L’onere della prova nel transfer pricing tra procedimento e processo tributario

Di Claudia Fava -

Abstract (*)

Anche in materia di transfer pricing, gli schematismi processualistici della giurisprudenza di legittimità mettono in secondo piano la strumentazione amministrativistica che meglio renderebbe conto della dialettica tra i vari aspetti rilevanti su questa complessa materia. Secondo i giudici di legittimità l’Amministrazione finanziaria è tenuta (soltanto) a dimostrare che l’operazione contestata è avvenuta ad un prezzo apparentemente inferiore a quello di mercato, mentre spetterebbe al contribuente provare l’aderenza dell’operazione ai valori normali, determinati sulla base del prezzo o corrispettivo medio praticato in condizioni di libera concorrenza. Tale orientamento appare riduttivo, poiché il mero scostamento dal prezzo di mercato mette in secondo piano la frequente mancanza di un mercato di riferimento e le complessità della normativa sostanziale (art. 110, comma 7, TUIR), dove si intrecciano questioni di fatto e di diritto, anche in relazione al recente comma 5-bis dell’art. 7 D.Lgs. n. 546/1992 e dall’art. 2697 c.c. Al contrario, si ritiene che l’Amministrazione finanziaria sia tenuta a fornire la prova piena dell’incongruenza del prezzo applicato rispetto alla fascia di valori che sarebbero stati corretti nella fattispecie, tenendo conto di tutti gli elementi a disposizione nella fattispecie anche confrontando l’operazione con altre della stessa tipologia.

Burden of proof in transfer pricing between tax proceeding and process – About transfer pricing assessments, the Italian Supreme Court considers that the tax authority must demonstrate that the contested transaction took place at a price apparently lower than the market price, while it is up to the taxpayer to prove that the transaction adheres to normal values, determined based on the average price or consideration applied in conditions of free competition. This orientation cannot be shared since the requirement of mere appearance seems unsuitable to form a detailed, appropriate and compliant proof of the relevant substantive legislation (Article 110, paragraph 7, TUIR), in line with the provisions of the new paragraph 5-bis, of the art. 7, legislative decree no. 546/1992 and by art. 2697 of the civil code. On the contrary, it is preferable to consider that the tax authority must provide full proof of the inconsistency of the price with respect to the market price, using all the powers at its disposal. To this end, he will have to verify how the transaction was structured, comparing it with others of the same type, first in the proceeding, during the investigation, and then by merging what has been acquired, in the process.

Sommario: 1. Premessa: l’orientamento giurisprudenziale in materia di onere della prova nel transfer pricing.2. Il riparto dell’onere probatorio ai fini dell’applicazione dell’art. 110, comma 7, TUIR. – 3. (Segue). Rapporti tra fase istruttoria e fase processuale per l’assolvimento dell’onere della prova. – 4. L’inapplicabilità del principio della “disponibilità del mezzo di prova” alla disciplina del transfer pricing. – 5. Considerazioni conclusive.

1. La disciplina sulla prova in tema di accertamenti basati sul transfer pricing necessita di adeguata riflessione. La giurisprudenza di legittimità ha elaborato orientamenti poco condivisibili, che assegnano al contribuente oneri probatori spropositati e di difficile attuazione.

Nel dettaglio le pronunce sul tema1, molte delle quali2 ribadiscono che l’onere della prova in ordine all’esistenza e all’inerenza dei costi sopportati grava sul contribuente che affermi di aver ricevuto il servizio, sostengono che sia onere dell’Amministrazione finanziaria soltanto provare che l’operazione oggetto di contestazione, effettuata tra le società di un gruppo, di cui almeno una residente in Italia (art. 110, comma 7, TUIR), sia avvenuta ad un prezzo apparentemente inferiore a quello di mercato, mentre spetta al contribuente fornire la prova contraria, dimostrando l’aderenza dell’operazione ai valori normali, determinati sulla base del prezzo o corrispettivo medio praticato per i beni ceduti o i servizi prestati, in condizioni di libera concorrenza (art. 9, comma 3, TUIR).

Applicando il suesposto principio, la Suprema Corte ad esempio ha affermato che, in caso di finanziamento infragruppo erogato dalla società controllante italiana a una società veicolo estera, l’onere della prova è ripartito nei seguenti termini. L’Ufficio deve dimostrare che l’operazione è avvenuta ad un tasso di interesse apparentemente inferiore a quello normale, quale presupposto della ripresa a tassazione degli interessi attivi sul finanziamento (in tutto o in parte non corrisposti), quantificati in base al tasso di interesse di mercato. Tale interesse è osservabile in relazione a finanziamenti con caratteristiche sufficientemente comparabili, erogabili a soggetti aventi il medesimo merito creditizio dell’impresa debitrice associata. Spetta, invece, al contribuente provare la corrispondenza tra il tasso applicato e quello di mercato, ovvero che l’operazione sarebbe avvenuta alle medesime condizioni anche se fosse stata effettuata da società indipendenti operanti nel libero mercato; oppure dimostrare che un eventuale finanziamento gratuito è dipeso da ragioni commerciali del gruppo, connesse al ruolo assunto dalla controllante nel sostegno delle controllate3.

