Riflessioni critiche sulla rinnovata (e crescente) rilevanza del c.d. equilibrio di bilancio alla luce di recenti sviluppi giurisprudenziali
Di Federico Bertocchi
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Abstract (*)
Il principio di equilibrio di bilancio, introdotto al fine di preservare la stabilità finanziaria ed economica del Paese, potrebbe assumere una diversa funzione alla luce dell’interpretazione che la giurisprudenza (da ultimo) di legittimità propone. In particolare, l’art. 81 Cost. costituirebbe un principio costituzionale suscettibile di essere bilanciato con altri principi previsti in Costituzione. Tale interpretazione solleva alcune delle criticità già emerse in passato, ponendone altre anche in relazione al diritto dell’Unione Europea.
Critical reflections on the renewed (and growing) relevance of the budgetary balance principle in light of recent case law – The principle of budgetary balance, which was introduced to preserve the State’s financial and economic stability, could assume a different function in light of the interpretation that the recent case law proposes. Specifically, Article 81 of the Italian Constitution would be a constitutional principle liable to be balanced with other constitutional principles. Such interpretation, thus, raises old issues as well as new ones also in light of EU law.
Sommario: 1. Premessa all’indagine. –2. All’origine del principio dell’equilibrio di bilancio. – 3. Il ruolo dell’art. 81 Cost. – 4. Quindi, una possibile rilettura dell’equilibrio di bilancio alla luce di altri valori costituzionali: la giurisprudenza della Corte costituzionale. – 5. La conferma in una recente sentenza della Corte di Cassazione. – 6. L’interpretazione della Corte di Cassazione e l’equilibrio di bilancio alla luce del diritto dell’Unione Europea. – 7. Necessario ridimensionamento dell’equilibrio di bilancio nell’ordinamento nazionale. – 8. Brevi conclusioni.
1. La premessa al presente contributo si può trovare nelle parole del Professor Wildavsky, secondo il quale «l’attività di bilancio consiste nel tradurre risorse finanziarie in obiettivi umani» e quindi nel «dividere i fondi disponibili tra lepersone e gli obiettivi in competizione tra di loro>>, ragione per cui <<il bilancio di una collettività (quale è lo Stato) non può limitarsi ad essere una cosa sola, [ma] deve svolgere più funzioni» (Wildavsky A. B., Bilancio e sistema politico, Milano, 1978, 27).
Sulla base di tale premessa, l’obiettivo della presente analisi è quello di indagare il ruolo che l’art. 81 Cost. in materia di equilibrio di bilancio svolge all’interno dell’ordinamento italiano e ciò soprattutto alla luce della recente giurisprudenza della Corte costituzionale e di legittimità, che sembra aver (nuovamente) riconosciuto a tale disposizione il valore di principio costituzionale idoneo ad essere bilanciato con altri.
Per meglio comprendere la finalità sottesa all’art. 81 Cost. e valutare l’impatto di tale recente giurisprudenza, è opportuno richiamare il contesto storico che ha portato alla costituzionalizzazione del principio dell’equilibrio di bilancio.
2. I primi anni del XXI secolo, infatti, avevano fatto registrare una significativa crescita dell’economia mondiale a cui hanno fatto seguito forti instabilità sul piano economico-finanziario (nonché le più recenti pandemie e guerre). Tali accadimenti hanno determinato importanti riduzioni del prodotto interno lordo degli Stati, producendo rilevanti impatti negativi anche sui bilanci nazionali a cui i medesimi Paesi hanno dovuto far fronte (vds. gli effetti da ultimo analizzati in OECD, Revenue Statistics 2024: Health Taxes in OECD Countries, Paris, 2024).
