RECENTISSIME DALLA CASSAZIONE TRIBUTARIA – Cassazione, sez. trib. 20 marzo 2025, n. 7495 – Sui requisiti di iscrizione all’albo dei concessionari alle funzioni di accertamento e riscossione dei tributi locali nella finanza di progetto: un rinvio pregiudiziale dichiarato inammissibile su un caso destinato ad alimentare il dialogo?

Di Paola Coppola -

La massima della Suprema Corte (*)

Rileva il Collegio che, nelle more della decisione, è intervenuta la L. 21 febbraio 2025, n. 15 (in G.U. 24 febbraio 2025, n. 45) di conversione del D.L. 27 dicembre 2024, n. 202 (c.d. decreto ‘Milleproroghe 2025’) (art. 3, comma 14- septies). Il legislatore è dunque direttamente intervenuto, con norma dichiaratamente interpretativa, a chiarire il significato e la portata della disposizione oggetto di rinvio pregiudiziale, in modo tale che quest’ultimo risulta privo, per effetto dello jus superveniens, di uno dei suoi presupposti tipici ed essenziali, costituito dalla presenza nella questione dedotta, di “gravi difficoltà interpretative” ex art. 363-bis, comma 1, n. 2, c.p.c. Ne deriva l’inammissibilità del rinvio pregiudiziale medesimo, con restituzione degli atti al giudice remittente, il quale provvederà anche sulle spese della presente fase processuale.

Il (tentativo) di dialogo

L’art. 3, comma 14-septies, D.L. n. 202/2024 (approvato con la L. n. 15/2025) introduce talune “novità” sull’iscrizione all’albo dei concessionari abilitati alle funzioni di accertamento, riscossione o attività di supporto ad esse propedeutiche delle entrate degli Enti locali, di cui agli artt. 52, comma 5, lett. b), n. 1), e 53, comma 1, D.Lgs. n. 446/1997.

La questione di fondo, sottesa all’intervento normativo e alla questione affrontata dalla Cassazione con la sentenza 20 marzo 2025, n. 7495 in esame, è legata al rinvio pregiudiziale ex art. 363 c.p.c. operato dalla Corte tributaria di I grado di Napoli, con ordinanza del 24 luglio 2024, dopo essere stata investita da una nutrita serie di ricorsi sulla legittimazione della società di progetto, Napoli Obiettivo Valore s.r.l. (NOV), non iscritta all’albo (e impossibilitata ad iscriversi) e costituita ex art. 184 D.Lgs. n. 50/2016 da Municipia Spa, aggiudicataria della gara indetta dal Comune di Napoli per l’affidamento, secondo il modello delle finanza di progetto, dei servizi di accertamento e riscossione dei tributi locali ed altre entrate.

Napoli Obiettivo Valore s.r.l. (NOV) è, quindi, la concessionaria del Comune di Napoli subentrata a titolo originario, in sostituzione dell’aggiudicataria, in tutti i rapporti con l’Amministrazione concedente, non necessitando di alcun atto permissivo da parte dell’Amministrazione (art. 184, comma 1 e 3, cit.). L’art. 184 è stato abrogato dal D.Lgs. 31 marzo 2023, n. 36 (nuovo Codice appalti), ma continua ad applicarsi a NOV, in forza dell’art. 226 D.Lgs. n. 36/2023.

Il dubbio interpretativo su cui si è fondato il rinvio pregiudiziale è reso esplicito nell’ordinanza di rimessione della CGT di I grado di Napoli che ha prospettato dapprima i due possibili opposti indirizzi ricostruttivi dell’art. 184 D.Lgs. n. 50/2016.

Il primo, secondo cui l’atto impositivo emesso da NOV s.r.l., non iscritta all’albo, rimarrebbe valido perché la società di progetto (subentrando automaticamente ex lege nella concessione aggiudicata al socio unico) beneficerebbe di tutti i requisiti posseduti da quest’ultimo, compreso quello della sua iscrizione all’albo. Il secondo, in ragione del quale l’atto impositivo sarebbe invece invalido perché emanato in carenza di potere, dovendosi per varie ragioni escludere che la società di progetto possa avvalersi dei requisiti propri della società aggiudicataria, anche se suo socio unico.

