La deriva giurisprudenziale sull’ambito di applicazione del reato di indebita compensazione

Di Nicolò Zanotti -

(commento a/notes to Cass. pen., sez. III, 28 gennaio 2025, n. 3374)

Abstract

La pronuncia in commento conferma quel filone giurisprudenziale che, in spregio ai principi che hanno ispirato il sistema penale tributario introdotto dal D.Lgs. n. 74/2000, da un lato, inquadra l’ambito di applicazione del reato di indebita compensazione, di cui all’art. 10-quater D.Lgs. n. 74/2000, attribuendo inopinatamente rilevanza, ai fini della realizzazione della condotta, anche ai debiti diversi da quelli per imposte dirette ed IVA, e, dall’altro, tende a parametrare la soglia di punibilità sia ai debiti che ai crediti di qualsiasi natura portati in compensazione, purché indicati nell’art. 17 D.Lgs. n. 241/1997.

The jurisprudential drift on the scope of application of the crime of undue compensatio – The ruling under review confirms the jurisprudential trend that, in disregard of the principles underlying the tax criminal system introduced by Legislative Decree No. 74 of 2000, on the one hand, defines the scope of application of the offense of undue compensation under Article 10-quater of Legislative Decree No. 74 of 2000 by unjustifiably considering, for the purpose of the offense’s commission, debts other than those related to direct taxes and VAT. On the other hand, it tends to set the threshold of punishability based on both debts and credits of any nature that are offset, provided they are listed in Article 17 of Legislative Decree No. 241 of 1997.

Sommario: 1. La vicenda. – 2. Il delitto di cui all’art. 10-quater D.Lgs. n. 74/2000. – 3. La natura dei versamenti omessi. – 4. La soglia di punibilità. – 5. Conclusioni.

1. Con la sentenza in commento la Corte di Cassazione torna a pronunciarsi sull’annosa questione inerente all’ambito di applicazione dell’art. 10-quater D.Lgs. n. 74/2000 che, nel sanzionare penalmente chiunque non versa le somme dovute mediante un indebito ricorso allo strumento della compensazione di cui all’art. 17 D.Lgs. n. 241/1997, subordina la punibilità della condotta al superamento di una soglia pari a cinquantamila euro per ciascun anno.

I Giudici di legittimità, nel caso di specie, hanno dichiarato il ricorso inammissibile per manifesta infondatezza, ai sensi dell’art. 606, comma 3, c.p.p., in quanto sarebbe ormai del tutto pacifico in giurisprudenza che il reato in considerazione si configura in caso di operazioni concernenti crediti e debiti di diversa natura, anche afferenti a contributi previdenziali ed assistenziali, purché il pagamento sia avvenuto mediante il modello di versamento unitario. Più nel dettaglio, il ricorso per Cassazione ha riguardato una sentenza della Corte di appello di Brescia che aveva condannato il contribuente per il reato di cui all’art. 10-quater, comma 2, in quanto egli avrebbe utilizzato crediti IRAP inesistenti in compensazione di debiti contributivi. Secondo il ricorrente, il giudice di seconde cure sarebbe incorso in violazione di legge per non aver considerato che il citato art. 10-quater, anche in forza della sua collocazione normativa, riguarderebbe esclusivamente le imposte sui redditi e sul valore aggiunto. Secondo la Suprema Corte sarebbe, invece, l’art. 17 D.Lgs. n. 241/1997 a costituire la chiave ermeneutica per definire l’ambito di operatività della fattispecie incriminatrice.

Tanto premesso, pare che la giurisprudenza più recente della Suprema Corte, nell’applicare l’art. 10-quater, tenda a sovrapporre alcuni concetti fondamentali: da un lato, infatti, spesso confonde, ai fini del computo della soglia di rilevanza penale, l’ammontare dei crediti utilizzati in compensazione con l’insieme dei debiti che attraverso tali crediti vengono estinti e, dall’altro lato, pone pacificamente tra i debiti di natura “tributaria” che possono costituire il presupposto per l’applicazione della sanzione penale anche le entrate di carattere previdenziale ed assistenziale (per la loro natura, per tutti, cfr. Puri P., Destinazione previdenziale e prelievo tributario: dalla parafiscalità alla fiscalizzazione del sistema previdenziale, Milano, 2005, 115 ss.; Mastroiacovo V., Tributi e prestazioni imposte nel dialogo tra le Corti, in Il libro dell’anno del diritto, Treccani, 2019, 363 ss.).