Tali fatti hanno indotto molti Paesi ad introdurre meccanismi sempre più permeanti, volti a regolare le possibilità di spesa pubblica, con l’auspicio di poter conseguire una (maggiore) stabilità finanziaria ed economica, a beneficio della società. Più precisamente, all’interno di un quadro fortemente articolato di fonti europee ed internazionali in materia di finanza pubblica (così Mondini A., Fonti europee e internazionali del diritto della finanza pubblica, in Mondini A., a cura di, Lezioni di diritto della finanza pubblica europea, Milano, 2025, 7 ss.), a partire dal 1° marzo 2012 si è inserito anche il Trattato internazionale «sulla stabilità, sul coordinamento e sulla governance nell’Unione economica e monetaria», c.d. Fiscal Compact,che ha impegnato gli Stati firmatari (tra cui l’Italia, unitamente alla maggioranza dei Paesi membri dell’Unione Europea) ad adottare disposizioni vincolanti, permanenti e preferibilmente di natura costituzionale che fossero idonee ad assicurare saldi di bilancio in pareggio o in avanzo (ex art. 3 del Trattato), al fine di mantenere finanze pubbliche sane e sostenibili, salvaguardando la stabilità economica della zona euro (in tal senso, i Preamboli al Trattato).
L’Italia, in particolare, ha adottato a tal fine la c.d. regola del pareggio di bilancio (come qualificata nel Fiscal Compact), che è stata introdotta nell’art. 81 Cost. al fine di assicurare l’equilibrio tra le entrate e le spese del bilancio nazionale (vds. Mondini A., L’ordinamento finanziario e le sue fonti, in Mondini A., a cura di, Corso di diritto della finanza pubblica, Padova, 2021, 20 ss., che evidenzia come non vi sia coincidenza tra pareggio ed equilibrio di bilancio, concetto – quest’ultimo – più ampio ed elastico del primo; Cabras D., L’introduzione del principio del c.d. pareggio di bilancio: una regola importante per la stabilizzazione della finanza pubblica, in Quaderni costituzionali, 2012, 1, 112, ritiene che l’“equilibrio” dei bilanci sia il mezzo per raggiungere il fine ultimo, ovvero il loro “pareggio”).
L’art. 1 della L. cost. 20 aprile 2012, n. 1, in particolare, ha modificato la citata disposizione costituzionale nel senso in cui appare attualmente: «lo Stato assicura l’equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio, tenendo conto delle fasi avverse e delle fasi favorevoli del ciclo economico» (art. 81, comma 1, cit.). Secondo alcuni Autori, tale formulazione afferma la necessità per il Legislatore di perseguire specifiche politiche di finanza pubblica, rivolte soprattutto a ridurre la spesa pubblica o ad aumentare il prelievo fiscale (Brancasi A., Bilancio [equilibrio di], in Enc. diritto, Annali VII, 2014, 178).
La modifica al testo costituzionale ha, perciò, messo in evidenza le esigenze connesse al bilancio dello Stato, che in tal modo hanno trovato espresso riconoscimento nella Costituzione. Parte della dottrina ha argomentato nel senso di ritenere che il principio sotteso all’art. 81 della Costituzione (così come modificato dalla L. cost. n. 1/2012) potesse in realtà operare in Italia anche prima della riforma costituzionale, in quanto il principio dell’equilibrio di bilancio era previsto dalla citata normativa internazionale. Secondo tale interpretazione, pertanto, le modifiche costituzionali (giudicate “radicali” e – in particolare – “precipitose” da Buzzacchi C., Bilancio e stabilità. Oltre l’equilibrio finanziario, Milano, 2015, 63) avrebbero avuto il solo fine di confermare la rilevanza di un principio già previsto da tali ultime fonti internazionali, risultando non necessarie (in tal senso, tra gli altri, Gallo F., Il principio costituzionale di equilibrio di bilancio e il tramonto dell’autonomia finanziaria degli enti territoriali, in Rass. trib., 2014, 6, 1200 ss. e Tosato G.L., La riforma costituzionale sull’equilibrio di bilancio alla luce della normativa dell’Unione: l’interazione fra i livelli europeo e interno, in Riv. dir. int., 2014, 1, 6; più cauto in proposito, Luciani M., Costituzione, bilancio, diritti e doveri dei cittadini, in Astrid Rassegna, 2013, 3, 27 ss.).
3. A prescindere dalle argomentazioni in merito alla necessità che il Legislatore intervenisse modificando il testo costituzionale, è pacifico che il principio dell’equilibrio di bilancio abbia assunto, con la riforma, un ruolo significativo nell’ordinamento costituzionale italiano.