Per siffatta duplice possibile lettura, la CGT di I grado di Napoli ha chiesto, ai sensi dell’art. 363-bis c.c.p., la risoluzione della seguente questione di diritto: “dica la Corte di Cassazione se, in materia tributaria, secondo la lettura costituzionalmente orientata dell’art. 184 del d.lvo n. 50/2016 (codice degli appalti), sia validamente ed efficacemente costituita una “società di progetto” avente ad oggetto l’accertamento e la riscossione fiscale, non iscritta (perché impossibilitata a farlo) sia nell’albo previsto dall’art. 53 d.l.vo n. 446/1997, che nella relativa sezione separata dell’art. 1, co. 805, l. 27 dicembre 2019, n. 160, sul presupposto che essa mutui dalla società aggiudicataria (iscritta nell’albo predetto e socia unica della società di progetto) i requisiti prescritti per legge”.

La Corte di Cassazione, a firma del Primo Presidente, ha ritenuto ammissibile il rinvio, rilevando – per quanto di interesse in questa sede – «a) la mancanza di un’attuale coesistenza di orientamenti di merito contrastanti; b) il requisito della novità non avendo la giurisprudenza di legittimità affrontato tale specifica questione».

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Nelle more del deposito della decisione sul rinvio pregiudiziale il legislatore è intervenuto con una norma – l’art. 3, comma 14-septies del decreto Milleproroghe 2025 – che, nella versione approvata in via definitiva con la legge di conversione, così recita: «Per l’anno 2025, il termine del 31 marzo, di cui all’articolo 12, comma 1, lettera a), del regolamento di cui al decreto del Ministro dell’economia e delle finanze 13 aprile 2022, n. 101, è prorogato al 30 settembre 2025. Al fine di adeguare la disciplina relativa all’albo di cui all’articolo 53 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, anche alla normativa dell’Unione europea direttamente applicabile, si procede alla revisione del regolamento di cui al decreto del Ministro dell’economia e delle finanze 13 aprile 2022, n. 101, con regolamento da emanare entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto. A tal fine, le disposizioni di cui agli articoli 52, comma 5, lettera b), numero 1), e 53, comma 1, del decreto legislativo n. 446 del 1997, conformemente alla disciplina recata dalla normativa dell’Unione europea direttamente applicabile, si interpretano nel senso che le società di scopo, di cui all’articolo 194 del codice dei contratti pubblici, di cui al decreto legislativo 31 marzo 2023, n. 36, o di progetto, di cui al previgente articolo 184 del codice dei contratti pubblici, di cui al decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, costituite per svolgere attività di accertamento e di riscossione o attività di supporto ad esse propedeutiche, non sono iscritte nell’albo di cui all’articolo 53 del decreto legislativo n. 446 del 1997, laddove la società aggiudicataria del bando di gara per l’affidamento del servizio di accertamento e di riscossione delle entrate degli enti locali, socia della stessa società di scopo, risulti già iscritta nel predetto albo. Gli atti di accertamento e di riscossione emessi dalle società di scopo di cui al precedente periodo sono da considerare legittimi in quanto emessi in luogo dell’aggiudicatario, comunque tenuto a garantire in solido l’adempimento di tutte le prestazioni erogate direttamente dalle predette società».

In ragione di tale disposizione la Corte di Cassazione si è riconvocata il 13 marzo ed ha depositato la sentenza n. 7495/2025 con la quale ha dichiarato inammissibile il rinvio, così pronunciando: «Il legislatore è dunque direttamente intervenuto, con norma dichiaratamente interpretativa, a chiarire il significato e la portata della disposizione oggetto di rinvio pregiudiziale, in modo tale che quest’ultimo risulta privo, per effetto dello jus superveniens, di uno dei suoi presupposti tipici ed essenziali, costituito dalla presenza, nella questione dedotta, di “gravi difficoltà interpretative” ex art. 363 bis co. 1^ n. 2) cod. proc. civ».