2. Per tentare di definire l’effettiva portata della fattispecie penale – introdotta dall’art. 35, comma 7, D.L. n. 223/2006 (Soana G.L., Il reato di indebita compensazione, in Rass. trib., 2008, 1, 61 ss.; Martini A., Reati in materia di finanze e tributi, in Trattato di diritto penale. Parte speciale, vol. XVII, Milano, 2010, 622 ss.) ed interamente riscritta ad opera del D.Lgs. n. 158/2015 (Checcacci G., I reati con condotta di omesso adempimento all’obbligo tributario, in Giovannini A. – Di Martino A. – Marzaduri E., Trattato di diritto sanzionatorio tributario, Milano, 2016, I, 775 ss.) – occorre preliminarmente ricordare che essa si colloca nell’alveo delle misure di revisione del sistema penale tributario introdotto dal D.Lgs. n. 74/2000, che originariamente incentrava il proprio intervento repressivo quasi esclusivamente sul momento dichiarativo, e persegue l’intento, comune alle disposizioni contenute nel c.d. Decreto Bersani, di prevedere figure di reato tese a colpire anche gli illeciti che ineriscono alla fase della riscossione (Soana G.L. – Fanelli O., I reati tributari, IV ed., Milano, 2018, 393 ss.).

Più nel dettaglio, l’art. 10-quater ha introdotto uno strumento volto a reprimere possibili prassi illecite incidenti sul gettito dello Stato, sorte in correlazione con il crescente affidamento di funzioni al privato e, in particolare, con la concessione del potere di calcolare autonomamente le somme da versare mediante il modello F24 e di estinguerle attraverso la compensazione disciplinata dall’art. 17 D.Lgs. n. 241/1997 (Girelli G., La compensazione tributaria, Milano, 2010, 155 ss.; Mauro M., [voce] Compensazione tributaria, in Dig. disc. priv., sez. civ., I agg., Torino, 2016, 27 ss.). La fattispecie delittuosa si realizza, dunque, nel caso in cui il contribuente, attraverso compensazioni non consentite, si sottragga al concreto versamento di somme dovute a titolo di tributo, provocando un danno all’Erario, celato dall’utilizzo di uno strumento ingannatorio, capace di rendere più complicato il riscontro dell’omesso pagamento. La condotta non si sviluppa, quindi, al generico ricorrere di qualsiasi operazione di “compensazione tributaria” (sull’istituto, inter alios, v. Fedele A., L’art. 8 dello Statuto dei diritti del contribuente, in Riv. dir. trib., 2001, 10, I, 883 ss.; Messina G.M., La compensazione nel diritto tributario, Milano, 2006, passim), ma richiede la compilazione ed il successivo invio di un modello F24, che attesti l’impiego di crediti “non spettanti” o “inesistenti” (sulla distinzione tra le due nozioni, inter alios, cfr. Coppola P., La fattispecie dell’indebito utilizzo di crediti d’imposta inesistenti e non spettanti tra i disorientamenti di legittimità e prassi: la “zona grigia” da dipanare, in Dir. prat. trib., 2021, 4, 1525 ss.; Lovisolo A., Credito “inesistente” e credito “non spettante” ai fini del termine di decadenza: la Cassazione dimentica il credito “non utilizzabile” in relazione alle sanzioni, in GT – Riv. giur. trib., 2022, 1, 29 ss.; Del Federico L., Profili attuali in tema di crediti d’imposta: polimorfismo, funzione sovvenzionale, tutele e finanziarizzazione, in Riv. dir. trib., 2022, 3, 201 ss.; Girelli G., La nuova disciplina sull’indebita compensazione, in Giovannini A., a cura di, La riforma fiscale. I diritti e procedimenti, III, Pisa, 2024, 275 ss.; Id., Ancora sulla nuova nozione di credito inesistente e non spettante, in Riv. tel. dir. trib., 2024, 2 e pubblicato online il 17 ottobre 2024, www.rivistadirittotributario.it; Giovanardi A., Non riuscito il tentativo di giungere ad una più rigorosa distinzione normativa tra crediti inesistenti e non spettanti, in il fisco, 2024, 39, 3617 ss.)