Ebbene, come di seguito si dirà, la questione della prova, anche con riferimento alle operazioni di rifinanziamento, prima che in giudizio rileva nella fase procedimentale. In tale fase l’Amministrazione finanziaria, al fine di emettere un provvedimento impositivo, deve attentamente valutare, in base alle prove raccolte, la situazione fattuale collegata al tributo evaso, cui sono riconducibili, eventualmente, le operazioni di transfer pricing.

2. Nei casi di transfer pricing, l’Ufficio accerta ricavi maggiori rispetto a quelli dichiarati sulla base di quanto disposto dall’art. 110, comma 7, TUIR, atteso che i ricavi risultanti in contabilità sono inferiori se parametrati ai prezzi «che sarebbero stati pattuiti tra soggetti indipendenti operanti in condizioni di libera concorrenza e in circostanze comparabili» (art. 110, comma 7, TUIR).

Secondo un indirizzo giurisprudenziale4 tale disposizione avrebbe natura antielusiva, in quanto funzionale a contrastare l’intento del contribuente di attuare operazioni con prezzi inferiori a quelli del mercato, per trasferire imponibile da Stati a fiscalità elevata a quelli con regimi fiscali più convenienti, senza che sussistano altre ragioni economiche che sorreggano l’operazione.

Un altro indirizzo giurisprudenziale5, al contrario, ritiene che tale disposizione non sia preordinata ad evitare operazioni elusive, poiché la norma non prevede espressamente che il transfer pricing, per essere censurabile, debba tradursi nel concreto vantaggio fiscale ottenuto dal contribuente. L’art. 110, comma 7, TUIR, infatti, non richiede altro che la sussistenza di «transazioni tra imprese collegate ad un prezzo apparentemente inferiore a quello normale, gravando invece sul contribuente, secondo le regole ordinarie di vicinanza della prova, ai sensi dell’art. 2697 cod. civ. […] l’onere di dimostrare che tali ‘transazioni’ sono intervenute per valori di mercato da considerarsi normali alla stregua dell’art. 9, terzo comma, TUIR»6.

Come affermato in dottrina7, tali orientamenti non appaiono condivisibili, in quanto ricollegano la prova gravante sull’Amministrazione alla mera sussistenza di operazioni tra imprese facenti parte di un gruppo ad un prezzo “apparentemente” inferiore a quello normale, addossando al contribuente l’onere di dimostrare che le operazioni in questione siano state effettuate al prezzo normale determinato dal mercato8.

Invero, non si comprende come l’apparente9 incongruenza del prezzo della transazione rispetto a quello di mercato possa ancorare l’onere probatorio che incombe sull’Amministrazione finanziaria alla regola contenuta nell’art. 2697, comma 1, c.c., in forza del quale devono essere provati i fatti che costituiscono il fondamento di quanto affermato.

Detta “apparenza” collide, evidentemente, con la dimostrazione di un fatto che si assume essere vero, in quanto è necessario individuare elementi probatori dotati di una certa sostanza dimostrativa, idonei a rendere reali e veritieri i fatti dedotti in giudizio, che, altrimenti, rimarrebbero allo stadio di mere presunzioni.

Difatti, dall’art. 110, comma 7, TUIR, può ricavarsi esclusivamente che le operazioni tra società facenti parte di un gruppo devono avvenire a prezzi normali di mercato, ovvero a prezzi che sarebbero stati pattuiti tra soggetti indipendenti, operanti in condizioni di libera concorrenza e in situazioni comparabili. Orbene, quest’ultimo elemento è trascurato dalla richiamata giurisprudenza, che si limita a focalizzare la doverosa indagine probatoria dell’Amministrazione sull’apparente non congruenza della transazione rispetto al prezzo di mercato.

In realtà, l’Amministrazione finanziaria è in possesso di tutti gli strumenti necessari per individuare in modo circostanziato e preciso se l’operazione sia avvenuta nel rispetto di quanto enunciato dall’art.110, comma 7, TUIR, ovvero al prezzo normale di mercato e in conformità ai prezzi pattuiti tra società indipendenti in situazioni comparabili. In particolare, l’Ente impositore potrebbe: a) esercitare poteri conoscitivi, acquisendo informazioni e documenti rilevanti (artt. 32 e 33 DPR. n. 600/1973); b) scambiare informazioni con le Autorità fiscali estere.

Nulla di tutto ciò è rinvenibile nelle pronunce sopra citate, che legittimano accertamenti alquanto generici ed astratti, senza che l’Amministrazione debba verificare, in concreto, come le medesime operazioni sono regolate nei vari contesti societari. Giova, infatti, rilevare che l’Amministrazione non verte in uno stato di deficit conoscitivo, idoneo ad invertire l’onere probatorio in giudizio, come di seguito si chiarirà.

Peraltro, con specifico riferimento al caso del finanziamento infragruppo, erogato dalla società controllante italiana ad una società veicolo estera10, non è nemmeno corretto onerare l’Ufficio di dimostrare che l’operazione è avvenuta ad un tasso di interesse apparentemente inferiore a quello normale (i.e. di mercato). Invero il tasso d’interesse di mercato, osservabile in relazione a finanziamenti erogabili a soggetti aventi il medesimo merito creditizio dell’impresa debitrice, nell’ambito di un gruppo di società assume caratteristiche peculiari.