Questa pronuncia suggerisce talune riflessioni critiche.

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Innanzitutto, sotto il profilo letterale, la novità interpretativa sembra “circoscritta” alle società di scopo non iscritte (ex art. 194 D.Lgs. 36/2023), com’è confermato, tra l’altro, dalla chiosa della istituita norma in cui si legge: «Gli atti di accertamento e di riscossione emessi dalle società di scopo di cui al precedente periodo sono da considerare legittimi in quanto emessi in luogo dell’aggiudicatario, comunque tenuto a garantire in solido l’adempimento di tutte le prestazioni erogate direttamente dalle predette società». Essa legittima, dunque, gli atti di accertamento e riscossione precedenti, laddove emessi dalle società di scopo (e non dalle società di progetto) in luogo della socia iscritta; e ciò ferma restando l’ulteriore ambiguità della norma nell’indicare la solidarietà dell’aggiudicataria per «tutte le prestazioni erogate direttamente dalle predette società» (e quindi sempre e solo se di scopo) che, comunque, è una solidarietà “speciale”, diversa da quella civilistica, per le società veicolo costituite secondo il modello della finanza di progetto.

Questa circostanza è fondamentale in relazione al caso di specie.

E ciò perché NOV s.r.l. è stata costituita “ai sensi dell’art. 184 del d.lgs. n. 50/2016” ed è, quindi, una società di progetto (e non di scopo) (per il bando di gara del 2022 e, quindi, prima dell’entrata in vigore del nuovo codice appalti di cui al D.Lgs. n. 36/2023), onde la conclusione non può che essere nel senso che essa è esclusa dalla copertura prevista dalle regole che si sono volute introdurre, dichiarandone la natura interpretativa (e, quindi, retroattiva). Il che porta a chiedersi come possa la Corte di Cassazione aver applicato così de plano l’art. 3, comma 14-septies D.L. n. 202/2024 al caso sottoposto al giudizio di rinvio pregiudiziale.

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In secondo luogo, va richiamato l’insegnamento della Corte costituzionale, da ultimo ribadito nella sentenza 11 gennaio 2024, n. 4 (da cui si cita), in tema di norme di interpretazione autentica e innovative: «Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, “la disposizione di interpretazione autentica è quella che, qualificata formalmente tale dallo stesso legislatore, esprime, anche nella sostanza, un significato appartenente a quelli riconducibili alla previsione interpretata secondo gli ordinari criteri dell’interpretazione della legge” (sentenza n. 133 del 2020). Diversamente, nel caso in cui “la disposizione, pur autoqualificantesi interpretativa, attribuisce alla disposizione interpretata un significato nuovo, non rientrante tra quelli già estraibili dal testo originario della disposizione medesima, essa è innovativa con efficacia retroattiva (sentenze n. 61 del 2022, n. 133 del 2020, n. 209 del 2010 e n. 155 del 1990)” (sentenza n. 104 del 2022). Nel caso in esame, l’art. 51, comma 3, della legge n. 388 del 2000, lungi dall’aver assegnato all’art. 7, comma 1, del d.l. n. 384 del 1992, come convertito, uno dei possibili significati normativi ad esso attribuibili, ha conferito allo stesso un nuovo significato che non era ricavabile dal testo della legge».

Questo pacifico insegnamento porta ad escludere che l’art. 3, comma 14-septies, D.L. n. 202/2024 possa qualificarsi norma di interpretazione autentica visto che non esprime, di certo “un significato appartenente a quelli riconducibili alla previsione interpretata” (art. 53 D.Lgs. n. 446/1997) «secondo gli ordinari criteri dell’interpretazione della legge», tanto che proprio per la mancanza di precedenti di legittimità e di merito specifici sulla legittimazione di società veicolo concessionarie (ab inizio) non iscritte, la Corte di Cassazione ha ammesso il rinvio pregiudiziale.