Ciò nonostante, già in relazione alla previgente formulazione dell’art. 81 Cost. (il quale – per quanto di interesse ai presenti fini – si limitava a disporre, all’ultimo comma, che ogni legge che importasse nuove o maggiori spese dovesse indicare i mezzi per farvi fronte), la Corte costituzionale aveva già affermato come l’equilibrio di bilancio fosse un principio di valore costituzionale, idoneo a partecipare alla complessiva ponderazione dei valori costituzionali di volta in volta rilevanti (Corte cost., n. 260/1990, punto 3). Tale conclusione potrebbe sembrare ancor più calzante a seguito dell’introduzione di tale principio nella Costituzione, circostanza che – infatti – ha indotto la Corte costituzionale a ritenere tale principio come idoneo a determinare una gradualità in ordine all’attuazione di valori costituzionali che possano importare rilevanti oneri a carico del bilancio statale (Corte cost., n. 10/2015, punto 8).
In dottrina, tuttavia, è stato osservato come la posizione assunta dall’art. 81 cit. all’interno della Costituzione consentirebbe di qualificare tale disposizione quale “norma sulla normazione”, non potendo l’equilibrio di bilancio rappresentare un obiettivo che concorre con quelli individuati nella Parte Prima della Costituzione (Bizioli G., L’incostituzionalità della Robin Hood Tax fra discriminazione qualitativa dei redditi ed equilibrio di bilancio, in Rass. trib., 2015, 5, 1090 ss.). Secondo tale interpretazione, quindi, l’art. 81 cit. rappresenterebbe un limite esterno, che influisce sulle modalità di realizzazione dei principi e valori costituzionali, non potendo risultare una fonte della deroga a questi ultimi.
4. Nonostante quanto sopra, è stato osservato come il principio dell’equilibrio di bilancio sia divenuto nel tempo un elemento sempre più rilevante per i Giudici costituzionali, soprattutto allorquando siano chiamati a valutare leggi che comportano un aumento della spesa pubblica (Luciani M., Generazioni future, distribuzione temporale della spesa pubblica e vincoli costituzionali, in Diritto e società, 2008, 2, 158). Inoltre, secondo alcuni Autori, i vincoli in materia di bilancio costituirebbero il fondamento e la garanzia per l’effettivo esercizio della democrazia e dei diritti fondamentali. Per tale ragione, siffatte limitazioni dovrebbero considerarsi espressione di esigenze coessenziali allo Stato costituzionale, proprio perché coerenti con l’idea stessa di Costituzione, ovvero un patto politico intorno a un nucleo di valori fondamentali destinato a durare nel tempo (Morrone A., Pareggio di bilancio e Stato costituzionale, in Rivista AIC, 2014, 1, 11 ss.).
Nel solco dell’interpretazione volta riconoscere all’art. 81 Cost. un valore crescente nell’ordinamento costituzionale, si colloca la nota (e già richiamata) sentenza della Corte costituzionale sulla c.d. Robin Hood Tax (Corte cost., n. 10/2015). In tale contesto, infatti, la Corte ritenne che l’art. 81 Cost. svolgesse un ruolo così significativo nell’ordinamento da consentirle di richiamare l’esigenza di preservare l’equilibrio di bilancio per giustificare la limitazione (pro futuro) degli effetti della declaratoria di incostituzionalità di una norma che contrastava con i principi costituzionali di eguaglianza e capacità contributiva (vds. Corte cost., n. 10/2015, punto 8).
In tal caso, la Corte costituzionale operò un bilanciamento tra esigenze di bilancio e diritto al rimborso del tributo illegittimamente versato dai contribuenti interessati (vds. Salvini L., Traslazione e rimborso delle imposte sul reddito in Corte Cost. n. 10/2015, in Rass. trib., 2015, 5, 1168 ss., che ha criticato la Corte per aver operato, di propria iniziativa, un bilanciamento tra le citate disposizioni costituzionali, basandosi su elementi di fatto non sempre condivisibili). La Consulta, quindi, bilanciò – nei fatti– l’art. 81 Cost. con il principio di capacità contributiva, di cui all’art. 53 Cost. (Marcheselli A., Manuale di diritto tributario, Milano, 2024, 46).