Precisamente, il termine di paragone ai fini del confronto suddetto non è, a ben vedere, il tasso di interesse praticato tra soggetti indipendenti, bensì il tasso di interesse praticato nell’ambito di un altro (e similare) gruppo di società. Ciò in quanto la dinamica di gruppo consente la vera conoscenza del merito creditizio della consociata (in ipotesi estera) cui concedere il finanziamento, a condizioni che, evidentemente, esulano dal rapporto tra estranei indipendenti, contraddistinto certamente da un rischio più alto a causa dell’estraneità – intesa come scarsa conoscenza – del soggetto debitore. In altri termini, nella maggioranza delle operazioni soggette a controllo di transfer pricing semplicemente non sussiste un prezzo di mercato da prendere a pietra di paragone; in tali casi esiste piuttosto un sindacato della correttezza logica (ragionevolezza o fairness) dell’allocazione di elementi positivi e negativi di reddito all’interno della filiera di un unico gruppo multinazionale, non confrontabile con altri.

3. Quanto osservato permette di affermare, anche con riferimento alla disciplina del transfer pricing, che non può ammettersi alcuna deroga all’ordinaria regola di riparto dell’onere della prova nel processo tributario, compiutamente disciplinata all’art. 7, comma 5-bis, D.Lgs. n. 546/199211. Tale disposizione, eccettuate le richieste di rimborso, prevede chiaramente che spetta all’Amministrazione finanziaria provare in giudizio le violazioni contestate con l’atto impugnato.

La disposizione individua una regola molto rigorosa nella valutazione della prova di cui è onerata l’Amministrazione, che deve essere circostanziata e puntuale, nonché coerente con le norme tributarie sostanziali.

Sul punto, è opportuno chiarire che quanto disposto nella norma sopra richiamata, secondo la quale «Il giudice fonda la decisione sugli elementi di prova che emergono nel giudizio», non è idoneo a mutare la natura di giudizio impugnatorio, propria del processo tributario12, né le regole sulla motivazione dei provvedimenti impositivi13, e nemmeno a modificare la sede di formazione della prova, individuandola nel processo e non già nel procedimento. Tale lettura dell’art. 7, comma 5-bis, D.Lgs. n. 546/1992, peraltro, è coerente con il definitivo superamento delle teorie sul provvedimento impositivo quale provocatio ad opponendum, legittimanti la possibilità, per l’Amministrazione, di inserire anche solo nel giudizio le prove della pretesa impositiva14.

In realtà, i termini utilizzati dal legislatore indicano che nel processo devono essere valutati gli elementi di prova acquisiti nella fase istruttoria dall’Ente impositore, sul quale grava l’onere di allegazione di siffatti elementi nel giudizio15, nel rispetto del principio dispositivo su cui si basa il processo tributario16.

Sempre nella disposizione de qua è, altresì, chiarito che, in assenza di idonea e rigorosa dimostrazione della pretesa da parte dell’Amministrazione finanziaria, il giudice “annulla l’atto impositivo”, escludendo, in tal modo, qualsivoglia effetto sostitutivo della sentenza rispetto all’atto impugnato.

Pertanto, si ritengono definitivamente superate le tesi che conferiscono al processo tributario la natura di “impugnazione-merito”17. Ne deriva che il giudice non potrà emanare una pronuncia che sostituisce quanto indicato dal contribuente nella dichiarazione, ovvero l’atto di accertamento notificato dall’Amministrazione finanziaria18.

In particolare, il merito della lite tributaria non può che incentrarsi sulla verifica della legittimità del provvedimento amministrativo, ossia della sussistenza dei vizi fatti valere dal ricorrente mediante i motivi di ricorso, con conseguente diritto del contribuente ad ottenere l’annullamento dell’atto19. Peraltro, la sentenza che riconosce tale diritto produce effetti costitutivi, poiché elimina l’atto impugnato senza sostituirsi ad esso20.

Peraltro, se il giudice avesse il potere di sostituire, con la sentenza, l’avviso di accertamento, dovrebbe godere anche dei medesimi poteri dell’Amministrazione finanziaria, ma ciò è escluso dalla giurisprudenza di legittimità, secondo la quale è impedito al giudice di introdurre in giudizio nuovi elementi di fatto21. Da ciò discende che la teoria della “impugnazione-merito”, nelle forme in cui viene utilizzata dalla giurisprudenza, è anche contraddittoria22.

Quanto fin qui rilevato permette di delineare come deve essere formata la prova sulla incongruenza del prezzo, rispetto a quello di mercato, nelle operazioni di transfer pricing, senza che venga modificata l’ordinaria regola di riparto dell’onere probatorio, posto a carico dell’Amministrazione finanziaria.

Occorre precisare che l’Ufficio, nella fase di accertamento, deve acquisire congrui elementi di prova sui quali fondare la rettifica del reddito d’impresa. Pertanto, la verifica sulla singola operazione di transfer pricing, nelle società facenti parte di un gruppo, deve essere ancorata ad elementi concreti dai quali poter ricavare che i prezzi applicati si discostano sostanzialmente da quelli pattuiti da società appartenenti ad un gruppo simile, secondo i canoni della “prova come ragionamento”23, diretta alla stima di un valore economico, piuttosto che ad un accadimento della realtà secondo l’approccio culturale processualcivilistico.