In altri termini, la commissione del reato prevede un disvalore di evento, dovuto all’omesso versamento delle somme, cui si aggiunge un disvalore della condotta, consistente nel ricorso all’istituto della compensazione, secondo le forme di cui all’art. 17 D.Lgs. 9 luglio 1997, n. 241, che richiedono la predisposizione di un documento ideologicamente falso ed il suo invio in forma telematica, anche qualora il saldo finale sia pari a zero. Sotto il profilo soggettivo, invece, – nonostante la norma disponga che il reato può essere commesso da “chiunque” – la condotta si realizza solo se il privato, gravato da uno specifico dovere nei confronti del Fisco, decida di adempierlo per il tramite di una compensazione con crediti “non spettanti” o “inesistenti” indicati in un modello F24; trattasi, perciò, di un reato proprio, che può, tuttavia, realizzarsi anche mediante l’intervento in concorso di un soggetto terzo, quale, ad esempio, l’intermediario professionale (Mauro M., Il consulente fiscale risponde a titolo di concorso “aggravato” nel reato di indebita compensazione quando sia l’ideatore di un “modello di evasione fiscale”, in GT – Riv. giur. trib., 2018, 6, 510 ss.).

Per quanto più direttamente ci riguarda, la formulazione generica della norma, che si riferisce al mancato versamento di qualsiasi “somma dovuta”, non chiarisce quale sia il bene giuridico protetto e, perciò, è dubbio se la previsione tenda a salvaguardare solo il corretto versamento delle imposte dirette e dell’IVA, oppure, più generalmente, riguardi anche tutte le altre entrate richiamate dall’art. 17 D.Lgs. n. 241/1997 (in senso critico rispetto all’interpretazione estensiva, inter alios, v. Badodi D., Indebita compensazione, in Nocerino C. – Putinati S., a cura di, La riforma dei reati tributari, Torino, 2015, 237 ss.; Zanotti N., L’incerto ambito di applicazione del reato di indebita compensazione, in Dir. prat. trib., 2021, 3, II, 1424 ss.). Per comprendere il suo ambito di applicazione occorre quindi contestualizzare la previsione all’interno del sistema tributario penale e tenere ben presente che il richiamo al citato art. 17 appare meramente servente rispetto all’individuazione di un procedimento dotato di particolare insidiosità per il Fisco.

Questa prima considerazione ci consente di chiarire subito la natura del credito che può essere portato in compensazione, poiché il rinvio all’art. 17 D.Lgs. n. 241/1997 deve essere inteso nel senso che, perché la condotta possa dirsi realizzata, è sufficiente che l’omesso versamento sia supportato dal ricorso a tale specifica forma di compensazione, che contempla la possibilità di utilizzare non solo crediti per imposte, ma anche per altri tipi di entrate vantate nei confronti di Stato, Regioni ed enti previdenziali (Rossi A., Omesso versamento Iva ed indebita compensazione: artt. 10-ter e 10-quater del d. lgs. n. 74 del 2000 ex d.l. n. 223 del 2006, in il fisco, 2006, 31, 4879). Una diversa interpretazione creerebbe, del resto, una facile via di fuga per il contribuente, che potrebbe aggirare l’ostacolo della sanzione penale creando artatamente un credito “compensabile” diverso da quelli per imposte, purché contemplato dall’art. 17 D.Lgs. n. 241/1997.