Tale conclusione ha sollevato numerose critiche, alla luce del fatto che l’equilibrio di bilancio avrebbe determinato la compressione del principio di capacità contributiva, che è considerato un valore fondamentale nell’ordinamento nazionale anche in quanto espressione dei principi costituzionali di eguaglianza e di solidarietà (Batistoni Ferrara F., Capacità contributiva, in Enc. dir., Milano, 1999, Agg. III, 346).
L’art. 81 Cost., pertanto, sembrava aver assunto, per la Consulta, valore costituzionale sostanziale pari agli altri principi in tale contesto rilevanti (Marcheselli A., Capacità contributiva e pareggio di bilancio: una ponderazione che non convince, in Giur. it., 2015, 6, 1329). Ed infatti, parte della dottrina aveva osservato un’evoluzione rispetto alla precedente giurisprudenza della Corte costituzionale: mentre nella sentenza n. 85/2013 era stato operato un bilanciamento tra diritti fondamentali (ovvero, quello alla salute rispetto al diritto al lavoro), la sentenza n. 10/2015 ha operato un bilanciamento tra il diritto alla giusta imposizione (espressione della dignità della persona) e un altro diritto – tuttavia – non fondamentale (Stevanato D., “Robin Hood Tax”: un’incostituzionalità “a futura memoria”, in Dialoghi tributari, 2015, 1, 52 ss.).
Tali conclusioni apparvero ancor più convincenti in considerazione del fatto che la Corte costituzionale, nel rilevare l’incostituzionalità del prelievo de quo, non affidò al Legislatore il compito di individuare soluzioni alternative che, preservando l’esigenza di equilibrio di bilancio, potessero consentire il rispetto dell’art. 53 Cost. (Falsitta G., Manuale di diritto tributario – Parte generale, Padova, 2015, 66 ss.). La Consulta, invece, sembrò concludere nel senso di interpretare l’art. 81 Cost. quale principio costituzionale rilevante – nel caso di specie – al pari dell’art. 53 Cost., sul quale ha prevalso.
Ulteriori critiche hanno poi coinvolto l’argomento della Corte costituzionale, giudicato irragionevole, volto a ritenere che un eventuale squilibrio del bilancio che avesse implicato una manovra finanziaria aggiuntiva, avrebbe determinato una grave violazione dell’art. 81 Cost. In proposito, è stato osservato che, nella misura in cui il Parlamento fosse riuscito a reperire altre risorse (mediante – ad esempio – la revisione delle spese, l’istituzione di nuove imposte o un incremento delle stesse, così come la vendita di beni demaniali), non vi sarebbe stata alcuna violazione del principio dell’equilibrio di bilancio in conseguenza della declaratoria di incostituzionalità della disciplina de qua. Qualora, poi, il Legislatore fosse intervenuto per reperire risorse, riducendo le spese o aumentando la pressione fiscale, sarebbe intervenuta una ridistribuzione della ricchezza nel Paese che – diversamente da quanto argomentato dalla Corte costituzionale – non sarebbe stata de plano irragionevole, ovvero a vantaggio o svantaggio di alcuni soggettio categorie (D. Stevanato, “Robin Hood Tax”: un’incostituzionalità “a futura memoria”, cit., 54 ss.). Anzi, l’onere derivante dal riconoscimento del diritto al rimborso, conseguente alla declaratoria di incostituzionalità della normativa oggetto della sentenza n. 10/2015, sarebbe stato posto a carico della fiscalità generale e quindi della collettività che si era indebitamente avvantaggiata dell’imposta illegittimamente versata dai contribuenti coinvolti (Salvini L., Traslazione e rimborso delle imposte sul reddito in Corte Cost. n. 10/2015, cit., 1164 ss.).
5. Fatte salve le soprarichiamate critiche, l’interpretazione dell’art. 81 Cost. quale principio costituzionale da bilanciare con altri similari era emersa con forza dalla sola sentenza n. 10/2015 della Consulta.
Tuttavia, a condividere l’interpretazione della Corte costituzionale sembrerebbe essere una recente sentenza della Corte di Cassazione del 19 gennaio 2025, n. 1274, la quale potrebbe consentire di consolidare la sopraesposta e criticata interpretazione intorno al ruolo del principio dell’equilibrio di bilancio.