La prova di un “valore” non è una prova tradizionalmente intesa, in quanto non c’è uno scontro tra due versioni o due interpretazioni di un evento materiale controverso; si tratta di una prova squisitamente argomentativa prevalentemente frutto di un ragionamento; nel caso del transfer pricing occorre valutare se l’Ufficio tributario abbia valutato tutti i profili argomentativi possibili su una situazione di fatto non controversa (ad esempio, servizi forniti, prestazioni, controprestazioni, economicità dei comportamenti, ecc.); esiste, dunque, un onere di focalizzazione, da parte dell’Ufficio, di tutti gli elementi che il contribuente ha messo a disposizione in funzione dell’effettuazione della stima del valore. Nel transfer price, infatti, non occorre dare la prova che una parte di corrispettivo sia stato “occultato”, ma la sua impropria valutazione, distorta dalle finalità di convenienza tributaria indicate sopra.

La logica conseguenza è che l’Ente impositore può emanare un avviso di accertamento privo di vizi solo se ha valutato tutti i suddetti elementi, se necessario avvalendosi di tutti i mezzi a sua disposizione (poteri conoscitivi, di cui agli artt. 32 e 33 DPR. n. 600/1973; eventuale scambio di informazioni con le Autorità fiscali estere), dai quali ricavare elementi concreti idonei a provare la non congruenza del prezzo.

Ed ancora, in sede processuale, l’Amministrazione ha l’onere di dimostrare di avere formato la prova – intesa quale giudizio sul fatto – già nel procedimento, allegando, nel giudizio, ogni elemento probatorio raccolto.

Pertanto, il contribuente non è tenuto a dimostrare che le operazioni di transfer pricing fossero in linea con i valori normali del mercato, potendo limitarsi a dedurre che gli elementi forniti dall’Ufficio sono inconsistenti. Inoltre, l’Amministrazione finanziaria dovrebbe previamente inviare al contribuente specifiche richieste istruttorie, esercitando proprio i poteri d’indagine individuati dalla normativa24, attuando in sede procedimentale una piena e compiuta discovery25. I contribuenti, infatti, nell’ottica di impedire l’instaurazione della lite giudiziale, hanno interesse a fornire all’Amministrazione ogni documento utile a riscontare la congruità del prezzo applicato al valore normale nelle operazioni di transfer pricing.

Pertanto, se il contribuente adempie alle richieste dell’Ufficio, spetta a quest’ultimo contestare, prendendo posizione sul punto, la completezza, la veridicità e l’idoneità di quanto esibito, e, più in generale, l’adeguatezza della documentazione in ordine a tutti i requisiti previsti dall’art. 110, comma 7, TUIR.

Si è di fronte, in definitiva, ad una forma di contraddittorio endoprocedimentale che non inerisce al riparto dell’onere della prova, ma al confronto in sede di procedimento (i cui elementi confluiranno nel processo) tra allegazione dell’Amministrazione finanziaria e contro deduzioni del contribuente, che esula dalla diversa dialettica di prova e controprova tipica del processo civile.

Per le ragioni esposte, non appare condivisibile l’orientamento della richiamata giurisprudenza di legittimità che ritiene legittimo l’atto impositivo sulla base della mera “apparenza” della non congruenza del prezzo della transazione rispetto a quello di mercato. Si tratta, invero, di una prova che non può certamente raggiungere il dovuto livello di sufficienza e che trasferisce, illegittimamente, sul contribuente l’onere di contestare le generiche affermazioni dell’Amministrazione. Al contrario quest’ultima, in sede istruttoria, deve rivolgere al contribuente obiezioni specifiche e puntuali, onde poter argomentare, in modo compiuto, circa la fondatezza della rettifica, prescindendo dalle possibili difese che potranno essere spiegate dal contribuente in giudizio.

4. Le superiori argomentazioni non possono essere sconfessate neanche dal principio, di matrice giurisprudenziale, della c.d. “vicinanza della prova” o della “disponibilità del mezzo di prova”26, in forza del quale, in deroga al principio espresso dall’art. 2697 c.c., l’onere della prova è ritenuto gravante sulla parte che è maggiormente in grado di assolvervi.

Alla luce di tale principio, considerato applicabile anche all’ambito tributario27, la giurisprudenza ha addossato al contribuente la prova di ogni fatto che determina una riduzione del carico fiscale28.

Tuttavia, come affermato in dottrina29, vagliando la giurisprudenza civilistica in subiecta materia, si comprende come la deroga all’art. 2697 c.c., sulla base del criterio della “vicinanza della prova”, è straordinaria ed è concessa solo nelle ipotesi in cui vi è una situazione che non consente allo strumento processuale di garantire la necessaria parità funzionale30.

è, quindi, evidente come la regola della “disponibilità del mezzo di prova” non riguardi l’ordinario riparto dell’onere della prova, ma rivesta natura eccezionale: il principio può essere adoperato solo se funzionale ad evitare un abuso dell’art. 2697 c.c. ovvero al fine di permettere una tutela giurisdizionale piena ed effettiva, non altrimenti raggiungibile, in capo ad una delle parti31.

Ebbene, nella materia tributaria, come sopra precisato32, gli ampi poteri conoscitivi di cui è in possesso l’Amministrazione finanziaria33, che attuano la giustizia nel procedimento e si estendono nella possibilità di richiedere informazioni (anche) alle Autorità amministrative estere34, non consentono di ritenere che l’Amministrazione si trovi in una posizione deficitaria35, tale da consentire la deroga all’ordinario criterio di riparto dell’onere probatorio.