3. Tanto premesso, sembra che le modifiche introdotte dal legislatore del 2006, nonostante trovino ragione in un percorso di progressiva criminalizzazione (Perini A., [voce] Reati tributari, in Dig. disc. pen., agg. I, Torino, 2016, 573 ss.; Dorigo S., Reati tributari, in Dig. disc. priv., sez. comm., agg. VIII, Torino, 2017), non possano da sole giustificare la tesi per cui il citato art. 10-quater riguarderebbe le indebite compensazioni relative a tutte le entrate contemplate dall’art. 17 D.Lgs. n. 241/1997 (come invece ritenuto, tra le altre, da Cass. n. 13996/2012; Cass. n. 13149/2020; Cass. n. 389/2020; Cass. n. 23083/2022; Cass. n. 552/2023). Estendere l’ambito applicativo della previsione anche a debiti diversi da quelli per imposte dirette ed IVA parrebbe, infatti, confliggere con l’intento di limitare l’intervento normativo in parola alle sole condotte che possano produrre conseguenze di rilievo nell’ottenimento del gettito fiscale. Tale profilo non può, tuttavia, essere da solo sufficiente a consentire una presa di posizione in un senso, piuttosto che in un altro.

Ciò che occorre tenere ben presente sono, piuttosto, i principi di riserva di legge e di tassatività, propri del diritto penale (Di Siena M., La nuova fattispecie criminosa di indebita compensazione, in il fisco, 2006, 36, 5643). E, in quest’ottica, è utile rilevare che l’art. 10-quater non richiama la compensazione, intesa come istituto giuridico operante in via generalizzata, ma ne definisce la portata, riferendosi in modo esplicito al citato art. 17 D.Lgs. n. 241/1997, che, nell’ammettere l’operazione in sede di versamenti unitari, ne limita l’applicazione alle ipotesi di crediti dello stesso periodo, nei confronti dei medesimi soggetti e risultanti dalle dichiarazioni e dalle denunce periodiche presentate successivamente alla sua data di entrata in vigore.

Deve perciò sicuramente escludersi che ogni operazione di indebita utilizzazione di un credito per soddisfare posizioni debitorie fiscali o previdenziali possa, per ciò solo, essere sanzionata ai sensi del citato art. 10-quater, a prescindere dall’avvenuto ricorso al modello F24. Non pare, perciò, condivisibile quell’orientamento (Cass. n. 42462/2010) che vorrebbe applicare la disposizione anche in caso di detrazione del credito IVA derivante da una dichiarazione annuale, dato che, in tal caso, non si procede per il tramite di un versamento unificato (Perrone A., Limiti di applicabilità del reato previsto dall’art. 10-quater del d.lgs. n. 74/2000, in Riv. dir. trib., 2011, 9, III, 137; Basilavecchia M., Credito “riportato” ma inesistente: rilevanza penale dell’utilizzo, in Corr. trib., 2011, 3, 212 ss.).

Ugualmente, non pare colga nel segno la tesi (Soana G.L., op. cit., 73) per cui, limitando la condotta al solo omesso versamento delle imposte sui redditi e dell’IVA, sarebbe ravvisabile un’inaccettabile discriminazione di situazioni di fatto uguali. In primis, occorre tenere presente il principio di frammentarietà del diritto penale (Manna A., Corso di diritto penale. Parte generale, Milano, 2020, 25), per cui è rimesso alla discrezionalità legislativa stabilire quali comportamenti sanzionare, concentrandosi sulle offese ritenute maggiormente meritevoli di tutela e lasciando agli altri tipi di illecito di occuparsi delle ipotesi che residuano. In secundis, le violazioni inerenti alle fattispecie di natura contributiva potrebbero non rimanere prive di tutela, considerato che la condotta di omesso versamento di ritenute previdenziali è già punita dall’art. 2, comma 1-bis, D.L. n. 463/1983, che, prevedendo una pena più severa rispetto alla fattispecie di cui all’art. 10-quater, comma 1, dovrebbe in tal caso prevalere. Se è vero, infatti, che l’utilizzo della modalità compensativa ex art. 17 D.Lgs. n. 241/1997, anche se realizzata a mezzo di crediti non spettanti od inesistenti, determina, sul piano contributivo, l’estinzione della posizione debitoria, sembra che il succitato art. 2, comma 1-bis – al pari dell’art. 10-quater, che letteralmente si riferisce a “chiunque non versa” – possa comunque essere invocato, sul diverso piano penale, per punire il privato che abbia fatto ricorso all’istituto dell’indebita compensazione allo solo scopo di sottrarsi materialmente al versamento delle ritenute previdenziali effettivamente dovute. In tal modo può dirsi, infatti, realizzata la condotta omissiva che la norma intende punire (Martini A., Reati in materia di finanze e tributi, cit., 627 ss.). Inoltre, per l’ipotesi di indebita compensazione con crediti inesistenti, che non sia riconducibile al citato art. 10-quater, comma 2, trattandosi di condotta evasiva perpetrata mediante l’utilizzo di documentazione non veritiera, potrebbe comunque essere contestato il reato di indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato, ex art. 316-ter c.p. (Cass. n. 7662/2012).