Nel merito, tra i vari profili, un contribuente lamentava che fossero state applicate le sanzioni per indebita detrazione dell’IVA (ex art. 6, comma 6, D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471) e per infedele dichiarazione ai fini di tale imposta (ex art. 5, comma 4, D.Lgs. n. 471/1997) previste dalle disposizioni ratione temporis vigenti, in luogo di quelle meno afflittive introdotte a seguito del D.Lgs. 14 giugno 2025, n. 87, che ha recentemente riformato il sistema sanzionatorio.
Muovendo dalla previsione dell’art. 5 D.Lgs. n. 87/2024, in forza del quale il sistema sanzionatorio più favorevole è applicabile alle sole violazioni commesse dal 1° ottobre 2024 (quindi, successivamente ai fatti di causa), il contribuente lamentava il mancato rispetto del principio della retroattività della sanzione più favorevole (ex art. 3, comma 3, D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472) e degli artt. 3 e 117, comma 1 Cost., nonché degli artt. 6 e 7 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (di seguito, CEDU) e dell’art. 49 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea (di seguito, CDFUE) a tal fine rilevanti, invocando quindi possibili illegittimità costituzionali e contrasti con il diritto dell’Unione Europea.
In proposito, la Corte di Cassazione non ha rilevato profili di incostituzionalità (individuati da Corasaniti G., Riflessioni critiche sulla deroga al principio di retroattività della lex mitior nel decreto legislativo recante la revisione del sistema sanzionatorio tributario, in Dir. prat. trib., 2024, 4, 1270 ss.), alla luce del fatto che il Legislatore avrebbe precluso (ex art. 5 cit.) proprio l’applicazione di sanzioni più favorevoli per fattispecie occorse precedentemente al termine ivi previsto.
Nelle proprie argomentazioni, la Corte di Cassazione ha concluso – tra gli altri profili – che il principio della lex mitior in tale contesto rilevante, diversamente (ad esempio) da quello di legalità, può risultare recessivo rispetto ad altri interessi “di pari rango” costituzionale. A tal fine, la Corte di Cassazione richiama proprio la sentenza n. 10/2015 della Corte costituzionale (vds. supra 4) al fine di osservare come sia possibile «individuare nella preservazione delle ragioni di equilibrio finanziario una delle ipotesi in cui un diverso e contrapposto interesse di rango costituzionale assurge a ragione» tale da «“sacrificare”, eccezionalmente, la lexmitior», allineandosi così a quanto previsto nella Relazione illustrativa all’art. 5 D.Lgs. n. 87/2024 (vds. Relazione illustrativa, 29).
Nell’argomentare intorno alla legittimità costituzionale dell’art. 5 cit. e quindi all’impossibilità di applicare al caso di specie le sanzioni più favorevoli introdotte con il D.Lgs. n. 87/2024, la Corte di Cassazione conclude ponendo il principio dell’equilibrio di bilancio sullo stesso piano di «materie di rango costituzionalealtrettanto sensibili» quali il diritto alla salute (art. 32 Cost.), il diritto all’istruzione (art. 34 Cost.), alla «sicurezza pubblica, ecc…».
Quanto sopra esposto rappresenta solo alcuni degli argomenti che la Suprema Corte ha addotto per giustificare l’impossibilità di applicare il principio della lex mitior. Tuttavia, è sufficiente e significativo evidenziare che una sentenza dei Giudici di legittimità abbia condiviso (e riproposto) le conclusioni della Corte costituzionale, rafforzando la (criticata) interpretazione dell’art. 81 Cost. quale principio suscettibile di essere bilanciato con altri valori costituzionali.
In proposito, si dovrebbe – tuttavia – evidenziare come la Corte di Cassazione sembri aver svolto ulteriormente il ragionamento già formulato dalla Consulta, ampliandolo; ciò, nella misura in cui ha ritenuto che l’art. 81 Cost. si ponga sullo stesso piano dei soprarichiamati principi costituzionali, quasi rinviando (con la formula «[…] ecc…») a tutti quelli previsti in Costituzione e non alla sola capacità contributiva (come emerso nella sopracitata sentenza n. 10/2015 della Corte costituzionale). In tal caso, la Corte di Cassazione avrebbe introdotto una ulteriore argomentazione a sostegno del ruolo (crescente) dell’art. 81 Cost.