Conseguentemente, anche in tema di transfer pricing, non può trovare applicazione il citato principio della “vicinanza del mezzo di prova”, poiché il contribuente, nel dichiarare l’imponibile, applica il corrispettivo pattuito del bene scambiato, mentre incombe sull’Amministrazione l’onere di provare la legittimità della rettifica, fornendo gli elementi necessari a dimostrare l’eventuale discrasia tra corrispettivo pattuito e valore normale36.

Peraltro, si ribadisce, il principio sancito dall’art. 2697 c.c. non è nemmeno utilizzabile per i casi di transfer pricing, ove non sussiste un fatto concreto da provare, ma un elemento astratto da individuare in via indiretta, ossia il valore normale determinato dal mercato per gruppi di società aventi le medesime caratteristiche, che non è oggetto diretto della verifica probatoria, ma va ricavato da altri fatti, ovvero dalle operazioni comparabili con quella contestata. L’Amministrazione finanziaria, in tali fattispecie, è, dunque, tenuta ad argomentare adeguatamente sulla base del materiale raccolto; solo in seguito, il contribuente sarà in grado di contestare gli elementi allegati dall’Amministrazione stessa.

Nel transfer price, come già osservato, non si pone nemmeno un problema di prova intesa quale prova documentale del fatto, perché la realtà fattuale è correttamente rappresentata dal contribuente e non risente di alcun occultamento.

Pertanto, è evidente che le contestazioni generiche dell’Amministrazione sulla non congruità del prezzo pattuito, che derivano proprio dal mancato o incompleto esercizio degli stringenti poteri di indagine nella fase istruttoria, ove ritenute idonee ai fini della rettifica erariale provocherebbero una situazione di primazia dell’Amministrazione contraria al principio di “parità delle armi”, che contraddistingue, invece, il criterio della “vicinanza della prova”.

5. In conclusione, nella consapevolezza della dubbia natura antielusiva rivestita dall’art. 110, comma 7, TUIR, riscontrabile nei richiamati orientamenti giurisprudenziali37, occorre sottolineare la natura sostanziale e valutativa della disposizione.

Tale qualificazione postula che l’Ufficio non si debba limitare, come sostenuto dalla giurisprudenza, ad allegare gli elementi che, apparentemente, sembrano idonei a dimostrare che il prezzo pattuito nelle operazioni di transfer pricing non sia congruo. D’altro canto, il contribuente non è tenuto a dimostrare che vi siano delle ragioni particolari, anche economiche, che giustificherebbero la legittimità dell’operazione.

Al contrario, occorre ritenere che sia l’Amministrazione finanziaria a dover fornire la prova dell’incongruenza del prezzo, utilizzando tutti i poteri istruttori a sua disposizione per dimostrare che il prezzo pattuito, non in linea con il mercato per operazioni similari, determina un illegittimo aumento dei costi, senza che via sia alcuna inversione dell’onere della prova, nemmeno in virtù del citato principio di “vicinanza della prova”.

Su questo crinale si innesta la valutazione delle operazioni di transfer pricing, da considerare coerenti con il valore di mercato pattuito da società che si trovano in situazioni comparabili con la società sottoposta a verifica.

Pertanto, l’Amministrazione finanziaria è tenuta a verificare come è stata strutturata l’operazione de qua, confrontandola con altre dello stesso tipo, prima nel procedimento, e poi facendo confluire nel processo quanto acquisito in sede istruttoria. È questa l’unica via per dimostrare l’alterazione dei corrispettivi praticati in transazioni tra imprese legate da rapporti di controllo, che configurano ipotesi di evasione38 mediante la manipolazione dei costi sostenuti, per il tramite della violazione della regola del valore normale di mercato (art. 110, comma 7, TUIR).

In sostanza, la prova “come ragionamento” deve essere rivolta non tanto al singolo dato dell’operazione contestata, quanto al raffronto valutativo, basato su un’indagine completa delle società che effettuano le medesime operazioni nel mercato.

A tal riguardo, in dottrina39 è stato sostenuto che, analogamente alla prova inerente alla rettifica dei componenti positivi, anche quella sulla rettifica dei componenti negativi deve ricadere sull’Amministrazione. Tra questi rientrano anche i costi iscritti in bilancio per le operazioni di transfer pricing, nelle quali occorre dimostrare il prezzo di mercato, ossia un dato esterno alla singola realtà societaria che può essere appurato, in maniera congrua, solo dall’Ente impositore. Invece, è onere del contribuente cooperare nella fase istruttoria, per fornire ogni elemento utile ad individuare le caratteristiche dell’operazione contestata, nella consapevolezza che il prezzo di mercato non può essere sotto il suo dominio conoscitivo.

In tal modo, peraltro, verrebbe appieno rispettata la ratio sottesa al recente comma 5-bis dell’art. 7 D.Lgs. n. 546/1992, che impone all’Amministrazione finanziaria di provare in giudizio le violazioni contestate con l’atto impugnato, individuando un criterio rigoroso e puntuale di valutazione della prova, coerente con le norme sostanziali, che, nel caso di specie, nulla prevedono in ordine all’eventuale affievolimento dell’onere probatorio in capo all’Amministrazione finanziaria. Al contrario, non può essere certamente considerata sufficiente, come affermato dalla giurisprudenza di legittimità, la mera apparenza della non congruità del prezzo dell’operazione rispetto a quello di mercato, proprio perché tale dato non è ancorato ai criteri sanciti dalla norma sostanziale di cui all’art. 110, comma 7, TUIR.

