazioni liberali connotate da un carattere solidaristico, frutto di un apporto intrinsecamente filantropico ravvisabile sin dalla costituzione dell’ente.

5. Con la legge delega n. 106 /2016 per la “Riforma del Terzo settore, dell’impresa sociale e per la disciplina del servizio civile universale” e con i decreti legislativi che ne sono seguiti il Terzo Settore finalmente ha acquisito riconoscimento nell’ordinamento giuridico italiano pur se l’analisi della disciplina ha rivelato un’eterogeneità di fondo sia degli enti qualificati di Terzo Settore che del regime fiscale applicabile. Ciò oltre a impedire la definizione di una categoria unitaria lascia anche inutilizzati una serie di strumenti utili. È il caso dei titoli di solidarietà, quale forma di finanziamento vincolata per gli investimenti del Terzo Settore. Questi ultimi, favoriti dalla rilettura del tributo che esalta l’extrafiscalità e la sua funzione redistributiva, saranno uno strumento validissimo per lo sviluppo del welfare society, ovvero dei privati organizzati che offrono servizi pubblici efficaci ed efficienti al posto dello Stato o integrando quelli dello Stato. Partendo dal presupposto che si tratta di un corpo intermedio tra Stato e mercato che opera comunque in un regime concorrenziale, sulla compatibilità con i principi europei dei titoli di solidarietà (fonte di finanziamento) insieme alla non tassazione degli utili non distribuiti tra i soci (agevolazione fiscale), pesa anche l’esame della dimensione sociale della misura che il giudice europeo valuta, in quanto pur se essa non rappresenta l’anello decisivo nella comparazione con la libera concorrenza, ma è comunque uno degli elementi che deve considerare ai sensi dell’art. 106, par. 2 del Trattato. Tale apertura, nonostante la giustizia europea sia da sempre più a favore della concorrenza che non dell’economia sociale di mercato (v. Viking e Laval) è fautrice delle forme attuali di amministrazione condivisa. In virtù delle quali il principio di concorrenza è chiamato a recedere di fronte alla necessità di assicurare il perseguimento di scopi di interesse generale, che possono essere realizzati sia da enti pubblici che da soggetti privati, quale manifestazione del principio di sussidiarietà orizzontale. Siffatto affidamento è però residuale. Come, infatti, rileva sia nella pronuncia della CGE dell’11 luglio 2013, C-57/12, che in quella del 3 febbraio 2022, n. C-436/20, insieme a quella del 6 ottobre 2021 C-598/19, i servizi sono affidati in deroga dalla modalità classica, rappresentata dalle logiche di mercato, soltanto in presenza del risparmio offerto dall’azione degli enti non profit.

Alla luce di tale interpretazione la riforma qualifica come attività commerciale l’offerta di beni e servizi di interesse generale per la collettività ma detassa i corrispettivi quando non commisurati al costo del servizio offerto, equiparando fiscalmente siffatta fattispecie a quella posta in essere dagli enti non commerciali. La misura della detassazione quando il servizio è reso a condizioni più vantaggiose deriva dall’antica impossibilità a superare in ambito tributario la distinzione fra attività commerciale e non commerciale ed è stata adottata nella speranza di contemperare la difformità con i paradigmi europei che negli anni si è tramutata in un rapporto patologico persistente con la relativa giustizia (quali l’esclusione dei trusts dal novero degli ETS).

Con riferimento al divieto di aiuti di Stato al settore delle attività di natura commerciale svolte dagli enti non profit, la differenza con il diritto europeo dipende essenzialmente dalla mancanza di una definizione uniforme di attività economica e di impresa tra lo Stato nazionale e quella declinata dalla Corte di Giustizia che si riverbera anche sul regime tributario (la questione è risalente, era già stata osservata dalla pronuncia C-199/91, cause riunite Poucet e Pistre, concludendo per un’indagine empirica basata sulla casistica). Tale uniformità è impedita soprattutto dall’assenza di un’autonoma capacità fiscale dell’Unione Europea che, a sua volta, consente la presenza di discipline interne, di sovente particolarmente restrittive. Ecco perché negli anni si è passati da una legislazione tributaria più possibilista, in conflitto con i principi europei, a regimi di particolare rigore che riconoscevano il beneficio fiscale agli ETS solo in assenza di godimento patrimoniale e in mancanza di svolgimento di attività economica. Pertanto, partendo dagli assunti che a livello fiscale ancora non esiste una nozione funzionale di impresa e che la qualifica della soggettività avviene solo in base alle attività svolte, la Commissione europea con l’autorizzazione risanerà l’attuale caos che regna per le Onlus, ristabilendo pure la certezza applicativa di taluni articoli. È questo il caso dell’art. 79 del Codice del Terzo Settore il quale nel qualificare come attività non commerciale solo quelle svolte a titolo gratuito sembra premiare solo le imprese no profit in perdita. Altrettanto dicasi per la previsione al comma 2-bis dello stesso articolo che legando la qualifica a un range, di per sé strumento utile, la attribuisce solo quando i ricavi non superano del 6% i relativi costi per ciascun periodo d’imposta e per non oltre tre periodi d’imposta consecutivi. Altra questione all’attenzione della Commissione europea è poi quella della compatibilità con la libertà di concorrenza del regime forfettario e dei contributi pubblici perché gli enti non profit possano porre in essere anche attività commerciali da cui ritrarre un lucro sia oggettivo che soggettivo.