Una diversa lettura potrebbe, del resto, giustificare una deriva interpretativa nel senso di riconoscere la responsabilità penale, ai sensi dell’art. 10-quater, anche a coloro che, in ambito previdenziale, nelle denunce mensili delle retribuzioni, pongono a conguaglio somme che sostengano essere state anticipate a vario titolo ai lavoratori dipendenti (Cass. n. 5177/2015), con ciò favorendo un pericoloso allontanamento dall’originario ambito applicativo della norma (Stevanato D. – Sepio G., Evasione da riscossione e reati tributari, in Dial. trib., 2010, 4, 385 ss.). E non pare condivisibile neanche la tesi (Soana G.L., op. cit., 73) secondo cui limitare la condotta solo all’omesso versamento di IVA e imposte dirette – con esclusione delle altre entrate – renderebbe di fatto inapplicabile la norma, in quanto non sarebbe possibile determinare in che misura il credito abbia inciso su un’entrata, piuttosto che su un’altra; all’interno delle singole sezioni del modello F24 sono, infatti, ben identificati i singoli debiti che vengono estinti per compensazione, senza possibilità di incorrere in errori di sorta.

Credo, quindi, che il richiamo all’art. 17 D.Lgs. n. 241/1997 debba essere letto tenendo ben presente la ratio sottesa all’art. 10-quater, che, collocandosi nell’ambito del D.Lgs. n. 74/2000, sembra essere quella di tutelare i mancati versamenti delle imposte dirette ed IVA, che avvengano attraverso il ricorso all’istituto della compensazione c.d. “fiscale” (Cass. n. 8689/2019; Cass. n. 38042/2019). In altre parole, il rinvio al citato art. 17 non intende riferirsi a tutte le entrate ivi menzionate, ma indicare soltanto il metodo di estinzione dell’obbligazione mediante la procedura caratterizzata dall’utilizzo del modello F24 che, come detto, è dotato di particolare insidiosità.

4. Quanto alla soglia di punibilità – posta al di sopra dei cinquantamila euro -, questa deve essere calcolata in forza della considerazione cumulativa di tutte le operazioni riconducibili al delitto di cui all’art. 10-quater che siano state poste in essere nel corso della stessa annualità, quand’anche effettuate attraverso l’invio di molteplici modelli F24 (Di Siena M., La Corte Costituzionale e la soglia di punibilità del delitto di indebita compensazione: fra suggestive assimilazioni e rigide differenziazioni. Anamnesi di un delitto imperfetto, in Giur. cost., 2018, 1, 335). E, al fine di verificare il suo superamento, devono anzitutto tenersi distinte le indebite compensazioni operate con crediti “non spettanti” da quelle eseguite con crediti “inesistenti”, senza poter sommare gli uni agli altri (Fassi E., Indebita compensazione ex art. 10-quater d.lgs. n. 74/2000. Ricognizione degli elementi costitutivi della fattispecie ed estensione del concetto di profitto ascrivibile a tale tipologia di reato, in Cass. pen., 2018, 1737 ss.), quantomeno per l’accertamento della realizzazione del reato più grave. Non potrà, infatti, dirsi integrata la condotta qualora la soglia sia superata solo in forza della congiunta presenza di crediti in parte “non spettanti” ed in parte “inesistenti”. In tal caso, potrà semmai essere contestato il delitto di cui al l’art. 10-quater, comma 1, poiché, razionalmente, un credito “inesistente” potrà sempre essere considerato di per sé stesso anche “inutilizzabile”. Ragionando diversamente si giungerebbe all’assurda conclusione per cui sarebbe sanzionato penalmente, ai sensi del citato art. 10-quater, comma 1, colui che utilizzi crediti soltanto “non spettanti” per un importo che superi, anche di poco, la soglia di punibilità e non, invece, colui che operi la compensazione usufruendo di crediti in parte “non spettanti” ed in parte “inesistenti”, che sommati tra loro abbiano un valore anche molto maggiore di cinquantamila euro, ma che considerati singolarmente non riescano a raggiungere tale valore.