La norma che si è autoqualificata interpretativa, ha inteso, infatti, introdurre nuove regole per abilitare le società veicolo (laddove società di scopo) in virtù “della mutuazione a specchio” dei requisiti propri dell’aggiudicataria della gara indetta dal Comune secondo il modello della finanza di progetto, ad oggi non regolata, per cui potrebbe intendersi, al più, norma “innovativa con efficacia retroattiva”, avendo conferito alla disciplina di cui agli artt. 52 e 53 D.Lgs. n. 446/1997 “un nuovo significato che non era ricavabile dal testo della legge”.

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A questo punto occorre verificare la tenuta costituzionale, in linea di principio, di una norma autoqualificatasi “interpretativa con efficacia retroattiva”, che – come chiarito dal giudice delle leggi nella citata sentenza n. 4/2004 – va verificata con uno scrutinio particolarmente rigoroso in ragione della centralità che assume il principio di non retroattività della legge – «inteso quale fondamentale valore di civiltà giuridica, non solo nella materia penale (art. 25 Cost.), ma anche in altri settori dell’ordinamento (si vedano le sentenze n. 174/2019, n. 73/2017, n. 260/2015 e n. 170/2013)».

Ed infatti, come si legge nella sentenza n. 145/2022 sempre della Corte costituzionale, nel sindacato di costituzionalità delle leggi retroattive si è pervenuti alla costruzione di una «solida sinergia fra principi costituzionali interni e principi contenuti nella CEDU», che consente di leggere i parametri interni con quelli convenzionali in stretto coordinamento «al fine di massimizzarne l’espansione in un rapporto di integrazione reciproca». In virtù di tale sinergia, la Corte ha chiarito che, nello scrutinio di costituzionalità, è chiamata innanzitutto a verificare se l’intervento legislativo retroattivo «sia effettivamente preordinato a condizionare l’esito di giudizi pendenti».

A tal fine, sulla scorta della giurisprudenza della Corte EDU, assumono rilievo alcuni «elementi, ritenuti sintomatici dell’uso distorto della funzione legislativa» e riferibili principalmente al «metodo e alla tempistica seguiti dal legislatore» (così, sentenza n. 12/2018; nello stesso senso, sentenze n. 145/2022 e n. 174/2019) che, per la maggior parte, implicano, in maniera non dissimile dal sindacato sull’eccesso di potere amministrativo mediante l’impiego di figure sintomatiche, una valorizzazione dei profili concreti del caso in esame.

Nella già citata sentenza n. 4/2024, la Corte Costituzionale elenca siffatti elementi sintomatici e li individua nei seguenti: 1) il fatto che «l’intervento legislativo si collochi a notevole distanza dall’entrata in vigore delle disposizioni oggetto di interpretazione autentica»; 2) il fatto che «lo Stato o l’amministrazione pubblica siano parti di un processo già radicato» in cui occorre applicare proprio quelle disposizioni; 3) il fatto che in ordine a quelle disposizioni si sia formato «un orientamento giurisprudenziale consolidato»; 4) il fatto che possa ritenersi, «anche sulla scorta dei lavori parlamentari, che l’intervento del legislatore interprete sia stato mosso dall’intento di superare quell’orientamento giurisprudenziale, così da recare vantaggio all’amministrazione pubblica nei giudizi in corso».