6. Tali conclusioni potrebbero rappresentare, già di per sé, un rilevante profilo critico, tenuto conto che potrebbero favorire un’evoluzione dell’interpretazione dell’art. 81 Cost. in un senso non auspicabile per le ragioni già richiamate. Tuttavia, è possibile portare il ragionamento della Corte di Cassazione su un diverso ed ulteriore piano, osservando quanto segue.
Anzitutto, il principio della retroattività della lex mitior,rilevante nella causa di cui alla citata sentenza n. 1274/2025, trova espressa previsione – tra gli altri – nell’art. 49 CDFUE e artt. 6 e 7 CEDU, quali fonti di diritto primario dell’Unione Europea (ex art. 6 del Trattato sull’Unione Europea). In ogni caso, tale rappresenta un principio generale del diritto dell’Unione derivante dalle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri (CGUE, 3 maggio 2005, cause riunite C – 387/02, C – 391/02 e C – 403/02, Berlusconi, par. 66 ss.), confermandosi quale parte del diritto primario unionale.
La sopracitata sentenza della Corte di Cassazione n. 1274/2025, tuttavia, assume che il principio della lex mitior sia suscettibile di un bilanciamento con altri interessi costituzionali e tra questi il principio dell’equilibrio di bilancio. In altri termini, quindi, un principio come quello della lex mitior,che trova la sua fonte (anche) nel diritto primario dell’Unione Europea e che – per tale ragione – dovrebbe prevalere sul diritto interno, potrebbe – seguendo le argomentazioni proposte dalla Suprema Corte – dover cedere il passo ad un altro principio, quale quello previsto dall’art. 81 Cost. In tal senso, un contribuente potrebbe subire una maggiore sanzione, in realtà non dovuta in forza del principio (anche di matrice unionale) della lex mitior, in quanto una diversa determinazione potrebbe violare il principio costituzionale dell’equilibrio di bilancio (così come argomentato, in relazione all’art. 5 D.Lgs. n. 87/2024, nella relativa Relazione illustrativa, 30).
La conseguenza di tale interpretazione è che l’art. 81 Cost. finirebbe per prevalere sul diritto primario dell’Unione Europea e quindi, l’equilibrio di bilancio opererebbe alla stregua di un controlimite (tesi in parte accolta da Pallante F., Dai vincoli “di” bilancio ai vincoli “al” bilancio, in Giur. cost., 2016, 6, 2501; più critico, anche perché – probabilmente – si tratta di contributo più risalente, Antonini L., Il ridimensionamento del sistema pensionistico, ovvero: fra «fatti ostinati» e argomenti «deboli», il principio del montante attuariale dei contributi come possibile controlimite (concorrente), in Giur. cost., 1996, 6, 3721 ss.), nella sua (eventuale) qualità di principio supremo o diritto inviolabile dell’ordinamento nazionale idoneo a mitigare la supremazia del diritto dell’Unione europea (Cardone A., Diritti fondamentali [tutela multilivello], in Enc. diritto, Annali IV, 2011, 359).
Seguendo tale impostazione, pertanto, l’art. 81 Cost. rappresenterebbe una clausola di salvaguardia, che (teoricamente) affermerebbe un principio e valore fondante, proprio del sistema costituzionale italiano, idoneo a derogare al generale principio del primato del diritto dell’Unione Europea sul diritto interno (Ivaldi P., Costituzione e diritto dell’Unione europea, in Digesto, sez. pubbl., 2010). In tal caso, la Corte costituzionale potrebbe dover «verificare, attraverso il controllo di costituzionalità della legge di esecuzione, se una qualsiasi norma del Trattato, così come essa è interpretata ed applicata dalle istituzioni e dagli organi comunitari, non venga in contrasto con i principi fondamentali del nostro ordinamento costituzionale o non attenti ai diritti inalienabili della persona umana» (Corte cost., n. 232/1989, punto 3.1).