Tanto premesso, al fine di comprendere i limiti di operatività della descritta soglia, mi pare si debbano tenere ben presenti i già richiamati valori penalistici di tassatività e determinatezza. Non sembra, perciò, condivisibile un’interpretazione analogica in malam partem della disposizione, dovendo sempre riferirsi alla sua ratio, che, lo ripetiamo, è quella di scongiurare il mancato versamento di imposte dirette ed IVA, perpetrato attraverso una condotta considerata particolarmente insidiosa (Cimino F.A., L’ambito applicativo del reato di indebita compensazione: gli orientamenti contrastanti della Suprema Corte, in Rass. trib., 2024, 1, 24 ss.). Per lo stesso motivo, anche la soglia di punibilità dovrà necessariamente rispecchiare questo scopo, misurandosi sulle somme che dovessero risultare non versate nel corso dell’anno e non sui crediti utilizzati in compensazione (contra, v. Cass. n. 14763/2020 e Cass. n. 30092/2024). Ciò che materialmente lede l’interesse erariale è, infatti, il mancato pagamento delle imposte e non lo strumento attraverso il quale questo viene perpetrato, che rappresenta solo un mezzo per giungere al risultato.

Per questa ragione, mi pare che, ai fini della determinazione della soglia, occorra riferirsi a tutte le somme versate a titolo di imposte dirette o IVA nell’annualità e questo può essere il solo motivo per cui il legislatore ha inteso mantenere la locuzione “somme dovute”, volendo accomunare le varie entrate, purché ricadenti in quelle disciplinate dal D.Lgs. n. 74/2000. Semmai, tale generico riferimento potrebbe essere giustificato col fatto che nella sezione “Erario” del modello F24 potrebbero essere inseriti e compensati anche importi da versare a titolo di sanzioni ed interessi. Una diversa lettura si porrebbe, del resto, in aperto contrasto con quell’orientamento della Suprema Corte che ha correttamente ritenuto non punibile, nell’ambito del D.Lgs. n. 74/2000, una condotta inerente all’IRAP (Cass. n. 11147/2011; Cass. n. 12810/2016 Cass. n. 39678/2018) e sarebbe, altresì, confliggente con le previsioni di cui agli artt. 13, comma 1, e 13-bis, comma 1, del medesimo decreto, che prevedono una causa di non punibilità ed una circostanza attenuante in caso di compensazione con crediti, rispettivamente, “non spettanti” o “inesistenti”, quando il contribuente, prima dell’apertura del dibattimento, versi le somme dovute all’Erario.

Il fatto che i sopradetti incentivi all’adempimento delle obbligazioni fiscali, applicabili alle indebite compensazioni, contengano un riferimento espresso ai soli debiti di natura “tributaria” ed agli specifici procedimenti deflattivi propri della nostra materia, è la riprova della corretta interpretazione resa della norma in discussione. Emergerebbe, altrimenti, una palese disparità di trattamento tra coloro che hanno commesso violazioni fiscali o, comunque, hanno la possibilità di accedere ai detti istituti conciliativi e coloro che, invece, si trovano in una posizione deteriore, dipendente esclusivamente dalla diversa natura dei debiti e dalla netta differenza che caratterizza le procedure previdenziali e assistenziali. Se l’intento di tali istituti premiali è quello di incentivare la resipiscenza del contribuente, piuttosto che la punizione dei trasgressori (Giarda A. – Alloisio M., Le nuove cause di estinzione del reato e di esclusione della punibilità, in Giarda A. – Perini A. – Varraso G., a cura di, La nuova giustizia penale tributaria, Milano, 2016, 435), è ben chiaro che dette misure debbano riguardare tutti e solo gli elementi che compongono il reato e, quindi, in ultima analisi, le sole voci di carattere fiscale.