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Ed è quello che si registra nel caso del giudizio di rinvio pregiudiziale sulla legittimazione di NOV s.r.l. in luogo di Municipia spa, visto che:

1) l’intervento del legislatore con l’art. 3, comma 14-septies, D.L. n. 202/2024 si colloca a notevole distanza dall’entrata in vigore delle norme sui requisiti di iscrizione all’albo di cui agli artt. 52 e 53 D.Lgs. n. 446/1997 oggetto di interpretazione autentica (più di 27 anni); interpretazione che, comunque, giammai potrebbe “retrodatarsi” ai requisiti di iscrizione all’albo delle “società di progetto” (ex art. 184 D.Lgs. n. 50/2016) costituite solo molto dopo l’entrata in vigore degli artt. 52 e 53 D.Lgs n. 446/1997 che la norma intenderebbe interpretare retroattivamente, né retrodatarsi ai requisiti di iscrizione delle ancor dopo istituite società di scopo (ex art. 194 D.Lgs. n. 36/2023);

2) il giudizio di rinvio su NOV ha visto una delle parti rappresentata da una Pubblica Amministrazione per cui è innegabile che la parte pubblica in questo giudizio si è trovata a rivestire il doppio ruolo di parte in causa e di legislatore, ed in questa seconda veste, nel corso del giudizio, come avvenuto in un caso analogo: «ha dettato al giudice quale dovesse essere, pro domo sua, la corretta interpretazione della norma sub iudice». L’intervento del legislatore con l’art. 3, comma 14-septies, utilizzando le parole usate dalla Corte in quel precedente (Sez. Un. n. 25506/2006) «appare quindi inopportuno anche perché la Pubblica amministrazione, anche quando è parte in causa, ha sempre l’obbligo di essere e di apparire imparziale, in forza dell’art. 97 della Costituzione»;

3) il fatto che in ordine alle disposizioni sui requisiti di iscrizione all’albo si è formato ad oggi “un orientamento giurisprudenziale consolidato” che ha ritenuto legittimati i soli soggetti iscritti all’albo per requisiti propri (e non quelli mutuati a specchio), compreso quello della Cassazione (ad esempio, sent. n. 35338/2022) oltre che precedenti di prassi (ris. min. n. 4/F/2021; ris. min. n. 9/F/2021) e di altre Autorità (ANAC, parere 149/2022) per i quali l’iscrizione all’albo nelle due sezioni esistenti è stato ad oggi ritenuto un requisito indefettibile ai fini della legittimazione dei concessionari;

4) il fatto che per la sua genesi, tempistica e soprattutto per la decisione adottata dalla Corte sul rinvio pregiudiziale dopo la conversione in legge del testo definitivo dell’art. 3 D.L. n. 202/2024, l’intervento del legislatore ha potuto “orientare in senso favorevole” a Napoli Obiettivo Valore le decisioni dei giudici delle Corti di Giustizia Tributaria investite della questione.

Senza peraltro considerare che, ove la norma introdotta fosse retroattiva, si verrebbe a determinare una disparità di trattamento della libera concorrenza nell’ammettere “oggi per allora” la possibilità di far partecipare alle gare pubbliche anche soggetti non iscritti o impossibilitati sino ad oggi ad iscriversi all’albo (società di progetto che l’aggiudicataria avrebbe potuto costituire partecipando alla gara e/o che non sono state costituite o partecipato al bando per mancanza di requisiti propri).

Né, infine, potrebbe sostenersi che l’intervento legislativo in questione possa trovare una ragionevole giustificazione nell’esigenza di tutelare principi, diritti e beni costituzionali, posto che – come ha chiarito la Corte EDU – solo «imperative ragioni di interesse generale» possono consentire un’interferenza del legislatore su giudizi in corso escludendo, tuttavia, tra queste «le considerazioni finanziarie che non possono, da sole, autorizzare il potere legislativo a sostituirsi al giudice nella definizione delle controversie» (CEDU, sentenza 29 marzo 2006, Scordino e altri contro Italia, paragrafo 132; sentenza 11 aprile 2006, Cabourdin c. Francia, paragrafo 37). Anche la Corte costituzionale ha sottolineato che in linea di principio (sentenza n. 145/2022): «i soli motivi finanziari, volti a contenere la spesa pubblica o a reperire risorse per far fronte a esigenze eccezionali, non bastano a giustificare un intervento legislativo destinato a ripercuotersi sui giudizi in corso» (sentenze nn. 174 e 108 del 2019, n. 170/2013).