Premesso che a fini anti-evasivi e antielusivi è più proficuo distinguere tra lucro ripartito e lucro reinvestito, negli anni un tentativo di bilanciamento nella qualifica fiscale delle operazioni del Terzo Settore tra interesse generale e rispetto della concorrenza è scaturito dall’abrogazione della presunzione di non commercialità. Foriera di larghe sacche di evasione in quanto di sovente le agevolazioni e le esenzioni concesse agli ETS per operazioni ritenute non commerciali sono sconfinate in aiuti di Stato7, il legislatore ha cercato di arginare il fenomeno ricorrendo a correttivi fiscali di non poco conto. In un assetto alla ricerca di equilibrio con gli aiuti di Stato, più in generale con le regole del mercato e della concorrenza, si può rileggere sia la disposizione che riconosce il regime di favore legandolo alla “capacità tributaria” dell’ente medesimo, valutata in relazione a ogni esercizio finanziario, che la previsione delle “attività diverse”. Abitualmente operazioni di procacciamento di risorse strumentali allo svolgimento delle attività di interesse generale per il legislatore fiscale queste sono attività commerciali collaterali legate da un nesso teleologico e funzionale con quello dell’ente. Pertanto, partendo proprio dalla lettura funzionale delle norme tributarie, misure agevolative quale il regime forfettario di favore per la determinazione del reddito imponibile ai fini IRES degli enti del Terzo Settore non sono contrastanti in via di principio con gli artt. 3 e 53 Cost. Ciò poiché a fronte delle minori entrate con l’offerta di servizi pubblici si realizza un risparmio di spesa pubblica, fondamentale per il welfare, soprattutto al tempo del fiscal compact.

6. Sulla scorta degli indirizzi della pronuncia costituzionale n. 131/2020 e della prossima autorizzazione comunitaria la riforma del Terzo Settore è oramai giunta al capolinea. Passando da un sistema in cui la fiscalità era vista come un privilegio alla scelta dei modelli giuridici offerti dalla riforma, pur se la lunga attesa dell’autorizzazione comunitaria andrà a incidere su di un tessuto normativo in parte già mutato, riconoscendo soggettivamente coloro che operano con logiche estranee al mercato pur realizzando il profitto, si cerca di rispondere alle esigenze dettate dalle crisi convergendo sul fine della funzione fiscale di contribuire alla crescita della persona umana. In tal verso, confortati anche dagli indirizzi della Corte costituzionale che, prima nella sentenza n. 72/2022, ma da ultimo anche nella n. 111/2024 (Giovannini A., La capacità contributiva ai tempi straordinari della storia: un appunto, in Riv. tel. dir. trib., 2024, 2 e pubblicato online il 28 settembre 2024, www.rivistadirittotributario.it), riconosce la capacità contributiva anche nel collegamento con la spesa pubblica come espressione del vincolo solidaristico e dell’eguaglianza sostanziale, la riflessione intorno al regime tributario degli ETS riporta il dibattito sul rapporto tra le categorie generali della fiscalità e dell’extrafiscalità. In questo discorso dove il regime agevolato delle attività messe in vita dagli ETS fa emergere il ruolo promozionale del diritto tributario, ma pone anche la domanda se un’eventuale tassazione di una ricchezza già destinata a soddisfare l’art. 53 Cost. sia costituzionalmente ammissibile, rilevano infine due aspetti. Il primo, attiene alla soggettività tributaria; il secondo deriva, invece, dal confronto con l’ordinamento europeo. Rovescio della stessa medaglia, entrambi impattano nel problema attuale più rilevante, ovvero il futuro giuridico della fiscalità dell’UE. D’accordo con chi ha evidenziato il ruolo fondamentale della potestà tributaria dell’UE anche rispetto all’evoluzione della disciplina del Terzo Settore, come nell’applicazione del comma 2-bis dell’art. 79 CTS (Ficari V., La fiscalità degli enti del terzo settore: relative certezze e infinite attese, in Riv. trim. dir. trib., 2023, 4, 853 ss.), dopo la proposta di Direttiva di un ente di Terzo Settore a livello europeo, difficilmente esso vedrà luce senza il rinvigorimento della relativa potestà fiscale. Data l’importanza di iscrivere nel Runts enti non profit stranieri ma anche di istituirne uno a livello sovranazionale, il riconoscimento di una sovranità tributaria europea sarebbe auspicabile per poter affidare ad essi attività di interesse generale che non incontrano confini geografici, quali la tutela ambientale. Ciò, peraltro, sarebbe di primaria importanza, vista l’odierna ambiguità tra la crescente importanza delle agevolazioni fiscali “green” e la mancata esclusione della concorrenza (Dorigo S., Transizione ecologica, agevolazioni fiscali ed affievolimento del divieto degli aiuti di stato: un assetto in cerca di equilibrio, in Riv. trim. dir. trib., 2024, 4, 843 ss.). A riprova del bisogno di un ente europeo del Terzo Settore in questa sede è utile richiamare la questione problematica che da un po’ affanna la soggettività tributaria delle comunità energetiche rinnovabili, impedendole di svilupparsi8.