(*) Il saggio è stato sottoposto a double blind peer review con valutazione positiva. Esso confluirà nel fascicolo n. 1/2025 (semestrale) della Rivista telematica di diritto tributario.

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1 Cfr., tra le tante, Cass., 15 dicembre 2021, n. 40214; Cass., 20 maggio 2021, n. 13850; Cass., 18 settembre 2015, n. 18392; Cass., 8 maggio 2013, n. 10739.

2 Cfr. Cass., 6 marzo 2024, n. 6101; Cass., 330 gennaio 2023, n. 2689; Cass., 18 luglio 2022, n. 22564.

3 Cass., 20 maggio 2021, n. 13850.

4 Cfr., tra le altre, Cass., 22 aprile 2016, n. 8130; Cass., 16 maggio 2007, n. 11226; Cass. 6 marzo 2024, n. 6101, che così si è espressa: «Il fenomeno giuridico ed economico dei gruppi aziendali può infatti astrattamente comportare il diffondersi di operazioni aziendali di tipo difensivo che, nate per la più conveniente allocazione dell’imponibile tra le società associate, sono spesso sfociate in vere e proprie operazioni elusive, il che comporta una particolare rigore, in linea generale, nella valutazione delle operazioni intercompany che hanno

5 Cass., 1° aprile 2016, n. 6331; Cass., 18 settembre 2015, n. 18392.

6 Così Cass., 18 settembre 2015, n. 18392.

7 Cfr. Vanz. G., Accertamenti sul transfer pricing e onere della prova, in Riv. dir. trib., 2021, 2, 746 ss.

8 In tal senso, per tutte, v. Cass., 20 maggio 2021, n. 13850.

9 Marcheselli A., Onere della prova e diritto tributario: una catena di errori pericolosi e un case study in materia di transfer pricing, in Riv. tel. dir. trib., 2020, 1, 225 ss.

10 Cass., 20 maggio 2021, n. 13850.

11 Il menzionato comma 5-bis, recentemente introdotto dalla L. n. 130/2022, prevede che «L’amministrazione prova in giudizio le violazioni contestate con l’atto impugnato. Il giudice fonda la decisione sugli elementi di prova che emergono nel giudizio e annulla l’atto impositivo se la prova della sua fondatezza manca o è contraddittoria o se è comunque insufficiente a dimostrare, in modo circostanziato e puntuale, comunque in coerenza con la normativa tributaria sostanziale, le ragioni oggettive su cui si fondano la pretesa impositiva e l’irrogazione delle sanzioni. Spetta comunque al contribuente fornire le ragioni della richiesta di rimborso, quando non sia conseguente al pagamento di somme oggetto di accertamenti impugnati». In dottrina si vedano, tra gli altri, Melis G., Sul di un trittico di questioni di carattere generale relative al nuovo comma 5-bis dell’art. 7 D.Lgs. n. 546/1992: profili temporali, rapporto con l’art. 2697 c.c. ed estensione del principio di vicinanza della prova, in Riv. tel. dir. trib., 2023, 1, 211 ss.; Giovannini A., Sulla presunzione di onestà del contribuente e sulle prove, in Riv. trim. dir. trib., 2023, 2, 327 ss.; Russo P., Problemi in tema di prova nel processo tributario dopo la riforma della giustizia tributaria, in Riv. tel. dir. trib., 2022, 2, 1013 ss.; Ficari V., Modifiche normative ed onere della prova tra procedimento e processo tributario, in Riv. dir. trib., 2023, 6, I, 603 ss.; Donatelli S., L’onere della prova nella riforma del processo tributario, in Rass. trib., 2023, 1, 25 ss.; Contrino A., Irragionevolezze ordinamentali e innovazioni processuali (rilevanti) della recente riforma della giustizia tributaria, in Il Nuovo Diritto delle Società, 2023, 2, 312 ss.

12 Cfr., ex multis, Tesauro F., Giusto processo e processo tributario, in Rass. trib. 2006, 1, 11 ss.; Id., voce Processo tributario (Agg.), in Dig. disc. priv., sez. comm., Torino, 2007, 697 ss.; Basilavecchia M., Funzione impositiva e forme di tutela, Torino, 2013, II ed., 147 ss. Sulle opposte posizioni dottrinali con riguardo alla natura e all’oggetto del processo tributario si rinvia, tra gli altri, a Russo P., voce Processo tributario, in Enc. dir., Milano, 1987, XXXVI, 770 ss., il quale ha sostenuto che il contribuente, nel processo, fa valere un diritto soggettivo verso l’ente impositore; Glendi C., L’oggetto del processo tributario, Padova, 1984, 209 ss., il quale collega la situazione tutelata all’interesse legittimo al corretto svolgimento dell’azione amministrativa, che persiste prima e dopo l’imposizione e costituisce l’oggetto sostanziale del processo; Fransoni G., Giudicato tributario e attività dell’amministrazione finanziaria, Milano, 2001, 138, il quale propende per la concezione dichiarativa.