Anche nella determinazione del superamento della soglia di punibilità, il richiamo all’art. 17 D.Lgs. n. 241/1997 deve, quindi, essere letto come un semplice rinvio ad un particolare tipo di compensazione che dovrà comunque operare nei più stringenti limiti propri del D.Lgs. n. 74/2000. Trova, perciò, conferma quanto detto sopra circa la necessità di scartare dal computo, sia le entrate diverse dalle imposte dirette e dall’IVA, sia, a maggior ragione, il totale dei crediti utilizzati in compensazione, riferendosi la norma a “chiunque non versa” somme superiori a cinquantamila euro e, quindi, al lato debitorio del rapporto compensativo.

5. Tanto premesso, in primis, deve escludersi che la soglia di rilevanza penale possa riferirsi all’ammontare dei crediti utilizzati per le compensazioni indebite, considerato che la ratio della fattispecie – alla luce delle considerazioni svolte – deve ricondursi all’esigenza di tutelare l’interesse erariale alla riscossione dei tributi e ciò conferma che, indipendentemente dalle modalità di esecuzione della condotta, l’elemento da salvaguardare è il corretto versamento delle imposte, al cui importo annuo estinto con un’indebita compensazione dovrà essere commisurata la valutazione del superato della soglia.

La giurisprudenza più recente della Suprema Corte sembra, altresì, contraddirsi laddove, pur ammettendo in nuce che il D.Lgs. n. 74/2000 sia diretto a sanzionare le violazioni in materia di imposte dirette e sul valore aggiunto, ritiene che la chiave ermeneutica per definire l’ambito di operatività dell’art. 10-quater debba ritrovarsi in toto nell’art. 17 D.Lgs. n. 241/1997 e quindi, eccezionalmente, la condotta in considerazione – a prescindere da ogni altra valutazione – potrebbe realizzarsi anche al di fuori di una compensazione indebita di imposte dirette e IVA (Cass. n. 14763/2020). Come correttamente osservato (Campanella F., Dubbi sull’applicazione della fattispecie penale di indebita compensazione qualora involga tributi differenti dalle imposte sui redditi e dall’IVA, in Riv. tel. dir. trib., 2020, 2, 759 ss.), se il legislatore avesse voluto introdurre un reato applicabile a tutte le violazioni inerenti alle entrate potenzialmente riconducibili al meccanismo di pagamento di cui all’art. 17 D.Lgs. n. 241/1997, lo avrebbe fatto con una norma ad hoc, esterna al D.Lgs. n. 74/2000, che, come detto, è diretto a disciplinare i reati riconducibili a dette imposte, come confermato anche dagli ulteriori interventi di modifica, che hanno riguardato il mancato versamento delle ritenute (art. 10-bis) e dell’IVA dovuta (art. 10-ter).

Sembra, infine, criticabile la decisione degli Ermellini che, nel caso di specie, hanno dichiarato inammissibile il ricorso e condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle ammende, giustificando la scelta con l’asserita manifesta infondatezza dei motivi di impugnazione. Si consideri infatti che, quantomeno fino ad un recente passato, esisteva una pluralità di orientamenti giurisprudenziali in materia e che ancor oggi la Cassazione sembra confondere gli elementi utili a determinare il corretto perimetro applicativo della fattispecie. Sarebbe, quindi, stato forse più utile un rinvio alla Sezioni Unite, che avrebbe consentito di definire con maggiore certezza l’interpretazione di una disposizione ancora oggi spesso travisata. In mancanza, non resta che sperare in un intervento legislativo che, al pari di quanto avvenuto per la definizione di crediti “non spettanti” o “inesistenti”, tenti di chiarire l’effettiva portata della norma.

(*) Il saggio è stato sottoposto a double blind peer review con valutazione positiva. Esso confluirà nel fascicolo n. 1/2025 (semestrale) della Rivista telematica di diritto tributario.

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

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