Consapevoli che prefigurare un ente sussidiario europeo a tutela dell’ambiente rappresenta una proposta, ancorché fantasiosa per lo scenario politico attuale, che va ben oltre il Mercato unico e la definizione della stabile organizzazione nei singoli Paesi membri, con tale previsione però si imporrebbe anche l’armonizzazione delle nozioni di impresa e delle sue regole fiscali. E non solo; con essa oltre a mettere un punto fermo sulla sovranità fiscale europea (anticipando quello che sin dai tempi di Einaudi appariva un dilemma contemporaneo), si eviterebbero dilemmi, quali quello rimesso ai limiti del divieto della tax competition. Inoltre, l’implementazione di un ente sussidiario europeo che opera in virtù di regole fiscali decise dallo stesso livello di governo, in una veste non dialogica tra Stato e mercato, contribuirebbe a fornire una risposta a una delle sfide più grandi che viviamo: concretizzare i diritti sociali che sono anche diritti fondamentali.

(*) Il saggio, opportunamente rivisitato, è il testo della relazione tenuta dall’Autore al Convegno “Associazioni e società sportive dilettantistiche e le novità degli enti del terzo settore”, svoltosi a Roma il 15 novembre 2024 e organizzato dall’“Istituto per il Governo Societario”.

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1 Ribaltando la prevalenza della sostanza sulla forma, i contenuti della riforma volgano nel verso che non è più solo una questione fiscale, ovvero che occorre una legge che determini la tipizzazione degli ETS, al fine di evitare situazioni intricate quali: l’incerta collocazione tra il diritto societario e gli enti del libro primo, per i quali l’attività economica è strumentale ma non prevalente, la loro commercializzazione, che ha origine giurisprudenziale e l’analogia con il diritto societario.

2 L’agevolazione ex art. 36-bis del decreto IVA consiste in una semplificazione molto valida per quelle ASD, di solito di più piccole dimensioni, che mettono in vita esclusivamente o quasi interamente operazioni IVA esenti, consentendogli di non fatturare né registrare le relative operazioni IVA.

3 In particolare, l’art. 83, comma 1, CTS riconosce, a fronte di tali liberalità, una detrazione dall’imposta lorda sul reddito delle persone fisiche pari al 30% degli oneri sostenuti dal contribuente (o al 35%, se l’erogazione è a favore di organizzazioni di volontariato) per un importo complessivo in ciascun periodo d’imposta non superiore a 30.000 euro (e purché il versamento sia eseguito con sistemi di pagamento “tracciabili” ex art. 23 D.Lgs. n. 241/1997).

4 Dall’altro versante, i contribuenti che beneficiano delle agevolazioni previste dall’art. 83, commi 1 e 2, D.Lgs. n. 117/2017 non possono cumularle con altre detrazioni o deduzioni riconosciute.

5 Secondo la Risposta ad interpello n. 189/2020.

6 Ogniqualvolta quest’ultimo riceve in cambio un’utilità viene meno il carattere liberale dell’erogazione, determinandosi in tal modo «un trasferimento di utilità reciproche, incompatibile con la qualificazione di tali versamenti in termini di liberalità».

7 L’unica presunzione consentita fino al 2017 è stata quella in capo agli enti ecclesiastici per i beni da questi posseduti.

8 Istituite dal D.Lgs. n. 119/2021 che declina la qualifica di attività non commerciale in tutti i casi, la forma delle CER è però ascrivibile sotto due tipologie diverse: l’associazione non riconosciuta e la cooperativa. E, mentre per l’associazione non riconosciuta problemi di corrispondenza tra la forma professata dalla legge e la sostanza delle operazioni messe in vita non sorgono lo stesso non avviene quando la forma scelta è quella della cooperativa. Nella prima accezione, infatti, si tratta quasi sempre di modeste strutture societarie che non esercitano operazioni commerciali e quindi non si prestano a realizzare lucro soggettivo, da intendersi dei soci e non della società, per cui il regime fiscale agevolato non trova ostacoli concettuali. Al contrario, nel caso delle cooperative, essendo quasi sempre società per azioni che operano attraverso operazioni commerciali, è piuttosto problematico, a legge invariata, non applicare l’IVA, IRES e gli altri tributi.

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