13 È noto come sia l’art. 7 dello Statuto dei diritti del contribuente (L. n. 212/2000), sia le norme sulla motivazione dei provvedimenti impositivi ai fini delle imposte sui rediti (art. 42 D.P.R. n. 600/1973) e dell’IVA (art. 56 D.P.R. n. 633/1972), prevedano che la motivazione della rettifica erariale debba essere esaustiva ed autosufficiente, come previsto dall’art. 3 L. n. 241/1990. In particolare, attraverso la motivazione, il contribuente deve essere posto in condizione di conoscere i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che sorreggono il provvedimento impositivo, anche alla luce delle risultanze dell’istruttoria, in modo da poter valutare l’opportunità di esperire l’impugnazione giudiziale e contestare efficacemente l’an e il quantum debeatur. Tali elementi conoscitivi devono essere forniti all’interessato ab origine nel provvedimento impositivo, con un grado di determinatezza ed intelligibilità che permetta al contribuente un esercizio non difficoltoso del diritto di difesa, senza alcuna possibilità, da parte dell’Amministrazione, di modificare o integrare la motivazione dell’atto nella successiva fase processuale. Sul punto si rinvia, fra i tanti, a Gallo F., La Sezione Tributaria della Corte di Cassazione nel sistema della giustizia tributaria: bilancio e prospettive ad un anno dalla sua istituzione. Motivazione e prova nell’accertamento tributario: l’evoluzione del pensiero della Corte, in Rass. trib., 2001, 4, 1100; Califano C., La motivazione degli atti impositivi, Torino, 2012, 159 ss., ove ulteriori riferimenti bibliografici.

14 Sul dibattito e la critica dell’atto di accertamento quale provocatio ad opponendum cfr., tra gli altri, Tesauro F., Il processo tributario tra modello impugnatorio e modello dichiarativo, in Rass. trib., 2016, 6, 1036 ss.; Gallo F., L’istruttoria nel sistema tributario, in Rass. trib., 2009, 1, 25 ss.

15 Cfr. Cipolla G.M., La prova tra procedimento e processo, Padova, 2005, 527; Così Lupi R., L’imposizione tributaria come diritto amministrativo speciale, San Cesareo (RM), 2023, 238.

16 Per la prima affermazione del carattere dispositivo del processo tributario cfr. Tesauro F., Sui princìpi generali dell’istruzione probatoria nel processo tributario, in Riv. dir. fin., 1978, II, 203; Id., Ancora sui poteri istruttori delle Commissioni tributarie, in Riv. dir. fin, 1988, II, 14. In senso conforme v., tra gli altri, Gallo F., L’istruttoria nel sistema tributario, cit., 25 ss., che così si è espresso «Mi pare evidente che un giudizio, come quello tributario, strutturato come giudizio di impugnazione di atti, è inevitabilmente un tipico processo dispositivo – o, meglio, a impulso di parte – rivolto al controllo della legittimità degli atti stessi, oltre che, beninteso, della fondatezza della pretesa fatta valere con l’atto di accertamento. In un sistema avente questa caratteristica, al giudice compete il controllo – entro i confini delimitati dalla cognitio – sull’assolvimento dell’onere della prova da parte dell’Amministrazione finanziaria (che ne è gravata quale attore sostanziale)».

17 La formula “impugnazione-merito” è stata coniata da Capaccioli (cfr. Capaccioli E., Interessi legittimi e risarcimento dei danni, Milano, 1963, 79) per indicare l’impugnazione sostitutiva, contrapposta a quella rescindente. Secondo questa tesi la cognizione del giudice non è limitata alla legittimità del provvedimento (che è oggetto soltanto formale del giudizio), ma investe il rapporto, in quanto riferito al presupposto d’imposta. Tuttavia, come acutamente osservato da Tesauro (Giusto processo e processo tributario, cit., 11 ss.) «Parlare di impugnazione-merito a proposito del processo tributario non è però una scelta linguisticamente felice, perché un provvedimento amministrativo vincolato, qual è l’atto d’imposizione, non racchiude alcun profilo di merito, nel senso amministrativistico del termine. La formula impugnazione-merito è dunque impropria ed ambigua. Può essere usata, ed è di fatto usata, in più significati».

18 Cfr. Cass., 25 marzo 2021, n. 8510, secondo cui «Il processo tributario è annoverabile tra quelli di ‘impugnazione-merito’, in quanto diretto ad una decisione sostitutiva sia della dichiarazione resa dal contribuente, sia dell’accertamento dell’Ufficio, sicché il giudice, ove ritenga invalido l’avviso di accertamento per motivi non formali, ma di carattere sostanziale, non può limitarsi al suo annullamento, ma deve esaminare nel merito la pretesa e ricondurla alla corretta misura, entro i limiti posti dalle domande di parte». Nello stesso senso cfr., tra le altre, Cass. n. 18777/2020; Cass. n. 25764/2014.

19 Così Tesauro F., Giusto processo e processo tributario, cit., nota 11, il quale afferma che «Oggetto del processo non è l’interesse legittimo, ma il diritto (potestativo) all’annullamento (o alla riforma) dell’atto impugnato».

20Non esiste, si ribadisce, alcuna necessaria correlazione fra giudizio di merito e sentenza sostitutiva. Anzi, in materia tributaria il giudizio di merito si conclude con una sentenza (non sostitutiva, bensì) dichiarativa o costitutiva, a seconda del fatto che il ricorso venga respinto o accolto: cfr. Randazzo F., Rapporto tra iscrivibilità a ruolo degli importi non contestati e decadenza dell’Amministrazione finanziaria, in Riv. giur. trib., 2013, 7, 584, secondo il quale «la lite condotta dentro il processo nato dall’impugnazione di un atto espressione del potere impositivo non ha altra emergenza che non sia quella del controllo giurisdizionale dell’atto impugnato», e «il sindacato del giudice si concentra sull’operato dell’ufficio, che fa da oggetto e da limite alla sua cognizione, restandogli preclusa ogni valutazione di elementi del presupposto rimasti estranei al contenuto del provvedimento impugnato». Ne deriva che «La sentenza è allora destinata a non avere un contenuto di accertamento di rapporti tra le parti e, nel caso venga confermato l’atto impugnato (per insussistenza dei vizi eccepiti dal ricorrente), essa non avrà effetto sostitutivo del provvedimento».