Tuttavia, una siffatta interpretazione difficilmente potrebbe trovare la condivisione della Corte di Giustizia UE, la quale ha già avuto modo di concludere come le esigenze di bilancio di uno Stato membro (che, nel caso di specie, aveva anche aderito al Fiscal Compact) non possano giustificare una limitazione delle libertà fondamentali che costituiscono parte del diritto primario unionale (CGUE, 12 maggio 2019, causa C-235/17, Commissione c. Ungheria, par. 121): poiché anche il principio della lex mitior costituisce parte del diritto primario dell’Unione Europea (come le libertà fondamentali oggetto della sopracitata pronuncia), sembrerebbe difficile che la Corte di Giustizia UE possa – in questo caso – giustificare la recessione del primo principio in favore dell’esigenza di preservare l’equilibrio del bilancio italiano.
Si aggiunga, poi, che la Corte di Giustizia UE ha recentemente chiarito che i giudici nazionali sono tenuti, in conformità al diritto unionale, a disapplicare le sentenze delle Corti costituzionali e di ultima istanza che possano ledere gli interessi dell’Unione Europea (CGUE, 24 luglio 2023, causa C-107/23, Lin,par. 98). Per tale ragione, anche nell’ipotesi sopra formulata, sarebbe incerta la possibilità di opporre – come paventato dalla Corte di Cassazione – l’art. 81 Cost. alla corretta applicazione del diritto primario dell’Unione Europea, di cui il principio della lex mitior fa parte.
In proposito, non appare convincente neppure l’eventuale argomento volto ad evidenziare come l’esigenza di equilibrio di bilancio trovi la sua origine in un trattato internazionale (il Fiscal Compact) che potrebbe doversi bilanciare con il soprarichiamato diritto primario. Infatti, alla luce del principio di leale cooperazione di cui all’art. 4, comma 3 del Trattato sull’Unione Europea, gli Stati membri, nel dare seguito agli obblighi internazionali (come quelli derivanti dal Fiscal Compact), non dovrebbero pregiudicare il diritto primario dell’Unione Europea (similmente, CGUE, 6 marzo 2018, causa C-284/16, Achmea; in dottrina, tra gli altri, Lenaerts K. – Van Nuffel P. – Corthaut T., EU constitutional law, Oxford, 2021, 705). Conseguentemente, l’Italia dovrebbe evitare che dall’applicazione del principio dell’equilibrio di bilancio possano determinarsi effetti incompatibili con il diritto unionale.
È opportuno, inoltre, evidenziare che firmatari del Fiscal Compact sono gli stessi Stati membri che, con il Trattato sull’Unione Europea, hanno riconosciuto il valore fondamentale dei principi e diritti contenuti nella CEDU e CDFUE (compreso, quindi, il principio della lex mitior). Per tale ragione, non sembra coerente ritenere che, con il primo accordo, siffatti Paesi abbiano voluto produrre effetti incompatibili con tali fonti del diritto dell’Unione Europea.
Infine, è possibile osservare che, anche qualora il Fiscal Compact avesse assunto la forma di una fonte secondaria del diritto dell’Unione Europea, i soprarichiamati principi previsti dal diritto primario sarebbero comunque prevalsi (similmente, Adam R. – Tizzano A., Manuale di diritto dell’Unione europea, Torino, 2014, 130 ss.), impedendo quindi che dall’applicazione dell’equilibrio di bilancio potessero determinarsi effetti incompatibili con la CEDU e la CDFUE.
7. La lettura dell’equilibrio di bilancio che la richiamata giurisprudenza propone rischia, perciò, di far diventare (ovvero, di confermare) l’art. 81 Cost. un principio di rango «super-costituzionale, che renda impraticabile il bilanciamento con gli altri principi costituzionali» (Rivosecchi G., L’equilibrio di bilancio: dalla riforma costituzionale alla giustiziabilità, in Rivista AIC, 2016, 3, 22).