In definitiva, la presenza di tutti gli elementi sintomatici dell’uso distorto del potere legislativo supporta la convinzione che non possono ritenersi sussistere, nel caso del rinvio pregiudiziale oggetto della pronuncia di cassazione in commento, quelle “ragioni imperative di interesse generale” legittimanti, in linea di principio, la “dichiarata natura interpretativa” della norma contenuta nell’art. 3, comma 14-septies.

E ciò sempre se tale possa qualificarsi la norma che, come si diceva, nemmeno innova, ma rinvia ad una norma che verrà in un regolamento da emanarsi a 180 gg. per operare la revisione del regolamento esistente sull’albo di cui all’art. 53 D.Lgs. n. 446/1997 lasciando, per di più, anche immutata la situazione ex ante sui soggetti legittimati ad iscriversi nelle due sezioni esistenti nel caso delle società di progetto ex art. 184 D.Lgs. n. 50/2016, non iscritte ed impossibilitate ad iscriversi.

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Va ulteriormente osservato che, quand’anche l’art. 3, comma 14-septies, dovesse qualificarsi come norma interpretativa con efficacia retroattiva, sotto il profilo sostanziale il risultato non cambierebbe in relazione alla vicenda NOV e Municipia sottoposta al rinvio pregiudiziale.

Ed infatti, posto che la materia in cui trovano collocazione le disposizioni che regolano i requisiti di iscrizione all’albo dei concessionari (art. 52, comma 5, lett. b), n. 1, e l’art. 53 D.Lgs. n. 446/1997) è certamente tributaria, la forza di “interpretazione autentica” che si volesse assegnare all’art. 3, comma 14-septies, D.L. n. 202/2024 risulterebbe in palese contrasto con i principi generali dello Statuto dei diritti del contribuente, con la conseguenza che, in sede contenziosa i giudici del merito non potranno esimersi dal dichiarare che la stessa dispieghi effetti (al più) “soltanto per il futuro” (e per le sole le società di scopo, e non per NOV).

L’art. 1, comma 2, L. n. 212/2000 dispone, infatti, che «L’adozione di norme interpretative in materia tributaria può essere disposta soltanto in casi eccezionali e con legge ordinaria, qualificando come tali le disposizioni di interpretazione autentica». E nessuno di quei tre requisiti è ravvisabile nell’art. 3, comma 14-septies e, dove pure dovesse ritenersi un “caso eccezionale” quello di NOV e Municipia (per le comprensibili ragioni di cassa del Comune di Napoli), la norma non è stata inserita in una legge ordinaria (non potendosi intendere per tale quella di conversione di un decreto legge), né è presente in rubrica dell’art. 3, comma 14-septies cit. la qualifica di norma di “interpretazione autentica”.

Al di là delle difficoltà tecniche di definizione, resta il fatto che tanto nel caso di norma retroattivamente innovativa che in quello di norma propriamente interpretativa, certo è che la legge è pur sempre “soggetta al controllo di conformità al principio di ragionevolezza secondo criteri analoghi” (Corte cost., sent. n. 6/1994, punto 6, Considerato in diritto), per cui se il legislatore formula l’innovazione retroattiva con il linguaggio dell’interpretazione autentica, la rappresenta come un’innovazione che consiste “nell’imporre” una norma corrispondente a una delle possibili letture di una disposizione già in vigore (MASTROIACOVO V., Esiste davvero la legge di interpretazione autentica?, in Riv.dir. trib., 2012, 5, 537-542).