21 Cfr. Cass., 11 maggio 2016, n. 9555, che ha affermato la sussistenza di un vizio di extrapetizione se il giudice «interferendo nel potere dispositivo delle parti, alteri gli elementi obiettivi dell’azione (petitum e causa petendi) e, sostituendo i fatti costitutivi della pretesa, emetta un provvedimento diverso da quello richiesto (petitum immediato), ovvero attribuisca o neghi un bene della vita diverso da quello conteso (petitum mediato)».

22 Cfr. Turchi A., L’azione tributaria di impugnazione fra modelli tradizionali e recenti interpretazioni giurisprudenziali, in Riv. trim. dir. trib., 2017, 1, 169 ss.

23 Così Lupi R., L’imposizione tributaria come diritto amministrativo speciale, cit., 185.

24 Cfr., tra gli altri, Vanz G., I poteri conoscitivi e di controllo dell’amministrazione finanziaria, Padova, 2012, 72 ss.

25 Vanz. G., Accertamenti sul transfer pricing e onere della prova, cit. 746 ss.

26 Cfr., tra le altre, Cass., Sez. Un., 6 maggio 2015, n. 9100; Cass., 6 luglio 2020, n. 13851; Cass., 7 maggio 2021, n. 12166.

27 Sui riflessi tributari del principio della “vicinanza della prova” cfr., tra gli altri, Cipolla G.M., La prova tra procedimento e processo tributario, cit., 562-573. Per l’applicabilità del principio di “vicinanza della prova” alla materia tributaria si veda anche Colli Vignarelli A., Ambito di operatività dei poteri istruttori del giudice tributario (e connesso problema della prova e dell’onere della prova) in alcune sentenze della Corte di cassazione, in Riv. dir. trib., 2004, 11, I, 1191 ss.

28 Cfr., tra le tante, Cass., 2 aprile 2010, n. 8072; Cass., 11 novembre 2011, n. 23626; Cass., 1° giugno 2012, n. 88089.

29 Cfr. Vanz G., Criticità nell’applicazione in ambito tributario della regola giurisprudenziale della “vicinanza della prova”, in Dir. prat. trib., 2021, 6, 2584 ss.

30 In specie, dalla pronuncia della Cassazione n. 13851/2020 emerge, tra i vari elementi, che «la prossimità/vicinanza della prova trae le conseguenze dalla peculiare natura di fattispecie in cui di una ordinariamente agevole possibilità di fornire la prova fruisce una parte soltanto»; deve dunque sussistere «una disparità tra i litigatores che conduca lo strumento processuale a fuoriuscire dalla necessaria parità funzionale».

31 Così Vanz G., Criticità nell’applicazione in ambito tributario della regola giurisprudenziale della “vicinanza della prova”, cit., 2584 ss.

32 V., supra, par. 2.

33 Cfr. Marcheselli A., Il giusto procedimento tributario: principi e discipline, Padova, 2012, 272 ss.; Vanz G., I poteri conoscitivi e di controllo dell’amministrazione finanziaria, cit., 72 ss.; Tundo F., La partecipazione del contribuente alla verifica tributaria, Padova, 2012, 59 ss. Valga in proposito ricordare che i poteri conoscitivi e di controllo sono esercitabili anche nei confronti dei terzi (anche soggetti pubblici), e consentono all’Amministrazione di acquisire qualunque dato, notizia, informazione, atto, documento e, più in generale, la ricostruzione di qualunque situazione di fatto fiscalmente rilevante.

34 Cfr., tra gli altri, Pierro M., Il dovere fiscale e lo scambio di informazioni, in Riv. dir. fin., 2017, 4, I, 449 ss.

35 Cfr. Zizzo G., La prova contabile nel processo tributario, in Ragucci G. (a cura di), Il contributo di Enrico Allorio allo studio del diritto tributario: atti del Convegno tenutosi presso l’Università degli studi di Milano, 12 giugno 2015, Milano, 2015, 115 ss., il quale, proprio in virtù degli ampi poteri d’indagine di cui gode l’Amministrazione finanziaria, critica, in maniera condivisibile, la coesistenza di molteplici presunzioni legali previste a favore dell’Ente impositore.

36 Canè D., Conseguenze del comportamento antieconomico dell’impresa nell’imposta sui redditi e nell’iva, in Dir. prat. trib., 2015, 2, II, 191 ss.; Cordeiro Guerra V.R., La disciplina del transfer price nell’ordinamento italiano, in Riv. dir. trib., 2000, 4, I, 421 ss.

37 V. supra, par. 2.

38 Stevanato D., Il “transfer pricing” tra evasione ed elusione, in Riv. giur. trib., 2013, 4, 310 ss.

39 Marcheselli A., Onere della prova e diritto tributario: una catena di errori pericolosi e un case study in materia di transfer pricing, cit., 225 ss.

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