Tale principio, diversamente, necessiterebbe di essere recessivo rispetto ad altri (Mone D., La costituzionalizzazione del pareggio di bilancio ed il potenziale vulnus alla teoria dei controlimiti, in Rivista AIC, 2014, 3, 28) e ciò proprio al fine di evitare che non diventi un “passepartout” utile per limitare qualsivoglia situazione soggettiva (Scagliarini S., Diritti e risorse: bilanciamento ineguale o ineguaglianza all’esito del bilanciamento?, in Giur. it., 2015, 6, 1334).
Pur prendendo atto del ragionamento della Suprema Corte, appare necessario criticare le relative argomentazioni, che potrebbero affermarsi nella futura giurisprudenza. Infatti, la corretta interpretazione del principio dell’equilibrio di bilancio dovrebbe consistere nel qualificare l’art. 81 Cost. come una disposizione che disciplina il metodo di finanziamento per l’attuazione dei valori costituzionali, i quali – appunto – non dovrebbero essere attuati squilibrando il bilancio; non invece come una disposizione che impedisce l’attuazione dei valori costituzionali e che – in quanto tale – assume una valenza costituzionale tale da potersi contrapporre ad altri (Marcheselli A., Capacità contributiva e pareggio di bilancio: una ponderazione che non convince, cit., 1328), come sembra emergere dalla sopraesposta giurisprudenza costituzionale apparentemente confermata – da ultimo – dalla Corte di legittimità.
Oggetto del giudizio di bilanciamento, come già evidenziato, dovrebbero essere valori di pari rango costituzionale e non un valore costituzionale con un altro che appare servente rispetto al primo, qual è il principio di equilibrio di bilancio (similmente, Luciani M., Generazioni future, distribuzione temporale della spesa pubblica e vincoli costituzionali, cit., 162).
8. Tutto quanto sopra induce ad osservare come il principio dell’equilibrio di bilancio sembri aver assunto – secondo le analizzate sentenze – una rinnovata rilevanza, capace di sollevare criticità sia sul piano del diritto interno, quindi in relazione al rapporto tra l’art. 81 Cost. e le altre disposizioni costituzionali; sia sul quello del diritto dell’Unione europea, nella misura in cui il diritto primario unionale potrebbe non prevalere sul principio di equilibrio di bilancio.
Inoltre, come osservato in dottrina, qualora tale interpretazione si consolidasse, verrebbero a determinarsi ipotesi in cui le leggi di bilancio attribuiscono diritti, con la conseguenza che, laddove ne venga previsto uno – tuttavia – privo di copertura finanziaria, tale diritto verrebbe meno in quanto contrastante con l’art. 81 Cost., circostanza che farebbe sorgere una confusione tra i mezzi finanziari e i valori costituzionali da salvaguardare (similmente, Marcheselli A., Manuale di diritto tributario, cit., 46).
Una siffatta interpretazione, quindi, non porrebbe i valori e principi costituzionali al vertice dell’ordinamento, non meritando – per tale ragione – di essere accolta o supportata dalla futura giurisprudenza costituzionale o di legittimità: la garanzia dei diritti incomprimibili dovrebbe incidere sul bilancio, non il contrario (similmente, Corte cost. n. 275/2016, punto 11).
In altri termini, i valori fondamentali dell’ordinamento si pongono al vertice del sistema ed in quanto tali devono essere perseguiti – al più – secondo criteri compatibili con le risorse finanziare, quindi nel rispetto dell’equilibrio di bilancio che può comunque rappresentare una forma di «controllo democratico al dispotismo di qualsiasi maggioranza» politica, a salvaguardia dei diritti di ogni generazione (Morrone A., Pareggio di bilancio e Stato costituzionale, cit., 11).
(*) Il saggio è stato sottoposto a double blind peer review con valutazione positiva. Esso confluirà nel fascicolo n. 1/2025 (semestrale) della Rivista telematica di diritto tributario.
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
Adam R.-Tizzano A., Manuale di diritto dell’Unione europea, Torino, 2014, 130 ss.
Antonini L., Il ridimensionamento del sistema pensionistico, ovvero: fra «fatti ostinati» e argomenti «deboli», il principio del montante attuariale dei contributi come possibile controlimite (concorrente), in Giur. cost., 1996, 6, 3721 ss.
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Batistoni Ferrara F., Capacità contributiva, in Enc. dir., Milano, 1999, Agg. III, 346
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