Quando ciò accade, ed è fedele alla realtà, la norma potrebbe risultare compatibile con i principi costituzionali che fungono da limiti alla retroattività legislativa, ed in specie al principio della tutela dell’affidamento legittimo. Ma se la norma introdotta non corrisponde ad una delle letture possibili di preesistenti disposizioni, come avviene nel caso delle regole da applicarsi al caso oggetto del rinvio pregiudiziale, il sacrificio imposto dalla norma retroattiva al legittimo affidamento è maggiore di quello che può imputarsi alla ragionevolezza del decisore politico, per cui la Corte, ove venisse investita della questione, non potrà che dichiarare l’incostituzionalità dell’art. 3, comma 14-septies, in combinato con la prossima norma regolamentare.

Si aggiunga che la Corte Costituzionale ha escluso che il legislatore possa intervenire con un emendamento di contenuto eterogeneo rispetto a quello del decreto Milleproroghe (sentenza n. 245/2022), che dovrebbe fondarsi, come del pari stabilito in altri precedenti (sentenza n. 22/2012), sulla «ratio unitaria di intervenire con urgenza sulla scadenza di termini il cui decorso sarebbe dannoso per interessi ritenuti rilevanti dal Governo e dal Parlamento, o di incidere su situazioni esistenti – pur attinenti ad oggetti e materie diversi – che richiedono interventi regolatori di natura temporale». Secondo la Consulta, l’art. 77, comma 2, della Costituzione fissa, infatti, un “nesso di interrelazione funzionale” tra la legge di conversione e il corrispondente decreto-legge, la prima risultando fonte “funzionalizzata e specializzata” o “a competenza tipica”. L’emendabilità del decreto-legge deve intendersi limitata, essendone consentita la modifica, in sede di conversione, soltanto attraverso «disposizioni che siano ricollegabili, dal punto di vista materiale o da quello finalistico […] a quelle in esso originariamente contemplate». Il che non appare avvenuto con riferimento alla norma che ci occupa.

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La natura dichiaratamente interpretativa che l’art. 3, comma 14-septies, D.L. n. 202/2024 ha assegnato “a quella che verrà” in virtù dell’emanando regolamento, calata nel caso della fattispecie oggetto di rinvio pregiudiziale, oltre a mostrarsi in contrasto con lo Statuto dei diritti del contribuente, confligge, quindi, con i principi generali sull’efficacia delle norme nel tempo (art. 11 Preleggi), con i principi costituzionali posti a presidio dei limiti della decretazione d’urgenza (art. 77 Cost), oltre che della certezza del diritto e dell’equo processo ex artt. 111, 117, comma 1 della Costituzione e 6 della CEDU, che, tranne che «per impellenti motivi di interesse generale» non ricorrenti nel caso di specie, impediscono «ogni ingerenza del potere legislativo nell’amministrazione della giustizia al fine di influire sulla conclusione giudiziale della lite».

Senza dire che il criterio congegnato per legittimare “a specchio” le società di scopo non iscritte (anche dopo la revisione del regolamento vigente) lede, certamente, l’obbligo di trasparenza delle gare pubbliche cui è tenuta ogni Amministrazione secondo i principi generali domestici e, ovviamente, europei. Di qui ancor più incomprensibile si mostra il fatto che l’art. 3, comma 14-septies cit. nel prevedere l’emanando regolamento «Al fine di adeguare la disciplina relativa all’albo di cui all’articolo 53 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, anche alla normativa dell’Unione europea direttamente applicabile», non indichi quale tra le tante norme europee, avrebbe “funzionalizzato” il rinvio.

Insomma, per molte ragioni, l’intervento operato con l’art. 3, comma 14-septies, D.L. n. 202/2024 si mostra in contrasto con gli artt. 77 e 23 Cost., con l’art. 102, con l’art. 111, comma 1 e 2, e con l’art. 117, comma 1, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 6 CEDU, per cui appare destinato ad alimentare, e non risolvere, il contenzioso in corso.

(*) La rubrica è aperta a tutti coloro che intendono contribuire al progresso del diritto tributario, in generale, e al miglioramento della sua applicazione, in particolare, nella specie con interventi di commento della giurisprudenza di legittimità dialogici e costruttivi, scevri di polemiche e posizioni partigiane.

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